di Michele Miscione
La Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo ha emanato il 7 giugno 2011 una sentenza sul
personale ATA delle scuole (personale tecnico e
ausiliario), con cui, ponendo fine ad una lunga storia
del caso specifico, ha fatto affermazioni generali che
modificano o rischiano di modificare il sistema delle
fonti
La Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo ha emanato il 7 giugno 2011 una sentenza sul
“personale ATA” delle scuole (personale tecnico e
ausiliario), con cui, ponendo fine ad una lunga storia
del caso specifico, ha fatto affermazioni generali che
modificano o rischiano di modificare il sistema delle
fonti (CEDU, Sez. II, sentenza del 7 giugno 2011, Agrati
+ 120 nel ricorso n. 43549/08, Ciuffi + 5 nel ricorso n.
6107/09 e Carlucci nel ricorso n. 5087/09).
L’occasione è stata quella del
“personale ATA”, la cui storia è cominciata nel 2000 con
il trasferimento dagli Enti locali al Ministero della
Pubblica Istruzione: oggi, nel 2011, la Corte europea
(CEDU) ha riconosciuto al personale ATA il trattamento
precedente al trasferimento, senza peggioramenti.
Da qui due svolte di sistema:
innanzitutto la CEDU ha giudicato illegittima una legge
“retroattiva” tesa solo a cambiare le sentenze dei
giudici, in quanto in tal modo si ha interferenza
inammissibile del legislatore sulla giurisdizione.
Inoltre, la CEDU ha disatteso ben due sentenze della
Corte Costituzionale (234/2007 e 311/2009), che invece
aveva avallato la legge “retroattiva”, affermando una
superiorità nella gerarchia delle fonti. Con slogan, si
può dire che, dopo la sentenza CEDU del 7 giugno 2011,
il legislazione nazionale non può “riformare” i suoi
giudici e le Corti europee possono “riformare” la
Cassazione e la Corte Costituzionale.
La lunga storia del personale ATA è
la seguente. In base alla legge di trasferimento al
Ministero della Pubblica Istruzione (L. 124/1999), tutti
i giudici per cinque anni di seguito avevano detto che
il personale ATA doveva mantenere il trattamento
precedente.
Dopo tutte le sentenze favorevoli,
però, la “Finanziaria 2006” (art. 1 L. 266/2005),
facendo dire alla legge iniziale quel che non aveva
detto, ha “riformato” la giurisprudenza abbassando il
trattamento in modo “retroattivo”; la Corte
Costituzionale ha confermato la Finanziaria con le due
sentenze citate (234/2007 e 311/2009).
Ora però è intervenuta la sentenza
CEDU del 7 giugno 2011, riconoscendo al personale ATA,
nel trasferimento del 2000 al Ministero della Pubblica
Istruzione, un'anzianità effettiva e non «fittizia» e le
precedenti componenti accessorie dello stipendio. Prima
e dopo la Finanziaria, le cause sono state
numerosissime.
Fino al 2005 i giudici di merito e
la Cassazione avevano confermato le sentenze a favore
del personale ATA. (Cass., n. 4722 del 4 marzo 2005, nn.
18652-18657 del 23 settembre 2005, n. 18829 del 27
settembre 2005); ugualmente a favore del personale ATA
s’era pronunciato il Consiglio di Stato (sentenze n.
4142/2003 del 6 luglio 2005 e n. 5371 del 6 dicembre
2006).
La giurisprudenza era tanto ampia e
sempre conforme, da far dire ora alla CEDU che il
personale ATA si poteva considerare ormai “proprietario”
del trattamento riconosciuta dai giudici e che pertanto
la Finanziaria 2006 aveva disposto una specie
d’espropriazione illegittima. Forse la nozione di
proprietà è diversa, ma l’affermazione della CEDU dà
un’idea verosimile.
Dopo la sentenza CEDU del 7 giugno
2011, il legislatore non può più interferire sulla
giurisdizione per modificare un orientamento uniforme,
con limiti alla retroattività, e le sentenze della Corte
Costituzionale e delle altre Corti superiori restano
comunque soggette alle fonti europee.
|