Le Commissioni tributarie non
devono essere paralizzate (art. 39 del Decreto Legge n.
98 del 06/07/2011 in G.U. n. 155 del 06/07/2011, entrato
in vigore il 06/07/2011)
Le Commissioni tributarie non
devono fare cassa ma risolvere con competenza,
equilibrio e serenità, senza pregiudizi, le controversie
fiscali che insorgono tra il fisco ed i contribuenti,
non solo nel rispetto delle norme ma anche nella
corretta interpretazione giuridica delle stesse.
Il concetto di cui sopra è logico e
naturale, in quanto un organo giurisdizionale (e tali
sono le Commissioni tributarie) non solo deve essere, ma
anche “apparire”, terzo ed imparziale nella definizione
delle controversie tributarie e non ci deve essere alcun
sospetto che le sentenze debbano tendere a fare cassa,
nell’unico interesse del fisco, che è una delle parti in
causa.
Eppure, questi elementari e chiari
concetti, oggi, sono totalmente messi in discussione con
la recente manovra economica che, tra le varie
disposizioni, vuole riordinare (peraltro parzialmente)
la giustizia tributaria con l’art. 39 del decreto legge
appena firmato dal Presidente della Repubblica e che nei
prossimi giorni dovrà essere approvato dal Parlamento.
La suddetta riforma mette
seriamente in pericolo i principi di autonomia ed
indipendenza della Magistratura tributaria e ne travolge
l’attuale assetto in modo irrazionale ed
incostituzionale.
In definitiva, la suddetta
disposizione vuole rafforzare le cause di
incompatibilità dei giudici tributari nonché
incrementare notevolmente la presenza nelle Commissioni
tributarie regionali di giudici selezionati tra i
magistrati ordinari, amministrativi, militari e
contabili ovvero tra gli Avvocati dello Stato, in
servizio o a riposo.
Di conseguenza, il legislatore, al
fine di assicurare una maggiore efficienza del sistema
della giustizia tributaria, garantendo altresì
imparzialità (!) e terzietà (!) del corpo giudicante,
con il succitato art. 39, ha disposto che rientrano tra
le cause assolute di incompatibilità ai sensi dell’art.
8 D.Lgs. n. 545 del 31 dicembre 1992:
1) le iscrizioni in albi
professionali, elenchi e ruoli indicati nell’art. 12 del
D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, nonché il personale
dipendente di cui al succitato art. 12; ciò
indipendentemente dalla preventiva indagine
sull’attività esercitata in materia fiscale (con
possibili future eccezioni di incostituzionalità per
irragionevolezza della norma ai sensi dell’art. 3 della
Costituzione);
2) l’esercizio in qualsiasi forma,
anche se in modo saltuario o accessorio ad altra
prestazione, della consulenza tributaria, della tenuta
delle scritture contabili e della redazione dei bilanci,
nonché l’attività di consulenza, assistenza o di
rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle
controversie di carattere tributario, di contribuenti
singoli o associazioni di contribuenti, di società di
riscossione dei tributi o di altri enti impositori;
3) i rapporti di coniugio, di
convivenza (con quali prove?), di parentela fino al
terzo grado o di affinità in primo grado di coloro che
sono iscritti in albi professionali (vedi n. 1) ovvero
esercitano le attività individuate al n. 2 nella regione
e nelle province e regioni confinanti con la predetta
regione dove hanno sede le Commissioni tributarie
provinciali (per i giudici di primo grado) e le
Commissioni tributarie regionali (per i giudici di
appello).
I giudici tributari che alla data
di entrata in vigore del citato decreto legge versano
nelle condizioni di incompatibilità devono comunicare la
cessazione delle cause di incompatibilità entro il 31
dicembre 2011 al Consiglio di Presidenza della giustizia
tributaria, nonché alla Direzione della giustizia
tributaria del Dipartimento delle finanze del Ministero
dell’economia e delle finanze.
In caso di mancata rimozione nel
termine predetto delle cause di incompatibilità, i
giudici tributari decadono automaticamente, con paralisi
assoluta delle Commissioni tributarie.
Infine, per completare il riordino
(parziale) della giustizia tributaria, il legislatore,
sempre con il succitato art. 39, ha previsto:
a) un concorso per 960 posti presso
le Commissioni tributarie, riservato, però, ai soli
magistrati ordinari, amministrativi, militari e
contabili, in servizio o a riposo, ed agli avvocati e
procuratori dello Stato in servizio ed a riposo; tutti i
suddetti soggetti,però, non devono prestare già servizio
presso le predette Commissioni tributarie;
b) i compensi corrisposti ai membri
delle Commissioni tributarie entro il periodo d’imposta
successivo a quello di riferimento si intendono
concorrere alla formazione del reddito imponibile, ai
sensi dell’art. 11 del T.U. II.DD. (DPR n. 917 del 22
dicembre 1986), e non saranno più tassati
separatamente.
A questo punto, l’opera di
smantellamento e paralisi delle Commissioni tributarie è
completato, così come di seguito esposto.
A) Tutti i professionisti iscritti
agli Albi vengono categoricamente esclusi, con grave
perdita delle professionalità giuridiche ed economiche
necessarie per decidere, con equilibrio e competenza,
delicate e complesse questioni fiscali (con possibili
vizi di incostituzionalità già segnalati).
B) Rischiano tutti gli altri
componenti che hanno parenti nella regione, iscritti in
albi non necessariamente collegati con le problematiche
fiscali.
La norma sulle incompatibilità per
i magistrati tributari non ha riscontro in nessun’altra
magistratura. Un giudice ordinario, infatti, può essere
Presidente del Tribunale in cui magari il figlio, per
materie diverse da quelle di cui si occupa lui, svolge
le funzioni di avvocato. Invece, un giudice tributario,
per esempio, non può essere tale alla CTR di Roma, se
suo figlio fa l’avvocato a Firenze; una diversità di
trattamento che verosimilmente finirà alla Corte
Costituzionale, quanto meno per irragionevolezza della
normativa, ai sensi dell’art. 3 della Costituzione.
C) I compensi, già miseri (€ 25 a
sentenza depositata), si riducono ulteriormente, perché
non più assoggettati a tassazione separata.
D) Entrano a far parte delle
Commissioni tributarie gli avvocati dello Stato, anche
in servizio, oltre ai magistrati contabili; in questo
caso, invece, il legislatore ignora i conflitti di
interesse, in quanto agli avvocati dello Stato, in
particolare, è affidata la difesa dell’Agenzia delle
Entrate.
E) Continuano a far parte delle
Commissioni tributarie i magistrati militari che, di
certo, non hanno una competenza professionale in campo
fiscale superiore a quella degli avvocati e dei dottori
commercialisti che, invece, il legislatore ha voluto
espellere senza alcuna motivata giustificazione.
F) Possono far parte delle
Commissioni tributarie gli ispettori tributari di cui
alla Legge n. 146 del 24 aprile 1980 (ciò a seguito
dell’abrogazione della lettera f) dell’art. 8 D.Lgs. n.
546 cit.); per assurdo, quindi, i super-ispettori del
fisco possono diventare giudici tributari, ignorando il
legislatore totalmente i criteri di terzietà ed
imparzialità.
Infatti, gli ispettori tributari
sono alle dirette dipendenze del Ministero dell’economia
e delle finanze (art. 9 L. n. 146 cit.) e possono
persino eseguire, in via straordinaria, verifiche
fiscali (art. 9, c. 1, lettere b) e c), cit.); in questo
caso, anche l’apparenza della terzietà ed imparzialità
va a farsi benedire.
In sostanza, la riserva di posti a
favore di soggetti incardinati nell’Amministrazione,
come gli avvocati dello Stato e gli ispettori del Fisco,
appanna l’immagine del giudice tributario anche solo
sotto il profilo dell’apparenza, in quanto rischia di
sembrare agli occhi dei contribuenti condizionato nelle
sue decisioni.
G) In definitiva, con le attuali
modifiche, potremmo avere collegi giudicanti composti da
(elencazione non esaustiva):
- magistrati militari;
- magistrati contabili;
- avvocati dello Stato in servizio;
- ispettori tributari;
- casalinghe con la laurea in
giurisprudenza o in economia e commercio conseguita da
almeno due anni;
- ufficiali della Guardia di
Finanza cessati dalla posizione di servizio permanente
effettivo prestato per almeno dieci anni;
- pensionati;
- imprenditori;
- agenti di assicurazioni;
- commercianti;
- artigiani;
- docenti scolastici;
- magistrati onorari;
- giudici di pace.
Bisogna tener conto che,
attualmente, la composizione delle C.T. è del 23,9% di
magistrati togati e del 76,1% di giudici non togati.
H) Infine, nelle Commissioni
tributarie regionali i posti da conferire saranno
attribuiti in modo da assicurare progressivamente la
presenza in tali Commissioni di due terzi dei giudici
selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi,
militari e contabili ovvero gli avvocati dello Stato, in
servizio o a riposo.
I) Di conseguenza, su un totale di
3.731 giudici tributari al 31/12/2010, circa 3.000
giudici sono a rischio di decadenza, con la possibilità
(se non certezza) di una totale paralisi della giustizia
tributaria per molti anni (anche perché i 960 posti a
concorso sono insufficienti a compensare le perdite).
Oltretutto, in base a quanto previsto dal Decreto
Ministeriale dell’11 aprile 2008, l’organico dei giudici
tributari dovrebbe essere pari a 4.668.
J) La paralisi delle Commissioni
tributarie coincide , peraltro, con l’entrata in vigore,
dall’01/10/2011, delle norme sugli accertamenti
esecutivi, dove la posizione del fisco è di fatto
prevalente rispetto alla posizione del contribuente,
stante le inevitabili difficoltà che esso incontrerà a
causa della impossibilità di vedere trattata l’istanza
di sospensione nel termine dei 180 giorni previsto dalla
norma, a seguito della conversione in legge del Decreto
Sviluppo n. 70 del 13/05/2011.
La giustizia civile è affidata in
gran parte a professionisti per i quali vige la sola
incompatibilità di tipo territoriale.
Non si vede perché per il giudice
tributario debbano valere regole diverse e più severe di
quelle di qualsiasi altra magistratura.
Con il rischio che in futuro la
giustizia tributaria sia amministrata da chi di
“professione” fa la casalinga, in quanto laureata in
giurisprudenza o in economia ha tutti i titoli per fare
il giudice tributario (art. 4, comma 1, lett. i), D.Lgs.
n. 545 cit.).
Oggi, invece, serve una
giurisdizione tributaria terza ed imparziale, che sappia
risolvere e rasserenare le situazioni fiscali più
complesse e spigolose, con competenza ed equilibrio.
Appunto per questo è da criticare e
contestare in toto l’attuale intervento legislativo,
peraltro adottato con la forma del decreto legge senza
che ci siano le condizioni di necessità ed urgenza (art.
77, comma 2, della Costituzione).
È auspicabile, invece, che il
legislatore, nell’ambito della generale riforma fiscale,
con legge delega riformi totalmente la giustizia
tributaria (non un semplice parziale ed ingiustificato
riordino) prevedendo i seguenti, necessari principi:
1) dipendenza dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri e non più dal Ministero
dell’economia, che è una delle parti in causa;
2) parità assoluta tra le parti in
causa, senza limitazioni nella fase istruttoria, con la
possibilità di citare i testimoni e fare i giuramenti;
3) possibilità di chiedere le
sospensive e le conciliazioni anche in grado di appello
e di Cassazione;
4) di conseguenza, tenuto conto che
il processo tributario diventa un “vero” processo (come
quello civile, penale ed amministrativo), necessità di
reclutare giudici tributari a tempo pieno, con
competenza qualificata, pagati dignitosamente anche per
le sospensive (dato che è previsto il pagamento di un
contributo unificato), e senza alcun collegamento
funzionale con il Ministero dell’economia e delle
finanze.
È auspicabile, pertanto, che il
Parlamento non converta l’art. 39 più volte citato ma
colga l’occasione per una riforma totale, seria ed
organica, del processo tributario che non mortifichi il
diritto di difesa dei contribuenti (art. 24 della
Costituzione), come purtroppo sta avvenendo oggi.
In definitiva, le suddette
disposizioni di riordino mettono seriamente a rischio i
principi di autonomia ed indipendenza della Giustizia
tributaria, che sono principi assoluti, non subordinati
alla materia su cui il giudice è chiamato a
pronunciarsi.
Oltretutto, i tempi sono maturi per
il definitivo riconoscimento costituzionale della
Magistratura tributaria, che opera esclusivamente
nell’interesse dello Stato e del cittadino contribuente. |