Agnese Andrea
Sommario: 1. La fattispecie
concreta; 2. Ricostruzione teorica dei problemi; 3. La
giurisprudenza in materia: il contrasto esistente
anteriormente alla Cassazione S.U. 7930/2008; a)
L’interversione del possesso e la tutela possessoria del
promissario acquirente; b) La natura del contratto
preliminare di vendita ad effetti anticipati e la tesi
dei contratti di comodato e mutuo gratuito; 4.
Conclusione.
Il presente scritto ha ad
oggetto una classe di fattispecie molto comuni: quella
dei preliminari di vendita immobiliare, nei quali il
promissario acquirente versa al promittente alienante
una parte del prezzo a titolo di caparra confirmatoria e
viene immesso nel possesso dell’immobile. Si supponga
che le parti non addivengano alla conclusione di un
contratto definitivo: cosa succede se trascorsi venti
anni il proprietario del bene o i suoi eredi si vedono
opporre da controparte il rifiuto di versare la restante
parte del prezzo di acquisto, adducendo di avere
usucapito l’immobile?
Giuridicamente, il problema può
essere impostato sotto due angoli prospettici
completamente differenti. Da un lato, si può ravvisare
un problema di diritto contrattuale e considerare il
regolamento negoziale per ricostruire la concreta
volontà delle parti, così da appianare il conflitto di
interessi, alla luce delle stesse previsioni
contrattuali. Dall’altro, ci si può chiedere quale sia
la natura del rapporto di fatto instaurato tra il
soggetto e il bene, se, in particolare, si tratti di
detenzione o di possesso.
Chi scrive ritiene che questi due
test vadano usati in modo cumulativo, poiché intimamente
correlati tra loro e perché in sé l’adozione di un solo
criterio, omisso altero, conduce a risultati
insoddisfacenti in quanto parziali.
Analizzando la fattispecie concreta
nell’ottica del diritto contrattuale, è necessario,
prima di tutto, procedere ad una ermeneusi del concreto
testo negoziale, onde chiarire se si tratti di un
preliminare vero e proprio piuttosto che non di un
contratto definitivo che merita di essere riqualificato;
se sia un contratto tipico ovvero atipico; se ci si
trovi al cospetto di più contratti collegati.
Quella del contratto preliminare è
una storia particolarmente travagliata, che ha scontato
dapprima il principio, di origine francese, per il quale
la promessa di vendita è vendita1, nonché la successiva
ricostruzione degli studiosi italiani, poco inclini al
riconoscimento dell’istituto in esame, malgrado la sua
innovativa introduzione nel testo del codice civile,
seppure limitata a particolari profili.
La progressiva apertura manifestata
dall’ordinamento nei confronti di questo strumento ha
portato gli autori a interrogarsi sulla sua funzione e,
correlativamente, a svilire quelle dottrine che volevano
negare accesso nel nostro ordinamento a questa
particolare figura (particolarmente, Montesano2), sulla
scorta di un infondato rapporto di volontarietà e
obbligatorietà che veniva instaurato tra preliminare e
definitivo3.
In sé, il codice civile non si
occupa compiutamente del preliminare, preso in
considerazione soltanto per regolarne la forma (art.
1351 c.c.), la trascrizione (art. 2645 bis c.c.) e in
caso di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di
concludere il definitivo (art. 2932 c.c.).
Quanto alle funzioni del
preliminare, convincente e oramai patrimonio comune dei
civilisti è la analisi propugnata da Gabrielli4, nei
numerosi scritti che l’Autore ha dedicato all’argomento
della scissione tra preliminare e definitivo, a detta
del quale la funzione principe del primo è quella di
consentire alle parti di compiere le relative
determinazioni necessarie per addivenire alla
conclusione dell’affare fermando però nel contempo
quest’ultimo. Così opinando, il contraente può compiere
tutti i rilievi che ritenga opportuni in merito alla
presenza di eventuali difetti o vizi occulti del bene,
rinviando la produzione dell’effetto traslativo ad un
momento in cui lo stato della situazione fattuale gli
sia meglio noto.
La scissione della volontà delle
parti in due distinti negozi è motivata, in breve, dal
controllo che una parte vuole esercitare sulla qualità
del bene o della prestazione di controparte5, oltre che,
come spesso accade, dalla necessità di reperire adeguata
provvista utile al fine della conclusione
dell’operazione economica6.
Questa notazione ha posto il
problema di distinguere il preliminare, specialmente
qualora si tratti di preliminare c.d. unilaterale, dal
contratto di opzione. Al riguardo, si è sostenuto che
mentre il preliminare comporta pur sempre la
stipulazione di un ulteriore negozio, l’opzione crea la
situazione finale senza necessità di pattuizioni
ulteriori7; quest’ultima, inoltre, almeno secondo
l’opinione tradizionale, non è suscettibile di
trascrizione8. Quanto al preliminare unilaterale, si è
rilevato che esso produce l’immediata assunzione
dell’obbligazione di stipulare il definitivo, mentre
l’opzione genera nel promittente l’obbligo di non
contrattare con altri se non dopo aver ricevuto la
dichiarazione dell’opzionario consistente nella sua
indisponibilità a concludere il contratto9.
Inoltre, la medesima asserzione è
stata ravvisata dalla dottrina alla base di un
interessante sviluppo che il preliminare ha avuto, in
via di prassi, nell’ambito delle contrattazioni
immobiliari, laddove, come si è autorevolmente
osservato10, la possibilità di controllo viene
soddisfatta quam maxime dalla consegna della res al
compratore anteriormente alla produzione dello stesso
effetto traslativo.
La figura del preliminare ad
effetti anticipati può essere riformulata, in punto di
mero diritto, alla luce dei rapporti intercorrenti con
il contratto definitivo, pretermessa ogni considerazione
afferente il controllo di qualità, della quale si è
appena discorso.
In altre parole, detto istituto può
far sorgere la seguente domanda: poiché attraverso tale
strumento si possono anticipare alcuni effetti del
definitivo, quali tra questi effetti sono anticipabili
al preliminare? Solo alcuni o anche tutti? E l’effetto
traslativo è anticipabile?11
La questione non è di rilievo
esclusivamente teorico, in quanto essa incide in modo
pregnante sulla soluzione della stessa classe di
fattispecie concrete che possono sollevare un simile
problema, come quella oggetto del presente contributo.
Si coglie, finalmente, il nesso che
lega contratto a diritto reale: se l’effetto traslativo
è anticipabile, si è costituita una situazione di
possesso in capo all’acquirente che non ha versato
l’intero prezzo, e questi può usucapire; diversamente,
qualora dovesse riconoscersi la non anticipabilità di
simile effetto, egli avrebbe la mera detenzione perché,
non essendosi ancora prodotto il passaggio di proprietà,
riconoscerebbe la altruità del bene, quindi non potrebbe
usucapire.
Ovviamente alla domanda che ci
siamo posti ne segue un’altra, di rilievo più
speculativo12: che natura ha il definitivo se le sue
prestazioni si sono consumate prima di esso? Le cose
cambiano, a fini qualificatori, se si sono già adempiute
solo alcune o tutte le prestazioni? E se si è già
verificato l’effetto traslativo?
In questo caso la risposta non è
altro che un corollario della soluzione che abbiamo
fornito al primo quesito. Di certo già da ora si deve
rispondere recisamente con riferimento all’effetto
traslativo; se questo fosse anticipato al preliminare,
questo in realtà non sarebbe tale, bensì esso stesso
definitivo13, ed il secondo contratto null’altro sarebbe
che un negozio di accertamento14. Questo purché che il
secondo patto abbia contenuto uguale al precedente; se
alcune clausole non sono riportate più o sono state
modificate, questo deve essere qualificato come
modificativo di uno precedente, poiché con esso, ai
sensi e per gli effetti dell’art. 1321 c.c., le parti
hanno costituito, modificato o estinto diritti di cui
potevano disporre15.
Si coglie appieno l’intimo legame
che avvince, ai fini della risoluzione del problema in
esame, il contratto preliminare e la qualificazione del
rapporto di fatto che intercorre tra il promissario
acquirente e la res oggetto della vendita.
A quest’ultimo riguardo, occorre
distinguere tra possesso e detenzione, riconoscendo nel
primo quella situazione di fatto che consiste
nell’esercizio di una attività corrispondente
all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale;
nella seconda, la situazione, parimenti fattuale, nella
quale il soggetto che vanta la materiale disponibilità
del bene riconosce l’appartenenza ad altri del medesimo
(art. 1141 c.c.).
Molto ci si è interrogati sulla
nozione di possesso, specialmente perché la concezione
tramandataci dalla dottrina tradizionale, risalente alla
sistematica di Savigny, peccherebbe, per la dottrina
attuale, per dare rilievo ad un elemento psicologico in
realtà insussistente16. Oggi, abbandonate le
ricostruzioni più risalenti, come quella di Fadda, che
vi ravvisavano un diritto17, si riconosce che il
possesso è un fatto18 e da parte di molti autori si
asserisce che il codice ha polarizzato la propria
attenzione sull’elemento oggettivo che connota il
fenomeno possessorio19. A detta di questa opinione,
infatti, la sussistenza dell’animus possidendi è
assorbita dal titolo, oppure dal comportamento uti
dominus di chi ha la materiale disponibilità della
cosa20.
Contro la teoria volontaristica di
Savigny si osserva oggi che il codice non fa menzione
alcuna dell’elemento psicologico ravvisabile in capo al
possessore, poiché esso richiede la corrispondenza del
potere sulla cosa all’esercizio della proprietà o di
altro diritto reale21.
Da tale asserzione si traggono vari
corollari, quale l’irrilevanza dello stato psicologico
di incapacità o di incoscienza del possessore22 e la
distinzione tra il fenomeno in esame e la detenzione,
prospettabile nella diversa rilevanza sociale assunta
dalla disponibilità materiale del bene. A quest’ultimo
proposito, infatti, un conto è il rapporto materiale
sulla cosa che si estrinseca nell’esercizio di facoltà
proprie del diritto dominicale, un altro è il corpus che
si risolve in un diritto personale di godimento o nel
contenuto di un rapporto di ospitalità o di servizio23.
Parzialmente differente è
l’inquadramento che della detenzione viene svolto dalla
dottrina tradizionale, la quale vi riconosce un mero
potere di fatto sulla cosa nomine alieno, ossia non
accompagnato dall’animus di spiegare una attività
corrispondente all’esercizio di diritto dominicale o
reale limitato24.
Occorre domandarsi quale delle due
situazioni di fatto cennate debba essere predicata in
capo al promissario acquirente; ossia, in altre parole,
se questi sia un possessore o un detentore. Sul punto,
la giurisprudenza di legittimità ha per molto tempo
manifestato un contrasto di opinioni, sanato dalle
Sezioni Unite nel 2008, con una pronuncia che non ha
mancato di suscitare polemiche.
L’arresto del 2008 ha portato
la Suprema Corte a Sezioni Unite ad interrogarsi circa
la relazione di fatto che si instaura a seguito della
stipulazione di un preliminare ad effetti anticipati in
capo al promissario acquirente a cui venga consegnato il
bene, così appianando il contrasto che si era creato in
seno alla Seconda Sezione.
Nel corso del tempo, infatti, non
sono mancate pronunce che hanno ravvisato nella consegna
immediata del bene il titolo idoneo a costituire una
situazione possessoria, poiché in presenza di un titolo
e di un utilizzo della cosa che non può dirsi né
violento né clandestino25. Così opinando, si è derogato
all’insegnamento tradizionale che ravvisa nel
preliminare un contratto ad effetti obbligatori,
muovendo dal presupposto per cui la consegna del bene è,
in sé considerata, un atto neutro o negozio astratto,
che non richiede un fondamento causale26. Deve
riconoscersi tuttavia come la Corte abbia mostrato di
rendersi conto perfettamente che tale elaborazione
concettuale osta al riconoscimento del preliminare come
contratto ad effetti obbligatori; tuttavia ha ritenuto
di poter isolare, nell’ambito di questi ultimi, quelli
che “(…) tendono a realizzare il trasferimento della
proprietà del bene o di un diritto reale su di esso
quando ad essi acceda un immediato effetto traslativo
del possesso sostanzialmente anticipatore degli effetti
traslativi del diritto che, con la convenzione, le parti
si sono ripromessi di realizzare”27. In tal modo, si
ritiene possibile stipulare un patto che trasferisca il
possesso senza trasferire la proprietà28.
La giurisprudenza maggioritaria,
tuttavia, reputa(va) che nel caso di specie non si
potesse che parlare di detenzione del bene, e non di
possesso, giacché nel contratto con effetti anticipati
la consegna del bene avviene con la consapevolezza del
promissario acquirente della non ancora avvenuta
produzione dell’effetto traslativo, rinviato alla
successiva stipulazione del contratto definitivo29.
Nella promessa di vendita, infatti,
qualora venga effettuata la consegna anticipata del
bene, resta pur sempre ferma la posposizione
dell’effetto traslativo all’atto della stipulazione del
contratto finale, poiché il preliminare è un contratto
con effetti obbligatori dal quale scaturisce unicamente
un’obbligazione di facere, ossia quella consistente nel
prestare il successivo consenso al perfezionamento del
definitivo30.
Quest’ultima ricostruzione si
rivela maggiormente aderente ai principi31: quando il
promissario acquirente entra nell’appartamento ed
incomincia ad abitarlo, egli sa di dover pagare ancora
gran parte del prezzo e di dover stipulare ancora il
definitivo con il proprietario, motivo per cui egli
riconosce la altruità del bene e tiene comportamenti che
non costituiscono una molestia, di fatto o di diritto,
del legittimo diritto dominicale del promittente
alienante. Quest’ultimo, dal canto suo, viene in tal
modo a mutare il proprio possesso della res da immediato
(corpore et animo) a mediato (solo animo).
Giunti a questo punto del
ragionamento, sorge la necessità di porsi due domande:
a) cosa succede se il detentore inizia a contestare il
diritto del proprietario o comunque tiene comportamenti
incompatibili con l’altrui diritto di proprietà? E se,
al contrario, questi viene molestato nel godimento del
bene anteriormente alla stipulazione del definitivo?; b)
che natura giuridica ha la situazione di fatto che si
viene a creare nel momento intermedio tra la
stipulazione del preliminare e quella non ancora
intervenuta del definitivo?
Con riferimento al primo
problema, soccorre il disposto dell’art. 1141 c.c.,
laddove questo riconosce all’opposizione dispiegata dal
detentore contro il possessore la capacità di mutare la
detenzione stessa in possesso. Questo fenomeno si
definisce, come noto, interversione del possesso
(interversio possessionis); esso si contrappone
idealmente al mutamento del possesso in detenzione, noto
come costituto possessorio (constitutum possessorium),
che si realizza, ad esempio, quando il proprietario di
una cosa la venda ad altri e la trattenga presso di sé
fino alla consegna e in attesa di questa32.
Perché la detenzione si trasformi
in possesso, ancorché di mala fede, non basta una intima
determinazione in tal senso del detentore, occorrendo,
al contrario, un fatto esterno, da cui sia possibile
desumere che il detentore nomine alieno ha cessato di
riconoscere il diritto dominicale altrui ed ha iniziato
a possedere in modo autonomo, ossia per conto e in nome
proprio. In tal caso, l’opposizione deve essere rivolta
esplicitamente contro il possessore originario, ossia
contro il soggetto nel cui nome la cosa era
antecedentemente detenuta da chi dispiega l’opposizione,
in modo da esternare e rendere riconoscibile ai terzi in
modo univoco il mutamento della situazione fattuale,
passata da detenzione a possesso, oltre che il
cambiamento delle intenzioni di chi prima era detentore,
il quale intende esercitare sulla cosa poteri
corrispondenti a quelli che prima venivano riconosciuti
all’originario possessore33.
In altre parole, l’interversione
del possesso si sostanzia nella negazione, da parte del
detentore, del possesso del terzo, in nome del quale
prima si deteneva la cosa, oltre che nella correlativa
affermazione del proprio possesso autonomo34; detta
opposizione può essere tanto espressa, ossia portata a
conoscenza con esplicita dichiarazione, quanto tacita,
ovvero realizzata mediante comportamento concludente35:
vige, al proposito, la più ampia libertà delle forme36.
È stato anche precisato dalla
giurisprudenza che l’art. 1141 c.c. non può applicarsi
al detentore non qualificato, per ragioni di servizio o
di ospitalità, il quale non può semplicemente limitarsi
ad invocare un titolo diverso dalla propria qualifica di
ospite o di dipendente e continuare a comportarsi come
tale, dovendo egli compiere un atto di
impossessamento37.
L’opposizione produce effetti a
prescindere dalla sua fondatezza giuridica, né estingue
il titolo originario, per cui i precedenti diritti ed
obblighi intercorrenti tra le parti restano immutati,
cambiando solo la situazione detentoria, trasformatasi
in possessoria38.
Astrattamente, si può verificare
interversione del possesso, oltre che per opposizione
del detentore, anche per causa proveniente da un terzo,
intendendosi, con tale espressione, qualsiasi atto di
trasferimento del diritto che sia idoneo a legittimare
il possesso, a prescindere dalla validità del medesimo e
compreso anche l’acquisto a non domino, secondo quanto
insegna la giurisprudenza39.
La dottrina ha così avuto modo di
precisare che il titolo che in questi casi rileva non è
quello idoneo a trasferire la proprietà, ma quello utile
a fondare il possesso40.
Non basta. Si è detto finora che il
possesso utile ai fini della usucapione si realizza
quando la relazione con la res consegua ad un
comportamento del detentore che riveli la sua volontà di
mutare la sua detenzione in possesso autonomo.
Chiediamoci ora: quid juris se quest’ultimo consegue la
materiale disponibilità della cosa per un atto
volontario del proprietario possessore?
La domanda non è peregrina, giacché
si attaglia al caso di specie, in cui il promissario
acquirente consegue la materiale disponibilità della
cosa proprio perché viene immesso nel possesso dal
promittente venditore, il quale, nel momento
dell’immissione in possesso, è ancora proprietario
dell’immobile. A un simile interrogativo la
giurisprudenza ha risposto che la presunzione di
possesso utile alla usucapione in questo caso non opera,
perché la relazione che il detentore ha con la cosa non
consegue ad un atto materiale di apprensione di
quest’ultimo, ma ad un atto compiuto dal proprietario
possessore, ragion per cui la attività del soggetto che
dispone materialmente della cosa, configurabile come
detenzione semplice (o precario) non corrisponde
all’esercizio di alcun diritto reale, non essendo svolta
in opposizione al proprietario, dalla cui volontà, anzi,
consegue. In questo caso, perché la detenzione muti in
possesso, è necessario, da parte del detentore, il
compimento di una attività specifica, che costituisca
interversione del possesso, tale da escludere che il
persistente godimento della cosa sia fondato unicamente
sul consenso del proprietario, bensì su un titolo
autonomo vantato da chi pretende di convertire la
propria detenzione in possesso41.
In fin dei conti è proprio quanto è
accaduto nel caso da cui ha preso le mosse il presente
contributo: il promittente alienante ha immesso nel
possesso dell’immobile il promissario acquirente e la
relazione materiale di quest’ultimo con la res deve
essere qualificata come detenzione finché questi non
compia un atto o non manifesti comportamenti che
disconoscano il possesso altrui, realizzando una
interversione del possesso. Fin tanto che il promissario
acquirente abita l’appartamento in attesa del
perfezionamento del contratto definitivo, questi può
soltanto essere qualificato come detentore nomine
alieno, non certo come possessore, come viceversa si è
talvolta ragionato da parte di quella giurisprudenza di
legittimità, peraltro minoritaria, di cui è dato conto
in precedenza42.
A questo punto del ragionamento, si
può iniziare a inquadrare il rapporto di fatto che
intercorre tra l’immobile oggetto di preliminare
perfezionato e il promissario acquirente come detenzione
in nome altrui e non come possesso.
Da questa conclusione discende un
corollario, inerente la tutela di cui il promissario
acquirente dispone qualora questi venga molestato nella
propria detenzione qualificata43. Occorre stabilire, in
particolare, se questi sia legittimato ad esperire
azione di manutenzione per molestie provenienti da
terzi. Dalla conclusione cui siamo pervenuti si
inferisce l’azionabilità in giudizio del solo spoglio44,
pertenendo la qualità di possessore, seppure mediato, al
proprietario, al quale il detentore deve rivolgersi per
l’esercizio dell’azione di manutenzione. Dal canto suo,
il primo non agisce in qualità di proprietario, ma di
possessore, ottenendo una protezione più rapida di
quella di cui avrebbe goduto agendo in quanto titolare
di diritto dominicale, poiché dispensato dall’onere
probatorio inerente la proprietà del bene, spesso arduo
da fornire45.
Si può fare un passo avanti nel
discorso e domandarsi, tornando così alla prospettiva
contrattuale, che rapporto giuridico venga creato dal
preliminare ad effetti anticipati che immetta nel
possesso il promissario acquirente anteriormente alla
stipulazione del contratto definitivo, posto che, come
appena dimostrato, la situazione di fatto che si crea è
da ascrivere al novero delle detenzioni e non dei
possessi.
Volgiamo il ragionamento
nuovamente alla prospettiva contrattuale, avendo
terminato l’analisi dal punto di vista dei diritti
reali, e torniamo al contratto preliminare ad effetti
anticipati da cui siamo partiti: che natura giuridica ha
detto negozio? E che rapporti giuridici si creano medio
tempore, nel periodo intercorrente tra la stipulazione
di esso e quella del contratto definitivo di vendita
dell’immobile?
A questi interrogativi ha fornito
risposta la Cassazione a Sezioni Unite del 2008, la
quale, sul punto, non ha mancato di suscitare polemiche
e rilievi per le soluzioni cui è pervenuta.
In primo luogo, le Sezioni Unite
escludono che il contratto sia atipico, ossia un negozio
innominato teso a disimpegnare interessi meritevoli di
tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c., poiché esso
realizza, attraverso un'unica convenzione, gli elementi
costitutivi di più contratti tipici, per modo che la
atipicità risulta conseguentemente esclusa.
La dottrina che si è occupata
dell’argomento ha rilevato che la libertà contrattuale
assume un duplice rilievo, sia come libertà di
perseguire finalità diverse da quelle perseguibili con i
contratti tipici, sia come libertà di perseguire con
modalità contrattuali atipiche finalità già
astrattamente in grado di essere soddisfatte con
contratti tipici. Infine, essa è libertà di servirsi di
negozi tipici per realizzare finalità atipiche, come nel
caso del negozio fiduciario, oppure di combinare fra
loro negozi tipici o atipici per realizzare convenzioni
contrattuali nuove con le quali disimpegnare esigenze ed
interessi nuovi ed ulteriori rispetto a quelli
isolatamente soddisfatti da ciascun negozio oggetto di
combinazione46.
Consegue, da questa impostazione,
che laddove si combinino in un’unica convenzione più
negozi giuridici tra loro per perseguire uno scopo
unitario, si è al cospetto di un collegamento tra
contratti diversi. È escluso, pertanto, il riferimento
sia al contratto misto sia a quello complesso47, poiché
nel collegamento negoziale i contratti coinvolti
mantengono la loro specificità causale, con conseguente
pluralità di cause; laddove, al contrario, nel contratto
misto, la causa è unitaria48.
La Cassazione cerca così nella
fattispecie concreta i due requisiti che devono
sussistere per avere collegamento negoziale in senso
tecnico, ossia la combinazione di più contratti tra loro
in nome di uno scopo unitario perseguito dalle parti.
Nel far ciò, si richiamano i possibili motivi che
possono indurre le parti a stipulare un contratto
preliminare in luogo, immediatamente, del definitivo, e
si sostiene che le parti stipulano contratti accessori
al preliminare, autonomi ma funzionalmente collegati ad
esso, con i quali si regolamenta la situazione
intermedia tra la conclusione del preliminare e la non
ancora avvenuta stipulazione del definitivo.
Passiamo così a rispondere alla
seconda questione che abbiamo individuato, ossia quella
che verte sulla individuazione dei rapporti giuridici
che si creano in questo frangente di tempo intermedio.
Già abbiamo chiarito, al paragrafo precedente49, che il
rapporto di fatto che si crea tra il promissario
acquirente e l’immobile nel quale è stato immesso è una
detenzione nomine alieno. Ora ci occupiamo di
individuare i rapporti negoziali.
Al riguardo, le Sezioni Unite hanno
fornito una risposta che non ha mancato di animare il
dibattito, incentrata su un’opinione di Francesco
Gazzoni50 a proposito di un caso in cui una madre, in
quanto usufruttuaria dei beni delle figlie minori nonché
rappresentante legale di queste ultime, aveva promesso
di vendere un immobile ad un terzo, senza investire il
giudice tutelare ai sensi dell’art. 320 c.c., come
viceversa avrebbe dovuto. Al raggiungimento della
maggiore età, le figlie avevano esperito azione di
annullamento del negozio, instando per la sua
restituzione ed il pagamento della somma corrispondente
ai frutti percepiti dal promissario acquirente.
Quest’ultimo, dal canto suo, aveva invocato
l’intervenuta usucapione del fondo in virtù del possesso
ininterrotto del medesimo.
Analizzando la fattispecie concreta
appena prospettata, Gazzoni ha considerato la figura del
preliminare ad effetti anticipati, che nel caso di
specie ricorreva, stante l’avvenuta consegna del fondo
al promissario acquirente, osservando come con esso le
parti possano anticipare, in tutto o in parte, gli
effetti del contratto definitivo.
Trattasi, precisa l’Autore, di una
anticipazione non certo giuridica, che pure è stata
sostenuta dalla dottrina51, ma puramente economica, e la
provvisorietà insita nella situazione stessa che si
viene a creare conferisce natura obbligatoria alle
prestazioni compiute dai promittenti. Questi, infatti,
con la stipula del preliminare si impegnano,
rispettivamente, a non pretendere la ripetizione della
somma e a non esigere la restituzione della cosa.
Pertanto, è come se i promittenti
stipulassero, collateralmente al preliminare, negozi
accessori, distinti ma a questo collegati da vincolo
negoziale, un comodato e un mutuo a titolo gratuito,
così da permettere alla controparte, rispettivamente, di
disporre della somma di danaro, lucrandone i frutti e
senza aver pagato interessi per il prestito, nonché di
godere dell’immobile a titolo gratuito (così effettuando
di prima persona quel controllo di qualità cui sarebbe
deputato il preliminare)52.
In questo modo, peraltro, si è
studiato il modo di tenere fede all’insegnamento ad oggi
maggioritario del preliminare come contratto ad effetti
meramente obbligatori, produttivo solamente dell’obbligo
di stipulazione del definitivo (pactum de contrahendo) e
della promessa di prestazioni future (pactum de dando).
Questa concezione, alla base del
ragionamento di Gazzoni, segna un passo avanti rispetto
alla dottrina più tradizionale, che concepiva il
preliminare come mero pactum de contrahendo, in tal modo
arricchendo il contenuto della stipulazione preliminare
con elementi prima pretermessi, che obbligano i
paciscenti non solo alla prestazione del futuro
consenso, ma anche a realizzare quei comportamenti
accessori, necessari per realizzare il programma
finale53.
Inoltre, la teoria maggioritaria,
della quale il pensiero dell’Autore costituisce
applicazione, affida al definitivo la funzione di
strumento di controllo delle sopravvenienze che avessero
a verificarsi successivamente alla stipula del
preliminare, a partire dalla quale, peraltro, si
consente l’esperimento delle azioni giudiziali
necessarie alla salvaguardia del regolamento negoziale
del definitivo54. A quest’ultimo proposito, tuttavia, la
dottrina ha distinto varie categorie di preliminare, in
ragione di una graduazione che tenga conto della
eseguibilità o meno del negozio in forma specifica, o
della funzione che il preliminare venga ad assumere in
seno ad una vicenda procedimentale traslativa55.
Così opinando, si evitano le
strettoie nelle quali sarebbero irrimediabilmente
astrette altre ricostruzioni, quali: a) quella che
inquadra il preliminare ad effetti anticipati come
negozio atipico56; b) l’altra che concepisce il
preliminare come un definitivo ad effetti differiti,
avente causa esterna nella ripetizione del negozio in
sede di stipulazione del definitivo57; c) l’altra ancora
che rinviene nella combinazione di preliminare e
definitivo un negozio complesso con elementi del
preliminare, della vendita e della locazione58; d)
quella che ravvisa l’esistenza di un procedimento
traslativo nella successione dei due negozi, derogatorio
del principio del consenso traslativo59.
Nondimeno, la soluzione adottata
dalla Suprema Corte non ha convinto la maggioranza degli
studiosi, i quali, osservata la peculiare scomposizione
del preliminare60, hanno ritenuto pletorico il
riferimento ai due negozi di mutuo e comodato61, oltre
che potenzialmente pericoloso in chiave di possibile
elusione del divieto di patto commissorio62.
Chi scrive reputa non probante la
soluzione sposata dalle Sezioni Unite, in quanto
artificiosa e non in grado di spiegare la presumibile
volontà che i paciscenti perseguono con il negozio
preliminare. Il preteso mutuante, infatti, non fa
null’altro che dare una caparra confirmatoria per
bloccare l’affare, magari in attesa di reperire la somma
necessaria presso un istituto di credito e, per contro,
inizia ad abitare l’immobile sicuro di stipulare ben
presto il definitivo. Ravvisare nella fattispecie
concreta così congegnata un rapporto avente causa
credendi sembra poco aderente alla realtà63, come pure
concepire la presa in detenzione dell’immobile come un
comodato.
Di certo per comprendere il perché
di una simile spiegazione, almeno con riferimento al
comodato, è utile ricordare un problema alquanto
dibattuto, ossia la applicabilità o meno dell’art. 1499
c.c., in materia di interessi compensativi, al
preliminare immobiliare ad effetti anticipati64. Chi
scrive ritiene corretta la soluzione prevalente che nega
l’applicabilità di tali interessi al caso di specie,
perché altererebbero l’equilibrio negoziale, in quanto
magari già compresi nel prezzo definitivo o nel
soddisfacimento del promittente alienante di realizzare
l’operazione. In questa prospettiva in effetti si può
scorgere un potenziale profilo di gratuità, peraltro
riferito alla non percezione di interessi da parte del
promittente alienante per l’anticipato godimento del
bene immobile. Donde, almeno agli occhi dello scrivente,
lo spunto per la configurazione di un contratto di
comodato, che probabilmente ha ispirato Gazzoni.
Deve comunque essere sottolineato
che questo studioso ha ritenuto di scrivere non che, nel
caso di specie, le parti stipulano, ma che è come se
stipulassero un mutuo gratuito e un comodato, a ciò
indotto più da ragioni economiche, che giuridiche, come
egli stesso riconosce allorché si sofferma, poco prima,
sul problema dell’anticipazione o meno delle
prestazioni65.
Venendo a rispondere al secondo
quesito da cui siamo partiti, ossia quello attinente la
qualificazione dei rapporti giuridici che si creano
medio tempore, tra la conclusione del preliminare e
quella del definitivo, sulla scorta dell’insegnamento
delle Sezioni Unite, pertanto, concludiamo dicendo che
il preliminare ad effetti anticipati non è un contratto
atipico, ma un preliminare ordinario al quale accedono,
in via accessoria, distinti contratti di comodato e di
mutuo feneratizio.
Di questa presa di posizione è
necessario tenere conto, ad opera specialmente dei
pratici del diritto, stante l’autorevolezza del
precedente, così all’atto della redazione del
regolamento negoziale di un eventuale preliminare di
vendita immobiliare che si trovassero a vergare, come in
sede contenziosa, per paralizzare le deduzioni formulate
ex adverso, prima fra tutte la usucapione o la
prevedibile richiesta di interessi compensativi sulla
somma versata anticipatamente.
Di certo, la farraginosità della
costruzione non manca di sollevare un problema di
metodo, ossia se sono i fatti a doversi conformare alle
norme, o se sono le norme che nascono dalla prassi e con
esse le teoriche dei giusperiti, le quali mai devono
tradire il monito antico per cui ubi societas,ibi jus, a
pena di cadere in un astrattismo autoreferenziale che
meglio si addice alla monadologia di Leibniz piuttosto
che alla realtà quanto mai variegata del traffico
giuridico.
E proprio da quest’ultima occorre
prendere le mosse, per attagliare la soluzione alla
realtà del caso concreto. Nella fattispecie oggetto di
esame, si può osservare un caso di divergenza tra forma
giuridica e sostanza economica. L’operazione,
economicamente unitaria, viene infatti frazionata in due
momenti giuridici, per consentire all’acquirente di
reperire la provvista e di riscontrare l’immobile,
garantendo la serietà delle proprie intenzioni mediante
il versamento di una caparra confirmatoria.
La realtà giuridica mostra come
spezzata una vicenda in realtà unitaria, ma della quale
coglie la formazione progressiva66 allorché ci consente
di scorgere l’impegno futuro a concludere l’affare e a
stipulare il definitivo. Per questo non è
metodologicamente corretto inventarsi un preliminare che
camufferebbe un definitivo e mortificare quest’ultimo
riducendolo a mero negozio attuativo: non corrisponde
alla realtà dei fatti.
Le parti hanno fiutato l’affare e
lo vogliono bloccare, nel frattempo la caparra è il
costo per fermare l’occasione, il costo della scelta, e
anche il costo per reperire i danari sufficienti è tale
poiché presumibilmente inserito nel prezzo finale. Se lo
compri subito paghi 10, se lo acquisti dopo lo paghi 12:
il tempo che ti concedo per trovare i danari me lo paghi
2. Ecco perché i giuristi hanno escluso gli interessi
compensativi: perché altererebbero un regolamento
negoziale nel quale probabilmente sono già incorporati.
Nel frattempo, le parti, una volta
stipulato il preliminare, sono obbligate a concludere il
definitivo, perché imposto dalla struttura del pactum de
contrahendo e dalla logica economica del business che
vogliono definire, ma anche a comportarsi secondo buona
fede, curando di non ledere, durante l’inverarsi della
fattispecie a formazione progressiva, l’altrui sfera
giuridica.
Astrattamente, penso che ben si
sarebbe potuto risolvere il problema riprendendo la
teorica, propria di Luigi Mengoni, che distingue tra
obblighi di prestazione e obblighi di protezione come
costitutivi del rapporto obbligatorio, con applicabilità
del dovere generale di buona fede e responsabilità per
inadempimento di Treuepflicht in caso di lesione
dell’altrui sfera giuridica, senza creare ben due
contratti che regolerebbero il rapporto intermedio.
Entrando in contatto l’uno con la
sfera giuridica dell’altro, i paciscenti devono
comportarsi in modo da non arrecarsi danni reciproci, in
attesa della conclusione della operazione, dal punto di
vista economico, e della stipulazione del definitivo,
dal punto di vista giuridico. Quello che viene visto
come mutuo feneratizio è in realtà l’esecuzione
frazionata di una obbligazione divisibile, quella
pecuniaria, mentre l’immissione del promissario
acquirente nella detenzione dell’immobile anticipa dal
punto di vista fattuale una prestazione del contratto
definitivo solo in senso economico ma non giuridico,
perché la proprietà non è stata ancora trasferita.
Se mai, si consente al promissario
acquirente di godere anticipatamente dell’immobile, ma
non si può certo dire che ciò accada a titolo gratuito,
potendo benissimo il costo dell’anticipato godimento
essere incorporato pro rata nel prezzo finale o
nell’ammontare della caparra. Il promittente alienante
potrebbe dire: ti consento di andarci ad abitare prima
del tempo, però il prezzo finale non è più 10 ma 12,
oppure anzi che il 20% di caparra mi dai il 30%, così mi
cautelo dai possibili danni che puoi arrecare al mio
immobile e in un certo modo mi paghi il godimento
anticipato; il promissario acquirente, di contro, per
verificare cosa sta comprando, va ad abitare l’immobile
ed evita di comprare a scatola chiusa, in tal modo
fruendo quam maxime della funzione di controllo qualità,
tipica del preliminare67.
A quest’ultimo riguardo, grandi e
numerosi problemi ha creato la questione del preliminare
di res della quale si siano scoperti i vizi prima della
stipula del definitivo, a riprova del fatto che la
cautela di non comperare al buio non vive nei libri ma
nella esperienza concreta dei negoziatori. Si è scritto,
al proposito, che dalla non ancora avvenuta vendita del
bene è lecito inferire, quale rimedio a disposizione del
promissario acquirente, l’azione risarcitoria o quella
di adempimento, con contestuale eliminazione dei vizi e
delle difformità del bene, essendo, per la medesima
ragione, in linea di principio inapplicabile la quanti
minoris actio, anche se si è ammessa la riduzione del
prezzo contemporaneamente alla domanda di esecuzione in
forma specifica del preliminare68. La giurisprudenza ha
infatti subito una evoluzione che ha avuto, quale
proprio scopo, la tutela del promissario acquirente,
permettendogli di fruire di un più ampio ventaglio di
azioni rispetto all’esecuzione del preliminare in forma
specifica o alla risoluzione del preliminare: questi,
infatti, può agire anche per la riduzione del prezzo o
l’eliminazione dei vizi di cui la res sia affetta69.
Questa sembra essere la realtà
delle contrattazione, che rende così peculiare la figura
del preliminare ad esecuzione anticipata. Quest’ultimo
possiede la classica caratteristica, tipica dei
contratti ad effetti obbligatori, della produzione
dell’obbligazione di contrarre il definitivo, ma, oltre
a questo, manifesta un contenuto variegato e quanto mai
mutevole, di incerta qualificazione giuridica, potendo
oscillare tra la gratuità e l’onerosità delle
prestazioni (così spaziando, ad esempio, dal comodato
alla locazione, ma non senza disconoscere, come
sottolineato dalla dottrina, gli schemi tipici della
vendita con riserva di proprietà e del leasing
operativo70) e mal prestandosi ad un incasellamento
meccanico entro questa o quella causa di contratto
tipico. In fin dei conti, penso che, come già sostenuto
da Portale71, sia un contratto sì preliminare, ma entro
questa categoria pur sempre innominato. Penso, ma è una
mia opinione personale, che in tal modo la costruzione
teorica possa meglio adeguarsi alla mutevolezza delle
singole pattuizioni negoziali, senza patire le
costrizioni di rigidi schemi astratti ove anche le
Sezioni Unite l’hanno incasellata.
Non resta, come sempre per
qualsiasi teoria giuridica, che aspettare il vaglio dei
moderni contract makers, con le loro necessità e
reciproche astuzie, oltre che la sorte che questi negozi
meriteranno banco judicis.
1 L’art. 1589 Code Civil recita
testualmente: “[l]a promesse de vente vaut vente,
lorsq’il y a consentement reciproque des deux parties
sur la chose et sur le prix”.
2 Montesano, Contratto preliminare
e sentenza costitutiva, Jovene, 1953. Secondo questo
scrittore, poiché il preliminare deve contenere il
regolamento negoziale completo per essere idoneo
all’esecuzione in forma specifica, il definitivo avrebbe
natura non negoziale in quanto atto meramente solutorio.
3 Montesano sosteneva infatti,
sulla scorta del dogma volontaristico di matrice
pandettistica ottocentesca, che poiché le parti sono
arbitre di determinare al meglio i propri interessi,
queste provvedono a regolamentare nel preliminare i loro
interessi, e devono farlo in modo completo, perché detto
negozio deve essere suscettibile di esecuzione in forma
specifica; per tale ragione, avendo già integralmente
regolamentato i propri rapporti con il preliminare, le
parti dovrebbero ripetere la propria volontà con il
definitivo, che però non avrebbe natura negoziale, in
quanto mero atto solutorio, a meno di non voler svilire
il preliminare a mera dichiarazione di trattativa.
Pertanto, il definitivo sarebbe imposto dalla legge alle
parti, e poiché coazione e volontarietà si escludono a
vicenda, nel definitivo non poteva essere ravvisata, a
detta di questa impostazione, l’esistenza di un
contratto.
4 A partire da Gabrielli, Il
contratto preliminare, Giuffrè, 1970. Sul preliminare ad
effetti anticipati l’Autore si è intrattenuto in Id., Il
preliminare ad effetti anticipati e la tutela del
promissario acquirente, in Riv. Dir. Comm., 1986, II,
313 ss.
5 Sacco, La preparazione del
contratto, in Sacco – De Nova, Il contratto, tomo
secondo, Utet, 1996, 265; così, diffusamente, De
Matteis, La contrattazione preliminare ad effetti
anticipati, Cedam, 1991, 136 ss., 143 ss., 164.
6 Roppo, Il contratto, Giuffrè,
2001, 652.
7 In argomento, Sicchiero, Il
contratto preliminare, in Roppo (cur.), Trattato del
contratto, vol. 3, a cura di Costanza, Giuffrè, 2006,
391 ss.
8 Roppo, Il contratto, cit., 658;
per ulteriori differenze, Bianca, Diritto civile, vol.
3, Giuffrè, 1998, 200 ss.
9 Sicchiero, Il contratto, cit.,
392 s.
10 Sacco, La preparazione, cit.,
265.
11 Roppo, Il contratto, cit., 659.
12 Roppo, Il contratto, cit., 659.
13 La giurisprudenza utilizza
proprio questo criterio per distinguere il preliminare
dal definitivo: per questa considerazione Roppo, Il
contratto, cit., 659 e, per una recente applicazione,
Cassazione S.U. 27.03.2008, n. 7930.
14 Paolini, Il negozio di
accertamento, Cedam, 1990, ove approfondimenti di
giurisprudenza.
15 Circa il problema della non
ripetizione nel definitivo di clausole contenute nel
preliminare, Roppo, Il contratto, cit., 660, ove
l’invito a rifuggire da impostazioni estreme, quali
l’intangibilità del preliminare ad opera del definitivo
e l’assorbimento del preliminare nel definitivo, per una
analisi caso per caso dei testi contrattuali.
16 Bianca, Diritto civile, vol. 6,
Giuffrè, 1999, 728 ss.
17 Bianca, Diritto civile, vol. 6,
cit., 715.
18 Galgano, Possesso, I) Diritto
civile, Enc. Giur. Treccani, ad vocem.
19 De Martino, Del possesso, della
denunzia di nuova opera e di danno temuto, Zanichelli –
Il Foro Italiano, 1984, 1.
20 De Martino, Del possesso, cit.,
9. Conformi all’opinione tradizionale sono, ad esempio:
Sacco – Caterina, Il possesso, Giuffrè, 2000, 96;
Galgano, Possesso, cit., 2; Id., Diritto civile e
commerciale, I, Cedam, 2004, 448 ss.
21 Bianca, Diritto civile, vol. 6,
cit., 731.
22 Bianca, Diritto civile, vol. 6,
cit., 730.
23 Bianca, Diritto civile, vol. 6,
cit., 732.
24 Trabucchi, Istituzioni di
diritto civile, Cedam, 1999, 478.
25 Così, ad esempio, Cassazione
22.07.2003, n. 11415; conformi: Cassazione 07.07.2000,
n. 9106; 13.07.1993, n. 7690.
26 Si esprime in questi termini
Cassazione 9106 cit., la quale, però, curiosamente,
ritiene di non derogare alla natura del preliminare come
contratto ad effetti obbligatori.
27 Testualmente Cassazione
9106/2000 cit.
28 Caterina, Il possesso, in
Gambaro – Morello (curr.), Trattato dei diritti reali,
vol. 1, Giuffrè, 2008, 384.
29 Cassazione 27.02.1996, n. 1533;
Cassazione 30.05.2000, n. 7142; Cassazione 28.06.2000,
n. 8796.
30 Recentemente ha fatto
definitivamente il punto della situazione l’importante
Cassazione 01.03.2010, n. 4863, così massimata da
Iandolo, in Garofoli – Chinè – Iannone (curr.), Codice
civile annotato con la giurisprudenza, Nel Diritto
Editore, 2010, 1081 s.: “[n]ella promessa di vendita, la
consegna del bene (nella specie, immobile) e
l’anticipato pagamento del prezzo, prima del
perfezionamento del contratto definitivo, non sono
indice della natura definitiva della compravendita,
atteso che – quale che ne sia la giustificazione causale
(clausola atipica introduttiva di un’obbligazione
aggiuntiva o collegamento negoziale) – è sempre il
contratto definitivo a produrre l’effetto traslativo
reale; conseguentemente, la disponibilità del bene
conseguita dal promissorio acquirente, in quanto
esercitata nel proprio interesse, ma alieno nomine, in
assenza dell’animus possidendi, ha natura di detenzione
qualificata e non di possesso utile ad usucapionem,
salvo la dimostrazione di una sopraggiunta “interversio
possessionis” nei modi previsti dall’art. 1141, comma 2,
c.c.”.
31 Ne conviene anche Caterina, Il
possesso, cit., 384.
32 In materia ad esempio Cassazione
18.04.2003, n. 6331.
33 Questa ricostruzione è asserita
anche dalla giurisprudenza di legittimità: Cassazione
29.05.1981, n. 3523; Cassazione 12.07.2004, n. 12820;
Cassazione 28.02.2006, n. 4404. Per la massima si può
utilmente consultare Ciafardini – Izzo (curr.), Codice
civile annotato con la Giurisprudenza, Edizioni
Giuridiche Simone, 2010, 1071.
34 Al riguardo già Cassazione
25.05.1987, n. 4898, in Ciafardini – Izzo (curr.),
Codice civile, cit., 1071, oltre che le pronunce citate
alla n. precedente.
35 Cassazione 12.07.2004, n. 12820;
Cassazione 31.05.2006, n. 12968; in dottrina, per tutti,
Sacco – Caterina, Il possesso, cit., 233.
36 Bianca, Diritto civile, vol. 6,
cit., 760; De Martino, Del possesso, cit., 18.
37 Cassazione 09.03.1992, n. 2802,
in Ciafardini – Izzo (curr.), Codice civile, cit., 1071.
38 Bianca, Diritto civile, vol. 6,
cit., 760.
39 Cassazione 07.12.2006, n. 26228,
Cassazione 03.10.2000, n. 13104 Cassazione 29.07.1997,
n. 7090, in Ciafardini – Izzo (curr.), Codice civile,
cit., 1072; in argomento, conforme, anche Cassazione
05.12.1990, n. 11691.
40 Sacco – Caterina, Il possesso,
cit., 233.
41 Cassazione 15.03.2005, n. 5551;
Cassazione 19.08.2002, n. 1223, la cui massima è
reperibile in Garofoli – Chinè – Iannone, Codice civile,
cit., 1083 s.
42 Conformi sia Cassazione S.U.
27.03.2008, n. 7930, cit., sia la successiva Cassazione
01.03.2010, n. 4863, cit., che alla prima espressamente
si richiama.
43 Cenni, Il contratto preliminare
ad effetti anticipati, in Contr. Impr., 1994, 1140 ss.
44 Sulla legittimazione attiva del
solo possessore per l’esercizio dell’azione di
manutenzione, ad esempio, Gazzoni, Manuale di diritto
privato, ESI, 2001, 230; De Martino, Del possesso, cit.,
153. In giurisprudenza, ad esempio: Cassazione
24.02.1995, n. 2125; Cassazione 08.03.2006, n. 4917.
45 Galgano, Trattato di diritto
civile, vol. 1, Cedam, 2009, 425.
46 Si esprime in questi termini
Galgano, Il contratto, Cedam, 2007, 37.
47 In argomento, Sicchiero, Il
contratto con causa mista, Cedam, 1995, ove ampi
ragguagli.
48 In luogo di molti, Galgano, Il
contratto, cit., 154; più approfonditamente sul punto,
Id., Il collegamento contrattuale, in Visintini (cur.),
Dieci lezioni di diritto civile, Giuffrè, 2001, 179 ss.
49 Retro, § 3.a.
50 Gazzoni, Deve essere autorizzato
il preliminare di vendita di un bene del minore? Il
promissario acquirente cui sia stata consegnata la cosa
è detentore o possessore?, in Riv. Not., 2001, 723 ss.
51 Per questa impostazione il
contratto definitivo viene ad essere mero negozio di
adempimento: Montesano, Obbligazione e azione da
contratto preliminare, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ.,
1970, 1173 ss..
La conseguenza di questa
impostazione risiede nel fatto che, in tal modo, il
definitivo viene ad avere causa esterna, da ravvisarsi
nel preliminare, per modo che tutti i vizi di cui fosse
affetto il preliminare si ripercuotono sulla validità
del definitivo. In argomento, Pennisi, La
giurisprudenza, cit., 2 s.
52 Gazzoni, Deve essere
autorizzato, cit., 731.
53 Al riguardo, Pennisi, La
giurisprudenza, cit., 3.
54 Pennisi, La giurisprudenza,
cit., 3 s.
55 De Matteis, La contrattazione,
cit., 143 ss.
56 Portale, Principio
consensualistico e conferimento di beni in proprietà, in
Riv. Soc., 1970, 938 ss.
57 Ad esempio, Montesano, Obbligo a
contrarre, in Enc. Dir., Giuffrè, 1979, 511, ad vocem.
58 Corrias, La nuova disciplina
della trascrizione del contratto preliminare e le
attuali prospettive di inquadramento del cd. preliminare
ad effetti anticipati, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ.,
1998, 1018.
59 Lener, Contratto preliminare ad
esecuzione anticipata del definitivo e rapporto
intermedio, in Foro It., 1977, c. 672.
60 Puppo, Preliminare di vendita
immobiliare con consegna anticipata e possesso ad
usucapionem, in Foro It., 2009, c. 3161.
61 Patti, Consegna del bene al
momento del preliminare e acquisto della detenzione, in
Nuova Giur. Civ. Comm., 2008, II, 286.
62 Giuliano, Il commento, in
Notariato, 4/2008, 398.
63 Giuliano, Il commento, cit.,
398, sottolinea come la qualificazione della somma di
danaro come caparra escluda ogni riferimento al
contratto di mutuo, e come, nella maggioranza dei casi,
la somma sia versata a garanzia della serietà dei propri
impegni contrattuali e a seguito della avvenuta consegna
del bene promesso in vendita.
64 In argomento, Cenni, Il
contratto preliminare, cit., 1137 ss.
65 Gazzoni, Deve essere
autorizzato, cit., 731.
66 Sul rapporto intercorrente tra
preliminare e definitivo come unitaria fattispecie
procedimentale, De Matteis, La contrattazione, cit., 143
ss.
67 Sacco, La preparazione, cit.,
265: “[q]uella possibilità di controllo sulla qualità
del bene, che caratterizza la sequenza di preliminare e
definitivo, si esalta se la cosa viene consegnata al
compratore prima della conclusione del definitivo”. In
argomento, approfonditamente, De Matteis, La
contrattazione, cit., 136 ss., 143 ss., 164.
68 Gabrielli, Il “preliminare ad
effetti anticipati”, cit., 317 e 319 spec.;
diffusamente, sul punto, De Matteis, La contrattazione,
cit., 87 ss., ove un’analisi (ivi, 90 ss.)
dell’importante Cassazione S.U. 27.02.1985, n. 1720,
inaugurativa della cd. teoria del doppio contratto, come
denominata da Pennisi, La giurisprudenza sul contratto
preliminare, reperibile su
www.ildirittoamministrativo.it, ove un’analisi dei tre
filoni giurisprudenziali di legittimità sostenuti nel
corso del tempo dalla Suprema Corte in merito al
rapporto intercorrente tra preliminare e definitivo.
69 Pennisi, La giurisprudenza, cit.,
7 ss., ove riferimenti di giurisprudenza.
70 De Matteis, La contrattazione,
cit., 181 n. 87, la quale osserva l’indubbia assonanza
nel caso in cui sia stata pattuita la consegna immediata
del bene accompagnata dal pagamento immediato del prezzo
frazionato in rate, delle quali l’ultima da adempiere in
data coincidente con la stipulazione del definitivo, che
segna il passaggio in proprietà della res.
71 Portale, Principio
consensualistico, cit., 938 ss., laddove si fonda questa
opinione sulla deroga al principio consensualistico
(ivi, 939). |