Abstract: L’Autrice abbozza una
definizione di “famiglia” prendendo spunto dal lessico
del codice civile, fissandone i capisaldi e indagandone
il significato dinamico e relazionale.
In un’epoca in cui la famiglia è in
una crisi che sembra irreversibile o in cui, come
qualcuno dice (il sociologo Pierpaolo Donati), la
famiglia è diventata autopoietica (che si fa da sé), è
bene dare un rinnovato sguardo alle fonti legislative
per cercare un orientamento. Nella fonte delle fonti, la
Costituzione, la definizione della famiglia è discussa e
discutibile perché contiene un ossimoro (“società
naturale fondata sul matrimonio”). Nel Codice Civile,
invece, anche dopo la legge 19 maggio 1975 n. 151 di
riforma del diritto di famiglia non vi è alcuna
definizione ma indici normativi da cui comunque si può
ricavare l’identità della famiglia. Abbozziamo una
definizione: non “liquidamente” (mutuando la
terminologia del sociologo polacco Zygmunt Bauman) un
luogo di affetti, dove ci si vuole solo bene sino a
farla divenire anormativa, anaffettiva, anedonica, ma un
gruppo di persone legate da vincoli peculiari basati su
servizio (famiglia dal latino “famulus”, servitore),
reciprocità, solidarietà orizzontale (tra partners, tra
fratelli e sorelle) e verticale (tra generazioni),
sincronica e diacronica. Si possono rileggere gli
articoli del Codice Civile considerando la parola
“famiglia” come un acronimo.
Fedeltà che, rispetto alla
formulazione originaria del 1942 dell’art. 143 cod.
civ., con la riforma del diritto di famiglia è stata
anteposta agli altri obblighi. Fedeltà (dall’aggettivo
“fedele”, chi osserva con lealtà la fede data o dovuta,
i patti, le promesse, quindi chi è costante
nell’affetto, nell’amore e simili) implica una
prospettiva futura per cui è caratterizzata da due
qualità di cui oggi si parla tanto, “fragilità”,
“progettualità”. Essere fedeli non è, o non solo, un
fatto fisico, sessuale rimesso alle scelte delle parti,
ma un impegno quotidiano che riguarda tutte le scelte
fondamentali, anche il “progetto figli” che è ben
diverso dal “progettare figli” (ovvero i figli rientrano
nel progetto di vita della coppia ma non si può
progettare nulla della loro vita), rischio in cui spesso
s'incorre. Quando manca questa progettualità può
capitare che la coppia si rompa in seguito alla nascita
del primo figlio.
Assistenza che, rispetto al testo
originario del 1942 dell’art. 143 cod. civ., è stato
collocato al secondo posto tra gli obblighi coniugali e
non più all’ultimo. Esso ricorre non solo “nella cattiva
sorte”, ma sempre; va inteso etimologicamente (dal
latino “ad”, presso e “sistere”, fermarsi, stare,
presentarsi) come stare presso alcuno per aiutarlo,
soccorrerlo o altrimenti giovargli. Intendendolo
letteralmente come “fermarsi, stare accanto” evoca una
situazione che oggi manca spesso in famiglia causandone
la crisi è cioè la comunicazione. La comunicazione (dal
latino “cum”, con e “munis”, che compie il suo incarico
insieme con altri) deve caratterizzare la comunità
familiare[1] per la conoscenza (dal latino “cum”, con e
“gnoscere”, sapere) e la comprensione (dal latino “cum”,
con e “prehendere”, prendere) dei “bisogni della
famiglia” (nel vecchio art. 145 cod. civ. si parlava di
“bisogni della vita” a proposito dei doveri del marito
verso la moglie) e le “esigenze” (dal latino “exigere”,
condurre, spingere fuori, quindi estensivamente
esprimere, esternare) della famiglia, altre nuove
locuzioni introdotte dal legislatore del 1975.
Morale (dal latino “mos”, costume,
regola, misura delle azioni, abitudine), quest’aggettivo
è un’altra grande novità introdotta dalla riforma del
diritto di famiglia del 1975 e riproposta dalla legge 4
aprile 2001 n. 154 che ha aggiunto l’art. 342 bis
“Ordini di protezione contro gli abusi familiari” in cui
si trova la locuzione “integrità fisica o morale”.
L’ampio significato di morale ricorda che la famiglia
non ha solo una dimensione privata, ma anche pubblica e
che vi è non solo una responsabilità endofamiliare, ma
anche extrafamiliare. Tra i doveri verso i figli, in cui
emerge questa responsabilità extrafamiliare, il primo è
il mantenimento, che è anche quello più duraturo nel
tempo. Questo perché si va oltre il suo significato
materiale (come nell’assistenza tra coniugi), infatti
significa - dal latino “manu”, mano e “tenere”, tenere -
“tenere con la mano”, quindi avviare all’autonomia,
capacità di darsi delle regole, che è cosa ben diversa
dall’autosufficienza, condizione di chi si basta da sé,
atteggiamento in cui ogni famiglia e ogni componente
sempre più spesso oggi si richiudono provocando quella
che è l’individualizzazione della e nella famiglia
allontanandosi sempre di più dal necessario processo di
personalizzazione (oggi , in psicologia e filosofia, si
parla anche di “selfismo”). Mantenimento evoca il
concetto di “manutenzione” (conservazione, sicurezza per
il mantenimento della cosa), che ha lo stesso etimo di
mantenimento. In altre parole bisogna avere cura della
coniugalità, della genitorialità e di ogni relazione
familiare per prevenire e/o affrontare ogni crisi
familiare, fisiologica o patologica. Per questo nelle
recenti leggi nazionali e regionali si prescrive di
conciliare tempi di lavoro e tempi di cura della
famiglia.
Indirizzo concordato (art. 144 cod.
civ.), è questa un’altra novità introdotta dal
legislatore del 1975. “Indirizzo” significa “andare
dritto verso”, quindi la famiglia deve andare dritto
verso quello che è e cioè se stessa. Meno che mai,
perciò, la famiglia può essere intesa come “luogo”,
perché essa è piuttosto un “itinerario” e questa
condivisione di percorso è più importante della
coabitazione che, a differenza del testo codicistico del
1942, è stata disciplinata all’ultimo posto dei quattro
obblighi reciproci dei coniugi. Nell’art. 145 cod. civ.
è previsto l’intervento del giudice, senza formalità,
aspetto mai decollato della riforma, ma che è stato
antesignano di altri interventi nella e per la famiglia,
tra cui la mediazione familiare. “Interesse della
famiglia”: “interesse”, ciò che sta in mezzo, ci ricorda
quella che è la funzione connaturale, la bussola della
famiglia, la mediazione. Infatti anche per questo
nell’art. 147 cod. civ. si parla di “prole” (nome
collettivo) e poi di “figli” (nome plurale), perché
l’interesse di ogni figlio va composto con quello di
tutti i figli.
Genitori di cui si parla per la
prima volta nell’art. 148 cod. civ., mentre nell’art.
147 “Doveri verso i figli” si parla di coniugi, parola
che deriva dal latino “cum” con e “iugum”, giogo, uniti
dallo stesso giogo, in quanto la coniugalità non è, o
non solo, un vincolo che deriva dal matrimonio, ma un
onere da convivere. Così la genitorialità è una
conseguenza della coniugalità e come tale da
condividere, per cui sarebbe pleonastico parlare di
cogenitorialità. Alla luce di questa lettura, quindi, il
fatto che nell’art. 147 cod. civ. si continui a parlare
di coniugi e non di genitori, non si deve considerare
una lacuna da parte del legislatore del 1975 il quale
non ha seguito il dettato dell’art. 30 della nostra
Costituzione. Si noti che nell’art. 148 cod. civ. si
parla di uno stato di incapacità dei genitori a
dimostrazione che la genitorialità prima ancora di
esplicarsi nella potestà genitoriale è una relazione che
non può essere definita in positivo ma tutt’al più in
negativo, come anche accade nella Costituzione (art. 30
comma 2 e art. 31 comma 1).
Libertà, espressione introdotta dal
legislatore del 2001 nell’art. 342 bis cod. civ.. La
famiglia non nasce solo dalla “libertas nubendi”, ma si
fonda sulla libertà: libertà della e nella famiglia.
Dalla libertà discendono tutte le attuali questioni
bioetiche di autodeterminazione che riguardano le
persone e le famiglie: aborto, fecondazione artificiale,
donazione di organi, eutanasia e altre scelte di fine
vita. Bisogna solo ricordare che la libertà coesiste con
i limiti e che per ogni questione non esiste una
risposta univoca e preconfezionata.
Istruzione (art. 147 cod. civ.) è
anteposta all’educazione, perché riguarda la
“costruzione” (“istruire” dal latino “in”, sopra e
“struere”, costruire) della persona che si perfeziona
mediante l’educazione e che è diversa dall’insegnamento
che compete alla scuola. L’istruzione si attiene
all’inclinazione naturale: la famiglia dà e prepara la
natura su cui interverrà la cultura realizzata anche da
altri soggetti educativi.
Aspirazioni (art. 147 cod. civ.):
il legislatore avrebbe dovuto aggiungere “personali”,
perché dalle inclinazioni date dalla natura si passa
alle aspirazioni che portano all’essenza della vita.
Interessanti sono l’etimo, dal latino “ad”, verso e
“spirare”, soffiare e la morfologia che richiama la
parola “asperità” (in latino si diceva “ad astra per
aspera”). Significa, dunque, che contro l’attuale
cultura della morte bisogna educare all’amore (dal
latino “a-mors”, non morte), alla biofilia e per questo
non è possibile né ammissibile alcuna delega educativa
ma coralità e corresponsabilità educativa.
Così descritta la famiglia
rispecchia la definizione data nella Premessa della
Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del
1989: “[…] la famiglia, quale nucleo fondamentale della
società e quale ambiente naturale per la crescita e il
benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei
fanciulli debba ricevere l’assistenza e la protezione
necessarie per assumere pienamente le sue responsabilità
all’interno della comunità”.
[1] E. V. Napoli “Comunità
familiare e diritto di comunicazione” nella rivista “Il
diritto di famiglia e delle persone”, 1983, p. 1160 ss. |