Fermo quanto stabilito
sull’obbligatorietà o meno della mediazione nei commi
1°, 3° e 4° dell’art. 5 del Decreto Legisaltivo n° 28
del 2010 sulla disciplina della mediazione per la
conciliazione delle controversie in materia civile e
commerciale, il 5° comma dello stesso art. 5 prevede
che, se un contratto (ovviamente scritto) oppure uno
statuto od un atto costitutivo di un ente (sia società
che organizzazione non profit, cioè senza scopo di
lucro) contengono una clausola di mediazione o
conciliazione per le controversie che da essi possono
derivare ed il tentativo non risulta esperito oppure
risulta iniziato ma non concluso, il Giudice o l’Arbitro
(nel caso di procedimento arbitrale), su eccezione di
parte proposta nella prima difesa, assegna alle parti il
termine di quindici giorni per la presentazione della
domanda (istanza) di mediazione e fissa la successiva
udienza dopo almeno quattro mesi. Se questa eccezione
non viene proposta il giudizio od il procedimento
arbitrale va avanti normalmente. Le parti possono
scegliere liberamente l’organismo di mediazione a cui
rivolgersi, anche se l’atto che contiene la clausola di
mediazione ne indica un altro. E’, questa, la c.d.
mediazione “contrattuale” o “statutaria”.
Deroga a questa norma (il 5° comma
dell’art. 5 del Dlgs 28/2010) il recentissimo 1° comma
dell’art. 67 del Decreto Legislativo n° 79 del 2011, il
“Codice della normativa statale in materia di turismo”,
che ha previsto un caso di mediazione “contrattuale” che
non è nella disponibilità delle parti (che, pertanto,
non possono, d’accordo tra loro, non svolgerla), dato
che il suo esperimento è obbligatorio se esso è previsto
da una clausola di un contratto di fornitura di servizi
turistici (per esempio, il contratto di vendita di un
viaggio organizzato, quello di acquisto dei servizi di
una struttura ricettiva o di una multiproprietà, ecc.).
Questo contratto deve avere forma scritta e la clausola
di mediazione delle controversie che da esso possono
derivare deve essere specificamente approvata per
iscritto dal turista – consumatore, cioè dall’acquirente
e/o, eventualmente, dal cessionario del contratto, come
avviene per le clausole contrattuali vessatorie previste
dal 2° comma dell’art. 1341 c.c. In questo caso, il
procedimento di mediazione costituisce, per il 1° comma
dell’art. 67 citato, “condizione di procedibilità della
domanda giudiziale o arbitrale”.
Sarebbe stato preferibile, a nostro
parere, che questa norma avesse previsto che
l’esperimento del tentativo di mediazione fosse
condizione di procedibilità della domanda giudiziale per
tutte le controversie derivanti dai contratti di
fornitura di servizi turistici perché, con l’attuale
formulazione, essa è solo eventuale (se nel contratto è
presente la clausola di mediazione) e limitata ai
contratti turistici più importanti per i quali è
obbligatoria la forma scritta (per esempio, il contratto
di acquisto di un viaggio organizzato o quello di
acquisto di una multiproprietà) mentre si ricade sempre
nella mediazione volontaria per i contratti turistici di
minore portata (per esempio, quello di prenotazione di
una camera di albergo), per i quali non è necessaria la
forma scritta ma per le cui controversie la mediazione è
senz’altro preferibile ad un giudizio civile ordinario.
Inoltre, dato che il 1° comma
dell’art. 67 non prevede alcuna limitazione, per
“contratto di fornitura di servizi turistici” non è da
intendersi soltanto quello stipulato fra una impresa
turistica ed un consumatore, ma anche fra quest’ultimo
ed una organizzazione senza scopo di lucro (per esempio,
una associazione) oppure quello stipulato fra due
imprese o fra una impresa ed una organizzazione non
profit di cui almeno una operante nel settore del
turismo che fornisce servizi turistici all’altra (per
esempio, un tour operator che acquista la disponibilità
delle camere di un albergo dall’impresa ricettiva che
gestisce quest’ultimo).
Il 2° comma dell’art. 67 è, invece,
una norma piuttosto confusa e sostanzialmente inutile
che prevede che resta salva la facoltà del turista –
consumatore di ricorrere, in caso di controversia
derivante da un contratto di fornitura di un servizio
turistico, ad altre procedure di negoziazione volontaria
o paritetica oppure alla procedura di conciliazione
innanzi alle commissioni conciliative delle Camere di
Commercio istituite ai sensi dell’art. 2, comma 2°,
lettera g) della Legge n° 580 del 1993 (nel testo della
norma è citata erroneamente la lettera a del 4° comma,
in cui era inserita originariamente questa previsione,
ma l’art. 2 è stato modificato dal Decreto Legislativo
n° 23 del 2010). Queste commissioni, dopo l’emanazione
del Dlgs 28/2010, sono diventate organismi di
mediazione, per cui tale norma non ha un significato
pratico, così come non serve il fatto che essa ricordi
che le parti possono farsi assistere dalle associazioni
dei consumatori (cosa scontata, come abbiamo visto nel
paragrafo precedente). Così pure non ha senso che la
norma dica che la procedura di conciliazione presso le
Camere di Commercio sia disciplinata dagli artt. 140 e
141 del Decreto Legislativo n° 206 del 2005 (il “Codice
del consumo”) perché ad esa non può che applicarsi la
disciplina della mediazione prevista dal Dlgs 28/2010 e
dal D.M. 180/2010. |