Con il probabile fallimento del
Doha Round, il Wto non perderà l'autorità necessaria a
svolgere la sua funzione giurisdizionale. Né la corsa
agli accordi di libero scambio bilaterali e regionali
minerà alla base il sistema multilaterale, con un
ritorno del protezionismo. Semmai, con la
liberalizzazione su scala mondiale, il multilateralismo
finirebbe per favorire una ulteriore crescita delle
esportazioni della Cina. Mentre le zone di libero
scambio consentono di scegliere con chi negoziare, cosa
negoziare e quando liberalizzare, nel rispetto delle
regole Wto.
In un recente instant book, Richard
Baldwin e Simon Evenett ammoniscono che il probabile
fallimento del Doha Round del Wto potrebbe mettere a
repentaglio la stessa sopravvivenza dell'organizzazione.
(1) La World Trade Oganization verrebbe a perdere anche
l'autorità necessaria a svolgere la sua funzione
giurisdizionale e la corsa agli accordi di libero
scambio bilaterali e regionali minerebbe alla base il
sistema multilaterale. Gli autori sostengono che si
dovrebbe, invece, guardare alla "importanza sistemica"
di concludere Doha e ciò dovrebbe essere fatto nel 2011,
perché nel 2012 le elezioni in una serie di paesi, Stati
Uniti in particolare, in un periodo ancora di
stagnazione economica, potrebbero produrre un ulteriore
atteggiamento di chiusura degli Stati.
L'analisi giuridica e un'attenta
valutazione dei fatti suggeriscono, invece, che la
mancata conclusione del Doha Round non porterebbe a
risultati così preoccupanti: vediamo per quali motivi.
LE REGOLE GENERALI DEL WTO
La perdita di importanza del
sistema di soluzione delle controversie del Wto sarebbe,
secondo i due autori, la conseguenza dell'invecchiamento
progressivo delle regole dell'organizzazione, ferme al
1994. Tuttavia, il predecessore del Wto, il Gatt, ha
funzionato egregiamente e ha favorito, sia pur con
numerose lacune, la progressiva apertura degli scambi
per quarantasette anni. In più, le principali regole del
Wto hanno un contenuto di carattere generale (per
esempio, il divieto di discriminazione in base
all'origine delle merci o quello dei sussidi
all'esportazione) e in sede di interpretazione ben si
potrebbe tener conto dell'evoluzione della situazione
circostante. Il sistema, poi, non è impermeabile
all'esterno: norme di altri accordi internazionali (come
quelle ambientali, per esempio) sono già state tenute in
considerazione dai "giudici" del Wto nelle loro
decisioni. Infine, le zone bilaterali o regionali di
libero scambio, viste come conseguenza del fallimento di
accordi multilaterali, sono basate su trattati che
precisano sempre di essere in conformità con le norme
del Wto e che, in più, sono dotate di specifici sistemi
di soluzione delle controversie che non pregiudicano,
almeno formalmente, il ricorso all’organo del Wto.
CORSA AL REGIONALISMO UGUALE CORSA
AL PROTEZIONISMO
Non condivisibile, poi, l'assunto
di Baldwin e Evenett, secondo i quali gli accordi di
libero scambio comporterebbero una naturale corsa al
protezionismo. Tali accordi prevedono sempre, nel testo,
una clausola di conformità al Wto. Le norme rilevanti in
materia (gli articoli 24 del Gatt e 5 del Gats)
obbligano le zone di libero scambio a non incrementare
il livello di protezione esistente in precedenza. Il
sistema di soluzione delle controversie del Wto,
pertanto, potrebbe funzionare proprio da strumento di
controllo di singoli accordi di libero scambio
protezionistici in violazione delle norme multilaterali.
LA "FRAMMENTAZIONE" DEI REGIMI
NORMATIVI
L'erosione del multilateralismo
prospettata dai due autori non è un fenomeno nuovo: il
commercio internazionale, da anni, è caratterizzato
dalla presenza di un groviglio (spaghetti bowl) di
accordi bilaterali e regionali. Si pensi che l'Unione
Europea, alla nascita del Wto, nel 1995, applicava il
trattamento multilaterale base prescritto
dall'organizzazione (il "trattamento della nazione più
favorita") nei confronti di soli sette paesi: Stati
Uniti, Canada, Singapore, Australia, Nuova Zelanda,
Giappone, Corea. Le merci di tutti gli altri paesi
godevano già allora di un accesso preferenziale al
mercato europeo perché originarie da paesi in via di
sviluppo o in quanto legati da zone di libero scambio
con l'Unione.
DOHA: ORA O MAI PIÙ.
Baldwin ed Evenett ritengono che il
Doha Round vada concluso il più presto possibile, per
evitare che le elezioni del 2012 negli Stati Uniti,
influenzate da lunghi periodi di ristagno economico e
disoccupazione, promuovano l'elezione di un presidente
filo-protezionista. Bisogna tener conto, invece, che
nella recente storia statunitense, la conclusione dei
principali accordi commerciali (incluso l'Uruguay Round
che ha portato alla creazione del Wto) ha tratto grande
(e decisivo) beneficio dall’attivazione della procedura
del "fast track". Il "fast track" limita i poteri del
Congresso degli Stati Uniti, in sede di approvazione di
un trattato commerciale sottoscritto dal presidente, al
rigetto o all'approvazione in toto del trattato,
impedendo discussioni e proposte di emendamenti articolo
per articolo. La procedura è stata attivata due volte da
presidenti repubblicani, nel 1974 e nel 2002, e,
soprattutto nel 2000, fu alla base della prima campagna
presidenziale di Bush.
GLI ACCORDI DI LIBERO SCAMBIO
Senza dubbio il sistema di regole
degli scambi commerciali acuirà la sua frammentazione
normativa: ci si chiede, tuttavia, al di fuori di
considerazioni di modellistica economica, se ciò non
corrisponda a esigenze concrete degli Stati. Il
multilateralismo, infatti, con la liberalizzazione su
scala mondiale, finirebbe con il favorire ulteriormente
la crescita delle esportazioni della Cina, fonte dei
principali disequilibri nella bilancia commerciale di
gran parte dei partner commerciali. In più, in sede
multilaterale, molti temi cari ai paesi industrializzati
(ambiente, tutela del lavoro, concorrenza, appalti
pubblici, ulteriore protezione della proprietà
intellettuale) sono sistematicamente esclusi dal
negoziato soprattutto per la resistenza dei paesi in via
di sviluppo.
Le zone di libero scambio, invece,
consentono di scegliere con chi negoziare, cosa
negoziare e, in misura limitata – ovvero nel rispetto
delle regole Wto – quando liberalizzare.
Non è un caso che la politica
commerciale dell'Unione Europea e degli Stati Uniti
preveda il negoziato di accordi di libero scambio con
quasi tutti, Giappone incluso, tranne che con la Cina e
che questi accordi contengano importanti disposizioni a
tutela di ambiente, diritti sociali, concorrenza,
appalti pubblici, proprietà intellettuale (si vedano gli
accordi Corea-Ue e Corea-Stati Uniti). Si nota, in più,
il chiaro tentativo di Unione Europa e Stati Uniti di
concludere o iniziare il negoziato di accordi
preferenziali con i paesi che circondano la Cina
(Singapore, Malesia, Vietnam). Oltre al motivo politico,
che mira a ridurre l'influenza cinese nell'area, c'è una
ragione strategica economica che è spiegata dagli
accordi che questi paesi hanno concluso, a livello di
Asean, con la Cina e con altri attori importanti del
commercio internazionale: Giappone, India, Corea,
Australia e Nuova Zelanda. Un investimento produttivo in
uno dei paesi Asean, soprattutto in presenza di libero
scambio, potrebbe consentire di accedere a mercati che
ancora presentano importanti barriere alle esportazioni
europee, come Giappone e Cina.
(1) R. Baldwin,
S. Evenett, "Why World Leaders Must Resist the False
Promise of Another Doha Delay", Voxeu.org ebook, 2011. |