L’ordinanza n. 12221 resa dalla
Corte di Cassazione lo scorso 6 giugno parla chiaro: il
cortile adiacente un edificio in condominio deve essere
considerato a tutti gli effetti parte comune ai sensi
dell’art. 1117 c.c. se gli atti d’acquisto non ne
riservano la proprietà a specifici soggetti.
Che cos’è un cortile. La
definizione tecnico-giuridica e quella comune
sostanzialmente coincidono. Secondo la Cassazione, “ il
cortile, tecnicamente, è l’area scoperta compresa tra i
corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che
serve a dare aria e luce agli ambienti circostanti. Ma
avuto riguardo all’ampia portata della parola e,
soprattutto, alla funzione di dare aria e luce agli
ambienti, che vi prospettano, nel termine cortile
possono ritenersi compresi anche i vari spazi liberi
disposti esternamente alle facciate dell’edificio –
quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, i distacchi,
le intercapedini, i parcheggi – che, sebbene non
menzionati espressamente nell’art. 1117 cod. civ., vanno
ritenute comuni a norma della suddetta disposizione
(Cass. 9 giugno 2000, n. 7889). Non solo. Sempre i
Supremi giudici hanno specificato che sono equiparabili
al cortile i così detti pozzi luce ossia quegli spazi “
di piccole o di piccolissime dimensioni, che serve
prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari
(bagni, gabinetti, disimpegni, servizi etc.) (Cass. 7
aprile 2000, n. 4350).
Ciò ha un riflesso ben chiaro in
termini di proprietà di questo spazio. Nel caso di
cortile di pertinenza di un edificio in condominio esso,
salvo diversa indicazione, deve considerarsi parte di
proprietà comune. Lo dice l’art. 1117 c.c. e lo conferma
la Suprema Corte di Cassazione anche con riferimento al
caso trattato nell’ordinanza n. 12221 in relazione al
quale ha specificato “ che la natura condominiale è
stata riconosciuta sulla base della considerazione che i
cortili sono ricompresi tra le parti comuni del
fabbricato ex art. 1117 c.c. e del fatto che dal primo
atto di trasferimento dell'unità immobiliare all'interno
dello stabile condominiale non risulta alcuna riserva di
proprietà in favore dei costruttori” (Cass. 6 giugno
2011 n. 12221). Niente di nuovo, qualcuno potrebbe
obiettare. Giusto, risponderemmo. La pronuncia,
tuttavia, è importante in quanto dalle parole usate
dagli ermellini si evince un dato: i beni elencato
all’art. 1117 c.c. (e gli altri non inclusi che hanno le
medesime caratteristiche, vale a dire essere funzionali
al miglior godimento delle parti di proprietà esclusiva)
sono di proprietà comune e non si presumono tali. Torna
in auge in sostanza, sebbene molto spesso venga
ignorata, la sentenza resa dalle Sezioni Unite nel
lontano 1993, nella quale s’affermo che la norma
dell’art. 1117 del codice civile stabilendo che:Sono
oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi
piani o porzioni di piani di un edificio, se il
contrario non risulta dal titolo, le cose in essa
elencate nei nn. 1, 2 e 3, non ha sancito una
presunzione legale di comunione delle stesse, come
erroneamente si è affermato in alcune sentenze di questa
Corte, ma ha disposto che detti beni sono comuni a meno
che non risultino di proprietà esclusiva in base a un
titolo che può essere costituito o dal regolamento
contrattuale o dal complesso degli atti di acquisto
delle singole unità immobiliari o anche dall’usucapione”
(Cass. SS.UU. 7 luglio 1993 n. 7449).
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