Il proprietario di un appartamento
sito in un edificio condominiale non può eseguire nella
sua proprietà esclusiva opere che, in contrasto con
quanto stabilito dalla norma dell'art. 1122 c.c.,
rechino danno alle parti comuni dell'edificio stesso,
né, a maggior ragione, opere che, attraverso
l'utilizzazione delle cose comuni, danneggino le parti
di una unità immobiliare di proprietà esclusiva di un
altro condomino
1. Il condomino che abbia
trasformato il proprio balcone in veranda, elevandola
sino alla soglia del balcone sovrastante, non è
soggetto, rispetto a questa, all'osservanza delle
distanze prescritte dall'art. 907 cod. civ. nel caso in
cui la veranda insista esattamente nell'area del
balcone, senza debordare dal suo perimetro, in modo da
non limitare la veduta in avanti e a piombo del
proprietario del balcone sovrastante, giacché l'art. 907
citato non attribuisce a quest'ultimo la possibilità di
esercitare dalla soletta o dal parapetto del suo balcone
una inspectio o prospectio obliqua verso il basso e
contemporaneamente verso l'interno della sottostante
proprietà .
2. 3. Da ciò ha tratto
coerentemente la conseguenza della illegittimità della
condotta della ricorrente, la quale ha realizzato sul
proprio terrazzo una veranda pur in assenza al piano
soprastante di un balcone aggettante.
4. La Corte territoriale ha poi
esaminato la delibera assembleare del 1985 e ha
correttamente escluso che la stessa potesse avere
efficacia abilitativa della installazione di una veranda
che avesse effetti pregiudizievoli per uno dei
condomini. Tale affermazione, a prescindere dal rilievo,
sul quale la ricorrente ha particolarmente insistito,
che la deliberazione assembleare non conteneva la
clausola di salvezza dei diritti dei condomini che
invece la Corte d'appello ha ritenuto esplicitata, non
contrasta con i principi della giurisprudenza di
legittimità in materia. È noto, infatti, che l'assemblea
condominiale non può assumere decisioni che riguardino i
singoli condomini nell'ambito dei beni di loro proprietà
esclusiva, salvo che non si riflettano sull'adeguato uso
delle cose comuni
5. 6. Le limitazioni al contenuto
dei diritti di proprietà esclusiva spettanti ai singoli
condomini - quali quelle consistenti nel divieto di dare
alle singole unità immobiliari una o più destinazioni
possibili, per l'utilità generale dell'intero edificio -
introdotte con un regolamento di condominio approvato in
assemblea, poiché generano dal lato passivo degli oneri
reali incidendo sulla proprietà dei singoli, richiedono,
a pena di nullità, l'unanimità dei consensi dei
condomini e nel caso che taluno di essi si sia fatto
rappresentare in assemblea è necessario che il
conferimento del mandato risulti da atto scritto secondo
la previsione di cui agli artt. 1392 e 1350 c.c..
7. 8. Infatti, le norme del
regolamento condominiale che incidono sulla
utilizzabilità e la destinazione delle parti
dell'edificio di proprietà esclusiva, distinguendosi
dalle norme regolamentari, che possono essere approvate
dalla maggioranza dell'assemblea dei condomini, hanno
carattere convenzionale e, se predisposte
dall'originario proprietario dello stabile, debbono
essere, pertanto, accettate dai condomini nei rispettivi
atti di acquisto o con atti separati ; se deliberate,
invece dall'assemblea, debbono essere approvate
all'unanimità, dovendo, in mancanza, considerarsi nulle,
perché eccedenti i limiti dei poteri dell'assemblea
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