Minelli Bruno
La conseguenza che si dovrebbe
trarre da una sentenza della Corte di Cassazione che ne
ha dichiarata lecita l’attività
Padre Lombardi, il portavoce della
Santa Sede, il 20/11/2010 si è affrettato a precisare
quale era il senso del libro intervista al Papa, Luce
del Mondo - ancora inedito - di cui alcuni commenti su
significativi stralci erano cominciati a circolare il
giorno prima, in specie sul capitolo 11.
In effetti, le esemplificazioni
giornalistiche, e i primi lanci d’agenzia, potevano
ingenerare nei più la sensazione che lo sdoganamento del
profilattico, in specifici casi, e per una sorta di
legge del contrappasso, presupponesse un’analoga
acquiescenza sul mestiere più antico del mondo, quello
dei postriboli di romana memoria.
Ammettere il preservativo per
specifici casi mandava alla mente la difesa dall’Aids,
nell’immaginario collettivo contraibile per rapporti non
protetti con la prostituzione e, quindi, se per i canoni
cattolici il profilattico diventa legittimo,
incidentalmente altrettanto legittima sarebbe la causa
prima di contrazione della malattia, l’esercizio,
appunto, della prostituzione.
E’ straordinario come il Padre
riesca a dire tutto e il contrario di tutto con il suo
non giustifica moralmente l’esercizio disordinato della
sessualità, evocando, infine, un ritorno alle origini
del cristianesimo e alle maddalene da redimere, quelle
che, sulla via della conversione, per intanto abbozzano
un ripensamento iniziatico (un primo passo di
responsabilità – nda, usare il profilattico) per poi
arrivare ad emendarsi, finalmente giungendo, sono sempre
parole di Padre Lombardi, a una sessualità più umana.
E quando poi il libro è uscito, si
è capito che il papa non ha svicolato, né si è
trincerato dietro i dogmatismi della cattedra che
rappresenta, vi diciamo che è qualcosa da non fare e che
è contro la morale cattolica, e, a domanda risponde, ha
detto quello che i comuni mortali da tempo gli chiedono
di dire, in particolari condizioni si può usare (singoli
casi motivati, quando uno che si prostituisce), con la
premessa, in fondo è sempre il papa, che sarebbe bene
non perdersi in comportamenti disdicevoli, a questo
punto uso del profilattico da parte degli, ma non solo,
utilizzatori finali della prostituzione (così nella
chiosa finale, deve consistere nell’umanizzazione della
sessualità).
Negli stessi giorni, al di qua del
Tevere, una delle massime istituzioni dello stato laico,
la Suprema Corte di Cassazione, ripercorrendo la vicenda
di una ballerina/squillo/escort/prostituta, nella
sentenza n° 20528, depositata il 1 ottobre 2010, ha
tentato di qualificare il mestiere in interazione con il
Fisco italiano, fornendo un’ innovativa visione sulla
problematica.
In premessa, i Supremi Giudici
riferiscono del giudizio morale che i giudici del
secondo grado di merito danno dell’attività “… lo stile
di vita disinibito e licenzioso... per procurarsi i
mezzi finanziari per vivere non può essere fiscalmente
perseguito, essendo i compensi per attività di
prostituzione non soggetti a tassazione", mentre
l’Agenzia delle Entrate dà un peso alle parole,
schernendosi sul fatto di non aver mai equiparato
l’attività di una ballerina a quella di una prostituta,
e, agganciandosi alla definizione dei giudici tributari,
ove dimostrata, reclama comunque la tassazione, in
quanto illecita, dell’attività.
Il fatto in sé è banale,
l’accertamento dei maggiori redditi sulla base
dell’accesso ai conti correnti con versamenti di molto
superiori ai redditi prodotti in chiaro dall’attività di
ballerina in un locale notturno, con la stessa ballerina
ad adombrare l’attività di prostituta, poi così
qualificata dai giudici regionali, tanto che il
differenziale nei conti correnti sarebbe il frutto di
elargizioni e donativi occorsi in rapporto a varie
frequentazioni amicali e relazioni nel tempo
intrattenute con terzi.
La contribuente evasore, per i fini
che la occupano e cioè l’annullamento degli accertamenti
basati sulle risultanze dei conti correnti, utilizza
spiegazioni che oggi calzerebbero con la definizione che
una escort darebbe di sé, del tutto consapevole che con
un linguaggio più rozzo e primitivo il termine sia
sinonimo, intercambiabile, a quello di prostituta, senza
per questo offendersi; anzi, il fatto in sé, ai fini
fiscali è (o meglio, era) decisivo e premiante. Infatti,
la prassi fiscale è ferma alla risposta ad una
interrogazione parlamentare del 31/07/1990 dove l’allora
Ministro delle Finanze, Rino Formica, precisava che i
proventi della prostituzione non sarebbero tassabili,
tanto che fino al 1/10/2010, data del deposito della
sentenza n° 20528/2010, mai la sezione tributaria (V)
della Suprema Corte di Cassazione si era occupata di
proventi da prostituzione; mentre è notorio che esistono
sentenze di merito favorevoli a delle contribuenti con
capacità contributiva altrimenti inspiegabile,
generalmente accertata con metodo sintetico, che sono
riuscite a vincere la presunzione di evasione sul
postulato che i proventi provenissero appunto
dall’attività di prostituta.
L’Agenzia, nella fattispecie da
ultimo discussa dalla Suprema Corte, tenta un approccio
soft della questione (io non ho detto che si tratti di
prostituzione), sia per una questione di stile, che per
non incorrere in un ultra petitum indelicato per un
Ufficio pubblico, ma soprattutto perché conosce la sua
prassi, oltre la giurisprudenza di merito, e cerca di
contrastare il giudicato dei giudici di seconde cure
(che postulano intassabile il meretricio) per il fatto
che non sarebbe dimostrata l’attività di prostituzione,
ovvero, e nel caso lo fosse, che la prostituzione
sarebbe tassabile, non perché in quanto tale, ma perché,
rientrando nelle attività illecite, soggiace al
principio generale del comma 4, dell’art. 14 della l. n°
537/1993 - tassabilità dei proventi illeciti, se non già
sottoposti a confisca penale e rientranti in una delle
categorie reddituali di cui all’art. 6 del dpr n°
917/1986.
Ed è qui il punto per cui le
praticanti dell’antico mestiere potevano ragionevolmente
considerarsi escluse dalla tassazione – la non
assimilabilità della loro particolare attività a nessuna
delle categorie che la legge fiscale reputa idonee alla
produzione di reddito e, quindi, venuta meno la
condizione di assimilabilità, a non essere tassate. Vero
è che il dl 223/2006, con fini dichiaratamente
interpretativi dell’art. 14, vorrebbe superare lo
scoglio della qualificazione reddituale, dichiarando il
pretium sceleris comunque imponibile (anche in assenza
di determinazione certa), in quanto inquadrabile nella
categoria reddituale dei diversi, ma è un escamotage sub
judice della Corte Costituzionale, avendo la Commissione
Tributaria Regionale della Toscana (ordinanza n°
127/2009) inviato alla stessa gli atti, per eccezione
sulla costituzionalità della norma, sia nel suo
dichiarato intento interpretativo (per il legislatore,
tale ai fini della retroattività), che per la
qualificazione residuale nella categoria reddituale dei
diversi (per il legislatore, comunque al fine della
tassazione).
La querelle, squisitamente tecnica,
avrebbe appassionato soltanto un ristretto gruppo di
persone, se non fosse stato per la Suprema Corte di
Cassazione che, nella sentenza n° 20528/2010, ha
statuito: Quanto poi all'esercizio dell'attività di
prostituta, tale dovendosi qualificare in concreto
l'attività della A., che ha coltivato nel tempo numerose
relazioni tutte lautamente pagate, non vi è dubbio
alcuno che anche tali proventi debbano essere sottoposti
a tassazione, dal momento che pur essendo una attività
discutibile sul piano morale, non può essere certamente
ritenuta illecita.
Inaspettatamente cadono i sofismi
sull’’interpretazione da dare al pretium sceleris, al
fatto che l’oggetto di esso sia inquadrabile in una
categoria reddituale, o meno, ovvero che sia stato, o
no, disposto il sequestro e/o che questo sia stato
effettivamente realizzato; e ancora, che l’azione sia
qualificabile come reato oppure che tale sia stata
giudicata.
Tutto azzerato, la Suprema Corte ha
dichiarato lecita l’attività e, quindi, tassabile
(essendoci dazione di denaro), implicitamente lasciando
agli esteti del diritto tributario la qualificazione del
reddito prodotto, posto che, nella legislazione italiana
della tassabilità dei fatti leciti, questi devono essere
inquadrati in una categoria reddituale.
Ma se così è, l’esercizio da
svolgere è quello dell’inquadramento in una delle
categorie previste (art. 6 del tuir): non certo quella
di lavoro dipendente, che vorrebbe dire che al di sopra
della lavoratrice ci sarebbe un soggetto che la
organizza, assumendosi il rischio dell’attività e
ritraendone i frutti, con emolumenti elargiti alla
prestatrice d’opera; residuano le attività del
lavoratore autonomo e/o quella dell’imprenditore. Forse,
più la prima che la seconda, comunque, con problemi di
iscrizioni ad albi e/o a pubblici registri.
Ancora, per la materia fiscale – Le
attività autonome presuppongono obblighi collaterali,
quali l’apertura della partita Iva, il classamento
dell’attività, la tenuta delle scritture contabili. In
definitiva, la sentenza n° 20528/2010 apre scenari
inimmaginabili ad una prima lettura della stessa – paghi
la prostituta, sic e simpliciter (quello che non ha
versato in precedenza).
Dal primo ottobre chi al momento si
è avvantaggiato di detta sentenza, l’Erario dello Stato
Italiano, dovrà anche spiegare a coloro i/le quali
vorranno mettersi in regola come fare ad aprire la
partita Iva e quali sono gli obblighi contabili per la
specifica attività che consentano, a consuntivo, di
poter regolarmente dichiarare il reddito annuo.
Anche al di qua del Tevere, dopo
un’affermazione di principio, corre l’obbligo di
determinarne le conseguenze (più che discettare sui
distinguo).
TESTO SENTENZA
Sentenza n° 20528 dell’1/10/2010
(cassazione, sez. V)
L'Agenzia delle Entrate - Ufficio
locale di Morbegno in data 29 aprile 2002 notificava a
M.M.A., nata il (OMISSIS), in conseguenza di
contestatale omessa presentazione delle pertinenti
dichiarazioni, avvisi di accertamento rispettivamente
relativi:
a) al reddito imponibile IRPEF,
CSSN e Tassa per l'Europa per l'anno 1996;
b) all'IVA dovuta per il medesimo
anno;
c) al reddito imponibile IRPEF e
CSSN per l'anno 1997;
d) all'IVA dovuta per il medesimo
anno;
e) a reddito imponibile IRPEF ed
IRAP per l'anno 1998 ed all'IVA dovuta per il medesimo
anno e connessi rilievi.
Quale comune presupposto di questi
vari atti accertativi veniva ascritta l'esercitata
attività di ballerina in locali notturni "in modo
professionale" e ciò sulla base di una constatata,
sensibile differenza tra i versamenti eseguiti sui conti
bancari ed il reddito di lavoro dipendente percepito
presso quei luoghi di ritrovo, eccedenza che veniva
contestato essere proveniente da redditi attinenti
all'esercizio di arti e professioni, e quindi come tale
recuperata a tassazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del
1973, art. 32, comma 2.
La destinataria, deducendo fra
l'altro l'assenza di validi elementi di supporto della
pretesa fiscale, impugnava gli avvisi avanti alla
Commissione tributaria provinciale di Sondrio, la quale
con sentenza del 22/9/2004, riuniti i ricorsi, in fatto
evidenziava come l' A. avesse in sostanza documentato, a
mezzo di dichiarazioni rilasciatele e degli assegni
bancari poi confluiti sui conti di deposito, la loro
effettuata emissione da parte di soggetti in nessun modo
implicati con la gestione di locali di ritrovo e
spettacolo in cui quella avesse svolto l'attività di
ballerina, e costituenti invece elargizioni e donativi
occorsi in rapporto a varie frequentazioni amicali e
relazioni nel tempo intrattenute con terzi.
Ciò premesso, la Commissione adita
ne deduceva che "lo stile di vita disinibito e
licenzioso... per procurarsi i mezzi finanziari per
vivere non può essere fiscalmente perseguito", essendo
"i compensi per attività di prostituzione non ...
soggetti a tassazione", ed accoglieva di conseguenza i
ricorsi, con spese compensate.
Avverso la sentenza proponeva
appello l'Ufficio suindicato con atto notificato il 14
dicembre 2004 affermando di non avere invece affatto
prospettato la qualificazione poi data dalla Commissione
all'attività esplicata dalla A., ribadendo per parte
propria di ritenere i redditi accertati derivanti da
compensi non dichiarati e benchè percepiti per
l'attività di lavoro autonomo svolta come "ballerina
professionista", peraltro assumendo che in alternativa
l'attività per contro considerata dalla sentenza,
qualora dimostrata, comporterebbe parimenti in quanto
illecita, la tassazione dei proventi a norma della L. n.
537 del 1993, art. 14, commi 4 e 4 bis.
Si è costituita nel grado
l'appellata A., tornando ad affermare di non aver mai
svolto alcuna attività come ballerina libera
professionista, avendo sempre e soltanto lavorato presso
locali notturni di ritrovo come dipendente, e di avere
ad ogni modo fornito prova dell'essere i depositi
bancari costituiti con disponibilità non soggette ad
altra imposizione fiscale, stante l'origine di cui s'è
detto.
Il ricorso è fondato per quanto di
ragione.
Anzitutto appare assai poco
credibile che l'attività della A. consistesse
esclusivamente ne servire ai tavoli i clienti dei vari
locali dove assume di avere svolto tale servizio.
E ciò in quanto risulterebbe che
tale funzione la stessa avrebbe svolto in diversi locali
nello stesso giorno. Orbene è di tutta evidenza che tale
funzione può essere svolta esclusivamente in un locale,
specie se, come nel caso di specie, tali locali restano
aperti sino alle prime luci del giorno dopo, e si basano
oltre che nel servizio ai tavoli anche con spettacoli ed
esibizioni canore.
Quanto poi all'esercizio
dell'attività di prostituta, tale dovendosi qualificare
in concreto l'attività della A., che ha coltivato nel
tempo numerose relazioni tutte lautamente pagate, non vi
è dubbio alcuno che anche tali proventi debbano essere
sottoposti a tassazione, dal momento che pur essendo una
attività discutibile sul piano morale, non può essere
certamente ritenuta illecita.
Quanto poi alla risposta ad
interrogazione parlamentare (del 31.07.1990) del
Ministero delle Finanze secondo cui i proventi della
prostituzione non sarebbero tassabili, tale affermazione
non è certamente incidente per i giudici, trattandosi di
una valutazione, peraltro risalente nel tempo, che non
vincola in alcun modo i giudici tributari e, ovviamente,
questa Corte.
Ne consegue la cassazione della
sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della
Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che
provvederà anche alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso cassa
la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della
Commissione Tributaria Regionale della Lombardia anche
per le spese del presente giudizio.
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