Oltre i danni materiali il
condominio deve risarcire anche il danno non
patrimoniale. Lo ha stabilito il Tribunale di Firenze
che nella specie, ha condannato un condominio a
risarcire i danni non patrimoniali alla proprietaria di
un immobile che per ben 5 anni aveva subito
infiltrazioni d'acqua piovana a causa del mancato
rifacimento del tetto.
Nella sentenza si legge:
Ricade, infatti, indubbiamente sul
Condominio il dovere di custodia delle parti comuni
dell’edificio - quale certamente è il tetto ai sensi
dell’art. 1117 c.c. e, conseguentemente, la
responsabilità derivante dall’omessa custodia e
manutenzione di tali parti comuni.
Nel caso di specie la provenienza
delle infiltrazioni da una parte comune dell’edificio è
indiscutibile ed è stata del resto espressamente
riconosciuta dal Condominio sia nelle varie assemblee
sia nella propria comparsa di costituzione, oltre che
testimoniata da diversi soggetti sentiti nel corso del
giudizio. Infine il CTU ***. ha chiaramente individuato
la causa delle infiltrazioni sottolineando l’omissione
nel ripristino in capo al Condominio. Si legge, infatti,
nella relazione peritale (v. pag. 5) che “.. i danni
alla proprietà della parte attrice (..) sono stati
provocati da infiltrazioni e stillicidi di acqua
piovana, infiltratasi sotto il manto di copertura
durante gli anni (..) L’acqua, ripetutamente, ha bagnato
porzioni di soffitto e di pareti, i pavimenti, talvolta
allagandoli in parte o del tutto, parti della mobilia,
numerosi oggetti di arredo, costringendo gli occupanti,
quanto meno, a lavoro domestico straordinario, senza
considerare il disagio, la frustrazione ed il relativo
danno immateriale…”.
Sotto il profilo soggettivo la
condotta tenuta - per lungo, troppo tempo - dal
Condominio convenuto appare alquanto inspiegabile e
comunque gravemente colposa, dal momento che esso era
certamente edotto e consapevole della stretta necessità
di provvedere ai lavori in questione, nonché del fatto
che la loro mancata esecuzione era fonte di continui
danni per l’attrice: tale situazione era stata non solo
rappresentata dalla S. sia in sede di assemblea
condominiale sia mediante esibizione di documentazione
fotografica e produzione di perizie tecniche, ma anche
attestata dai tecnici incaricati dallo stesso
Condominio.
Non sussiste al riguardo alcuna
responsabilità dell’attrice - neanche a titolo di
concorso - nella vicenda ‘de qua’, essendosi la stessa
attivata sin dalla prima infiltrazione per risolvere
bonariamente il problema.
Prive di fondamento, oltre che
tardive, le deduzioni formulate da parte convenuta
all’udienza del 22.3.2006. Indimostrata è infatti la
circostanza che le infiltrazioni di acqua piovana dal
tetto sovrastante la proprietà dell’attrice sarebbero
state con - causate dalla ristrutturazione effettuata
dalla stessa e, in particolare, dall’apertura
(regolarmente autorizzata) di un lucernaio:
l’inesistenza di un qualsiasi nesso causale tra le
infiltrazioni piovane ed i lavori di ristrutturazione
dell’immobile in questione è stata esclusa in radice da
tutti i tecnici che su incarico del Condominio avevano
relazionato sulle condizioni del tetto (v. per tutte la
relazione dell’ing. ***, perito del Condominio, nella
quale si dà atto che “le infiltrazioni dalla copertura
nell’appartamento dei sig.ri S. sono senz’altro di
natura vecchia e si sono accentuate nel tempo, né per la
loro natura possono essere state causate dalle opere di
ristrutturazione eseguite nell’appartamento”). Di più,
il geom. ***, direttore dei lavori di ristrutturazione
commissionati dalla S., ha confermato la presenza di
macchie di umidità sul cartongesso prima ancora che
detti lavori fossero iniziati. Infine, il CTU ha escluso
la circostanza in esame, rilevando che le infiltrazioni
si sono verificate in tutti i locali dell’appartamento
(quindi non solo dove è stata poi installata la finestra
velux) e che il trafilamento primario di acqua è
presumibilmente avvenuto da varie interruzioni della
continuità del manto (v. pag 5 relazione CTU).
Per tutte le ragioni esposte emerge
la chiara responsabilità del Condominio il quale va
condannato a risarcire i danni cagionati all’attrice.
Per quanto concerne i danni
materiali, che consistono nei pregiudizi subiti a causa
delle infiltrazioni dall’immobile di proprietà
dell’attrice nei suoi elementi strutturali e negli
arredi ed accessori ivi contenuti, gli stessi sono stati
individuati dal CTU che ha li ha quantificati nell’
importo di € 5.880,00=. A tale quantificazione hanno
aderito entrambe le parti in causa.
Controversa è invece la questione
del risarcimento dei danni non patrimoniali, indicati e
quantificati in atto di citazione rispettivamente in €
25.000,00= per ‘danno biologico’, in € 12.500,00= per
‘danno esistenziale ed alla vita di relazione’ ed in €
15.000,00= per ‘danno morale’.
La stessa parte attrice riconosce
in comparsa conclusionale che tale differenziazione di
voci deve oggi essere necessariamente rivista alla luce
della basilare sentenza n. 26972 del 15.11.2008 della
Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la quale la
S.C., abbandonando ogni distinzione del danno non
patrimoniale in sottocategorie, ha chiarito che detto
danno non è suscettibile di suddivisione in
sottocategorie, nel senso che il riferimento a
determinati tipi di pregiudizio, in vario modo
denominati (danno biologico, danno morale, ecc.),
risponde solo ad esigenze descrittive, ma non implica il
riconoscimento di distinte categorie di danno.
Vale la pena rimarcare che la
suddetta sentenza della S.C. ha, fra gli altri,
enunciato i principî che seguono.
1) E’ compito del giudice accertare
l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a
prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali
ripercussioni negative sul valore-uomo si siano
verificate e provvedendo alla loro integrale
riparazione.
2) Quanto all’individuazione della
normativa che prevede la tutela del danno non
patrimoniale, viene in prima linea l’art. 185 c.p., che
prevede la risarcibilità del danno patrimoniale
conseguente a reato. Altri casi di risarcimento anche
dei danni non patrimoniali sono previsti da leggi
ordinarie in relazione alla compromissione di valori
personali (L. n. 117 del 1998, art. 2: danni derivanti
dalla privazione della libertà personale cagionati
dall’esercizio di funzioni giudiziarie; L. n. 675 del
1996, art. 29, comma 9: impiego di modalità illecite
nella raccolta di dati personali; D.Lgs. n. 286 del
1998, art. 44, comma 7: adozione di atti discriminatori
per motivi razziali, etnici o religiosi; L. n. 89 del
2001, art. 2: mancato rispetto del termine ragionevole
di durata del processo). Al di fuori dei casi
determinati dalla legge, in virtù del principio della
tutela minima risarcitoria spettante ai diritti
costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi
di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di
diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla
Costituzione.
Per effetto di tale estensione, va
ricondotto nell’ambito dell’art. 2059 c.c., il danno da
lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32
Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dal
D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, specifica
definizione normativa.
La parte danneggiata da un
comportamento illecito che oggettivamente presenti gli
estremi del reato ha diritto al risarcimento dei danni
non patrimoniali, ai sensi dell’art. 2059 c.c., i quali
debbono essere liquidati in unica somma, da determinarsi
tenendo conto di tutti gli aspetti che il danno non
patrimoniale assume nel caso concreto (sofferenze
fisiche e psichiche; danno alla salute, alla vita di
relazione, ai rapporti affettivi e familiari, ecc.).
3) Sul piano della struttura
dell’illecito il risarcimento del danno patrimoniale da
fatto illecito è connotato da atipicità, postulando
l’ingiustizia del danno di cui all’art. 2043 c.c. la
lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante,
mentre quello del danno non patrimoniale è connotato da
tipicità, perchè tale danno è risarcibile solo nei casi
determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato
da un evento di danno consistente nella lesione di
specifici diritti inviolabili della persona.
La risarcibilità del danno non
patrimoniale postula, sul piano dell’ingiustizia del
danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione
consegue il danno; selezione che avviene a livello
normativo negli specifici casi determinati dalla legge,
ovvero in via di interpretazione da parte del giudice
chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua
della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile
della persona necessariamente presidiato dalla minima
tutela risarcitoria.
4) In ragione della ampia accezione
del danno non patrimoniale, in presenza del reato è
risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale
conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente
inviolabili, ma anche quello conseguente alla lesione di
interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti
diritti, ma meritevoli di tutela in base all’ordinamento
secondo il criterio dell’ingiustizia ex art. 2043 c.c.,
poiché la tipicità, in questo caso, non è determinata
soltanto dal rango dell’interesse protetto, ma in
ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili
i danni non patrimoniali cagionati da reato.
Negli altri casi determinati dalla
legge la selezione degli interessi è già compiuta dal
legislatore, ma non può ritenersi precluso al
legislatore ampliare il catalogo dei casi determinati
dalla legge ordinaria prevedendo la tutela risarcitoria
non patrimoniale anche in relazione ad interessi
inerenti la persona non aventi il rango costituzionale
di diritti inviolabili, privilegiandone taluno rispetto
agli altri (Corte Cost.n. 87/1979).
5) In relazione ai diritti
predicati dalla Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo, ratificata con la L. n. 88 del
1955, quale risulta dai vari Protocolli susseguitisi,
non spetta il rango di diritti costituzionalmente
protetti, poiché la Convenzione, pur essendo dotata di
una natura che la distingue dagli obblighi nascenti da
altri Trattati internazionali, non assume, in forza
dell’art. 11 Cost., il rango di fonte costituzionale, né
può essere parificata, a tali fini, all’efficacia del
diritto comunitario nell’ordinamento
6) Quanto alla tutela risarcitoria
del c.d. danno esistenziale, a tale voce di danno era
dato ampio spazio dai giudici di pace, in relazione alle
più fantasiose prospettazioni di pregiudizi suscettivi
di alterare il modo di esistere delle persone, dalla
rottura del tacco di una scarpa da sposa all’errato
taglio di capelli, dall’attesa stressante in aeroporto
al mancato godimento della partita di calcio per
televisione determinato dal black-out elettrico….. ), in
tal modo risarcendosi pregiudizi di dubbia serietà, a
prescindere dall’individuazione dell’interesse leso, e
quindi del requisito dell’ingiustizia.
Dopo che le sentenze n. 8827 e n.
8828/2003 hanno fissato il principio, condiviso dalla
sentenza in esame, secondo cui, in virtù di una lettura
costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., unica
norma disciplinante il risarcimento del danno non
patrimoniale, la tutela risarcitoria di questo danno è
data, oltre che nei casi determinati dalla legge, solo
nel caso di lesione di specifici diritti inviolabili
della persona, e cioè in presenza di una ingiustizia
costituzionalmente qualificata, di danno esistenziale
come autonoma categoria di danno non è più dato
discorrere.
7) La tutela risarcitoria va
riconosciuta se il pregiudizio sia conseguenza della
lesione almeno di un interesse giuridicamente protetto,
desunto dall’ordinamento positivo, ivi comprese le
convenzioni internazionali (come la già citata
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo, ratificata con la L. n. 88 del 1955), cioè
purché sussista il requisito dell’ingiustizia generica
secondo l’art. 2043 c.c.. La previsione della tutela
penale costituisce sicuro indice della rilevanza
dell’interesse leso.
In assenza di reato, e al di fuori
dei casi determinati dalla legge, pregiudizi di tipo
esistenziale sono risarcibili purché conseguenti alla
lesione di un diritto inviolabile della persona. In
questo caso, vengono in considerazione pregiudizi che,
in quanto attengono all’esistenza della persona, per
comodità di sintesi possono essere descritti e definiti
come esistenziali, senza che tuttavia possa configurarsi
una autonoma categoria di danno.
Altri pregiudizi di tipo
esistenziale attinenti alla sfera relazionale della
persona, ma non conseguenti a lesione psicofisica, e
quindi non rientranti nell’ambito del danno biologico
(comprensivo, secondo giurisprudenza ormai consolidata,
sia del c.d. “danno estetico” che del c.d. “danno alla
vita di relazione”), saranno risarcibili purché siano
conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della
persona diverso dal diritto alla integrità psicofisica.
Il pregiudizio di tipo esistenziale è quindi risarcibile
solo entro il limite segnato dalla ingiustizia
costituzionalmente qualificata dell’evento di danno. Se
non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente
inviolabili della persona non è data tutela
risarcitoria.
8) Palesemente non meritevoli dalla
tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno
esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi,
fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di
insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati
della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto
sociale, ai quali ha prestato invece tutela la giustizia
di prossimità.
Non vale, per dirli risarcibili,
invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto
alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla
serenità: in definitiva il diritto ad essere felici.
9) Il diritto deve essere inciso
oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio
serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di
offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da
essere meritevole di tutela in un sistema che impone un
grado minimo di tolleranza.
Il filtro della gravità della
lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento
tra il principio di solidarietà verso la vittima, e
quello di tolleranza, con la conseguenza che il
risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo
nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità
ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati
da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto
sociale li deve accettare in virtù del dovere della
tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.).
Entrambi i requisiti devono essere
accertati dal giudice secondo il parametro costituito
dalla coscienza sociale in un determinato momento
storico.
10) Attenendo il pregiudizio (non
biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova
presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo e
può costituire anche l’unica fonte per la formazione del
convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di
prova di rango inferiore agli altri dovrà tuttavia
allegare tutti gli elementi che, nella concreta
fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata
di fatti noti che consentano di risalire al fatto
ignoto.
Orbene, posto che nella specie il
danno non patrimoniale va liquidato in maniera unitaria
e che il riferimento a determinati tipi di pregiudizio
in vario modo denominati (danno biologico, danno morale,
ecc) risponde solo ad esigenze descrittive, ma non
implica il riconoscimento di distinte categorie di
danno, va precisato che nessun pregiudizio va
riconosciuto sotto il profilo del diritto alla salute
(c.d. danno biologico), in quanto non ha l’attrice
offerto alcuna prova di un qualche pregiudizio alla
propria integrità psicofisica: nessun dato al riguardo è
emerso dalla espletata priva testimoniale.
Non sono del pari risarcibili, alla
luce dei principî sopra esposti, i meri disagi - di cui
parlano i testi B. e Z. - consistenti, sotto il profilo
di ‘danno alla vita di relazione’, nell’aver qualche
volta rifiutato la Salvatori inviti a cena o al cinema
perché costretta a restare a casa per verificare
l’andamento delle infiltrazioni.
Va invece riconosciuta la
risarcibiilità del danno non patrimoniale per la
violazione del diritto di proprietà, rientrante nella
categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona
(secondo l’interpretazione fornita in diverse pronunce
dalla Corte europea di Strasburgo ed in considerazione
dei rapporti delineati dalla nostra Corte
costituzionale, nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007,
tra ordinamento interno e diritto sovranazionale).
Invero, posto che << la
risarcibilità del danno non patrimoniale è ammessa,
oltre che nelle ipotesi espressamente previste dalla
legge, nei casi in cui il fatto illecito altrui vulneri
diritti inviolabili della persona costituzionalmente
protetti >> (Cassazione civile, sez. III, 01/06/2010, n.
13431) e che << ..la tutela non è ristretta ai casi di
diritti inviolabili della persona espressamente
riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento
storico, ma, in virtù dell’apertura dell’art. 2 Cost.,
ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito
all’interprete rinvenire nel complessivo sistema
costituzionale indici che siano idonei a valutare se
nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non
genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango
costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della
persona umana.>> (Cass. SS.UU n. 26972/08 cit.), deve
nella specie ritenersi configurabile il risarcimento del
danno non patrimoniale da lesione del diritto di
proprietà, posto che la lesione di tale diritto non può
non considerarsi ingiusta.
Pur non costituendo una prerogativa
assoluta, tale diritto viene di fatto tutelato alla
stregua di un diritto fondamentale e costituzionalmente
garantito, le cui restrizioni devono soggiacere al
giusto equilibrio tra interesse generale e interesse
privato.
Non è dubbio infatti che nella
specie la lesione del diritto di proprietà dell’attrice
abbia ecceduto una apprezzabile e consistente soglia di
offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da
essere meritevole di tutela in un sistema che pur impone
un grado minimo di tolleranza.
Anche se occorre adoperare il
filtro della gravità della lesione e della serietà del
danno al fine di attuare il bilanciamento tra il
principio di solidarietà verso il soggetto danneggiato e
quello di tolleranza, con la conseguenza che il
pregiudizio non sia futile e quindi il risarcimento del
danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia
superato il livello di tollerabilità in virtù del dovere
della tolleranza che la convivenza impone (art. 2
Cost.), ritiene il giudicante che entrambi i requisiti
sussistono nella fattispecie secondo il parametro
costituito dalla coscienza sociale nel determinato
momento storico.
Non può dubitarsi infatti che la
ripetuta presenza di infiltrazioni nel corso di cinque
anni consecutivi ha chiaramente limitato ed intralciato
fortemente il diritto dell’attrice nel godimento del
diritto di proprietà sulla propria abitazione. Basta
visionare le fotografie agli atti (v. docc. 1 e 2
allegati al ricorso ex art. 700 c.p.c. e doc. 23) per
rendersi conto di ciò che, per cinque lunghi anni si
verificava all’interno dell’abitazione dell’attrice nei
giorni di pioggia, con la cucina rimasta per lungo tempo
sprovvista di un pannello di copertura poiché quello
originario, rigonfio a causa dell’acqua, era stato
necessariamente rimosso per misure anche di sicurezza.
E’ palese, quindi, la limitazione
avvenuta nel caso in esame al diritto di proprietà
dell’attrice, definito dall’art. 832 c.c. come diritto
di godere e disporre delle cose in modo pieno ed
esclusivo e costituzionalmente tutelato (art. 42 della
Costituzione). La sua limitazione, anche ai sensi della
recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione
sopra citata è quindi fonte di danno risarcibile.
E’ innegabile poi che l’abitare in
un appartamento interessato da infiltrazioni d’acqua
frequenti e protrattesi per lunghissimo tempo (5 anni)
senza che le richieste di “intervento” vengano
considerate in alcun modo, abbia causato nell’attrice
uno stato di stress e di frustrazione rilevanti sotto il
profilo del ‘danno morale’.
Affermata quindi la sussistenza del
dedotto danno non patrimoniale nei limiti di cui si è
detto, in ordine alla quantificazione dello stesso parte
attrice si è rimessa al prudente apprezzamento del
giudice chiedendo la liquidazione secondo equità,
criterio ordinariamente previsto dalla giurisprudenza
per la liquidazione del danno non patrimoniale (v. per
tutte Cass. Civ., sez. II, 24 maggio 2010, n. 12613).
Tenuto pertanto conto, in diritto,
che la categoria dei pregiudizi non patrimoniali va
intesa come omnicomprensiva, all’interno della quale non
è possibile individuare, se non con funzione meramente
descrittiva, ulteriori sottocategorie, senza che sia
diano luogo a duplicazioni e parcellizzazione delle
varie forme di danno non patrimoniale (v. Cassazione
civile, sez. III, 01/06/2010, n. 13431) e, in fatto, che
va tenuta nella dovuta considerazione il contegno tenuto
dal condominio c.p.r. riguardo alla durata (oltre 5
anni) della consapevole volontaria omissione
all’esecuzione - necessaria a giudizi dei tecnici del
stessa parte convenuta - dei lavori di cui trattasi, va
il Condomino condannato al risarcimento del danno non
patrimoniale sofferto dalla S. nell’ unica, comprensiva
somma che si determina - in via equitativa e sulla base
dei parametri medi della CEDU di € 1.000,00 - 1.500,00=
per anno - in € 12.000,00= con riferimento - per
omogeneità di valutazione - alla data degli accertamenti
peritali.
In definitiva, il Condominio
convenuto va dichiarato responsabile dei danni sopra
indicati e per l’effetto condannato a pagare
all’attrice, a tal titolo, la complessiva somma di €
17.580,00=, oltre rivalutazione monetaria e interessi
legali dal 1° giugno 2010 (mese successivo al deposito
della relazione peritale).
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