(Sentenza Consiglio di Stato
15/06/2011, n. 3648)
Federico Gavioli
Il Consiglio di Stato con la
sentenza n. 3648 del 15 giugno 2011 ha stabilito che il
dipendente che e' stato trasferito ad un altro ufficio
con nuove mansioni con un ordine di servizio, poi
risultato illegittimo, non ha diritto ad alcun tipo di
risarcimento per mobbing
La vicenda presa in esame dai
giudici di Palazzo Spada nasce a seguito del ricorso
presentato al Consiglio di Stato da un dipendente
pubblico che aveva proposto ricorso al TAR del Lazio ,
respinto dai giudici di prime cure, chiedendo
l’annullamento del provvedimento e il risarcimento del
danno per il mobbing subito. In particolare il
dipendente sosteneva che l’assegnazione funzionale
avvenuto con ordine di servizio ad altro ufficio,
unitamente ad un ulteriore complesso di atti e condotte
assunti dall’ISVAP – Istituto di Vigilanza Private e di
Interesse Collettivo - da cui dipendeva, avrebbero
determinato una progressiva marginalizzazione ed un
connesso demansionamento, assuntamente inquadrabili in
un contesto di condotte riconducibili alla fattispecie
del mobbing.
La sentenza dei giudici del
Consiglio di Stato
I giudici del Consiglio di Stato
evidenziano che per mobbing si intende comunemente, in
assenza di una definizione normativa, una “condotta del
datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa,
continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti
di un lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si
manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili,
reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui
rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi
di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o
alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un
effetto lesivo della sua salute psicofisica”.
Ai fini della configurabilità della
condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto,
rilevanti:
a) la molteplicità e globalità di
comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche
di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente
sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un
disegno vessatorio;
b) l’evento lesivo della salute
psicofisica del dipendente;
c) il nesso eziologico tra la
condotta del datore o del superiore gerarchico e la
lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore;
d) la prova dell’elemento
soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.
Nel verificare il caso in esame,
evidenziano i giudici di Palazzo Spada, è quindi
necessario, anche in ragione della sua indeterminatezza,
attendere ad una valutazione complessiva ed unitaria
degli episodi lamentati dal lavoratore, per accertare
tra l’altro:
a) da un lato, l'idoneità offensiva
della condotta datoriale (desumibile dalle sue
caratteristiche di persecuzione e discriminazione);
b) e, dall'altro, la connotazione
univocamente emulativa e pretestuosa della condotta.
Di conseguenza la ricorrenza di
un'ipotesi di condotta mobbizzante andrà esclusa quante
volte la valutazione complessiva dell'insieme di
circostanze addotte (ed accertate nella loro
materialità), pur se idonea a palesare “elementi od
episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta
di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza,
il carattere esorbitante ed unitariamente persecutorio e
discriminante nei confronti del singolo del complesso
delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro. E’
in primo luogo necessaria, quindi, la prova
dell'esistenza di un sovrastante disegno persecutorio,
tale da piegare alla sue finalità i singoli atti cui
viene riferito”.
Le conclusione del CdS
Nel caso in esame il Consiglio di
Stato ritiene che gli elementi costitutivi della
fattispecie di mobbing non sembrerebbero essere
presenti: in particolare, non può dirsi in alcun modo
provata l’esistenza di un disegno persecutorio elaborato
e perseguito dall’ISVAP in danno per il dipendente
ricorrente.
Come osservato dai giudici del TAR
del Lazio, la pur evidente illegittimità dell’ordine di
servizio recante preposizione dell’appellante al nuovo
istituito Ufficio per lo studio dell’evoluzione del
diritto interno ed internazionale delle assicurazioni
non permette di affermare l’integrazione della
fattispecie di mobbing.
Per i giudici amministrativi del
Consiglio di Stato nell’analizzare gli atti depositati
non è in senso più generale emersa la presenza di un
complessivo disegno persecutorio qualificato da
comportamenti materiali, ovvero da provvedimenti,
contraddistinti da finalità di volontaria e organica
vessazione nonché di discriminazione, con connotazione
emulativa e pretestuosa.
Per tale ragione, inoltre, risulta
non dimostrata la complessità ed organicità della
strategia vessatoria che può consentire di accedere alla
prospettata ipotesi di mobbing. Per le motivazioni
indicate il Consiglio di Stato respinge il ricorso del
dipendente e lo condanna al pagamento delle spese
processuali liquidate in complessivi euro 4.000,00 .
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