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Il preliminare ad effetti anticipati e la vendita immobiliare: una storia di ordinaria contrattazione-Diritto.it

 

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Agnese Andrea

 

Sommario: 1. La fattispecie concreta; 2. Ricostruzione teorica dei problemi; 3. La giurisprudenza in materia: il contrasto esistente anteriormente alla Cassazione S.U. 7930/2008; a) L’interversione del possesso e la tutela possessoria del promissario acquirente; b) La natura del contratto preliminare di vendita ad effetti anticipati e la tesi dei contratti di comodato e mutuo gratuito; 4. Conclusione.

 

    Il presente scritto ha ad oggetto una classe di fattispecie molto comuni: quella dei preliminari di vendita immobiliare, nei quali il promissario acquirente versa al promittente alienante una parte del prezzo a titolo di caparra confirmatoria e viene immesso nel possesso dell’immobile. Si supponga che le parti non addivengano alla conclusione di un contratto definitivo: cosa succede se trascorsi venti anni il proprietario del bene o i suoi eredi si vedono opporre da controparte il rifiuto di versare la restante parte del prezzo di acquisto, adducendo di avere usucapito l’immobile?

 

    Giuridicamente, il problema può essere impostato sotto due angoli prospettici completamente differenti. Da un lato, si può ravvisare un problema di diritto contrattuale e considerare il regolamento negoziale per ricostruire la concreta volontà delle parti, così da appianare il conflitto di interessi, alla luce delle stesse previsioni contrattuali. Dall’altro, ci si può chiedere quale sia la natura del rapporto di fatto instaurato tra il soggetto e il bene, se, in particolare, si tratti di detenzione o di possesso.

 

Chi scrive ritiene che questi due test vadano usati in modo cumulativo, poiché intimamente correlati tra loro e perché in sé l’adozione di un solo criterio, omisso altero, conduce a risultati insoddisfacenti in quanto parziali.

 

Analizzando la fattispecie concreta nell’ottica del diritto contrattuale, è necessario, prima di tutto, procedere ad una ermeneusi del concreto testo negoziale, onde chiarire se si tratti di un preliminare vero e proprio piuttosto che non di un contratto definitivo che merita di essere riqualificato; se sia un contratto tipico ovvero atipico; se ci si trovi al cospetto di più contratti collegati.

 

Quella del contratto preliminare è una storia particolarmente travagliata, che ha scontato dapprima il principio, di origine francese, per il quale la promessa di vendita è vendita1, nonché la successiva ricostruzione degli studiosi italiani, poco inclini al riconoscimento dell’istituto in esame, malgrado la sua innovativa introduzione nel testo del codice civile, seppure limitata a particolari profili.

 

La progressiva apertura manifestata dall’ordinamento nei confronti di questo strumento ha portato gli autori a interrogarsi sulla sua funzione e, correlativamente, a svilire quelle dottrine che volevano negare accesso nel nostro ordinamento a questa particolare figura (particolarmente, Montesano2), sulla scorta di un infondato rapporto di volontarietà e obbligatorietà che veniva instaurato tra preliminare e definitivo3.

 

In sé, il codice civile non si occupa compiutamente del preliminare, preso in considerazione soltanto per regolarne la forma (art. 1351 c.c.), la trascrizione (art. 2645 bis c.c.) e in caso di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il definitivo (art. 2932 c.c.).

 

Quanto alle funzioni del preliminare, convincente e oramai patrimonio comune dei civilisti è la analisi propugnata da Gabrielli4, nei numerosi scritti che l’Autore ha dedicato all’argomento della scissione tra preliminare e definitivo, a detta del quale la funzione principe del primo è quella di consentire alle parti di compiere le relative determinazioni necessarie per addivenire alla conclusione dell’affare fermando però nel contempo quest’ultimo. Così opinando, il contraente può compiere tutti i rilievi che ritenga opportuni in merito alla presenza di eventuali difetti o vizi occulti del bene, rinviando la produzione dell’effetto traslativo ad un momento in cui lo stato della situazione fattuale gli sia meglio noto.

 

La scissione della volontà delle parti in due distinti negozi è motivata, in breve, dal controllo che una parte vuole esercitare sulla qualità del bene o della prestazione di controparte5, oltre che, come spesso accade, dalla necessità di reperire adeguata provvista utile al fine della conclusione dell’operazione economica6.

 

Questa notazione ha posto il problema di distinguere il preliminare, specialmente qualora si tratti di preliminare c.d. unilaterale, dal contratto di opzione. Al riguardo, si è sostenuto che mentre il preliminare comporta pur sempre la stipulazione di un ulteriore negozio, l’opzione crea la situazione finale senza necessità di pattuizioni ulteriori7; quest’ultima, inoltre, almeno secondo l’opinione tradizionale, non è suscettibile di trascrizione8. Quanto al preliminare unilaterale, si è rilevato che esso produce l’immediata assunzione dell’obbligazione di stipulare il definitivo, mentre l’opzione genera nel promittente l’obbligo di non contrattare con altri se non dopo aver ricevuto la dichiarazione dell’opzionario consistente nella sua indisponibilità a concludere il contratto9.

 

Inoltre, la medesima asserzione è stata ravvisata dalla dottrina alla base di un interessante sviluppo che il preliminare ha avuto, in via di prassi, nell’ambito delle contrattazioni immobiliari, laddove, come si è autorevolmente osservato10, la possibilità di controllo viene soddisfatta quam maxime dalla consegna della res al compratore anteriormente alla produzione dello stesso effetto traslativo.

 

La figura del preliminare ad effetti anticipati può essere riformulata, in punto di mero diritto, alla luce dei rapporti intercorrenti con il contratto definitivo, pretermessa ogni considerazione afferente il controllo di qualità, della quale si è appena discorso.

 

In altre parole, detto istituto può far sorgere la seguente domanda: poiché attraverso tale strumento si possono anticipare alcuni effetti del definitivo, quali tra questi effetti sono anticipabili al preliminare? Solo alcuni o anche tutti? E l’effetto traslativo è anticipabile?11

 

La questione non è di rilievo esclusivamente teorico, in quanto essa incide in modo pregnante sulla soluzione della stessa classe di fattispecie concrete che possono sollevare un simile problema, come quella oggetto del presente contributo.

 

Si coglie, finalmente, il nesso che lega contratto a diritto reale: se l’effetto traslativo è anticipabile, si è costituita una situazione di possesso in capo all’acquirente che non ha versato l’intero prezzo, e questi può usucapire; diversamente, qualora dovesse riconoscersi la non anticipabilità di simile effetto, egli avrebbe la mera detenzione perché, non essendosi ancora prodotto il passaggio di proprietà, riconoscerebbe la altruità del bene, quindi non potrebbe usucapire.

 

Ovviamente alla domanda che ci siamo posti ne segue un’altra, di rilievo più speculativo12: che natura ha il definitivo se le sue prestazioni si sono consumate prima di esso? Le cose cambiano, a fini qualificatori, se si sono già adempiute solo alcune o tutte le prestazioni? E se si è già verificato l’effetto traslativo?

 

In questo caso la risposta non è altro che un corollario della soluzione che abbiamo fornito al primo quesito. Di certo già da ora si deve rispondere recisamente con riferimento all’effetto traslativo; se questo fosse anticipato al preliminare, questo in realtà non sarebbe tale, bensì esso stesso definitivo13, ed il secondo contratto null’altro sarebbe che un negozio di accertamento14. Questo purché che il secondo patto abbia contenuto uguale al precedente; se alcune clausole non sono riportate più o sono state modificate, questo deve essere qualificato come modificativo di uno precedente, poiché con esso, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1321 c.c., le parti hanno costituito, modificato o estinto diritti di cui potevano disporre15.

 

Si coglie appieno l’intimo legame che avvince, ai fini della risoluzione del problema in esame, il contratto preliminare e la qualificazione del rapporto di fatto che intercorre tra il promissario acquirente e la res oggetto della vendita.

 

A quest’ultimo riguardo, occorre distinguere tra possesso e detenzione, riconoscendo nel primo quella situazione di fatto che consiste nell’esercizio di una attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale; nella seconda, la situazione, parimenti fattuale, nella quale il soggetto che vanta la materiale disponibilità del bene riconosce l’appartenenza ad altri del medesimo (art. 1141 c.c.).

 

Molto ci si è interrogati sulla nozione di possesso, specialmente perché la concezione tramandataci dalla dottrina tradizionale, risalente alla sistematica di Savigny, peccherebbe, per la dottrina attuale, per dare rilievo ad un elemento psicologico in realtà insussistente16. Oggi, abbandonate le ricostruzioni più risalenti, come quella di Fadda, che vi ravvisavano un diritto17, si riconosce che il possesso è un fatto18 e da parte di molti autori si asserisce che il codice ha polarizzato la propria attenzione sull’elemento oggettivo che connota il fenomeno possessorio19. A detta di questa opinione, infatti, la sussistenza dell’animus possidendi è assorbita dal titolo, oppure dal comportamento uti dominus di chi ha la materiale disponibilità della cosa20.

 

Contro la teoria volontaristica di Savigny si osserva oggi che il codice non fa menzione alcuna dell’elemento psicologico ravvisabile in capo al possessore, poiché esso richiede la corrispondenza del potere sulla cosa all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale21.

 

Da tale asserzione si traggono vari corollari, quale l’irrilevanza dello stato psicologico di incapacità o di incoscienza del possessore22 e la distinzione tra il fenomeno in esame e la detenzione, prospettabile nella diversa rilevanza sociale assunta dalla disponibilità materiale del bene. A quest’ultimo proposito, infatti, un conto è il rapporto materiale sulla cosa che si estrinseca nell’esercizio di facoltà proprie del diritto dominicale, un altro è il corpus che si risolve in un diritto personale di godimento o nel contenuto di un rapporto di ospitalità o di servizio23.

 

Parzialmente differente è l’inquadramento che della detenzione viene svolto dalla dottrina tradizionale, la quale vi riconosce un mero potere di fatto sulla cosa nomine alieno, ossia non accompagnato dall’animus di spiegare una attività corrispondente all’esercizio di diritto dominicale o reale limitato24.

 

Occorre domandarsi quale delle due situazioni di fatto cennate debba essere predicata in capo al promissario acquirente; ossia, in altre parole, se questi sia un possessore o un detentore. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha per molto tempo manifestato un contrasto di opinioni, sanato dalle Sezioni Unite nel 2008, con una pronuncia che non ha mancato di suscitare polemiche.

 

    L’arresto del 2008 ha portato la Suprema Corte a Sezioni Unite ad interrogarsi circa la relazione di fatto che si instaura a seguito della stipulazione di un preliminare ad effetti anticipati in capo al promissario acquirente a cui venga consegnato il bene, così appianando il contrasto che si era creato in seno alla Seconda Sezione.

 

Nel corso del tempo, infatti, non sono mancate pronunce che hanno ravvisato nella consegna immediata del bene il titolo idoneo a costituire una situazione possessoria, poiché in presenza di un titolo e di un utilizzo della cosa che non può dirsi né violento né clandestino25. Così opinando, si è derogato all’insegnamento tradizionale che ravvisa nel preliminare un contratto ad effetti obbligatori, muovendo dal presupposto per cui la consegna del bene è, in sé considerata, un atto neutro o negozio astratto, che non richiede un fondamento causale26. Deve riconoscersi tuttavia come la Corte abbia mostrato di rendersi conto perfettamente che tale elaborazione concettuale osta al riconoscimento del preliminare come contratto ad effetti obbligatori; tuttavia ha ritenuto di poter isolare, nell’ambito di questi ultimi, quelli che “(…) tendono a realizzare il trasferimento della proprietà del bene o di un diritto reale su di esso quando ad essi acceda un immediato effetto traslativo del possesso sostanzialmente anticipatore degli effetti traslativi del diritto che, con la convenzione, le parti si sono ripromessi di realizzare”27. In tal modo, si ritiene possibile stipulare un patto che trasferisca il possesso senza trasferire la proprietà28.

 

La giurisprudenza maggioritaria, tuttavia, reputa(va) che nel caso di specie non si potesse che parlare di detenzione del bene, e non di possesso, giacché nel contratto con effetti anticipati la consegna del bene avviene con la consapevolezza del promissario acquirente della non ancora avvenuta produzione dell’effetto traslativo, rinviato alla successiva stipulazione del contratto definitivo29.

 

Nella promessa di vendita, infatti, qualora venga effettuata la consegna anticipata del bene, resta pur sempre ferma la posposizione dell’effetto traslativo all’atto della stipulazione del contratto finale, poiché il preliminare è un contratto con effetti obbligatori dal quale scaturisce unicamente un’obbligazione di facere, ossia quella consistente nel prestare il successivo consenso al perfezionamento del definitivo30.

 

Quest’ultima ricostruzione si rivela maggiormente aderente ai principi31: quando il promissario acquirente entra nell’appartamento ed incomincia ad abitarlo, egli sa di dover pagare ancora gran parte del prezzo e di dover stipulare ancora il definitivo con il proprietario, motivo per cui egli riconosce la altruità del bene e tiene comportamenti che non costituiscono una molestia, di fatto o di diritto, del legittimo diritto dominicale del promittente alienante. Quest’ultimo, dal canto suo, viene in tal modo a mutare il proprio possesso della res da immediato (corpore et animo) a mediato (solo animo).

 

Giunti a questo punto del ragionamento, sorge la necessità di porsi due domande: a) cosa succede se il detentore inizia a contestare il diritto del proprietario o comunque tiene comportamenti incompatibili con l’altrui diritto di proprietà? E se, al contrario, questi viene molestato nel godimento del bene anteriormente alla stipulazione del definitivo?; b) che natura giuridica ha la situazione di fatto che si viene a creare nel momento intermedio tra la stipulazione del preliminare e quella non ancora intervenuta del definitivo?

 

    Con riferimento al primo problema, soccorre il disposto dell’art. 1141 c.c., laddove questo riconosce all’opposizione dispiegata dal detentore contro il possessore la capacità di mutare la detenzione stessa in possesso. Questo fenomeno si definisce, come noto, interversione del possesso (interversio possessionis); esso si contrappone idealmente al mutamento del possesso in detenzione, noto come costituto possessorio (constitutum possessorium), che si realizza, ad esempio, quando il proprietario di una cosa la venda ad altri e la trattenga presso di sé fino alla consegna e in attesa di questa32.

 

Perché la detenzione si trasformi in possesso, ancorché di mala fede, non basta una intima determinazione in tal senso del detentore, occorrendo, al contrario, un fatto esterno, da cui sia possibile desumere che il detentore nomine alieno ha cessato di riconoscere il diritto dominicale altrui ed ha iniziato a possedere in modo autonomo, ossia per conto e in nome proprio. In tal caso, l’opposizione deve essere rivolta esplicitamente contro il possessore originario, ossia contro il soggetto nel cui nome la cosa era antecedentemente detenuta da chi dispiega l’opposizione, in modo da esternare e rendere riconoscibile ai terzi in modo univoco il mutamento della situazione fattuale, passata da detenzione a possesso, oltre che il cambiamento delle intenzioni di chi prima era detentore, il quale intende esercitare sulla cosa poteri corrispondenti a quelli che prima venivano riconosciuti all’originario possessore33.

 

In altre parole, l’interversione del possesso si sostanzia nella negazione, da parte del detentore, del possesso del terzo, in nome del quale prima si deteneva la cosa, oltre che nella correlativa affermazione del proprio possesso autonomo34; detta opposizione può essere tanto espressa, ossia portata a conoscenza con esplicita dichiarazione, quanto tacita, ovvero realizzata mediante comportamento concludente35: vige, al proposito, la più ampia libertà delle forme36.

 

È stato anche precisato dalla giurisprudenza che l’art. 1141 c.c. non può applicarsi al detentore non qualificato, per ragioni di servizio o di ospitalità, il quale non può semplicemente limitarsi ad invocare un titolo diverso dalla propria qualifica di ospite o di dipendente e continuare a comportarsi come tale, dovendo egli compiere un atto di impossessamento37.

 

L’opposizione produce effetti a prescindere dalla sua fondatezza giuridica, né estingue il titolo originario, per cui i precedenti diritti ed obblighi intercorrenti tra le parti restano immutati, cambiando solo la situazione detentoria, trasformatasi in possessoria38.

 

Astrattamente, si può verificare interversione del possesso, oltre che per opposizione del detentore, anche per causa proveniente da un terzo, intendendosi, con tale espressione, qualsiasi atto di trasferimento del diritto che sia idoneo a legittimare il possesso, a prescindere dalla validità del medesimo e compreso anche l’acquisto a non domino, secondo quanto insegna la giurisprudenza39.

 

La dottrina ha così avuto modo di precisare che il titolo che in questi casi rileva non è quello idoneo a trasferire la proprietà, ma quello utile a fondare il possesso40.

 

Non basta. Si è detto finora che il possesso utile ai fini della usucapione si realizza quando la relazione con la res consegua ad un comportamento del detentore che riveli la sua volontà di mutare la sua detenzione in possesso autonomo. Chiediamoci ora: quid juris se quest’ultimo consegue la materiale disponibilità della cosa per un atto volontario del proprietario possessore?

 

La domanda non è peregrina, giacché si attaglia al caso di specie, in cui il promissario acquirente consegue la materiale disponibilità della cosa proprio perché viene immesso nel possesso dal promittente venditore, il quale, nel momento dell’immissione in possesso, è ancora proprietario dell’immobile. A un simile interrogativo la giurisprudenza ha risposto che la presunzione di possesso utile alla usucapione in questo caso non opera, perché la relazione che il detentore ha con la cosa non consegue ad un atto materiale di apprensione di quest’ultimo, ma ad un atto compiuto dal proprietario possessore, ragion per cui la attività del soggetto che dispone materialmente della cosa, configurabile come detenzione semplice (o precario) non corrisponde all’esercizio di alcun diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario, dalla cui volontà, anzi, consegue. In questo caso, perché la detenzione muti in possesso, è necessario, da parte del detentore, il compimento di una attività specifica, che costituisca interversione del possesso, tale da escludere che il persistente godimento della cosa sia fondato unicamente sul consenso del proprietario, bensì su un titolo autonomo vantato da chi pretende di convertire la propria detenzione in possesso41.

 

In fin dei conti è proprio quanto è accaduto nel caso da cui ha preso le mosse il presente contributo: il promittente alienante ha immesso nel possesso dell’immobile il promissario acquirente e la relazione materiale di quest’ultimo con la res deve essere qualificata come detenzione finché questi non compia un atto o non manifesti comportamenti che disconoscano il possesso altrui, realizzando una interversione del possesso. Fin tanto che il promissario acquirente abita l’appartamento in attesa del perfezionamento del contratto definitivo, questi può soltanto essere qualificato come detentore nomine alieno, non certo come possessore, come viceversa si è talvolta ragionato da parte di quella giurisprudenza di legittimità, peraltro minoritaria, di cui è dato conto in precedenza42.

 

A questo punto del ragionamento, si può iniziare a inquadrare il rapporto di fatto che intercorre tra l’immobile oggetto di preliminare perfezionato e il promissario acquirente come detenzione in nome altrui e non come possesso.

 

Da questa conclusione discende un corollario, inerente la tutela di cui il promissario acquirente dispone qualora questi venga molestato nella propria detenzione qualificata43. Occorre stabilire, in particolare, se questi sia legittimato ad esperire azione di manutenzione per molestie provenienti da terzi. Dalla conclusione cui siamo pervenuti si inferisce l’azionabilità in giudizio del solo spoglio44, pertenendo la qualità di possessore, seppure mediato, al proprietario, al quale il detentore deve rivolgersi per l’esercizio dell’azione di manutenzione. Dal canto suo, il primo non agisce in qualità di proprietario, ma di possessore, ottenendo una protezione più rapida di quella di cui avrebbe goduto agendo in quanto titolare di diritto dominicale, poiché dispensato dall’onere probatorio inerente la proprietà del bene, spesso arduo da fornire45.

 

Si può fare un passo avanti nel discorso e domandarsi, tornando così alla prospettiva contrattuale, che rapporto giuridico venga creato dal preliminare ad effetti anticipati che immetta nel possesso il promissario acquirente anteriormente alla stipulazione del contratto definitivo, posto che, come appena dimostrato, la situazione di fatto che si crea è da ascrivere al novero delle detenzioni e non dei possessi.

 

    Volgiamo il ragionamento nuovamente alla prospettiva contrattuale, avendo terminato l’analisi dal punto di vista dei diritti reali, e torniamo al contratto preliminare ad effetti anticipati da cui siamo partiti: che natura giuridica ha detto negozio? E che rapporti giuridici si creano medio tempore, nel periodo intercorrente tra la stipulazione di esso e quella del contratto definitivo di vendita dell’immobile?

 

A questi interrogativi ha fornito risposta la Cassazione a Sezioni Unite del 2008, la quale, sul punto, non ha mancato di suscitare polemiche e rilievi per le soluzioni cui è pervenuta.

 

In primo luogo, le Sezioni Unite escludono che il contratto sia atipico, ossia un negozio innominato teso a disimpegnare interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c., poiché esso realizza, attraverso un'unica convenzione, gli elementi costitutivi di più contratti tipici, per modo che la atipicità risulta conseguentemente esclusa.

 

La dottrina che si è occupata dell’argomento ha rilevato che la libertà contrattuale assume un duplice rilievo, sia come libertà di perseguire finalità diverse da quelle perseguibili con i contratti tipici, sia come libertà di perseguire con modalità contrattuali atipiche finalità già astrattamente in grado di essere soddisfatte con contratti tipici. Infine, essa è libertà di servirsi di negozi tipici per realizzare finalità atipiche, come nel caso del negozio fiduciario, oppure di combinare fra loro negozi tipici o atipici per realizzare convenzioni contrattuali nuove con le quali disimpegnare esigenze ed interessi nuovi ed ulteriori rispetto a quelli isolatamente soddisfatti da ciascun negozio oggetto di combinazione46.

 

Consegue, da questa impostazione, che laddove si combinino in un’unica convenzione più negozi giuridici tra loro per perseguire uno scopo unitario, si è al cospetto di un collegamento tra contratti diversi. È escluso, pertanto, il riferimento sia al contratto misto sia a quello complesso47, poiché nel collegamento negoziale i contratti coinvolti mantengono la loro specificità causale, con conseguente pluralità di cause; laddove, al contrario, nel contratto misto, la causa è unitaria48.

 

La Cassazione cerca così nella fattispecie concreta i due requisiti che devono sussistere per avere collegamento negoziale in senso tecnico, ossia la combinazione di più contratti tra loro in nome di uno scopo unitario perseguito dalle parti. Nel far ciò, si richiamano i possibili motivi che possono indurre le parti a stipulare un contratto preliminare in luogo, immediatamente, del definitivo, e si sostiene che le parti stipulano contratti accessori al preliminare, autonomi ma funzionalmente collegati ad esso, con i quali si regolamenta la situazione intermedia tra la conclusione del preliminare e la non ancora avvenuta stipulazione del definitivo.

 

Passiamo così a rispondere alla seconda questione che abbiamo individuato, ossia quella che verte sulla individuazione dei rapporti giuridici che si creano in questo frangente di tempo intermedio. Già abbiamo chiarito, al paragrafo precedente49, che il rapporto di fatto che si crea tra il promissario acquirente e l’immobile nel quale è stato immesso è una detenzione nomine alieno. Ora ci occupiamo di individuare i rapporti negoziali.

 

Al riguardo, le Sezioni Unite hanno fornito una risposta che non ha mancato di animare il dibattito, incentrata su un’opinione di Francesco Gazzoni50 a proposito di un caso in cui una madre, in quanto usufruttuaria dei beni delle figlie minori nonché rappresentante legale di queste ultime, aveva promesso di vendere un immobile ad un terzo, senza investire il giudice tutelare ai sensi dell’art. 320 c.c., come viceversa avrebbe dovuto. Al raggiungimento della maggiore età, le figlie avevano esperito azione di annullamento del negozio, instando per la sua restituzione ed il pagamento della somma corrispondente ai frutti percepiti dal promissario acquirente. Quest’ultimo, dal canto suo, aveva invocato l’intervenuta usucapione del fondo in virtù del possesso ininterrotto del medesimo.

 

Analizzando la fattispecie concreta appena prospettata, Gazzoni ha considerato la figura del preliminare ad effetti anticipati, che nel caso di specie ricorreva, stante l’avvenuta consegna del fondo al promissario acquirente, osservando come con esso le parti possano anticipare, in tutto o in parte, gli effetti del contratto definitivo.

 

Trattasi, precisa l’Autore, di una anticipazione non certo giuridica, che pure è stata sostenuta dalla dottrina51, ma puramente economica, e la provvisorietà insita nella situazione stessa che si viene a creare conferisce natura obbligatoria alle prestazioni compiute dai promittenti. Questi, infatti, con la stipula del preliminare si impegnano, rispettivamente, a non pretendere la ripetizione della somma e a non esigere la restituzione della cosa.

 

Pertanto, è come se i promittenti stipulassero, collateralmente al preliminare, negozi accessori, distinti ma a questo collegati da vincolo negoziale, un comodato e un mutuo a titolo gratuito, così da permettere alla controparte, rispettivamente, di disporre della somma di danaro, lucrandone i frutti e senza aver pagato interessi per il prestito, nonché di godere dell’immobile a titolo gratuito (così effettuando di prima persona quel controllo di qualità cui sarebbe deputato il preliminare)52.

 

In questo modo, peraltro, si è studiato il modo di tenere fede all’insegnamento ad oggi maggioritario del preliminare come contratto ad effetti meramente obbligatori, produttivo solamente dell’obbligo di stipulazione del definitivo (pactum de contrahendo) e della promessa di prestazioni future (pactum de dando).

 

Questa concezione, alla base del ragionamento di Gazzoni, segna un passo avanti rispetto alla dottrina più tradizionale, che concepiva il preliminare come mero pactum de contrahendo, in tal modo arricchendo il contenuto della stipulazione preliminare con elementi prima pretermessi, che obbligano i paciscenti non solo alla prestazione del futuro consenso, ma anche a realizzare quei comportamenti accessori, necessari per realizzare il programma finale53.

 

Inoltre, la teoria maggioritaria, della quale il pensiero dell’Autore costituisce applicazione, affida al definitivo la funzione di strumento di controllo delle sopravvenienze che avessero a verificarsi successivamente alla stipula del preliminare, a partire dalla quale, peraltro, si consente l’esperimento delle azioni giudiziali necessarie alla salvaguardia del regolamento negoziale del definitivo54. A quest’ultimo proposito, tuttavia, la dottrina ha distinto varie categorie di preliminare, in ragione di una graduazione che tenga conto della eseguibilità o meno del negozio in forma specifica, o della funzione che il preliminare venga ad assumere in seno ad una vicenda procedimentale traslativa55.

 

Così opinando, si evitano le strettoie nelle quali sarebbero irrimediabilmente astrette altre ricostruzioni, quali: a) quella che inquadra il preliminare ad effetti anticipati come negozio atipico56; b) l’altra che concepisce il preliminare come un definitivo ad effetti differiti, avente causa esterna nella ripetizione del negozio in sede di stipulazione del definitivo57; c) l’altra ancora che rinviene nella combinazione di preliminare e definitivo un negozio complesso con elementi del preliminare, della vendita e della locazione58; d) quella che ravvisa l’esistenza di un procedimento traslativo nella successione dei due negozi, derogatorio del principio del consenso traslativo59.

 

Nondimeno, la soluzione adottata dalla Suprema Corte non ha convinto la maggioranza degli studiosi, i quali, osservata la peculiare scomposizione del preliminare60, hanno ritenuto pletorico il riferimento ai due negozi di mutuo e comodato61, oltre che potenzialmente pericoloso in chiave di possibile elusione del divieto di patto commissorio62.

 

Chi scrive reputa non probante la soluzione sposata dalle Sezioni Unite, in quanto artificiosa e non in grado di spiegare la presumibile volontà che i paciscenti perseguono con il negozio preliminare. Il preteso mutuante, infatti, non fa null’altro che dare una caparra confirmatoria per bloccare l’affare, magari in attesa di reperire la somma necessaria presso un istituto di credito e, per contro, inizia ad abitare l’immobile sicuro di stipulare ben presto il definitivo. Ravvisare nella fattispecie concreta così congegnata un rapporto avente causa credendi sembra poco aderente alla realtà63, come pure concepire la presa in detenzione dell’immobile come un comodato.

 

Di certo per comprendere il perché di una simile spiegazione, almeno con riferimento al comodato, è utile ricordare un problema alquanto dibattuto, ossia la applicabilità o meno dell’art. 1499 c.c., in materia di interessi compensativi, al preliminare immobiliare ad effetti anticipati64. Chi scrive ritiene corretta la soluzione prevalente che nega l’applicabilità di tali interessi al caso di specie, perché altererebbero l’equilibrio negoziale, in quanto magari già compresi nel prezzo definitivo o nel soddisfacimento del promittente alienante di realizzare l’operazione. In questa prospettiva in effetti si può scorgere un potenziale profilo di gratuità, peraltro riferito alla non percezione di interessi da parte del promittente alienante per l’anticipato godimento del bene immobile. Donde, almeno agli occhi dello scrivente, lo spunto per la configurazione di un contratto di comodato, che probabilmente ha ispirato Gazzoni.

 

Deve comunque essere sottolineato che questo studioso ha ritenuto di scrivere non che, nel caso di specie, le parti stipulano, ma che è come se stipulassero un mutuo gratuito e un comodato, a ciò indotto più da ragioni economiche, che giuridiche, come egli stesso riconosce allorché si sofferma, poco prima, sul problema dell’anticipazione o meno delle prestazioni65.

 

Venendo a rispondere al secondo quesito da cui siamo partiti, ossia quello attinente la qualificazione dei rapporti giuridici che si creano medio tempore, tra la conclusione del preliminare e quella del definitivo, sulla scorta dell’insegnamento delle Sezioni Unite, pertanto, concludiamo dicendo che il preliminare ad effetti anticipati non è un contratto atipico, ma un preliminare ordinario al quale accedono, in via accessoria, distinti contratti di comodato e di mutuo feneratizio.

 

    Di questa presa di posizione è necessario tenere conto, ad opera specialmente dei pratici del diritto, stante l’autorevolezza del precedente, così all’atto della redazione del regolamento negoziale di un eventuale preliminare di vendita immobiliare che si trovassero a vergare, come in sede contenziosa, per paralizzare le deduzioni formulate ex adverso, prima fra tutte la usucapione o la prevedibile richiesta di interessi compensativi sulla somma versata anticipatamente.

 

Di certo, la farraginosità della costruzione non manca di sollevare un problema di metodo, ossia se sono i fatti a doversi conformare alle norme, o se sono le norme che nascono dalla prassi e con esse le teoriche dei giusperiti, le quali mai devono tradire il monito antico per cui ubi societas,ibi jus, a pena di cadere in un astrattismo autoreferenziale che meglio si addice alla monadologia di Leibniz piuttosto che alla realtà quanto mai variegata del traffico giuridico.

 

E proprio da quest’ultima occorre prendere le mosse, per attagliare la soluzione alla realtà del caso concreto. Nella fattispecie oggetto di esame, si può osservare un caso di divergenza tra forma giuridica e sostanza economica. L’operazione, economicamente unitaria, viene infatti frazionata in due momenti giuridici, per consentire all’acquirente di reperire la provvista e di riscontrare l’immobile, garantendo la serietà delle proprie intenzioni mediante il versamento di una caparra confirmatoria.

 

La realtà giuridica mostra come spezzata una vicenda in realtà unitaria, ma della quale coglie la formazione progressiva66 allorché ci consente di scorgere l’impegno futuro a concludere l’affare e a stipulare il definitivo. Per questo non è metodologicamente corretto inventarsi un preliminare che camufferebbe un definitivo e mortificare quest’ultimo riducendolo a mero negozio attuativo: non corrisponde alla realtà dei fatti.

 

Le parti hanno fiutato l’affare e lo vogliono bloccare, nel frattempo la caparra è il costo per fermare l’occasione, il costo della scelta, e anche il costo per reperire i danari sufficienti è tale poiché presumibilmente inserito nel prezzo finale. Se lo compri subito paghi 10, se lo acquisti dopo lo paghi 12: il tempo che ti concedo per trovare i danari me lo paghi 2. Ecco perché i giuristi hanno escluso gli interessi compensativi: perché altererebbero un regolamento negoziale nel quale probabilmente sono già incorporati.

 

Nel frattempo, le parti, una volta stipulato il preliminare, sono obbligate a concludere il definitivo, perché imposto dalla struttura del pactum de contrahendo e dalla logica economica del business che vogliono definire, ma anche a comportarsi secondo buona fede, curando di non ledere, durante l’inverarsi della fattispecie a formazione progressiva, l’altrui sfera giuridica.

 

Astrattamente, penso che ben si sarebbe potuto risolvere il problema riprendendo la teorica, propria di Luigi Mengoni, che distingue tra obblighi di prestazione e obblighi di protezione come costitutivi del rapporto obbligatorio, con applicabilità del dovere generale di buona fede e responsabilità per inadempimento di Treuepflicht in caso di lesione dell’altrui sfera giuridica, senza creare ben due contratti che regolerebbero il rapporto intermedio.

 

Entrando in contatto l’uno con la sfera giuridica dell’altro, i paciscenti devono comportarsi in modo da non arrecarsi danni reciproci, in attesa della conclusione della operazione, dal punto di vista economico, e della stipulazione del definitivo, dal punto di vista giuridico. Quello che viene visto come mutuo feneratizio è in realtà l’esecuzione frazionata di una obbligazione divisibile, quella pecuniaria, mentre l’immissione del promissario acquirente nella detenzione dell’immobile anticipa dal punto di vista fattuale una prestazione del contratto definitivo solo in senso economico ma non giuridico, perché la proprietà non è stata ancora trasferita.

 

Se mai, si consente al promissario acquirente di godere anticipatamente dell’immobile, ma non si può certo dire che ciò accada a titolo gratuito, potendo benissimo il costo dell’anticipato godimento essere incorporato pro rata nel prezzo finale o nell’ammontare della caparra. Il promittente alienante potrebbe dire: ti consento di andarci ad abitare prima del tempo, però il prezzo finale non è più 10 ma 12, oppure anzi che il 20% di caparra mi dai il 30%, così mi cautelo dai possibili danni che puoi arrecare al mio immobile e in un certo modo mi paghi il godimento anticipato; il promissario acquirente, di contro, per verificare cosa sta comprando, va ad abitare l’immobile ed evita di comprare a scatola chiusa, in tal modo fruendo quam maxime della funzione di controllo qualità, tipica del preliminare67.

 

A quest’ultimo riguardo, grandi e numerosi problemi ha creato la questione del preliminare di res della quale si siano scoperti i vizi prima della stipula del definitivo, a riprova del fatto che la cautela di non comperare al buio non vive nei libri ma nella esperienza concreta dei negoziatori. Si è scritto, al proposito, che dalla non ancora avvenuta vendita del bene è lecito inferire, quale rimedio a disposizione del promissario acquirente, l’azione risarcitoria o quella di adempimento, con contestuale eliminazione dei vizi e delle difformità del bene, essendo, per la medesima ragione, in linea di principio inapplicabile la quanti minoris actio, anche se si è ammessa la riduzione del prezzo contemporaneamente alla domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare68. La giurisprudenza ha infatti subito una evoluzione che ha avuto, quale proprio scopo, la tutela del promissario acquirente, permettendogli di fruire di un più ampio ventaglio di azioni rispetto all’esecuzione del preliminare in forma specifica o alla risoluzione del preliminare: questi, infatti, può agire anche per la riduzione del prezzo o l’eliminazione dei vizi di cui la res sia affetta69.

 

Questa sembra essere la realtà delle contrattazione, che rende così peculiare la figura del preliminare ad esecuzione anticipata. Quest’ultimo possiede la classica caratteristica, tipica dei contratti ad effetti obbligatori, della produzione dell’obbligazione di contrarre il definitivo, ma, oltre a questo, manifesta un contenuto variegato e quanto mai mutevole, di incerta qualificazione giuridica, potendo oscillare tra la gratuità e l’onerosità delle prestazioni (così spaziando, ad esempio, dal comodato alla locazione, ma non senza disconoscere, come sottolineato dalla dottrina, gli schemi tipici della vendita con riserva di proprietà e del leasing operativo70) e mal prestandosi ad un incasellamento meccanico entro questa o quella causa di contratto tipico. In fin dei conti, penso che, come già sostenuto da Portale71, sia un contratto sì preliminare, ma entro questa categoria pur sempre innominato. Penso, ma è una mia opinione personale, che in tal modo la costruzione teorica possa meglio adeguarsi alla mutevolezza delle singole pattuizioni negoziali, senza patire le costrizioni di rigidi schemi astratti ove anche le Sezioni Unite l’hanno incasellata.

 

Non resta, come sempre per qualsiasi teoria giuridica, che aspettare il vaglio dei moderni contract makers, con le loro necessità e reciproche astuzie, oltre che la sorte che questi negozi meriteranno banco judicis.

 

 

 

1 L’art. 1589 Code Civil recita testualmente: “[l]a promesse de vente vaut vente, lorsq’il y a consentement reciproque des deux parties sur la chose et sur le prix”.

 

2 Montesano, Contratto preliminare e sentenza costitutiva, Jovene, 1953. Secondo questo scrittore, poiché il preliminare deve contenere il regolamento negoziale completo per essere idoneo all’esecuzione in forma specifica, il definitivo avrebbe natura non negoziale in quanto atto meramente solutorio.

 

3 Montesano sosteneva infatti, sulla scorta del dogma volontaristico di matrice pandettistica ottocentesca, che poiché le parti sono arbitre di determinare al meglio i propri interessi, queste provvedono a regolamentare nel preliminare i loro interessi, e devono farlo in modo completo, perché detto negozio deve essere suscettibile di esecuzione in forma specifica; per tale ragione, avendo già integralmente regolamentato i propri rapporti con il preliminare, le parti dovrebbero ripetere la propria volontà con il definitivo, che però non avrebbe natura negoziale, in quanto mero atto solutorio, a meno di non voler svilire il preliminare a mera dichiarazione di trattativa. Pertanto, il definitivo sarebbe imposto dalla legge alle parti, e poiché coazione e volontarietà si escludono a vicenda, nel definitivo non poteva essere ravvisata, a detta di questa impostazione, l’esistenza di un contratto.

 

4 A partire da Gabrielli, Il contratto preliminare, Giuffrè, 1970. Sul preliminare ad effetti anticipati l’Autore si è intrattenuto in Id., Il preliminare ad effetti anticipati e la tutela del promissario acquirente, in Riv. Dir. Comm., 1986, II, 313 ss.

 

5 Sacco, La preparazione del contratto, in Sacco – De Nova, Il contratto, tomo secondo, Utet, 1996, 265; così, diffusamente, De Matteis, La contrattazione preliminare ad effetti anticipati, Cedam, 1991, 136 ss., 143 ss., 164.

 

6 Roppo, Il contratto, Giuffrè, 2001, 652.

 

7 In argomento, Sicchiero, Il contratto preliminare, in Roppo (cur.), Trattato del contratto, vol. 3, a cura di Costanza, Giuffrè, 2006, 391 ss.

 

8 Roppo, Il contratto, cit., 658; per ulteriori differenze, Bianca, Diritto civile, vol. 3, Giuffrè, 1998, 200 ss.

 

9 Sicchiero, Il contratto, cit., 392 s.

 

10 Sacco, La preparazione, cit., 265.

 

11 Roppo, Il contratto, cit., 659.

 

12 Roppo, Il contratto, cit., 659.

 

13 La giurisprudenza utilizza proprio questo criterio per distinguere il preliminare dal definitivo: per questa considerazione Roppo, Il contratto, cit., 659 e, per una recente applicazione, Cassazione S.U. 27.03.2008, n. 7930.

 

14 Paolini, Il negozio di accertamento, Cedam, 1990, ove approfondimenti di giurisprudenza.

 

15 Circa il problema della non ripetizione nel definitivo di clausole contenute nel preliminare, Roppo, Il contratto, cit., 660, ove l’invito a rifuggire da impostazioni estreme, quali l’intangibilità del preliminare ad opera del definitivo e l’assorbimento del preliminare nel definitivo, per una analisi caso per caso dei testi contrattuali.

 

16 Bianca, Diritto civile, vol. 6, Giuffrè, 1999, 728 ss.

 

17 Bianca, Diritto civile, vol. 6, cit., 715.

 

18 Galgano, Possesso, I) Diritto civile, Enc. Giur. Treccani, ad vocem.

 

19 De Martino, Del possesso, della denunzia di nuova opera e di danno temuto, Zanichelli – Il Foro Italiano, 1984, 1.

 

20 De Martino, Del possesso, cit., 9. Conformi all’opinione tradizionale sono, ad esempio: Sacco – Caterina, Il possesso, Giuffrè, 2000, 96; Galgano, Possesso, cit., 2; Id., Diritto civile e commerciale, I, Cedam, 2004, 448 ss.

 

21 Bianca, Diritto civile, vol. 6, cit., 731.

 

22 Bianca, Diritto civile, vol. 6, cit., 730.

 

23 Bianca, Diritto civile, vol. 6, cit., 732.

 

24 Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Cedam, 1999, 478.

 

25 Così, ad esempio, Cassazione 22.07.2003, n. 11415; conformi: Cassazione 07.07.2000, n. 9106; 13.07.1993, n. 7690.

 

26 Si esprime in questi termini Cassazione 9106 cit., la quale, però, curiosamente, ritiene di non derogare alla natura del preliminare come contratto ad effetti obbligatori.

 

27 Testualmente Cassazione 9106/2000 cit.

 

28 Caterina, Il possesso, in Gambaro – Morello (curr.), Trattato dei diritti reali, vol. 1, Giuffrè, 2008, 384.

 

29 Cassazione 27.02.1996, n. 1533; Cassazione 30.05.2000, n. 7142; Cassazione 28.06.2000, n. 8796.

 

30 Recentemente ha fatto definitivamente il punto della situazione l’importante Cassazione 01.03.2010, n. 4863, così massimata da Iandolo, in Garofoli – Chinè – Iannone (curr.), Codice civile annotato con la giurisprudenza, Nel Diritto Editore, 2010, 1081 s.: “[n]ella promessa di vendita, la consegna del bene (nella specie, immobile) e l’anticipato pagamento del prezzo, prima del perfezionamento del contratto definitivo, non sono indice della natura definitiva della compravendita, atteso che – quale che ne sia la giustificazione causale (clausola atipica introduttiva di un’obbligazione aggiuntiva o collegamento negoziale) – è sempre il contratto definitivo a produrre l’effetto traslativo reale; conseguentemente, la disponibilità del bene conseguita dal promissorio acquirente, in quanto esercitata nel proprio interesse, ma alieno nomine, in assenza dell’animus possidendi, ha natura di detenzione qualificata e non di possesso utile ad usucapionem, salvo la dimostrazione di una sopraggiunta “interversio possessionis” nei modi previsti dall’art. 1141, comma 2, c.c.”.

 

31 Ne conviene anche Caterina, Il possesso, cit., 384.

 

32 In materia ad esempio Cassazione 18.04.2003, n. 6331.

 

33 Questa ricostruzione è asserita anche dalla giurisprudenza di legittimità: Cassazione 29.05.1981, n. 3523; Cassazione 12.07.2004, n. 12820; Cassazione 28.02.2006, n. 4404. Per la massima si può utilmente consultare Ciafardini – Izzo (curr.), Codice civile annotato con la Giurisprudenza, Edizioni Giuridiche Simone, 2010, 1071.

 

34 Al riguardo già Cassazione 25.05.1987, n. 4898, in Ciafardini – Izzo (curr.), Codice civile, cit., 1071, oltre che le pronunce citate alla n. precedente.

 

35 Cassazione 12.07.2004, n. 12820; Cassazione 31.05.2006, n. 12968; in dottrina, per tutti, Sacco – Caterina, Il possesso, cit., 233.

 

36 Bianca, Diritto civile, vol. 6, cit., 760; De Martino, Del possesso, cit., 18.

 

37 Cassazione 09.03.1992, n. 2802, in Ciafardini – Izzo (curr.), Codice civile, cit., 1071.

 

38 Bianca, Diritto civile, vol. 6, cit., 760.

 

39 Cassazione 07.12.2006, n. 26228, Cassazione 03.10.2000, n. 13104 Cassazione 29.07.1997, n. 7090, in Ciafardini – Izzo (curr.), Codice civile, cit., 1072; in argomento, conforme, anche Cassazione 05.12.1990, n. 11691.

 

40 Sacco – Caterina, Il possesso, cit., 233.

 

41 Cassazione 15.03.2005, n. 5551; Cassazione 19.08.2002, n. 1223, la cui massima è reperibile in Garofoli – Chinè – Iannone, Codice civile, cit., 1083 s.

 

42 Conformi sia Cassazione S.U. 27.03.2008, n. 7930, cit., sia la successiva Cassazione 01.03.2010, n. 4863, cit., che alla prima espressamente si richiama.

 

43 Cenni, Il contratto preliminare ad effetti anticipati, in Contr. Impr., 1994, 1140 ss.

 

44 Sulla legittimazione attiva del solo possessore per l’esercizio dell’azione di manutenzione, ad esempio, Gazzoni, Manuale di diritto privato, ESI, 2001, 230; De Martino, Del possesso, cit., 153. In giurisprudenza, ad esempio: Cassazione 24.02.1995, n. 2125; Cassazione 08.03.2006, n. 4917.

 

45 Galgano, Trattato di diritto civile, vol. 1, Cedam, 2009, 425.

 

46 Si esprime in questi termini Galgano, Il contratto, Cedam, 2007, 37.

 

47 In argomento, Sicchiero, Il contratto con causa mista, Cedam, 1995, ove ampi ragguagli.

 

48 In luogo di molti, Galgano, Il contratto, cit., 154; più approfonditamente sul punto, Id., Il collegamento contrattuale, in Visintini (cur.), Dieci lezioni di diritto civile, Giuffrè, 2001, 179 ss.

 

49 Retro, § 3.a.

 

50 Gazzoni, Deve essere autorizzato il preliminare di vendita di un bene del minore? Il promissario acquirente cui sia stata consegnata la cosa è detentore o possessore?, in Riv. Not., 2001, 723 ss.

 

51 Per questa impostazione il contratto definitivo viene ad essere mero negozio di adempimento: Montesano, Obbligazione e azione da contratto preliminare, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1970, 1173 ss..

 

La conseguenza di questa impostazione risiede nel fatto che, in tal modo, il definitivo viene ad avere causa esterna, da ravvisarsi nel preliminare, per modo che tutti i vizi di cui fosse affetto il preliminare si ripercuotono sulla validità del definitivo. In argomento, Pennisi, La giurisprudenza, cit., 2 s.

 

52 Gazzoni, Deve essere autorizzato, cit., 731.

 

53 Al riguardo, Pennisi, La giurisprudenza, cit., 3.

 

54 Pennisi, La giurisprudenza, cit., 3 s.

 

55 De Matteis, La contrattazione, cit., 143 ss.

 

56 Portale, Principio consensualistico e conferimento di beni in proprietà, in Riv. Soc., 1970, 938 ss.

 

57 Ad esempio, Montesano, Obbligo a contrarre, in Enc. Dir., Giuffrè, 1979, 511, ad vocem.

 

58 Corrias, La nuova disciplina della trascrizione del contratto preliminare e le attuali prospettive di inquadramento del cd. preliminare ad effetti anticipati, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1998, 1018.

 

59 Lener, Contratto preliminare ad esecuzione anticipata del definitivo e rapporto intermedio, in Foro It., 1977, c. 672.

 

60 Puppo, Preliminare di vendita immobiliare con consegna anticipata e possesso ad usucapionem, in Foro It., 2009, c. 3161.

 

61 Patti, Consegna del bene al momento del preliminare e acquisto della detenzione, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2008, II, 286.

 

62 Giuliano, Il commento, in Notariato, 4/2008, 398.

 

63 Giuliano, Il commento, cit., 398, sottolinea come la qualificazione della somma di danaro come caparra escluda ogni riferimento al contratto di mutuo, e come, nella maggioranza dei casi, la somma sia versata a garanzia della serietà dei propri impegni contrattuali e a seguito della avvenuta consegna del bene promesso in vendita.

 

64 In argomento, Cenni, Il contratto preliminare, cit., 1137 ss.

 

65 Gazzoni, Deve essere autorizzato, cit., 731.

 

66 Sul rapporto intercorrente tra preliminare e definitivo come unitaria fattispecie procedimentale, De Matteis, La contrattazione, cit., 143 ss.

 

67 Sacco, La preparazione, cit., 265: “[q]uella possibilità di controllo sulla qualità del bene, che caratterizza la sequenza di preliminare e definitivo, si esalta se la cosa viene consegnata al compratore prima della conclusione del definitivo”. In argomento, approfonditamente, De Matteis, La contrattazione, cit., 136 ss., 143 ss., 164.

 

68 Gabrielli, Il “preliminare ad effetti anticipati”, cit., 317 e 319 spec.; diffusamente, sul punto, De Matteis, La contrattazione, cit., 87 ss., ove un’analisi (ivi, 90 ss.) dell’importante Cassazione S.U. 27.02.1985, n. 1720, inaugurativa della cd. teoria del doppio contratto, come denominata da Pennisi, La giurisprudenza sul contratto preliminare, reperibile su www.ildirittoamministrativo.it, ove un’analisi dei tre filoni giurisprudenziali di legittimità sostenuti nel corso del tempo dalla Suprema Corte in merito al rapporto intercorrente tra preliminare e definitivo.

 

69 Pennisi, La giurisprudenza, cit., 7 ss., ove riferimenti di giurisprudenza.

 

70 De Matteis, La contrattazione, cit., 181 n. 87, la quale osserva l’indubbia assonanza nel caso in cui sia stata pattuita la consegna immediata del bene accompagnata dal pagamento immediato del prezzo frazionato in rate, delle quali l’ultima da adempiere in data coincidente con la stipulazione del definitivo, che segna il passaggio in proprietà della res.

 

71 Portale, Principio consensualistico, cit., 938 ss., laddove si fonda questa opinione sulla deroga al principio consensualistico (ivi, 939).

 

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