A partire dal 21 marzo, giorno in
cui è diventato obbligatorio ricorrere alla mediazione
nel processo civile, cosa è cambiato?
Di fronte alla ferma opposizione
della classe forense riferita principalmente
all’introduzione della obbligatorietà del ricorso alla
mediazione e all’assenza della difesa tecnica nel
procedimento di mediazione, dapprima il TAR Lazio e poi
il Consiglio di Stato sono intervenuti sul tema. Sono
seguite astensioni e proteste da parte della classe
forense, proposte di modifiche del codice deontologico
per gli avvocati mediatori ed infine proposte di legge
finalizzate alla modifica delle norme contestate per
superare l’impasse determinatosi con la questione di
legittimità costituzionale
Questi gli eventi:
Con Ordinanza n. 3202 del 12 aprile
2011 il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
sul ricorso promosso per l’
ANNULLAMENTO DECRETO N. 180/10
AVENTE AD OGGETTO IL REGOLAMENTO RECANTE LA
DETERMINAZIONE DEI CRITERI E MODALITA' DI ISCRIZIONE E
TENUTA DEL REGISTRO DEGLI ORGANISMI DI MEDIAZIONE E
DELL'ELENCO DEI FORMATORI PER LA MEDIAZIONE NONCHE'
APPROVAZIONE DELLE INDENNITA' SPETTANTI AGLI ORGANISIMI
AI SENSI ART. 16 D.LGS. 28/10.
ha rimesso la questione alla Corte
Costituzionale dichiarando:
- rilevante e non manifestamente
infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 della
Costituzione, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo
periodo (che introduce a carico di chi intende
esercitare in giudizio un’azione relativa alle
controversie nelle materie espressamente elencate
l’obbligo del previo esperimento del procedimento di
mediazione), secondo periodo (che prevede che
l’esperimento di mediazione è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo
(che dispone che l’improcedibilità deve essere eccepita
dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice);
- rilevante e non manifestamente
infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 della
Costituzione, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove
dispone che abilitati a costituire organismi deputati,
su istanza della parte interessata, a gestire il
procedimento di mediazione sono gli enti pubblici e
privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza;
Soddisfazione veniva espressa dal
CNF per la decisione ritenuta di grande importanza
perché in linea con i dubbi espressi.
Immediata la reazione del Ministero
della Giustizia che con comunicato del 13 aprile
precisava che il giudice amministrativo aveva rimesso la
questione dell'obbligatorieta' della mediazione alla
Corte costituzionale perche' si pronunci come nelle sue
prerogative.
“Ma, significativamente - si legge
nel comunicato - non ha sospeso, come pure avrebbe
potuto, il regolamento attuativo impugnato che, al pari
della corrispondente disciplina legislativa, resta
vigente e operante, come in ogni altro dei molti casi in
cui pende una questione di legittimita' su norme
processuali''.
Con relazione pervenuta il 1 giugno
2011 il Ministero della Giustizia successivamente
chiedeva il parere del Consiglio di Stato sullo schema
di regolamento recante modifica al decreto del Ministro
della giustizia 18 ottobre 2010 n. 180 sulla
determinazione dei criteri e delle modalità di
iscrizione e tenuta del registro degli organismi di
mediazione e dell’elenco dei formatori per la
mediazione, nonché sull’approvazione delle indennità
spettanti agli organismi, ai sensi dell’art. 16 del
decreto legislativo n. 28 del 2010.
Nella adunanza del 9 giugno la
sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio
ha premesso che lo schema di regolamento risolve alcune
delle criticità emerse in sede di prima applicazione
della disciplina.
In particolare esso:
1) incrementa il supporto
amministrativo dell’autorità di vigilanza sugli
organismi di mediazione e sugli enti di formazione, così
da consentirne l’effettività;
2) incrementa l’aggiornamento
formativo biennale dei mediatori;
3) incrementa le facoltà
regolamentari degli organismi di mediazione, così da
consentirne l’idonea completezza, in specie imponendo ai
predetti regolamenti criteri predeterminati per
l’assegnazione degli affari di mediazione, che siano
rispettosi della specifica competenza professionale del
mediatore designato, desunta anche dalla tipologia della
laurea in ipotesi posseduta;
4) risolve alcune criticità della
disciplina delle indennità in specie contenendone i
costi nelle ipotesi di mediazione obbligatoria e
contumaciale;
5) proroga i termini per
l’adeguamento dei mediatori e formatori di diritto ai
requisiti della nuova normativa.
Con riferimento poi alla pronuncia
del Tar Lazio, ha osservato che ciò non incide sulla
legittimità delle modifiche regolamentari in esame, sul
complesso della disciplina della mediazione in quanto lo
schema di regolamento in esame, nelle more del giudizio
di costituzionalità, si propone intanto di intervenire
con l’intento di irrobustire la professionalità del
mediatore.
Ha concluso che lo stesso fosse
meritevole di parere favorevole con le seguenti
osservazioni:
a) in relazione all’art. 3 - che
modifica, integrandolo, l’art. 7 comma 5 del decreto del
Ministro della Giustizia 18 ottobre 2010 n. 180 - alla
lettera b) – che introduce la lettera e) al citato art.
7 , comma 5 – dopo la parola i criteri andrebbe
opportunamente aggiunto l’aggettivo “inderogabili”;
b) in relazione all’art. 5 dello
schema di regolamento - che modifica l’art. 16 del
decreto del Ministro della Giustizia 18 ottobre 2010 n.
180 – pur dovendosi apprezzare l’innovazione introdotta
alla lettera b) tesa a stimolare la professionalità dei
mediatori , si valuti, sul piano dell’opportunità, se
confermare la regola che rende possibile aumentare di un
terzo e non di un quinto le indennità del mediatore in
caso di successo della mediazione, in quanto ciò
potrebbe tradursi in un obiettivo aumento dei costi
sostenuti dai cittadini per il servizio in un periodo di
crisi economica;
c) in relazione all’art. 5 lett. d)
si valuti se per i primi due scaglioni della tabella A
allegata al decreto del Ministro della giustizia 18
ottobre 2010 n. 180 - non sia più opportuno portare la
riduzione ad euro quaranta.
E gli Avvocati mediatori?
Il Consiglio nazionale forense ha
approvato nella seduta amministrativa del 27 maggio
scorso una proposta di integrazione del codice
deontologico forense per disciplinare l’impegno degli
avvocati che dovessero fare i mediatori
“Volendo con ciò evidenziare
soprattutto la peculiarità dell’avvocato mediatore, che
non può farsi autore di una proposta di conciliazione
non conforme al diritto e non può sottrarsi al dovere di
rendere compiutamente consapevoli le parti, nel momento
del regolamento di interessi, delle loro rispettive
posizioni in termini di diritto” l’avvocato non deve
assumere la funzione di mediatore senza una adeguata
competenza nella materia oggetto del procedimento
Non può assumere funzioni di
mediatore – spiega ancora il CNF nella circolare
circolare n. 13-C-2011 inviata agli Ordini per le
osservazioni e proposte di modifica - l’avvocato che
abbia in corso o abbia avuto negli ultimi due anni
rapporti professionali con una delle parti o quando una
delle parti sia assistita o lo sia stata negli ultimi
due anni da un suo socio o associato. Se poi ha assunto
le funzioni di mediatore non potrò avviare rapporti
professionali con le parti per i successivi due anni
Infine sulle proposte di legge (nn.
2329 e 2534) che maggioranza e opposizione hanno
presentato per superare l’impasse che si è venuto a
creare con il ricorso di costituzionalità sulla
normativa in vigore il CNF ha valutato positivamente la
eliminazione dell’obbligatorietà della mediazione; la
abolizione della sanzione dell’annullabilità del
contratto d’opera professionale con l’avvocato in caso
di mancata informativa all’assistito; la definizione di
una competenza territoriale per gli organismi di
conciliazione, la difesa tecnica e anche la eliminazione
delle “esorbitanti sanzioni” previste dal decreto
legislativo n. 28/2010 per incentivare il ricorso a
modalità alternative di risoluzione delle controversie
Intanto il Ministero della
giustizia ha diramato i primi dati relativi
all’applicazione della normativa.
Nel periodo che va dal 21 marzo al
30 aprile scorso sono 1.336, su quasi 6mila fra iniziali
e sopravvenuti, i procedimenti civili definiti con
mediazione in poco più di un mese. Di questi, 304 hanno
avuto buon esito, in 1.032 non si è raggiunto l'accordo
N. 10937/2010
REG.RIC.
N. 11235/2010
REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro
generale 10937 del 2010, proposto da:
Organismo Unitario dell'Avvocatura
Italiana - Oua, Maurizio De Tilla, Consiglio dell'Ordine
degli Avvocati di Napoli, Francesco Caia, Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati di Torre Annunziata, Gennaro
Tornese, Unione Regionale dei Consigli dell'Ordine degli
Avvocati della Campania, Franco Tortorano, Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati di Lagonegro, Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati di Larino, Marco d'Errico,
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Campobasso,
Demetrio Rivellino, Mario Pietrunti, Aiaf - Associazione
Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori,
Filippo Pucino, Paola Pucino, Angelo Pucino, Carmelo
Maurizio Sergi, Federica Eminente, Sabrina Sifo, Pompeo
Salvatore Walter, Eugenio Bisceglia, Vitangelo Mongelli,
Vincenzo Papaleo, Salvatore Di Cristofalo, Giovanni
Zambelli, Giuseppe Di Girolamo, Agostino Maione, Claudio
Acampora, Luigi Ernesto Zanoni, rappresentati e difesi
dagli avv.ti Giorgio Orsoni, Mariagrazia Romeo e Mario
Sanino, con domicilio eletto presso lo studio
dell'ultimo in Roma, v.le Parioli, n. 180;
contro
Ministero della giustizia e
Ministero dello sviluppo economico, rappresentati e
difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la
cui sede domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
- Associazione degli Avvocati
Romani e Associazione Agire e informare, rappresentate e
difese dagli avv.ti Giampiero Amorelli e Dorodea Ciano,
presso lo studio dei quali elettivamente domiciliano in
Roma, via Guglielmo Pepe, n. 37;
- Consiglio dell'Ordine degli
Avvocati di Firenze, rappresentato e difeso dagli avv.ti
Nino Scripelliti e Gaetano Viciconte, con domicilio
eletto presso lo studio dell'avv. Alessandro Turco in
Roma, l.go dei Lombardi, n. 4;
- Consiglio dell'Ordine degli
Avvocati di Salerno, rappresentato e difeso dall'avv.
Gaetano Paolino, con il quale elettivamente domicilia
presso l'avv. Leopoldo Fiorentino, studio Carlini, in
Roma, p.za Cola di Rienzo, n. 92;
ad opponendum:
- Associazione Avvocati per la
mediazione, Lorenza Morello e Alberto Mascia,
rappresentati e difesi dagli avv.ti Daniela Bauduin e
Giorgio Prete, con domicilio eletto presso lo studio
dell'avv. Alberto Mascia in Roma, via Michele di Lando,
n. 41;
- Adr Center s.p.a., rappresentato
e difeso dagli avv.ti Giuseppe De Palo, Rodolfo
Cicchetti e Donatella Mangani, con domicilio eletto
presso lo studio legale associato Oikos in Roma, via
Luigi Rizzo, n. 62;
- Associazione Italiana dei Dottori
Commercialisti ed Esperti Contabili e Unione Nazionale
Giovani Dottori Commercialisti, rappresentati e difesi
dall'avv. Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto
presso lo studio Bdl in Roma, via Bocca di Leone, n. 78;
sul ricorso numero di registro
generale 11235 del 2010, proposto da:
Unione Nazionale delle Camere
Civili (Uncc), rappresentata e difesa dagli avv.ti
Francesco Storace e Antonio De Notaristefani Di
Vastogirardi, con domicilio eletto presso lo studio del
primo in Roma, via Crescenzio, n. 20;
contro
Ministero della giustizia e
Ministero dello sviluppo economico, rappresentati e
difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la
cui sede domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per l'annullamento
sia quanto al ricorso n. 10937 del
2010 che quanto al ricorso n. 11235 del 2010:
del decreto del Ministro della
giustizia adottato di concerto con il Ministro per lo
sviluppo economico n. 180 del 18 ottobre 2010,
pubblicato nella G.U. n. 258 del 4 novembre 2010, avente
ad oggetto "Regolamento recante la determinazione dei
criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del
registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei
formatori per la mediazione, nonchè l'approvazione delle
indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell'art.
16 del decreto legislativo n. 28 del 2010",
nonché per la dichiarazione della
non manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale degli artt. 5 e 16 del d.
lgs. n. 28 del 2010, in riferimento agli artt. 24, 76 e
77 e Cost..
Visto il ricorso n. 10937 del 2010;
Visto il ricorso n. 11235 del 2010;
Visti gli atti di costituzione in
giudizio del Ministero della giustizia e del Ministero
dello sviluppo economico in entrambi i ricorsi;
Visti gli atti di intervento ad
adiuvandum nel ricorso n. 10937 del 2010;
Visti gli atti di intervento ad
opponendum nel ricorso n. 10937 del 2010;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del
9 marzo 2011 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le
parti i difensori come da relativo verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in
diritto quanto segue.
1. Il Collegio dispone
preliminarmente la riunione dei ricorsi in trattazione
(n. 10937 del 2010; n. 11235 del 2010), che risultano
connessi sotto il profilo oggettivo, nonchè parzialmente
connessi sotto il profilo soggettivo, stante l'identità
del provvedimento impugnato e delle resistenti
amministrazioni della Giustizia e dello Sviluppo
economico.
In particolare, con entrambi i
gravami, interposti rispettivamente con atti notificati
nelle date del 22 e del 27 novembre 2010 e depositati
nelle date del 7 e 13 dicembre 2010, si introduce lo
scrutinio di legittimità del decreto 18 ottobre 2010, n.
180 adottato dal Ministro della giustizia, di concerto
con il Ministro dello sviluppo economico, ovvero il
regolamento che, in forza della previsione di cui
all'art. 16 del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, "Attuazione
dell'art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in
materia di mediazione finalizzata alla conciliazione
delle controversie civili e commerciali", reca la
determinazione dei criteri e delle modalità di
iscrizione e tenuta del registro degli organismi di
mediazione e dell'elenco dei formatori per la
mediazione, nonché l'approvazione delle indennità
spettanti ai suddetti organismi.
I ricorrenti di entrambi i giudizi,
nel prosieguo meglio specificati, ne domandano
l'annullamento in parte qua ritenendolo lesivo degli
interessi della categoria forense, nonché illegittimo
perché in contrasto con il precitato d. lgs. n. 28 del
2010, con la relativa legge delega ed affetto da eccesso
di potere sotto vari profili.
Nei limiti di cui all'art. 1 della
legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, ovvero
incidentalmente, lo scrutinio in trattazione concerne in
parte qua anche gli artt. 5 e 16 dello stesso d. lgs. n.
28 del 2010, avverso i quali i ricorrenti di entrambi i
giudizi spiegano eccezione di incostituzionalità, per
contrasto con i precetti di cui agli artt. 24, 76 e 77
della Costituzione.
Nello scenario investito dal
gravame si innesta anche la direttiva 21 maggio 2008, n.
2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
dell'Unione europea, che ha disciplinato alcuni aspetti
della mediazione in materia civile e commerciale.
Ancorché, infatti, la precitata
legge delega n. 69 del 2009 non menzioni specificamente
la direttiva n. 2008/52/CE, l'ambito oggetto di
regolazione comunitaria è pressochè coincidente con
quello disciplinato dalle richiamate norme legislative
nazionali ed attuato con il decreto impugnato, ed il
comma 2 nonché il terzo criterio e principio direttivo
della legge delega in parola (art. 60, l. n. 69 del
2009) prescrivono al legislatore delegato di
disciplinare la mediazione nel rispetto ed in coerenza
con la normativa comunitaria.
Tant'è che la direttiva n.
2008/52/CE è stata richiamata espressamente nel
preambolo del decreto delegato 28/2010.
2. Prima di dare ingresso alla
disamina delle questioni introdotte dai ricorrenti, e,
segnatamente, delle questioni di legittimità
costituzionale - alcune delle quali ad avviso della
Sezione risultano rilevanti ai fini del decidere e non
manifestamente infondate - occorre prioritariamente
affrontare, com'è d'uopo, le questioni di carattere
pregiudiziale.
2.1. In detto ambito, in
riferimento al ricorso n. 10937 del 2010, viene in
immediata evidenza l'eccezione di difetto di
legittimazione attiva sollevata dai resistenti Ministero
della giustizia e Ministero per lo sviluppo economico
nei confronti del ricorrente Organismo Unitario
dell'Avvocatura Italiana - O.U.A., ritenuto privo della
rappresentanza istituzionale degli interessi della
categoria degli avvocati, che il ricorso assume lesi.
Si osserva, al riguardo, che il
gravame in parola risulta proposto, oltre che da O.U.A.,
da ordini esponenziali della categoria forense e da
singoli avvocati ad essi iscritti.
I primi sono pacificamente
legittimati a difendere in sede giurisdizionale gli
interessi della categoria nel suo complesso, di cui
hanno la rappresentanza istituzionale, non solo quando
si tratti di violazione di norme poste a tutela della
professione, ma anche ogniqualvolta si tratti di
perseguire comunque, come nella fattispecie, il
conseguimento di vantaggi giuridicamente riferibili alla
sfera della categoria stessa (tra altre, C. Stato, V, 10
novembre 2010, n. 8006; VI, 14 giugno 2004, n. 3874; V,
7 marzo 2001, n. 1339; Tar Lazio, Roma, I, 16 maggio
2005, n. 3770). I secondi sono legittimati a difendere i
propri interessi legittimi.
Ne deriva che l'eccezione - come,
del resto, sembrano essere ben consapevoli gli stessi
eccepenti - è suscettibile, al più, in caso di
accoglimento, di condurre all'estromissione dal giudizio
n. 10937 del 2010 dell'O.U.A., e giammai di paralizzare
l'esame di merito delle doglianze introdotte con il
ricorso - e, indi, massimamente, di quelle attinenti
alla verifica di costituzionalità - in relazione alle
quali permarrebbe, comunque, l'interesse ad agire degli
altri ricorrenti.
Di talchè l'esame della questione
attinente alla legittimazione ad agire di O.U.A., anche
alla luce delle argomentazioni difensive sul punto
svolte dall'Organismo [che, pur non obliando che la
Corte Costituzionale ha escluso la legittimazione di
O.U.A. a rappresentare e tutelare gli interessi
giuridici appartenenti alla classe forense nelle sue
vesti istituzionalizzate (sentenza 21 novembre 2006, n.
390), ha invocato il ruolo di organo titolare della
rappresentanza politica dell'Avvocatura italiana
conferitogli dall'art. 6 dello Statuto, e si è appellato
all'evoluzione interpretativa-ampliativa della nozione
di legittimazione attiva nel processo amministrativo],
non si configura come pregiudiziale rispetto alla
presente ordinanza, e, può, pertanto, essere senz'altro
rinviato all'atto del pronunciamento definitivo sul
gravame stesso.
2.2. Anche nel ricorso n. 11235 del
2010 i resistenti Ministero della giustizia e Ministero
per lo sviluppo economico hanno spiegato eccezione di
difetto di legittimazione attiva nei confronti
dell'unico ricorrente, Unione Nazionale delle Camere
Civili - UNCC, sostenendo che la rappresentanza
istituzionale dei professionisti del settore che occupa
appartiene esclusivamente al Consiglio dell'Ordine e al
Consiglio Nazionale Forense.
L'eccezione deve essere respinta.
È principio giurisprudenziale
pacifico che un'associazione professionale, se e in
quanto ne sia comprovato un apprezzabile grado di
rappresentatività, può essere legittimata ad impugnare
provvedimenti lesivi, oltre che di interessi propri, di
interessi collettivi della categoria, non anche di
singole posizioni giuridiche degli associati (C. Stato,
V, 22 ottobre 2007, n. 5498; Tar Lazio, Roma, I, 5
dicembre 2008, n. 11015).
Nella fattispecie, alla luce dello
statuto dell'UNCC, la ricorrente risulta essere
associazione non riconosciuta costituita tra
associazioni di avvocati civilisti, avente scopo, tra
altri, di promuovere iniziative dirette a conseguire un
miglior funzionamento della giustizia, con particolare
riguardo a quella civile (art. 2, lett. a) e di
rappresentare a livello nazionale le istanze degli
avvocati civilisti e degli iscritti alle Camere Civili
aderenti all'Unione, nei rapporti con gli organi
istituzionali dell'Avvocatura, i rappresentanti dei
pubblici poteri, l'Ordine Giudiziario, le altre
Associazioni forensi (art. 2, lett. g), senza che lo
statuto stesso preveda una qualche limitazione dei mezzi
mediante i quali realizzare i detti scopi.
Riferisce, inoltre, la ricorrente,
senza essere smentita dalle eccepenti, di contare circa
settemila iscritti sull'intero territorio nazionale, e
di essere stata riconosciuta dal Congresso Nazionale
Forense tra le associazioni maggiormente rappresentative
dell'Avvocatura nel suo complesso.
2.3. Nell'ambito del ricorso n.
10937 del 2010, l'interveniente ad opponendum
Associazione Avvocati per la mediazione afferma che il
ricorso stesso è inammissibile per mancanza di interesse
ad agire, non concretando l'atto impugnato, avente
natura regolamentare, una diretta ed immediata lesione
in capo ai ricorrenti.
L'eccezione va immediatamente
apprezzata.
Infatti, se, per un verso, può
fondatamente dubitarsi che gli interventori in un
giudizio amministrativo possano formulare autonomi mezzi
di gravame, sia che intervengano ad adiuvandum sia che
intervengano ad opponendum, traducendosi, in questo
ultimo caso, gli stessi motivi in una sorta di ricorso
"incidentale" per conto dell'autorità che ha emanato
l'atto impugnato (Tar Campania, Napoli, 10 agosto 1987,
n. 175), per altro verso la questione proposta afferisce
alla verifica della sussistenza delle condizioni della
interposta azione impugnatoria, ed è pertanto rilevabile
d'ufficio.
Nel merito, essa è però da
respingere.
E' vero che, secondo un principio
consolidato in giurisprudenza amministrativa, le norme
regolamentari, categoria cui è pacificamente ascrivibile
l'impugnato decreto n. 180 del 2010, vanno impugnate
unitamente all'atto applicativo, che rende concreta la
lesione degli interessi di cui sono portatori i
destinatari.
Ma la descritta regola è diretta
conseguenza della natura, solitamente generale ed
astratta, delle previsioni di fonte regolamentare,
sicchè trova eccezione per i provvedimenti che, sia pur
di natura regolamentare, presentano un carattere
specifico e concreto, e sono idonei ad incidere
direttamente nella sfera giuridica degli interessati: in
tal caso sorge l'onere di immediata impugnazione, a
decorrere dalla pubblicazione nelle forme previste dalla
legge (C. Stato, V, 19 novembre 2009; IV, 17 aprile
2002, n. 2032).
Siffatta ultima evenienza si
apprezza nella fattispecie, in cui il regolamento
impugnato regola puntualmente e compiutamente
l'iscrizione nel registro degli organismi di mediazione,
con criteri che svelano un immediato e certo effetto
precettivo ovvero conformativo in relazione alla
posizione della platea dei soggetti interessati
all'iscrizione.
Risulta, pertanto, pienamente
ammissibile la domanda diretta ed autonoma di verifica
giudiziale della conformità a legge dell'atto che li
contiene, che risulta preordinata all'utilità
consistente nell'evitarne l'efficacia cogente per ogni
avente causa, in osservanza del termine decadenziale
decorrente dalla sua pubblicazione, senza, cioè, che sia
necessario rimandarne l'impugnazione al momento
successivo dell'adozione dei conseguenti provvedimenti
applicativi o esecutivi, che, del resto, non potrebbero
che esplicare effetti meramente consequenziali rispetto
all'atto stesso, che funge loro da indeclinabile
presupposto.
2.4. Va ancora riferito che nel
ricorso n. 10937 del 2010 hanno spiegato intervento
volontario adesivo alle domande ricorsuali
l'Associazione degli Avvocati Romani, l'Associazione
Agire e informare, il Consiglio dell'Ordine degli
Avvocati di Firenze e il Consiglio dell'Ordine degli
Avvocati di Salerno.
Hanno, invece, spiegato intervento
volontario ad opponendum, oltre alla già citata
Associazione Avvocati per la mediazione, anche
l'Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti ed
Esperti Contabili, l'Unione Nazionale Giovani Dottori
Commercialisti e l'Organismo di mediazione ADR Center
s.p.a..
Con riferimento alla posizione di
tutti i nominati intervenienti, va preliminarmente
ribadito, in forza delle argomentazioni di cui ai punti
che precedono, che il ricorso in parola risulta
ritualmente interposto da soggetti legittimati ad agire
e che il provvedimento di cui si domanda l'annullamento
si configura come direttamente impugnabile dinanzi al
giudice amministrativo.
Va ulteriormente osservato che le
amministrazioni che hanno adottato l'atto impugnato
(Giustizia e Sviluppo economico), parti necessarie della
controversia, sono state regolarmente evocate in
giudizio, nel quale si sono costituite in resistenza.
Tanto premesso, il Collegio
ritiene, anche qui, che può essere rimandato all'atto
della definizione del gravame l'approfondimento delle
articolate questioni (di cui alcune sollevate, con
eccezioni incrociate, dalle parti costituite) che non si
rivelano direttamente ovvero immediatamente incidenti
sullo scrutinio di manifesta fondatezza delle spiegate
eccezioni di costituzionalità.
In detta sede, si avrà, indi, cura
di delineare puntualmente i soggetti nei confronti dei
quali la sentenza di merito deve e può essere resa,
previa disamina della sussistenza delle condizioni
legittimanti gli interventi volontari nel giudizio
amministrativo.
Non appare, comunque, sin d'ora
superfluo rammentare che tali condizioni consistono, per
gli interventori ad adiuvandum, nella carenza di una
posizione sostanziale di interesse legittimo, cui
conseguirebbe, anziché la assunta posizione adesiva, la
proposizione di autonomo ricorso nei prescritti termini
di decadenza (C. Stato, VI, 6 settembre 2010, n. 6483),
e, per gli interventori ad opponendum, nella titolarità
di un interesse contrario a quello azionato dai
deducenti, il quale potrebbe subire pregiudizio
dall'annullamento dell'atto impugnato (Tar Lazio, Roma,
I, 4 giugno 2007, n. 5149).
3. A questo punto deve
necessariamente essere svolta, ancorchè sinteticamente,
l'illustrazione del quadro normativo della controversia,
per quanto qui di interesse.
4. In forza dell'invito formulato
agli Stati membri dal Consiglio europeo nella riunione
di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, delle conclusioni
adottate dal Consiglio nel maggio 2000 sui metodi
alternativi di risoluzione delle controversie in materia
civile e commerciale, nonché del Libro verde presentato
dalla Commissione nell'aprile del 2002, relativo ai modi
alternativi di risoluzione delle controversie nelle
predette materie, la direttiva 21 maggio 2008, n.
2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
dell'Unione europea ha disciplinato alcuni aspetti della
mediazione in materia civile e commerciale.
Come sempre in tema di diritto
comunitario, i "considerando" della direttiva delineano
la generale impostazione conferita all'oggetto della
regolazione, sia quanto alle finalità, sia quanto alle
caratteristiche.
La direttiva chiarisce innanzitutto
che l'obiettivo di garantire un miglior accesso alla
giustizia sia giudiziale che extragiudiziale, e,
segnatamente, la disponibilità del servizio di
mediazione, nel contesto della politica dell'Unione
europea volta a istituire uno spazio di libertà,
sicurezza e giustizia, è un importante contributo al
corretto funzionamento del mercato interno (quinto
considerando).
Alla luce del sesto considerando
della direttiva, la mediazione è, infatti, ritenuta una
risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle
controversie in materia civile e commerciale, poiché le
relative procedure sono concepite in base alle esigenze
delle parti, e gli accordi risultanti dalla mediazione
hanno maggiori probabilità di essere rispettati
volontariamente, oltre a preservare più facilmente una
relazione amichevole e sostenibile tra le parti,
benefici che diventano anche più evidenti nelle
questioni di portata transfrontaliera.
La direttiva intende indi
delinearne gli elementi chiave, per rendere certo il
relativo contesto giuridico (settimo considerando).
Sotto il profilo sostanziale, in
positivo, si afferma che la direttiva dovrebbe
applicarsi alle controversie transfrontaliere, ma che
nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di estenderla
ai "procedimenti di mediazione interni" (ottavo
considerando).
In negativo, si afferma che la
mediazione non dovrebbe applicarsi: "ai diritti e agli
obblighi su cui le parti non hanno la facoltà di
decidere da sole in base alla pertinente legge
applicabile. Tali diritti ed obblighi sono
particolarmente frequenti in materia di diritti di
famiglia e del lavoro" (decimo considerando); "alle
trattative precontrattuali o ai procedimenti di natura
arbitrale quali talune forme di conciliazione dinanzi ad
un organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori,
l'arbitrato e la valutazione di periti o i procedimenti
gestiti da persone od organismi che emettono una
raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante
o meno, per la risoluzione della controversia"
(undicesimo considerando).
Quanto agli elementi chiave della
mediazione, vengono in evidenza, sempre tra i
considerando, la differenza tra mediatore e giudice
(dodicesimo considerando), la possibilità di rendere il
ricorso alla mediazione obbligatorio ovvero soggetto a
incentivi o sanzioni, purchè non venga impedita alle
parti "di esercitare il loro diritto di accesso al
sistema giudiziario" (quattordicesimo considerando)
ovvero non si impedisca alle parti, nell'incoraggiare la
mediazione, in relazione ai termini di prescrizione e di
decadenza, "di adire un organo giurisdizionale o di
ricorrere all'arbitrato in caso di infruttuoso tentativo
di mediazione" (ventiquattresimo considerando), la
fissazione di un termine al processo di mediazione
(tredicesimo considerando), la riservatezza del relativo
procedimento, anche in relazione all'eventuale
successivo procedimento giudiziario od arbitrale
(ventitreesimo considerando), l'esecutività dell'accordo
scritto raggiunto, fatta salva l'ipotesi di contrasto
tra lo stesso e il diritto nazionale ovvero quella che
l'obbligo contemplato nell'accordo non possa essere per
sua natura reso esecutivo (diciannovesimo considerando);
ai fini erariali, la tendenziale neutralità finanziaria
in relazione agli stati membri della mediazione, che può
includere "il ricorso a soluzioni basate sul
mercato"(diciassettesimo considerando).
Viene inoltre in rilievo
l'assistenza del mediatore (decimo considerando), la sua
formazione e l'introduzione di efficaci meccanismi di
controllo della qualità della fornitura del servizio
(sedicesimo considerando), la flessibilità del
procedimento di mediazione e l'autonomia delle parti,
nonché l'efficacia l'imparzialità e la competenza della
mediazione (diciassettesimo considerando).
4.1. La direttiva 2008/52/CE regola
indi la materia con 14 articoli.
In particolare:
- l'art. 1 enuncia l'obiettivo
della regolazione (".facilitare l'accesso alla
risoluzione alternativa delle controversie e di
promuovere la composizione amichevole delle medesime
incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo
un'equilibrata relazione tra mediazione e procedimento
giudiziario") e ne delinea il campo di applicazione
[".controversie transfrontaliere, in materia civile e
commerciale tranne per i diritti e gli obblighi non
riconosciuti alle parti dalla pertinente legge
applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla
materia fiscale, doganale e amministrativa né alla
responsabilità dello Stato per atti o omissioni
nell'esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)].
- l'art. 3, dedicato alle
definizioni, dispone che per mediazione, al di là della
denominazione, si intende un procedimento strutturato
ove ".due o più parti di una controversia tentano esse
stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo
sulla risoluzione della medesima con l'assistenza di un
mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle
parti, suggerito od ordinato da un organo
giurisdizionale o prescritto di diritto da uno Stato
membro";
- lo stesso art. 3 esplicita che
per mediatore si intende ".qualunque terzo cui è chiesto
di condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e
competente, indipendentemente dalla denominazione o
dalla professione di questo terzo nello Stato membro
interessato." (lett. b), che comunque incoraggia ".la
formazione iniziale e successiva dei mediatori allo
scopo di garantire che la mediazione sia gestita in
maniera efficace, imparziale e competente in relazione
alle parti" (par. 2).
- l'art. 5, dedicato al ricorso
alla mediazione, esplicitando l'intendimento già
anticipato dal preambolo, prevede che "L'organo
giurisdizionale investito di una causa può, se lo
ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le
circostanze del caso, invitare le parti a ricorrere alla
mediazione allo scopo di dirimere la controversia." e
che "La presente direttiva lascia impregiudicata la
legislazione nazionale che rende il ricorso alla
mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o
sanzioni, sia prima che dopo l'inizio del procedimento
giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle
parti di esercitare il diritto di accesso al sistema
giudiziario".
- l'art. 6 delinea la esecutività
degli accordi risultanti dalla mediazione, che è,
peraltro, esclusa laddove ".il contenuto dell'accordo è
contrario alla legge dello Stato membro in cui viene
presentata la richiesta o se la legge di detto Stato
membro non ne prevede l'esecutività";
- l'art. 8 dispone che "Gli Stati
membri provvedono affinché alle parti che scelgono la
mediazione nel tentativo di dirimere una controversia
non sia successivamente impedito di avviare un
procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a
tale controversia per il fatto che durante il
procedimento di mediazione siano scaduti i termini di
prescrizione o decadenza".
5. Con la legge 18 giugno 2009, n.
69, titolata "Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in materia di
processo civile", e, segnatamente, con l'art. 60, il
legislatore nazionale ha delegato il Governo ad adottare
uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e
di conciliazione in ambito civile e commerciale (comma
1), nel rispetto e in coerenza con la normativa
comunitaria e in conformità ai principi e criteri
direttivi enunciati al comma 3 (comma 2).
Tra questi ultimi, sono attinenti
alla materia dell'odierno contendere i principi e
criteri direttivi dettati dalle lettere:
"a) prevedere che la mediazione,
finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto
controversie su diritti disponibili, senza precludere
l'accesso alla giustizia;
b) prevedere che la mediazione sia
svolta da organismi professionali e indipendenti,
stabilmente destinati all'erogazione del servizio di
conciliazione;
c) disciplinare la mediazione, nel
rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso
l'estensione delle disposizioni di cui al decreto
legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso
attraverso l'istituzione, presso il Ministero della
giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica, di un Registro degli organismi di
conciliazione.;
d) prevedere che i requisiti per
l'iscrizione nel Registro e per la sua conservazione
siano stabiliti con decreto del Ministro della
giustizia;
e) prevedere la possibilità, per i
consigli degli ordini degli avvocati, di istituire,
presso i tribunali, organismi di conciliazione che, per
il loro funzionamento, si avvalgono del personale degli
stessi consigli;
f) prevedere che gli organismi di
conciliazione istituiti presso i tribunali siano
iscritti di diritto nel Registro;
g) prevedere, per le controversie
in particolari materie, la facoltà di istituire
organismi di conciliazione presso i consigli degli
ordini professionali;
h) prevedere che gli organismi di
conciliazione di cui alla lettera g) siano iscritti di
diritto nel Registro;
n) prevedere il dovere
dell'avvocato di informare il cliente, prima
dell'instaurazione del giudizio, della possibilità di
avvalersi dell'istituto della conciliazione nonché di
ricorrere agli organismi di conciliazione;
p) prevedere, nei casi in cui il
provvedimento che chiude il processo corrisponda
interamente al contenuto dell'accordo proposto in sede
di procedimento di conciliazione, che il giudice possa
escludere la ripetizione delle spese sostenute dal
vincitore che ha rifiutato l'accordo successivamente
alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e
nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute
dal soccombente. e, inoltre, che possa condannare il
vincitore al pagamento di un'ulteriore somma a titolo di
contributo unificato...;
q) prevedere che il procedimento di
conciliazione non possa avere una durata eccedente i
quattro mesi;
r) prevedere, nel rispetto del
codice deontologico, un regime di incompatibilità tale
da garantire la neutralità, l'indipendenza e
l'imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle
sue funzioni;
s) prevedere che il verbale di
conciliazione abbia efficacia esecutiva per
l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma
specifica e costituisca titolo per l'iscrizione di
ipoteca giudiziale".
6. La delega in parola è stata
esercitata con il d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
L'art. 2 del d. lgs. 28/2010 recita
che "1. Chiunque può accedere alla mediazione per la
conciliazione di una controversia civile e commerciale
vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni
del presente decreto".
L'art. 4 chiarisce che "1. La
domanda di mediazione.è presentata mediante deposito di
un'istanza presso un organismo.2. L'istanza deve
indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni
della pretesa. 3. All'atto del conferimento
dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare
l'assistito della possibilità di avvalersi del
procedimento di mediazione disciplinato dal presente
decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli
articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresì l'assistito
dei casi in cui l'esperimento del procedimento di
mediazione è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale...".
E' bene a questo punto illustrare
l'art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, che, in continuità
logica con l'ultima disposizione appena richiamata,
sancisce al comma 1 che "Chi intende esercitare in
giudizio un'azione relativa ad una controversia in
materia di condominio, diritti reali, divisione,
successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione,
comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno
derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da
responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo
della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti
assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto
preliminarmente a esperire il procedimento di
mediazioneai sensi del presente decreto ovvero il
procedimento di conciliazione previsto dal decreto
legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il
procedimento istituito in attuazione dell'articolo
128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria
e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre
1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie
ivi regolate. L 'esperimento del procedimento di
mediazione è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal
convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal
giudice, non oltre la prima udienza.".
Esclusa, ai sensi dell'ultimo
periodo del ridetto comma 1 dell'art. 5 la sua
applicazione alle azioni previste dagli artt. 37, 140 e
140-bis del codice del consumo (d. lgs. 6 settembre
2005, n. 206), il successivo comma 4 dispone ancora che
lo stesso comma 1 (nonché il comma 2) non si applica:
"a) nei procedimenti per
ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia
sulle istanze di concessione e sospensione della
provvisoria esecuzione;
b) nei procedimenti per convalida
di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui
all'articolo 667 del codice di procedura civile;
c) nei procedimenti possessori,
fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui
all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura
civile;
d) nei procedimenti di opposizione
o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione
forzata;
e) nei procedimenti in camera di
consiglio;
f) nell'azione civile esercitata
nel processo penale".
Regolati, poi, agli artt. 6, 8, 11,
12 e 13, il procedimento di mediazione, anche sotto il
profilo temporale (art. 6: durata massima di quattro
mesi), gli effetti dalla legge ricondotti ai suoi
possibili esiti [a) mancata partecipazione senza
giustificato motivo, art. 8, comma 5; b) raggiungimento
dell'accordo amichevole, formazione del relativo
processo verbale anche sulla base di una proposta di
mediazione, ed efficacia esecutiva ed esecuzione
dell'accordo, non contrario all'ordine pubblico e a
norme imperative, previa omologazione, art. 11, commi 1,
2, 3 e art. 12; c) mancato raggiungimento dell'accordo,
art. 11, comma 4], nonché le spese dell'eventuale
giudizio che fa seguito al procedimento di mediazione
nel quale non si è raggiunto un accordo (art. 13), il
capo III del d. lgs. 28/2010 è dedicato agli organismi
di mediazione.
Al riguardo, viene in rilievo la
previsione dell'art. 16, comma 1, della costituzione da
parte di enti pubblici o privati, che diano garanzie di
serietà ed efficienza, di organismi deputati, su istanza
della parte interessata, a gestire il procedimento di
mediazione nelle materie di cui all'art. 2.
Tali organismi devono essere
iscritti nel registro, con separate sezioni,
disciplinato da appositi decreti del Ministro della
giustizia, di concerto, relativamente alla materia del
consumo, con il Ministro dello sviluppo economico, che
regola anche le indennità loro spettanti (art. 16, commi
1 e 2).
Dette amministrazioni
costituiscono, per la parte di competenza, le autorità
vigilanti sul registro (art. 16, comma 4).
Ai fini dell'iscrizione, secondo il
comma 3 dello stesso art. 16, gli organismi, unitamente
alla relativa domanda, sono tenuti a depositare il
proprio regolamento di procedura, la cui idoneità forma
oggetto di specifica valutazione da parte del Ministero
della giustizia, e il codice etico. Al regolamento
devono inoltre essere allegate le tabelle delle
indennità spettanti agli organismi costituiti da enti
privati, che sono a loro volta proposte per
l'approvazione, a norma del successivo art. 17.
Invero, l'art. 17, disposto ai
commi 2 e 3 che tutti gli atti, documenti e
provvedimenti relativi al procedimento di mediazione
sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa
o diritto di qualsiasi specie e natura, e che il verbale
di accordo è esente dall'imposta di registro entro il
limite di valore di 50.000 euro (altrimenti l'imposta è
dovuta per la parte eccedente), prevede al comma 4 che
con il decreto di cui all'art. 16, comma 2, sono
determinati:
"a) l'ammontare minimo e massimo
delle indennità spettanti agli organismi pubblici, il
criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le
parti;
b) i criteri per l'approvazione
delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi
costituiti da enti privati;
c) le maggiorazioni massime delle
indennità dovute, non superiori al venticinque per
cento, nell'ipotesi di successo della mediazione;
d) le riduzioni minime delle
indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è
condizione di procedibilità ai sensi dell'articolo 5,
comma 1".
La disposizione di cui alla appena
citata lett. d) si correla al comma 5, che dispone che,
quando la mediazione è condizione di procedibilità della
domanda ai sensi dell'art. 5, comma 1, all'organismo non
è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle
condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello
Stato.
7. Con decreto 18 ottobre 2010, n.
180 il Ministro della giustizia, di concerto con il
Ministro dello sviluppo economico, ha adottato il
regolamento recante la determinazione dei criteri e
delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli
organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per
la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità
spettanti agli organismi.
8. Come già sopra anticipato, il
decreto n. 180 del 2010 è l'atto di cui in questa sede i
ricorrenti domandano l'annullamento in parte qua, per le
ragioni che si passa sinteticamente ad illustrare.
8.1. Nell'ambito del ricorso, n.
10937 del 2010 (O.U.A. ed altri), il primo ed il secondo
motivo di gravame (entrambi titolati: violazione di
legge; violazione art. 16, d. lgs. 28/10; erronea
interpretazione; eccesso di potere; difetto di
presupposto; illogicità; arbitrarietà) racchiudono i
tratti salienti dell'interesse azionato in giudizio e
investono anche questioni di rilevanza costituzionale.
Di essi si tratterà più
diffusamente nell'immediato prosieguo.
Il terzo motivo di ricorso
(violazione di legge; violazione art. 16, d. lgs. 28/10;
violazione art. 60, l. 69/09; erronea interpretazione;
difetto di presupposto; eccesso di potere; arbitrarietà;
illogicità; sviamento) è diretto avverso l'art. 4, comma
4 del regolamento, che, nel subordinare l'iscrizione
degli organismi costituiti dai consigli dell'ordine
degli avvocati nel registro degli organismi di
mediazione alla presentazione di una polizza
assicurativa di importo non inferiore a ? 500.000,00,
introduce, secondo i ricorrenti, una limitazione
all'accesso all'attività di mediazione di tipo economico
e finanziario che è illegittima, in quanto non prevista
né dalla legge delega 69/09 né dal decreto delegato
28/10.
Con lo stesso terzo motivo i
ricorrenti avversano anche la disposizione transitoria
di cui all'art. 20 del regolamento, che consente
l'iscrizione di diritto nel registro degli organismi di
mediazione degli organismi già iscritti nel registro di
cui al decreto del Ministro della giustizia 23 luglio
2004, n. 222, rappresentando che tale previsione risulta
del tutto arbitraria, tenendo conto sia dell'art. 16,
comma 2, del d. lgs. n. 28 del 2010, che aveva previsto
l'operatività di detti organismi solo fino al momento
dell'entrata in vigore del regolamento, sia dell'art.
60, comma 3, lett. e) ed f) della l. n. 69 del 2009, che
collega piuttosto l'immediata operatività dei
procedimenti di mediazione all'iscrizione di diritto nel
relativo registro dei soli organismi eventualmente
costituiti dai consigli dell'ordine presso i tribunali.
Con il quarto motivo di ricorso
(violazione di legge; violazione art. 17, d. lgs. 28/10;
erronea interpretazione; difetto di presupposto; eccesso
di potere; sviamento) i ricorrenti lamentano che l'art.
16 del regolamento, disattendendo l'art. 17 del d. lgs.
28/2010: a) non prevede la determinazione dell'importo
minimo delle indennità spettanti agli organismi di
mediazione in relazione al primo scaglione e non
individua il criterio di calcolo e le modalità di
ripartizione tra le parti; b) non appronta i criteri per
l'approvazione delle tabelle delle indennità proposte
dagli organismi costituiti dagli enti privati; c) non
indica le maggiorazioni massime delle indennità dovute;
d) non prevede la riduzione minima dell'indennità
nell'ipotesi in cui la mediazione è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale.
8.2. Come si desume da quanto
appena riferito, mentre la disamina della fondatezza
delle doglianze di cui al terzo e quarto motivo di
ricorso non investe l'apprezzamento di questioni di
legittimità costituzionale, e può essere rimandata
all'atto della definizione del gravame, analoga
condizione non si ravvisa per le due prime doglianze,
che vanno, pertanto, illustrate in dettaglio.
8.3. Mediante le censure dedotte al
primo ed al secondo motivo del gravame n. 10937 del 2010
i ricorrenti lamentano che il decreto 180/2010 non reca
alcun criterio volto a individuare e a selezionare gli
organismi di mediazione in ragione dell'attività
squisitamente giuridica che essi andranno ad effettuare,
e che è richiesto sia dalla normativa comunitaria
[laddove dispone che la mediazione "sia gestita in
maniera efficace, imparziale e competente in relazione
alle parti" (art. 4 direttiva 2008/52/CE)], sia dalla
legge delega [art. 60, lett. b), l. n. 69 del 2009:
"prevedere che la mediazione sia svolta da organismi
professionali ed indipendenti, stabilmente destinati
all'erogazione del servizio di conciliazione"].
A sostegno della censura, viene
ulteriormente osservato che l'art. 4 del regolamento n.
180 del 2010, nel disciplinare l'iscrizione, a domanda,
degli organismi di mediazione, che possono essere
costituiti sia da enti pubblici che da enti privati, si
limita a prevedere, al comma 2, una serie di parametri
di tipo amministrativo-economico-finanziario (tra cui la
capacità finanziaria e organizzativa, il possesso di
polizza assicurativa, la trasparenza amministrativa e
contabile), poi a prescrivere, al comma 3, una
verificazione di tipo "aggiuntivo" sui requisiti di
qualificazione dei mediatori, che viene demandata al
responsabile del procedimento ("Il responsabile verifica
altresì i requisiti di qualificazione dei mediatori"),
senza essere in alcun modo correlata con le competenze
giuridiche oggettivamente richieste dall'attività di
mediazione.
A tale ultimo riguardo, i
ricorrenti O.U.A. ed altri escludono che il criterio
selettivo di cui lamentano la carenza possa essere
costituito dalla previsione di cui all'art. 4, comma 3,
del regolamento impugnato, che prevede, alla lett. a),
che il mediatore deve essere in possesso di "un titolo
di studio non inferiore al diploma di laurea
universitaria triennale" ovvero, in alternativa, essere
iscritto "ad un ordine o collegio professionale" e, alla
lett. b), che il mediatore abbia "una specifica
formazione e.uno specifico aggiornamento almeno
biennale, acquisiti presso gli enti di formazione"
regolati al successivo art. 18.
Ciò in quanto, secondo i
ricorrenti, tutti tali elementi, essendo sprovvisti
dell'indicazione di una specifica professionalità,
delineano un'area generica, attinente al solo ambito
della formazione culturale, e che risulta, pertanto,
priva di quegli agganci ad una precipua qualificazione e
perizia nell'ambito giuridico e processuale - senza la
quale l'attività formativa specifica prevista, peraltro
esigua, non può raggiungere utili scopi - che essi
ritengono invece necessaria in ragione della tipologia
della prestazione che deve essere resa. E ciò
soprattutto considerando che, alla luce dell'art. 5 del
d. lgs. n. 28 del 2010, per le materie ivi previste,
l'esperimento del procedimento di mediazione è
condizione di procedibilità della domanda giudiziale,
ovvero si pone come alternativa al sistema giudiziale o
quale funzione stragiudiziale di soddisfazione di
pretese giuridiche.
L'assunto secondo il quale il
procedimento di mediazione non può che essere gestito
con l'ausilio dei soggetti svolgenti la professione
legale viene dai ricorrenti affidata anche alla
considerazione che:
- il procedimento di mediazione non
positivamente concluso incide sulle spese del successivo
giudizio [art. 13, d. lgs. 28/10; art. 60, lett. p), l.
69/09];
- il verbale dell'accordo
conclusivo del procedimento di mediazione, non contrario
all'ordine pubblico o a norme imperative, nonché
sottoposto ad omologazione, ha efficacia di titolo
esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione
in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca
giudiziale (art. 12, d. lgs. 28/10);
- l'avvocato ha l'obbligo di
informare il proprio assistito, all'atto del
conferimento dell'incarico, della possibilità di
avvalersi della mediazione [art. 4, comma 3, d. lgs.
28/10; art. 60, lett. n), l. 69/09], nonostante lo
svolgimento della relativa attività sia, poi, demandato
ad altre categorie professionali.
Proseguendo nel descritto ambito
argomentativo, i ricorrenti pervengono, infine, alla
conclusione che l'intero corpo sistematico delle fonti
di disciplina del procedimento di mediazione faccia
emergere evidenti profili di contraddittorietà, ed, in
particolare, che la mancata previsione di idonei criteri
di valutazione della competenza degli organismi di
mediazione ponga il regolamento impugnato in palese
contrasto non tanto con l'art. 16 del d. lgs. 28/2010,
ma piuttosto con i principi generali e l'insieme delle
disposizioni dell'intero impianto legislativo
considerato.
8.4. Sempre nell'ambito del ricorso
n. 10937 del 2010, i ricorrenti espongono che gli artt.
5 e 16 del d. lgs. 28/2010 non sfuggirebbero a censure
di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt.
77 e 24 della Costituzione.
In particolare:
a) l'art. 5 del d. lgs. n. 28 del
2010, nel prevedere che l'esperimento del procedimento
di mediazione è condizione di procedibilità, rilevabile
anche d'ufficio, della domanda giudiziale in riferimento
alle controversie nelle previste materie (condominio,
diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti
di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende,
risarcimento del danno derivante dalla circolazione di
veicoli e natanti, responsabilità medica e diffamazione
con il mezzo della stampa o con altro mezzo di
pubblicità, contratti assicurativi, bancari e
finanziari), precluderebbe l'accesso diretto alla
giustizia, disattendendo espressamente le previsioni
della legge delega, art. 60 della l. n. 69 del 2009, e,
segnatamente, il principio e criterio direttivo di cui
alla lett. a), che lo tutela specificamente;
b) l'art. 16 del d. lgs. n. 28 del
2010, ponendo quali criteri di selezione degli organismi
abilitati alla mediazione esclusivamente la "serietà ed
efficienza", liberalizzerebbe il settore, contravvenendo
sia all'art. 4 della direttiva 2008/52/CE, sia alla
citata legge di delega, lett. b), che fanno riferimento,
rispettivamente, ai criteri della competenza e della
professionalità.
8.5. Passando all'illustrazione del
ricorso n. 11235 del 2010, si rileva che esso consta di
tre censure.
Con la prima (illegittimità
derivata dalla illegittimità costituzionale degli artt.
5 e 17 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24,
76 e 77 della Costituzione) la ricorrente UNCC sostiene
che il legislatore delegato è incorso in eccesso di
delega laddove ha introdotto l'obbligatorietà della
mediazione e l'improcedibilità del giudizio interposto
senza il previo esperimento della mediazione, entrambi
non previsti dalla legge delega.
Con la seconda (illegittimità
derivata dalla illegittimità costituzionale dell'art. 8
del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24, 76 e 77
della Costituzione) la ricorrente sostiene che, poiché
nella logica del decreto delegato, le scelte che la
parte è chiamata ad effettuare nel procedimento di
mediazione sono suscettibili di condizionare l'esito del
successivo processo, per un verso la mancata previsione
nel procedimento stesso della obbligatorietà
dell'assistenza del difensore viola l'art. 24 della
Costituzione (nonché favorisce le classi più abbienti,
facoltizzate ad avvalersene), per altro verso
l'introduzione della possibilità di acquisire elementi
di prova in assenza di difesa tecnica, non prevista
dalla legge delega, concreta eccesso di delega ex art.
76 Cost..
Con il terzo motivo di gravame
[violazione dell'art. 60, comma III, lett. b) della l.
n. 69 del 2009 e dell'art. 16 del d. lgs. 20/2010 -
eccesso di potere per irragionevolezza - illegittimità
derivata dalla illegittimità costituzionale dell'art. 16
del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 76 e 77
della Costituzione] la ricorrente lamenta che, laddove
la legge delega pone il requisito dell'indipendenza sia
in capo agli organismi di mediazione sia in capo ai
singoli mediatori, l'art. 4 del decreto impugnato
assicura tale indipendenza in misura molto minore,
riferendola esclusivamente "allo svolgimento del
servizio di mediazione".
9. A questo punto va subito
chiarito che le eccezioni di costituzionalità relative
alla mancata previsione nel procedimento di mediazione
della obbligatorietà dell'assistenza del difensore
nonché alla mancata esplicitazione in capo agli
organismi di mediazione del requisito della
indipendenza, sollevate esclusivamente nel ricorso n.
11235 del 2010, si profilano non rilevanti ai fini del
presente giudizio.
La prima in quanto priva di
qualsiasi collegamento diretto od indiretto con la
domanda demolitoria del regolamento impugnato avanzata
innanzi a questa sede; la seconda in quanto afferisce
esclusivamente allo scrutinio di legittimità dell'art. 4
del regolamento stesso.
10. Ritiene, invece, il Collegio
che le altre questioni di costituzionalità sollevate dai
ricorrenti sono rilevanti ai fini della decisione del
gravame e non si profilano manifestamente infondate.
Esse investono, precisamente:
- l'art. 5 del d. lgs. n. 28 del
2010, comma 1, primo periodo (che introduce a carico di
chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa
alle controversie nelle materie espressamente elencate
l'obbligo del previo esperimento del procedimento di
mediazione), secondo periodo (che prevede che
l'esperimento di mediazione è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo
(che dispone che l'improcedibilità deve essere eccepita
dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio
dal giudice, non oltre la prima udienza);
- l'art. 16 del d. lgs. n. 28 del
2010, comma 1, laddove dispone che sono abilitati a
costituire organismi deputati, su istanza della parte
interessata, a gestire il procedimento di mediazione gli
enti pubblici e privati, che diano garanzie di serietà
ed efficienza.
11. Va, quindi, ora immediatamente
affrontato il profilo della rilevanza ai fini della
decisione della presente controversia delle questioni di
cui al precedente punto 10.
Punto centrale della stessa, nonché
qualificante espressione dell'interesse sostanziale
dedotto in giudizio, alla luce della prima e dalla
seconda doglianza di cui al ricorso n. 10937 del 2010, è
la dedotta omissione, da parte dell'art. 4
dell'impugnato regolamento 180/2010, di criteri volti a
delineare i requisiti attinenti alla specifica
professionalità giuridico-processuale del mediatore.
L'illegittimità di siffatta
omissione, precisano i ricorrenti, non si apprezza che
in relazione alle previsioni contenute nell'art. 4 della
direttiva 2008/52/CE e nell'art. 60 della l. n. 69 del
2009, che appunto prevedono, rispettivamente, che la
mediazione debba essere svolta con competenza e
professionalità.
Ciò in quanto l'art. 16 del d. lgs.
n. 28 del 2010, di cui il regolamento costituisce
attuazione, e in relazione al quale i ricorrenti
introducono il sospetto di incostituzionalità, ha
obliato la valenza di detti requisiti (si ripete,
competenza e professionalità), sostituendoli con altri
(serietà ed efficienza), che il regolamento impugnato ha
fatto propri, ma che non soddisfano, però, secondo i
ricorrenti, le esigenze considerate dal legislatore
comunitario e da quello nazionale delegante.
Tali ultime esigenze i ricorrenti
ritengono, invece, insopprimibili, soprattutto
osservando che, per un vasto ventaglio di materie,
l'art. 5 dello stesso d. lgs. 28/2010, pure dai
ricorrenti sospettato di incostituzionalità, rende
l'esperimento della mediazione condizione di
procedibilità della domanda giudiziale.
E allora, per effettuare in questa
sede autonomamente e compiutamente la disamina della
eventuale fondatezza di un siffatto impianto
argomentativo - prescindendo, cioè, dalle questioni di
costituzionalità - il Collegio dovrebbe sottoporre
l'art. 60 della l. n. 69 del 2009 e l'art. 16 del d.
lgs. n. 28 del 2010 ad una interpretazione
costituzionalmente orientata, che tenga conto della
necessità di una stretta continuità e coerenza delle
disposizioni, tra di esse ed in relazione all'art. 4
della direttiva 2008/52/CE.
Ciò al fine di risolvere
ermeneuticamente il problema consistente nella non
sovrapponibilità dei concetti di "competenza",
"professionalità", nonché "serietà ed efficienza",
alternativamente utilizzati dalle fonti regolatrici
della materia (rispettivamente, direttiva, legge delega
e decreto delegato), individuando, anche alla luce degli
scopi e dei principi fondanti che esse assumono, il
parametro normativo specifico in relazione al quale
apprezzare se la disposizione regolamentare impugnata
(art. 4) presenti le caratteristiche della completezza e
della congruenza.
In tal modo, non solo non si
porrebbe la necessità di scrutinare in via incidentale
l'art. 16 del d. lgs. 28/2010, ma anche l'art. 5 dello
stesso d. lgs. 28/2010 rimarrebbe sullo sfondo della
controversia, senza essere direttamente investito dalla
sua definizione.
Ma il Collegio ritiene che una
siffatta impostazione non sia oggettivamente
perseguibile.
Ciò in quanto essa non esaurirebbe
che in una misura molto limitata l'ambito delle
questioni sottoposte a giudizio, lasciando, in
particolare, aperto l'interrogativo di quale sia il
ruolo che l'ordinamento giuridico nazionale intende
effettivamente affidare alla mediazione.
Laddove, invece, è proprio la
puntuale individuazione di tale ruolo ad essere
imprescindibilmente pregiudiziale all'apprezzamento dei
requisiti che, in via attuativa-amministrativa, è
legittimo richiedere al mediatore ovvero da cui è
legittimamente consentito prescindere.
E'infatti intuitivo, anche sotto il
profilo del grado di affidamento da ingenerarsi verso
l'esterno in relazione alla figura del mediatore, e che
si riflette nella professionalità che in capo al
medesimo l'amministrazione è tenuta a verificare, che:
- una cosa è la costruzione della
mediazione come strumento cui lo Stato in un vasto
ambito di materie obbligatoriamente e preventivamente
rimandi per l'esercizio del diritto di difesa in
giudizio;
- altra cosa è la costruzione della
mediazione come strumento generale normativamente
predisposto, di cui lo Stato incoraggi o favorisca
l'utilizzo, lasciando purtuttavia impregiudicata la
libertà nell'apprezzamento dell'interesse del privato ad
adirla ed a sopportarne i relativi effetti e costi.
In altre parole, non pare potersi
porre fondatamente in dubbio che la disamina rimessa a
questa sede in ordine alla valutazione della fondatezza
delle descritte doglianze, in relazione alle norme del
regolamento n. 180 del 2010 interessate dalla domanda
demolitoria nei sensi sopra precisati, non possa
prescindere dall'accertamento della correttezza, in
raffronto ai criteri della legge delega ed ai precetti
costituzionali, e tenuto conto delle disposizioni
comunitarie, delle scelte operate dal legislatore
delegato laddove:
- all'art. 16, ha conformato gli
organismi di conciliazione a parametri, o meglio a
qualità, che attengono esclusivamente ed essenzialmente
all'aspetto della funzionalità generica, e che, per
contro, sono scevri da qualsiasi riferimento a canoni
tipologici tecnici o professionali di carattere
qualificatorio ovvero strutturale;
- al contempo, all'art. 5, ha
configurato, per le materie ivi previste, l'attività da
questi posta in essere come insopprimibile fase
pre-processuale, cui altre norme del decreto assicurano
effetti rinforzati, ed, in quanto tale, suscettibile, in
ogni suo possibile sviluppo, o di conformare
definitivamente i diritti soggettivi da essa coinvolti,
o di incidervi, comunque, anche laddove ne residui la
giustiziabilità nelle sedi istituzionali e si intenda
adire la tutela giudiziale.
E ciò anche tenendo particolarmente
conto, sotto un profilo più generale, del fatto che nel
decreto legislativo n. 28 del 2010 si rinvengono, come
al Collegio sembra palese, elementi che fanno emergere
due scelte di fondo che, in relazione ai diritti
disponibili e nelle materie considerate, in misura
inversamente proporzionale, ma biunivocamente, mirano,
con forza cogente, l'una, alla de-istituzionalizzazione
e de-tecnicizzazione della giustizia civile e
commerciale nelle materie stesse, e, l'altra, alla
enfatizzazione di un procedimento para-volontario di
componimento delle controversie nelle materie stesse,
che, però, per come strutturate, non risultano omogenee
con una ulteriore scelta pure ivi operata.
Che consiste nel disporre che
l'atto che conclude la mediazione, sottoposto ad
omologazione, possa acquistare efficacia di titolo
esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione
in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca
giudiziale (art. 12, d. lgs. 28/10) - rientrando, così,
a pieno titolo tra gli atti aventi gli stessi effetti
giuridici tipici delle statuizioni giurisdizionali -
laddove, nel corso della mediazione, ed ai sensi decreto
legislativo stesso, il profilo della competenza tecnica
del mediatore sbiadisce, e, vieppiù, anche il diritto
positivo viene in evidenza solo sullo sfondo, come
cornice esterna ovvero come generale limite alla
convenibilità delle posizioni giuridiche in essa
coinvolte (divieto di omologare accordi contrari
all'ordine pubblico o a norme imperative, art. 12 del d.
lgs. n. 28 del 2010).
E allora, per assicurare la
certezza della fattibilità del descritto meccanismo, al
fine di escludere che lo stesso ridondi in danno del
diritto di difesa in giudizio garantito dall'art. 24
Cost., risulta insopprimibile la necessità che
l'interpretazione dell'art. 16 del d. lgs. 28/2010
[propedeutica alla disamina della impugnata disposizione
regolamentare dell'art. 4)] sia correlata con quanto
previsto dall'art. 5 dello stesso decreto (entrambi
nelle parti precisate al punto 9), il cui combinato
disposto costituisce il vero perno della regolazione
delegata.
Tale ultima norma, però, per le
ragioni che si passa ad illustrare, non risulta al
Collegio trovare una rispondenza nella legge delega, con
conseguente violazione dell'art. 77 Cost..
12. Nell'illustrare il complessivo
quadro normativo della fattispecie, si è dato conto che
la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE è chiara
nell'affermare, all'ottavo considerando ed all'art. 1,
che il campo privilegiato di applicazione delle
disposizioni comunitarie sulla mediazione in materia
civile e commerciale è rappresentato dalle controversie
transfrontaliere, ma che nulla dovrebbe vietare agli
Stati membri di estenderla ai "procedimenti di
mediazione interni".
L'intento della direttiva sul punto
è chiaro.
La immediata disponibilità
nell'ambito dell'Unione europea del servizio di
mediazione in relazione alle controversie
transfrontaliere nelle materie civili e commerciali
risponde, infatti, con efficacia apprezzabile a prima
vista, alla necessità di superare le problematiche
solitamente e squisitamente proprie di tali tipologie di
controversie, quali l'individuazione dell'ordinamento
statale applicabile e del giudice compente,
contribuendo, così, ad una soluzione rapida ed efficace
delle ragioni del contendere, che altrettanto
indubitabilmente manifesta il ruolo di elemento
necessario al corretto funzionamento del mercato
interno, anche tenuto conto che la materia degli scambi
commerciali non è ontologicamente estranea alla
composizione amichevole delle controversie.
Al contempo, il legislatore
comunitario esprime evidentemente l'avviso che nulla
osta a che la mediazione, quale strumento
tendenzialmente generale di risoluzione delle
controversie, sia valorizzata dalle singole legislazioni
nazionali, mediante l'esercizio di un'opzione estensiva
dell'istituto, come delineato nei tratti salienti dalla
direttiva, che ne comporti l'applicazione anche a quelle
che esulano dal campo dei rapporti transfrontalieri, e
che ricadono interamente nell'ambito degli ordinamenti
interni degli Stati membri.
Secondo le attribuzioni proprie
dell'ordinamento nazionale vigente, l'eventuale
adesione, di carattere pacificamente discrezionale, a
siffatta ipotesi ampliativa, e, conseguentemente, la
competenza ad esercitare opzione nei detti sensi, non
può che essere individuata che in capo alla fonte
normativa primaria [art. 111 Cost.; art. 117, lett. l)
ed m) Cost.;].
E ciò anche perché, come meglio in
seguito, essa non esaurisce le scelte da compiersi, ma
costituisce il presupposto da cui scaturisce la
necessità di operare altre scelte, che ineriscono, se
così si può dire, ai massimi livelli del sistema
nazionale della "giustizia" in materia civile.
Si pone, indi, la necessità di
verificare se le scelte effettuate dal legislatore
delegato, con specifico riferimento alle prime tre
disposizioni dell'art. 5 del d. lgs. 28/2010, possano
essere ascritte, nelle parti fondanti, all'art. 60 della
più volte richiamata l. n. 69 del 2009.
E' il caso di chiarire che ad
analoga necessità condurrebbe anche l'eventualità che
l'art. 60 della l. n. 69 del 2009, oltre a porsi in
continuità con la direttiva 21 maggio 2008, n.
2008/52/CE - come sembra al Collegio palese ancorché la
stessa non venga richiamata nel testo dell'articolo, che
rimanda però al "rispetto" ed alla "coerenza" con la
normativa comunitaria [comma 2 e comma 3, lett. c)], e
come è in effetti sembrato palese anche al legislatore
delegato, che l'ha citata nel preambolo - esprima anche
l'ulteriore ed autonomo intendimento del legislatore di
approntare soluzioni volte a fronteggiare le note
problematiche connesse nel nostro ordinamento al
processo civile.
In tale ultimo senso sembrano, per
vero, militare sia l'inserimento dell'art. 60 non nella
legge comunitaria annuale bensì in un corpus normativo
per "lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività nonché in materia di processo civile", sia
la dizione utilizzata dal comma 2 dello stesso articolo,
che qualifica la delega conferita al Governo ai sensi
del comma 1 che lo precede ("in materia di mediazione e
di conciliazione in ambito civile e commerciale") quale
"riforma".
Infatti, quand'anche ci si trovasse
di fronte ad una autonoma "riforma" di carattere
ordinamentale, meramente occasionata dall'obbligo di
recepire la direttiva n. 2008/52/CE, da cui mutua il
contenuto essenziale, ma senza che l'intento recettivo
esaurisca le intenzioni del legislatore, a maggior
ragione si imporrebbe l'indagine sull'oggetto che
costituisce il reale ambito della delega, che non
potrebbe essere sic et simpliciter derivato dalle
disposizioni comunitarie in corso di recepimento.
13. Ma il Collegio non rinviene
nella legge delega alcun elemento che consenta di
ritenere che la regolazione della materia andasse
effettuata nei sensi prescelti dalle prime tre
previsioni dell'art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010.
E ciò per le ragioni che si passa
ad illustrare.
13.1. Va subito chiarito che,
laddove indubitabilmente è ascrivibile al più volte
nominato art. 60 della l. 60/09 la scelta di ampliare il
ricorso alla mediazione nelle controversie interne in
ambito civile e commerciale, nessuno dei criteri e
principi direttivi previsti e nessuna altra disposizione
dell'articolo espressamente assume l'intento deflattivo
del contenzioso giurisdizionale o configura l'istituto
della mediazione quale fase pre-processuale
obbligatoria.
Né detto tema può ritenersi
rientrante nell'ambito di libertà, ovvero nell'area di
discrezionalità commessa alla legislazione delegata,
esso non costituendo, per quanto sopra riferito e per
quanto in seguito, né un mero sviluppo delle scelte
effettuate in sede di delega nè una fisiologica attività
di riempimento o di coordinamento normativo, sia che si
tratti di recepire la direttiva comunitaria n.
2008/52/CE sia che si tratti della riforma del processo
civile.
Ne consegue che, ai fini della
positiva valutazione della costituzionalità della
previsione, tenendo conto del silenzio serbato dal
legislatore delegante sullo specifico tema, occorrerebbe
almeno che l'art. 60 lasci trasparire elementi in tal
senso univoci e concludenti.
Ma così non è.
13.2. Va poi anche escluso che
l'art. 60 della legge n. 69 del 2009, con la locuzione
del relativo comma 2 (regolare la riforma "nel rispetto
e in coerenza con la normativa comunitaria"), ovvero con
il principio e criterio direttivo posto alla lett. c)
del comma 3 ("disciplinare la mediazione nel rispetto
della normativa comunitaria") possa essere inteso quale
delega al Governo a compiere ogni e qualsivoglia scelta
latamente occasionata dalla direttiva comunitaria n.
2008/52/CE, che, come sopra si è rilevato, il Governo
non è stato neanche espressamente chiamato a recepire.
Ma, sul punto, come già sopra
accennato, è ancor più decisivo osservare che varie sono
le opzioni da considerare a termini della direttiva in
parola.
La prima e la più significativa,
nonchè quella chiaramente compiuta dall'art. 60, è
indubbiamente quella relativa alla estensione
dell'applicazione delle disposizioni comunitarie sulla
mediazione anche ai procedimenti interamente ricadenti
nell'ordinamento nazionale, per i quali essa non è
originariamente ed obbligatoriamente prevista.
La seconda è quella di valutare se
il procedimento di mediazione debba essere "avviato
dalle parti, suggerito od ordinato da un organo
giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato
membro" [art. 3, lett. a), direttiva n. 2008/52/CE].
La terza, logicamente conseguente
all'ultima delle opzioni della seconda, è quella di
apprezzare se, dinamicamente, lasciare "impregiudicata
la legislazione nazionale che rende il ricorso alla
mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o
sanzioni, sia prima che dopo l'inizio del procedimento
giudiziario" (art. 5, par. 2, direttiva n. 2008/52/CE).
Il tutto, tenendo comunque conto
del limite costituito dalla necessità di non impedire
"alle parti di esercitare il diritto di accesso al
sistema giudiziario" (art. 5, par. 2, direttiva n.
2008/52/CE).
I ricaschi della scelta estensiva
dell'istituto della mediazione dal campo privilegiato
delle controversie transfontaliere a quello dei
procedimenti interamente ricadenti nell'ordinamento
interno sono, indi, molteplici, ed attengono
precipuamente alle varie modalità con cui tale
estensione, salvaguardando l'accesso alla giustizia, può
essere effettuata nei singoli ordinamenti, ed, in
primis, all'opzione di rendere il ricorso alla
mediazione "prescritto dal diritto", indi "obbligatorio"
e "soggetto a sanzioni".
Quand'anche, pertanto, dovesse
ritenersi che l'art. 60 si ponga un intento
integralmente recettivo della direttiva n. 2008/52/CE,
il silenzio del legislatore delegante su tali ultime
opzioni non ha, né può avere, alla luce della doverosa
interpretazione della delega in conformità agli artt. 24
e 77 Cost., il significato di assentire la meccanica
introduzione nell'ordinamento statale delle opzioni
comunitarie che, rispetto al diritto di difesa come
scolpito dall'art. 24 Cost., appaiono le più estreme,
ovvero la "prescrizione di diritto" per talune materie
dell'obbligatorietà del ricorso alla mediazione, e la
predisposizione della massima "sanzione" per il suo
eventuale inadempimento, quale è l'improcedibilità
rilevabile anche d'ufficio, come, al contempo, ha fatto
l'art. 5 del decreto delegato.
13.3. Va, altresì, chiarito che
nessun elemento decisivo, sempre ai fini in parola, è
ricavabile dal principio e criterio direttivo previsto
dalla lett. a) della legge delega, laddove si dispone
che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia
per oggetto controversie su diritti disponibili, "senza
precludere l'accesso alla giustizia".
Tale principio e criterio
direttivo, infatti, nella dinamica della delega, non
sembra assumere altro ruolo che quello di richiamare
l'attenzione sulla necessità di rispettare un principio
assoluto e primario dell'ordinamento nazionale (art. 24
della Costituzione) e di quello comunitario.
Ciò posto, è vero che l'accesso
alla giustizia potrebbe non ritenersi ex se precluso
dalla previsione di una fase pre-processuale, che,
ancorché obbligatoria, lasci comunque aperta la facoltà
di adire la via giurisdizionale.
Infatti, secondo il costante
insegnamento del Giudice delle leggi, l'art. 24 Cost.
non impone che il cittadino possa conseguire la tutela
giurisdizionale sempre allo stesso modo e con i medesimi
effetti, e non vieta quindi che la legge possa
subordinare l'esercizio dei diritti a controlli o
condizioni, purché non vengano imposti oneri tali o non
vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile
o estremamente difficile l'esercizio del diritto di
difesa o lo svolgimento dell'attività processuale (Corte
Cost., 21 gennaio 1988, n. 73; 13 aprile 1977, n. 63;
sul punto, non può non richiamarsi anche la recente
sentenza della Corte di Giustizia CE, IV, 18 marzo
2010).
Ma è altresì vero:
- sia che, proprio in forza delle
statuizioni appena citate, le modalità di una siffatta
previsione non sono ininfluenti al fine di valutarne la
conformità a Costituzione;
- sia che nell'ordinamento
giuridico vigente, e specificamente in quello che regola
la delega legislativa, non tutto ciò che è in via
generale permesso all'autorità delegante può ritenersi
anche assentito alla sede delegata.
Di talchè, anche potendosi
ammettere che le prime tre disposizioni del comma 1
dell'art. 5 del d. lgs. 28/2010, isolatamente
considerate, possano non essere in contrasto con il
principio costituzionale del diritto alla difesa, alla
stessa conclusione potrebbe non pervenirsi tenendo conto
degli effetti del loro coordinamento con altre
disposizioni dello stesso d. lgs., e, segnatamente, con
l'art. 16. In ogni caso, poi, attesa la natura della
fonte, occorrerebbe rinvenirne il fondamento in un altro
principio e criterio direttivo della delega.
Ma, come si è già accennato, ciò
non è dato.
13.4. Atteso, quindi, che i
principi e criteri direttivi appena esaminati appaiono
neutrali al fine di apprezzare la rispondenza dell'art.
5 del d. lgs. 28/10 alla legge delega, va osservato,
vieppiù, che ben due principi e criteri direttivi
depongono, invece, a favore della non rispondenza.
13.4.1. Con il principio e criterio
direttivo previsto dall'art. 60, lett. c), si prevede
che la mediazione sia disciplinata anche "attraverso
l'estensione delle disposizioni di cui al decreto
legislativo 17 gennaio 2003, n. 5".
Il decreto legislativo 5/2003 reca
la "Definizione dei procedimenti in materia di diritto
societario e di intermediazione finanziaria, nonché in
materia bancaria e creditizia, in attuazione
dell'articolo 12 della l. 3 ottobre 2001, n. 366", e nel
titolo VI, dedica(va) alla conciliazione stragiudiziale
gli artt. da 38 a 40, ora abrogati proprio dall'art. 23
del d. lgs. n. 28 del 2010.
Il richiamo dell'art. 60 in parola
al d. lgs. 5/2003 fa escludere che la puntuale scelta
operata dal comma 1 dell'art. 5 del d. lgs. 28/2010
possa essere ascritta al legislatore delegante.
Infatti, il d. lgs. 5/2003,
segnatamente, all'art. 40, comma 6, molto più
limitatamente di quanto previsto dal ridetto art. 5, e
solo nello scenario in cui "il contratto ovvero lo
statuto della società prevedano una clausola di
conciliazione e il tentativo non risulti esperito",
prevede che "il giudice, su istanza della parte
interessata proposta nella prima difesa dispone la
sospensione del procedimento pendente davanti a lui
fissando un termine di durata compresa tra trenta e
sessanta giorni per il deposito dell'istanza di
conciliazione davanti ad un organismo di conciliazione
ovvero quello indicato dal contratto o dallo statuto".
Il modello legale valorizzato
dall'art. 60 della l. 69/90 mediante il richiamo al d.
lgs. 5/2003 è quello, quindi, in cui si versa
innanzitutto in un ambito già delineato da norme di
fonte volontaria privata (contratto o statuto sociale).
In tale quadro, è comunque rimesso
ad un altro momento volontario privato, ovvero alla
facoltà della parte che vi ha interesse, e non alla
forza cogente della legge, far constare nel giudizio già
interposto, ed entro termini prestabiliti, la
sussistenza di una clausola conciliativa ed il mancato
esperimento della conciliazione.
Ed anche qualora la parte ritenga
di avvalersi di tale facoltà, il procedimento giudiziale
non si estingue, ma, molto più limitatamente, deve
essere sospeso per il periodo necessario ad esperire la
conciliazione.
Il decreto legislativo 5/2003
delinea, dunque, una fattispecie nella quale l'esistenza
di un modulo normativo di composizione delle
controversie alternativo alla giurisdizione, di cui
l'interessato non si sia avvalso, né pospone de iure il
suo diritto di difesa in giudizio né lo rende,
eventualmente, inutiliter esercitato, come, invece,
fanno le prime tre disposizioni del comma 1 dell'art. 5
del d. lgs. 28/2010.
E' bene aggiungere che nulla muta,
poi, considerando che il decreto delegato n. 28 del
2010, al comma 2 dello stesso art. 5, affianca al
meccanismo sospetto di incostituzionalità di cui al
comma 1 anche un meccanismo coincidente a quello appena
descritto, ascrivibile al modello richiamato dal
legislatore delegante (d. lgs. 5/2003), in forza del
quale è il giudice adito, anche in sede di appello, che,
valutati una serie di elementi, invita le parti a
procedere alla mediazione e differisce la decisione
giurisdizionale: tale disposizione, infatti, tiene
comunque "Fermo quanto previsto dal comma 1.".
Anzi, il comma 2 dell'art. 5
lumeggia maggiormente la incisività della diversa scelta
compiuta dal legislatore delegato al comma 1 dello
stesso articolo, di subordinare nelle materie ivi
previste il diritto di difesa in giudizio
all'esperimento della mediazione, rendendo ancor più
pressante l'esigenza che di una siffatta scelta si
individui il preciso fondamento nella legge delega.
13.4.2. A sua volta, la lett. n)
del più volte richiamato art. 60 prevede il dovere
dell'avvocato di informare il cliente, prima
dell'instaurazione del giudizio, della "possibilità", e
non dell'obbligo, di avvalersi dell'istituto della
conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di
conciliazione.
Anche tale disposizione non
consente di ritenere che l'art. 5 del d. lgs. 20/10, al
comma 1, nelle tre prime disposizioni, trovi un
riscontro nella legge delega 69/09.
Infatti, la possibilità è, per
definizione, diversa dall'obbligatorietà, e
l'accentuazione di tale differenza non può ritenersi
superflua, vertendosi nel campo della deontologia
professionale, ovvero in un complesso di obblighi e
doveri la cui inosservanza può determinare conseguenze
pregiudizievoli in base all'ordinamento civile
(risarcimento del danno), amministrativo (sanzioni
disciplinari) e pubblicistico (art. 4, comma 4, d. lgs.
28/2010), che richiedono l'esatta individuazione del
precetto presidiato dalle sanzioni.
Tant'è che lo stesso decreto
delegato 28/2010 ha dovuto differenziare, al comma 4
dell'art. 4, l'ipotesi in cui l'avvocato omette di
informare il cliente della "possibilità" di avvalersi
della mediazione, da quella in cui l'omissione
informativa concerne i casi in cui "l'esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità
della domanda giudiziale".
E ciò ancorché poi, alquanto
sorprendentemente, l'art. 4, comma 4 in parola non
diversifichi la sanzione correlata alle due fattispecie,
che sono state entrambe ricondotte alla unica categoria
della "violazione degli obblighi di informazione" e
all'annullabilità del contratto intercorso tra
l'avvocato e l'assistito, nonostante la assai maggior
pregiudizievolezza della seconda.
14. Nessuna delle problematiche di
rilievo costituzionale sopra evidenziate viene risolta
dalle difese formulate dalle amministrazioni resistenti.
14.1. Si opina che lo schema
procedimentale seguito è quello dell'art. 46 della l. 3
maggio 1982, n. 203, in tema di controversie agrarie.
L'argomentazione non è
satisfattiva.
Detta risalente legge, che
effettivamente configura un meccanismo in forza del
quale il previo esperimento del tentativo di
conciliazione assume la condizione di presupposto
processuale, la cui carenza preclude al giudice
eventualmente adito di pronunciare nel merito della
domanda (Cass. SS.UU, 20 dicembre 1985, n. 6517), oltre
a concernere le limitatissime (rispetto alle materie di
cui all'art. 5, comma 1, del d. lgs. n. 28 del 2010)
ipotesi dei contratti agrari, non figura menzionata in
alcuna parte della legge delega, che richiama, invece,
la completamente diversa fattispecie normativa del già
citato d. lgs. n. 5 del 2003, sopra illustrata.
14.2. L'assunzione di finalità
deflative del contenzioso giudiziale, l'apprezzamento
dell'equilibrio della soluzione prescelta e delle
eccezioni previste rispetto all'esercizio del diritto di
azione ex art. 24 Cost. e all'interesse generale alla
sollecita definizione della giustizia ed al contenimento
"dell'abuso del diritto alla tutela giurisdizionale" -
posto che una siffatta tipologia di "abuso" possa essere
legittimamente e genericamente visualizzata, a termini
dell'ordinamento nazionale vigente, unico parametro
lecito nella prospettiva propria dell'argomentazione,
solo sulla scorta del dato costituito dal numero di
contenziosi civili pendenti - non sono qui in
discussione.
Si tratta, infatti, di questioni di
merito sottratte all'ambito proprio del giudizio
amministrativo, laddove, invece, più a monte, occorre
verificare, in osservanza delle regole proprie dello
scrutinio incidentale di costituzionalità di cui
all'art. 1 della l. cost. n. 1 del 1948, se trattasi di
scelte che il Governo era legittimato ad attuare, e con
le previste modalità, in forza delle attribuzioni
delegate dal Parlamento.
14.3. E' fuori tema e non coglie
comunque nel segno, per le stesse ragioni appena
riferite e per quanto al punto 13.3., ogni questione
attinente alle indicazioni ricavabili dalla
giurisprudenza comunitaria in tema di telecomunicazioni
invocata dalle parti resistenti in relazione alla
astratta possibilità per il legislatore nazionale di
sottoporre l'esercizio dei diritti fondamentali a
restrizioni compatibili con obiettivi di interesse
generale, a condizione che essi siano perseguiti in modo
non sproporzionato o inaccettabile, ed alla verifica del
rispetto di siffatte condizioni da parte delle norme
delegate.
14.4. Non è vero, per quanto pure
in precedenza riferito, che l'unico limite posto al
decreto delegato è quello del rispetto della possibilità
di accesso alla giustizia.
Si è infatti sopra dato conto che
nell'art. 60 della l. n. 69 del 2009 sussistono alcuni
elementi di carattere positivo univoci e concludenti,
tra cui primariamente il richiamo alle già illustrate
disposizioni di cui al decreto legislativo n. 5 del 2003
(artt. da 38 a 40, ora abrogati dall'art. 23 del d. lgs.
n. 28 del 2010), che, nel rapporto tra mediazione e
processo, delineano un equilibrio molto diverso da
quello assunto dal comma 1 dell'art. 5.
Né è conducente, per quanto sopra
pure diffusamente esposto (13.2), affermare che la
normativa comunitaria fa esplicito riferimento
all'ipotesi di mediazione obbligatoria anche negli
specifici termini estremi fatti propri dal legislatore
delegato (e non, si ribadisce, dalla legge delega),
atteso che essi, nel contesto comunitario, come sopra
acclarato, costituiscono previsioni via via
"facoltizzate".
Quanto all'affermazione che, ai
fini dell'introduzione della obbligatorietà della
mediazione, sono state prescelte controversie che
traggono origine da rapporti particolarmente
conflittuali, quali quelle attinenti al risarcimento del
danno, e che sono caratterizzate da maggior complessità
e durata, essa, oltre a inverare ancora un giudizio di
merito non consono alla presente sede, sembra deporre a
favore delle tesi ricorsuali, più che confutarle.
Il problematico contesto sopra
considerato non muta, infine, tenendo conto delle
materie (d. lgs. 8 settembre 2007, n. 179, Camera di
conciliazione e arbitrato presso la Consob; art. 128-bis
del d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385 e s.m.i., t.u. in
materia bancaria e creditizia, risoluzione
stragiudiziale delle controversie tra le banche e gli
intermediari finanziari e la clientela), per le quali è
già previsto un procedimento conciliativo, trattandosi,
anche qui, di elementi che si profilano di assoluta
neutralità in relazione alle questioni dibattute in
questa sede.
15. Tutto quanto sin qui
argomentato giustifica la valutazione di rilevanza e non
manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale:
- dell'art. 5 del d. lgs. n. 28 del
2010, comma 1, primo periodo (che introduce a carico di
chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa
alle controversie nelle materie espressamente elencate
l'obbligo del previo esperimento del procedimento di
mediazione), secondo periodo (che prevede che
l'esperimento di mediazione è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo
(che dispone che l'improcedibilità deve essere eccepita
dal convenuto o rilevata d'ufficio dal giudice);
- dell'art. 16 del d. lgs. n. 28
del 2010, comma 1, laddove dispone che abilitati a
costituire organismi deputati, su istanza della parte
interessata, a gestire il procedimento di mediazione
sono gli enti pubblici e privati, che diano garanzie di
"serietà ed efficienza".
15.1. In particolare, le
disposizioni di cui sopra risultano in contrasto con
l'art. 24 Cost. nella misura in cui determinano, nelle
considerate materie, una incisiva influenza da parte di
situazioni preliminari e pregiudiziali sull'azionabilità
in giudizio di diritti soggettivi e sulla successiva
funzione giurisdizionale statuale, su cui lo svolgimento
della mediazione variamente influisce.
Ciò in quanto esse non
garantiscono, mediante un'adeguata conformazione della
figura del mediatore, che i privati non subiscano
irreversibili pregiudizi derivanti dalla non coincidenza
degli elementi loro offerti in valutazione per assentire
o rifiutare l'accordo conciliativo, rispetto a quelli
suscettibili, nel prosieguo, di essere evocati in
giudizio.
15.2. Le disposizioni in parola
risultano altresì in contrasto con l'art. 77 Cost.,
atteso il silenzio serbato dal legislatore delegante in
tema di obbligatorietà del previo esperimento della
mediazione al fine dell'esercizio della tutela
giudiziale in determinate materie, nonché tenuto conto
del grado di specificità di alcuni principi e criteri
direttivi fissati dalla legge delega, art. 60 della l.
69/09, che risultano stridenti con le disposizioni
stesse.
In particolare, alcuni principi e
criteri direttivi [lett. c); lett. n)] fanno escludere
che l'obbligatorietà del previo esperimento della
mediazione al fine dell'esercizio della tutela
giudiziale in determinate materie possa rientrare nella
discrezionalità commessa alla legislazione delegata,
quale mero sviluppo o fisiologica attività di
riempimento della delega, anche tenendo conto della sua
ratio e finalità, nonché del contesto normativo
comunitario al quale è ricollegabile.
15.3. Si rende conseguentemente
necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione
degli atti alla Corte Costituzionale affinché si
pronunci sulla questione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
interlocutoriamente pronunciando
sui ricorsi di cui in epigrafe, così dispone:
1) riunisce i ricorsi n. 10937 del
2010 e n. 11235 del 2010, connessi oggettivamente e
parzialmente connessi soggettivamente;
2) dichiara rilevante e non
manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 e
77 della Costituzione, la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010,
comma 1, primo periodo (che introduce a carico di chi
intende esercitare in giudizio un'azione relativa alle
controversie nelle materie espressamente elencate
l'obbligo del previo esperimento del procedimento di
mediazione), secondo periodo (che prevede che
l'esperimento di mediazione è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo
(che dispone che l'improcedibilità deve essere eccepita
dal convenuto o rilevata d'ufficio dal giudice);
3) dichiara rilevante e non
manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 e
77 della Costituzione, la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 16 del d. lgs. n. 28 del 2010,
comma 1, laddove dispone che abilitati a costituire
organismi deputati, su istanza della parte interessata,
a gestire il procedimento di mediazione sono gli enti
pubblici e privati, che diano garanzie di serietà ed
efficienza.
4) dispone la sospensione del
presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte Costituzionale;
5) ordina che, a cura della
Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia
notificata alle parti costituite e al Presidente del
Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti
della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del 9 marzo 2011 con l'intervento dei
magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Roberto Politi, Consigliere
Anna Bottiglieri, Consigliere,
Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/04/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
CONSIGLIO DI STATO
Sezione Consultiva per gli Atti
Normativi
Adunanza del 9 giugno 2011
N. della Sezione: 201102228
OGGETTO:
Ministero della giustizia - Ufficio
legislativo.
Criteri e modalità di iscrizione,
registro organismi di mediazione, elenco formatori per
la mediazione, indennità spettanti agli organismi.
modifiche dm 180/2010;
La Sezione
Vista la relazione 3322 del
20/05/2011 con la quale il Ministero della giustizia
ufficio legislativo ha chiesto il parere del Consiglio
di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
ESAMINATI gli atti e udito il
relatore ed estensore Consigliere Giancarlo Montedoro;
Premesso e considerato:
Con relazione pervenuta il 1 giugno
2011 il Ministero della giustizia ha chiesto il parere
del Consiglio di Stato sullo schema di regolamento
recante modifica al decreto del Ministro della giustizia
18 ottobre 2010 n. 180 sulla determinazione dei criteri
e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro
degli organismi di mediazione e dell’elenco dei
formatori per la mediazione, nonché sull’approvazione
delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi
dell’art. 16 del decreto legislativo n. 28 del 2010.
L’art. 16 del citato decreto
legislativo prevede che “la formazione del registro e la
sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la
cancellazione degli iscritti, l’istituzione di separate
sezioni del registro per la trattazione degli affari che
richiedono specifiche competenze anche in materia di
consumo ed internazionali, nonché la determinazione
delle indennità spettanti agli organismi sono
disciplinati con appositi decreti del Ministero della
giustizia, di concerto, relativamente alla materia del
consumo, con il Ministro dello sviluppo economico”.
Lo schema di regolamento risolve
alcune delle criticità emerse in sede di prima
applicazione della disciplina.
In particolare esso:
1) incrementa il supporto
amministrativo dell’autorità di vigilanza sugli
organismi di mediazione e sugli enti di formazione, così
da consentirne l’effettività;
2) incrementa l’aggiornamento
formativo biennale dei mediatori;
3) incrementa le facoltà
regolamentari degli organismi di mediazione, così da
consentirne l’idonea completezza, in specie imponendo ai
predetti regolamenti criteri predeterminati per
l’assegnazione degli affari di mediazione, che siano
rispettosi della specifica competenza professionale del
mediatore designato, desunta anche dalla tipologia della
laurea in ipotesi posseduta;
4) risolve alcune criticità della
disciplina delle indennità in specie contenendone i
costi nelle ipotesi di mediazione obbligatoria e
contumaciale;
5) proroga i termini per
l’adeguamento dei mediatori e formatori di diritto ai
requisiti della nuova normativa.
Come è noto, ma ciò non incide
sulla legittimità delle modifiche regolamentari in
esame, sul complesso della disciplina della mediazione
il Tar del Lazio ha sollevato questione di
costituzionalità sugli articoli 5, comma 1 e 16, comma
1, del decreto legislativo n. 28 del 2010, con
riferimento agli articoli 24 e 77 della Cost.
In particolare lo schema di
regolamento in esame, nelle more del giudizio di
costituzionalità, si propone intanto di intervenire con
l’intento di irrobustire la professionalità del
mediatore.
Lo schema di regolamento merita
parere favorevole con le seguenti osservazioni:
a) in relazione all’art. 3 - che
modifica, integrandolo, l’art. 7 comma 5 del decreto del
Ministro della Giustizia 18 ottobre 2010 n. 180 - alla
lettera b) – che introduce la lettera e) al citato art.
7 , comma 5 – dopo la parola i criteri andrebbe
opportunamente aggiunto l’aggettivo “inderogabili”;
b) in relazione all’art. 5 dello
schema di regolamento - che modifica l’art. 16 del
decreto del Ministro della Giustizia 18 ottobre 2010 n.
180 – pur dovendosi apprezzare l’innovazione introdotta
alla lettera b) tesa a stimolare la professionalità dei
mediatori , si valuti, sul piano dell’opportunità, se
confermare la regola che rende possibile aumentare di un
terzo e non di un quinto le indennità del mediatore in
caso di successo della mediazione, in quanto ciò
potrebbe tradursi in un obiettivo aumento dei costi
sostenuti dai cittadini per il servizio in un periodo di
crisi economica;
c) in relazione all’art. 5 lett. d)
si valuti se per i primi due scaglioni della tabella A
allegata al decreto del Ministro della giustizia 18
ottobre 2010 n. 180 - non sia più opportuno portare la
riduzione ad euro quaranta.
Per il resto nulla da osservare.
P.Q.M.
Esprime parere favorevole con le
osservazioni di cui in parte motiva.
L’ESTENSORE
Giancarlo Montedoro
IL PRESIDENTE
Giuseppe Faberi
IL SEGRETERIO
Massimo Meli |