1. È evidente che un avvocato
utilizza il contratto (di mandato per la rappresentanza
e difesa giudiziale o extragiudiziale di un cliente) per
agire nell'esercizio della propria attività
professionale ed è, pertanto, da considerare un
professionista, secondo la definizione data a tale
figura dal legislatore nell'art. 3, lett. u) del citato
D.lgs. n. 206/2005
2. Per effetto dell'applicabilità
dell'art. 33 lett. u) d.lgs. n. 2 05/2 006, il foro
alternativo speciale di cui all'art. 637, e. 3 c.p.c.
opera solo nell'ipotesi in cui il cliente, tenuto alla
prestazione del corrispettivo all'avvocato, sia una
persona giuridica oppure - nell'ipotesi in cui il
cliente sia una persona fisica - che esso non rivesta la
qualità di consumatore e, quindi, che abbia richiesto la
prestazione professionale all'avvocato per uno scopo
estraneo alla sua attività imprenditoriale,commerciale,
artigianale o professionale eventualmente svolta
3. Nella fattispecie la disciplina
dei c.d. contratti del consumatore trova applicazione
non perché manchi l'inerenza tra il contratto concluso
con l'avvocato e l'attività lavorativa di insegnante del
cliente, ma perché tale attività lavorativa, trattandosi
di lavoro subordinato, non è qualificabile come
"attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o
professionale".
4. Con il sintagma "attività
professionale", di cui all'art. 3 del d.lgs. n.
206/2005, come modificato dal D.Lgs. 23 ottobre 20 07,
n. 221, ai fini della qualificazione del soggetto -
persona fisica - come professionista, deve intendersi
solo l'attività consistente nella prestazione autonoma
d'opera professionale intellettuale (oltre all'attività
imprenditoriale, commerciale ed artigianale,
espressamente previste dalla norma), con esclusione
quindi dell'attività di lavoro dipendente, sia pubblico
che privato.
5. Nella fattispecie, poiché si
versa in ipotesi di un contratto d'opera professionale
intellettuale tra l'avvocato opposto ed il consumatore
opponente, trova applicazione il foro esclusivo di
quest'ultimo, a norma dell'art. 33, c. 2, lett. u) del
d.lgs. 6.9.2005, n. 206, e non il foro di cui all'art.
637, c. 3, c.p.c.
Cassazione, sez. III Civile, 9
giugno 2011, n. 12685
(Pres. Preden – Rel. Segreto)
Fatto e diritto
1. L'avv. E..M. ha ottenuto dal
Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo nei confronti di
Ma.Sa. per un credito di Euro. 14.473,88 a titolo di
compenso per prestazioni professionali di avvocato in un
giudizio promosso davanti al Tar Molise e davanti al
Consiglio di Stato, relativo all'orario di insegnamento
del Ma. , quale professore di scuola pubblica. Il Ma.
proponeva opposizione, eccependo tra l'altro
l'incompetenza territoriale del tribunale di Roma ed in
via gradata, sollevando l'eccezione di
incostituzionalità dell'art. 637, e. 3, c.p.c..
Il tribunale di Roma, con sentenza
depositata il 19.2.2010, dichiarava la propria
incompetenza per territorio, essendo competente il
tribunale di Larino, quale foro del consumatore, avendo
il Ma. la propria residenza in quel circondario.
Avverso tale sentenza, l'attore
avv. E..M. proponeva regolamento di competenza adducendo
che nel caso di specie non fosse applicabile la
previsione sul foro del consumatore, in quanto nel
rapporto tra avvocato e cliente non operava la normativa
a tutela del consumatore che si riferiva solo alle
attività commerciali; che il Ma.Sa. non poteva
considerasi un consumatore, in quanto aveva conferito
mandato all'avvocato riguardo ad una controversia che
rientrava nel quadro della sua professione di
insegnante; che in ogni caso avrebbe dovuto trovare
applicazione l’art. 637, comma 3, c.p.c.. L’avv. M. ha
presentato anche memoria. Resiste l'intimato con
controricorso.
2. La decisione sulla competenza
passa necessariamente attraverso la soluzione di tre
questioni.
Il primo problema che si pone nella
fattispecie attiene al rapporto tra il foro speciale
alternativo di cui all’art. 637, c. 3, c.p.c. in favore
degli avvocati (e dei notai), ed il foro esclusivo del
consumatore di cui attualmente all'art. 33, c. 2 lett.
n) del d.lgs. 6.9.2005 n. 206.
Il punto è oggetto di soluzioni
contrastanti nella giurisprudenza di merito, mentre
mancano sentenze di legittimità.
L'art. 63 7 c.p.c. statuisce che
"Per l'ingiunzione è competente il giudice di pace o, in
composizione monocratica, il tribunale che sarebbe
competente per la domanda proposta in via ordinaria. Per
i crediti previsti nel n. 2 dell'articolo 633 è
competente anche l'ufficio giudiziario che ha deciso la
causa alla quale il credito si riferisce.
Gli avvocati o i notai possono
altresì proporre domanda d'ingiunzione contro i propri
clienti al giudice competente per valore del luogo ove
ha sede il consiglio dell'ordine al cui albo sono
iscritti o il consiglio notarile dal quale dipendono".
L'art. 33, c. 2, lett. u), del d.lgs. 6.9.2005, n.
206,statuisce in tema di contratti c.d. del consumatore
che si presume vessatoria fino a prova contraria la
clausola che ha per oggetto, o per effetto, di
"stabilire come sede del foro competente sulle
controversie località diversa da quella di residenza o
domicilio elettivo del consumatore”.
3.Va anzitutto rilevato che l'art.
637, c. 3, c.p.c. ha superato indenne lo scrutinio di
costituzionalità, a cui è stato sottoposto dal Giudice
delle leggi con sentenza n. 50 del 2010, in relazione
agli artt. 3 e 25 Cost.. La Corte costituzionale ha solo
rilevato che lo scopo della norma è quello di agevolare
il professionista, che sarebbe invece costretto a
seguire le cause relative al recupero dei crediti
professionali in luogo diverso (o addirittura in luoghi
diversi) da quello in cui egli avesse attualmente
stabilito l'organizzazione della propria attività
professionale, ma che la censura di incostituzionalità
non può ritenersi fondata sotto il profilo della
disparità di trattamento in relazione ad altre categorie
professionali, che non possono avvalersi della stessa
norma. Infatti "si deve osservare che ogni professione
presenta caratteri peculiari idonei a giustificarne una
disciplina giuridica differenziata. Per la professione
legale tali caratteri sono stati già posti in luce con
la sentenza di questa Corte n. 137 del 1975. Infine,
quanto al rapporto tra l'avvocato e il cliente, se è
vero che la norma censurata attribuisce al primo una
facoltà processuale ai fini del recupero dei suoi
crediti per prestazioni professionali, mediante la
possibilità di scegliere un foro che può non coincidere
con la residenza o il domicilio del debitore convenuto,
è anche vero che tale facoltà non contrasta con il
principio di eguaglianza, essendo essa, come già si è
notato, frutto di una scelta non irragionevole del
legislatore”.
4.1. La giurisprudenza ha ritenuto
in tema di c.d. contratti del consumatore, che il foro
del consumatore è esclusivo e speciale sicché la
clausola che stabilisca come sede del foro competente
una località diversa da quella di residenza o di
domicilio elettivo del consumatore, anche se il foro
indicato come competente coincida con uno dei fori
legali di cui agli artt. 18 e 20 c.c., è presuntivamente
vessatoria e, pertanto, nulla (Cass. 26/09/2008, n.
24262).
Già sotto la vigenza dell'art. 1469
bis c.p.c. le S.U. di questa Corte hanno ritenuto che la
norma contenuta nel comma 3, n. 19 nel presumere la
vessatorietà della clausola che stabilisca come sede del
foro competente una località diversa da quella di
residenza o domicilio elettivo del consumatore, ha
introdotto un foro esclusivo speciale, derogabile dalle
parti solo con trattativa individuale. Ne consegue che è
da presumere vessatoria anche la clausola che stabilisca
un foro coincidente con uno dei fori legali di cui agli
artt. 18 e 20 cod. proc. civ., se è diverso quello del
consumatore, perché l'art. 1469-ter, terzo comma, cod.
civ. - per il quale non sono vessatorie le clausole che
riproducono disposizioni di legge - non può essere
interpretato vanificando in modo surrettizio la tutela
del consumatore, come nel caso in cui il "forum
destinatae solutionis" coincida con la residenza del
professionista (Cass. Sez. Unite, 01/10/2003, n. 14669;
Cass. 20/08/2004, n. 16336).
Pertanto con l'introduzione del
foro speciale esclusivo in favore del consumatore
(originariamente introdotto dall'art. 1469 bis c.c. e
poi trasferito nell'art. 33 del d. lgs. n. 206/2005)
risulta ridotto l'ambito di applicabilità
dell'originario foro speciale alternativo di cui
all'art. 637, c. 3, c.p.c., non regolando anche l'area
attualmente coperta dal foro del consumatore, ma
esclusivamente quella in cui il cliente ingiunto non
rivesta tale qualità.
A rigore non si tratta propriamente
di una abrogazione dell'art. 637 e. 3 c.p.c., sia pure
parziale, per incompatibilità ai sensi dell'art. 15
delle preleggi, in quanto le due norme in esame
convivono (e ciò non solo in relazione alle diverse
delimitazioni suddette ma anche perché l'art. 34 d. lgs.
n. 206/2005 non esclude in modo assoluto la deroga al
foro del consumatore, e quindi anche l'applicabilità
della norma codicistica, ma indica le ristrette
condizioni alla quali può essere ammessa).
Tuttavia, allorché si versa in una
fattispecie in cui, per la presenza sia dell'avvocato
che del cliente-consumatore entrambe le norme sarebbero
astrattamente applicabili ma necessariamente deve darsi
la prevalenza o all'una o all'altra, tale prevalenza va
accordata alla norma in tema di foro del consumatore per
una duplice ragione.
Anzitutto perché la norma in tema
di foro del consumatore individua una competenza
esclusiva, che prevale su ogni altra, pur configurata da
altra norma (così SU 14669/2003 cit.).
Inoltre detta prevalenza è
conseguenza dell'applicazione dei principi che regolano
la successione delle leggi nel tempo.
4.2.Né potrebbe sostenersi che tale
disciplina prevista dall'art. 637, c. 3, c.p.c., per
quanto anteriore rispetto al c.d. codice del consumo non
sia stata influenzata dalla successiva disciplina in
tema di foro del consumatore, costituendo la norma
codicistica una disposizione speciale e, come tale non
derogata dalla disposizione successiva generale (perché
regolante organicamente l'intera materia della tutela
del consumatore) secondo il principio lex specialis
derogat legi generali e lex posterior generalis non
derogat legi priori speciali.
Infatti l'art. 33, c. 2, lett. u),
d. lgs. n. 206/2005 cit., per quanto posizionato in una
normativa a carattere generale a tutela del consumatore,
rappresenta pur sempre una disposizione speciale in tema
di competenza territoriale, non diversamente dalla norma
di cui all'art. 637, c. 3 c.p.c., che è posizionata
nell'ambito del codice di rito e, quindi, della
disciplina generale ed organica del procedimento civile.
4.3. In ogni caso, in merito alla
qualità di lex specialis della norma attinente al foro
esclusivo del consumatore, va osservato che tale foro
era stato originariamente disposto dall'art. 1469 bis e.
3, n. 19 c.c. (introdotto con l'art. 25 della l. n.
52/1996). In quella sede tale l'individuazione del foro
costituiva certamente una lex specialis a tutela del
consumatore, con la conseguenza che per effetto del
coordinamento di tale disposizione speciale sopravvenuta
con quella antecedente di cui all'art. 637, c. 3,
quest'ultima risultava delimitata ai soli casi in cui il
cliente non fosse un consumatore.
La circostanza che la norma
speciale in tema di foro esclusivo del consumatore sia
poi stata trasferita nella più generale normativa a
tutela del consumatore, di cui alla legge n. 206 del
2005, non priva la norma attinente al foro del
consumatore del carattere di specialità né "riassorbe"
gli effetti delimitativi già prodottisi sull'art. 637,
c. 3 c.p.c..
Entrambe le norme (sia quella di
cui all'art. 637, e. 3, che quella di cui all'art. 33 d.
lgs. n. 205/2006) attengono infatti a categorie
specifiche di soggetti.
Ne consegue che il loro concorso va
regolato nei termini della prevalenza della norma di cui
all'art. 33, c. 2, lett. u, d. lgs. n.2006/2005 su
quella di cui all'art. 637, e. 3 c.p.c..
4.4. Di nessun rilievo, ai fini
della questione in esame, è la sentenza 20.7.2010 n.
17049 di questa Corte, su cui si dilunga il ricorrente
nella memoria. Essa infatti si è limitata a statuire che
il Consiglio dell'Ordine in relazione al quale va
determinato il giudice competente a norma dell'art. 637,
c. 3, c.p.c. è quello relativo al momento della
proposizione del ricorso. Nessun elemento da tanto si
ricava in relazione alla diversa questione in esame
della concorrenza tra il foro dell'avvocato e quello del
consumatore.
5.1. La seconda questione che si
pone è di esaminare se l'avvocato che conclude un
contratto d'opera professionale intellettuale sia da
ritenersi un professionista, ai sensi dell'art. 3 del d.
lgs. n. 206/2005.
La risposta è affermativa.
Invero, appare innanzitutto
infondato l'assunto del ricorrente con il quale,
facendosi riferimento al preambolo della direttiva
comunitaria 5 aprile 1993 n. 93/13 CEE, da cui ha tratto
origine la normativa nazionale sul consumatore, si
sostiene che il rapporto tra avvocato e cliente
esulerebbe dalla normativa de qua, in quanto l'attività
del legale non rientrerebbe tra le "attività
commerciali", a cui soltanto la stessa normativa si
riferirebbe, sostanziandosi in un'opera intellettuale
basata sull'intuitu personae, di modo che l'avvocato non
potrebbe essere annoverato tra i professionisti a cui si
applica la normativa comunitaria.
5.2. Va, al contrario, rilevato che
la direttiva comunitaria del 5.4.19 93, n. 93/13 CEE non
limita il suo ambito di applicazione alle "attività
commerciali", come comunemente intese. Anzi la predetta
direttiva comunitaria, al suo decimo "considerando",
afferma espressamente la sua applicabilità "a qualsiasi
contratto stipulato tra un professionista e un
consumatore", eccezion fatta per alcuni contratti
espressamente enucleati.
Il D.lgs. n. 206/2005 all'art. 3
lett. a), come modificato dall'art. 3, D.Lgs. 23 ottobre
2007, n. 221 definisce il consumatore come: "la persona
fisica che agisce per scopi estranei all'attività
imprenditoriale, commerciale, artigianale o
professionale eventualmente svolta". Lo stesso art. 3
(mod. dal d.lgs. n. 221/2007), alla lett. c) definisce
il professionista come: “la persona fisica o giuridica
che agisce nell'esercizio della propria attività
imprenditoriale, commerciale, artigianale o
professionale, ovvero un suo intermediario". Questa
definizione di professionista, così come quella di
consumatore, fa riferimento all'esercizio dell'attività
"imprenditoriale, commerciale, artigianale o
professionale" che, nel nostro ordinamento, rispecchia
la distinzione tra imprenditore, artigiano e prestatore
d'opera professionale.
6.1. È evidente, quindi, che la
disciplina del consumatore si applica anche al
professionista prestatore d'opera intellettuale (art.
2229 c.c.), qual'è l'avvocato.
A tal fine, peraltro, a nulla
rileva che il rapporto tra l'avvocato e il
professionista sia caratterizzato dall'intuitu personae
e sia, non di contrapposizione, ma di collaborazione
(questo, tra l'altro, solo nei rapporti esterni con i
terzi, ossia con le controparti del cliente), non
rientrando tale circostanza nel paradigma normativo.
Nella fattispecie si versa
nell'ipotesi di contratto (d'opera professionale)
stipulato tra un professionista (l'avvocato), che
tipicamente conclude quel tipo di contratto nella sua
attività professionale, ed un cliente, il quale, a
seconda delle circostanze, può esser un consumatore o
meno (come si vedrà in seguito).
Invero, è evidente che un avvocato
utilizza il contratto (di mandato per la rappresentanza
e difesa giudiziale o extragiudiziale di un cliente) per
agire nell'esercizio della propria attività
professionale ed è, pertanto, da considerare un
professionista, secondo la definizione data a tale
figura dal legislatore nell'art. 3, lett. u) del citato
D.lgs. n. 206/2005.
6.2. Ora, il professionista è colui
che nell'esercizio della sua attività "utilizza" i
contratti previsti dalla disciplina a tutela del
consumatore. Il punto era espressamente dichiarato nel
previgente art. 1469 bis c.c.; l'inciso non è stato poi
riprodotto nel codice del consumo unicamente per il
fatto che la definizione viene riferita, in apertura di
codice, non solo alla disciplina dei contratti del
consumatore ma del consumo in genere. Tuttavia non pare
revocabile in dubbio che l'utilizzo del contratto da
parte del professionista quale ordinario strumento per
l'esercizio della propria attività sia uno dei
presupposti sostanziali della normativa in esame.
6.3. Quanto alla prestazione
professionale, lo stesso articolo 3 del cod. cons. alla
lett. e) individua nel "prodotto" destinato al
consumatore anche una "prestazione di servizi".
A questo fine va rilevato che già
questa Corte aveva affermato con ordinanza 26/09/2008,
n. 24257, l'applicabilità dell'art. 33 lett. u) del
citato D.lgs 6.9.2005, n. 206, in tema di foro del
consumatore nell'ambito di un giudizio instaurato
dall'avvocato nei confronti del proprio cliente per
competenze professionali, rilevando la prevalenza di
detto foro esclusivo rispetto a quelli facoltativi di
cui all'art. 20 c.p.c. (non si faceva questione -invece
- del rapporto tra foro esclusivo del consumatore e
quello alternativo speciale di cui all'art. 637, c. 3,
c.p.c.) 6.4.Più in generale questa Corte ha già ritenuto
che il prestatore di opera professionale intellettuale
(nella fattispecie il medico) integra la figura del
professionista di cui all'art. 1469 bis (abrogato) e. e.
e quindi dell'attuale art. 3 cod. cons. (Cass.
20/03/2010, n. 6824; Cass. 27/02/2009, n. 4914, Cass.
2/01/2009, n. 20), con la conseguenza che opera per il
cliente - consumatore - il foro esclusivo della propria
residenza. In questi predetti arresti si è rilevato che
è professionista - ai fini dell'applicazione della
disciplina sui contratti del consumatore, - una persona
che assume verso l'altra l'impegno di svolgere a suo
favore un compito da professionista intellettuale, se
l'impegno è assunto nel quadro di un'attività svolta in
modo non occasionale.
6.5. Né la disciplina di protezione
del consumatore è limitata al caso in cui il contratto
sia concluso per iscritto con rinvio a condizioni
generali di contratto o mediante moduli o formulari,
come pure si evince sia dall'art. 35 del codice del
consumo (e già dall'art. 1469 quater cod. civ.), sia
dall'art. 34, comma 5 del citato codice e già dall'art.
1479 ter c.c., comma 5, che considerano tali ipotesi
come eventuali e le elevano a presupposto della
applicazione di ulteriori disposizioni di tutela del
consumatore.
Il che è del resto conforme a
quanto risulta in modo espresso da uno dei
"considerando" che introducono alla direttiva 93/13/CEE
del Consiglio del 5 aprile 1993, concernente le clausole
abusive nei contratti stipulati dal consumatore, dove è
scritto che "il consumatore deve godere della medesima
protezione nell'ambito di un contratto orale e di un
contratto scritto".
Inoltre la giurisprudenza della
Corte ha ritenuto che sia "professionista" il prestatore
d'opera intellettuale anche quando si è discusso e
risolto negativamente il quesito se della tutela del
consumatore possa egli fruire per contratti conclusi nel
quadro della sua attività professionale (Cass. 5 giugno
2 007 n. 13083; 9 novembre 2006 n. 23892, quest'ultima
con specifico riferimento alla professione di avvocato).
7.Ne consegue che, per effetto
dell'applicabilità dell'art. 33 lett. u) d.lgs. n. 2
05/2 006, il foro alternativo speciale di cui all'art.
637, e. 3 c.p.c. opera solo nell'ipotesi in cui il
cliente, tenuto alla prestazione del corrispettivo
all'avvocato, sia una persona giuridica oppure -
nell'ipotesi in cui il cliente sia una persona fisica -
che esso non rivesta la qualità di consumatore e,
quindi, che abbia richiesto la prestazione professionale
all'avvocato per uno scopo estraneo alla sua attività
imprenditoriale,commerciale, artigianale o professionale
eventualmente svolta (l'art. 15 del Reg. CE 44/2001
utilizza il sintagma X1scopo estraneo all'attività").
8.1-Si pone a questo punto la terza
questione: Se, ai fini dell'individuazione del
consumatore, con la locuzione "scopo estraneo
all'attività professionale" ci si riferisca
necessariamente ad "attività professionale" diversa da
quella del lavoratore dipendente.
Secondo il ricorrente, infatti,
poiché il Ma. gli aveva richiesto l'attività
professionale di avvocato relativamente ad atti in
merito all'orario di insegnamento, la prestazione
richiesta non era estranea all'attività professionale di
insegnante del Ma. , con la conseguenza che questi non
era un consumatore, ma a sua volta un professionista,
per cui non poteva invocare il foro del consumatore.
Secondo l'orientamento
giurisprudenziale italiano prevalente (Cass. S.U. n.
7444 del 20/03/2008) deve essere considerato consumatore
e beneficia della disciplina di cui all'art. 1469 bis
c.c. e segg., ed attualmente D.Lgs. n. 2006 del 2005,
artt. 3 e 33 e segg., la persona fisica che, anche se
svolge attività imprenditoriale o professionale,
conclude un qualche contratto per la soddisfazione di
esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di
dette attività; mentre deve essere considerato
"professionista" tanto la persona fisica quanto quella
giuridica, sia pubblica che privata, che invece utilizza
il contratto nel quadro della sua attività
imprenditoriale e professionale, ricomprendendosi in
tale nozione anche gli atti posti in essere per uno
scopo connesso all'esercizio dell'impresa (cfr. anche
Cass. 23/02/2007, n. 4208).
8.2.Non sono mancate critiche a
tale orientamento, finalizzate ad un’interpretazione
estensiva del concetto di consumatore, fondata sulla
distinzione tra atti della professione e atti inerenti
alla professione e con la tendenza ad escludere
dall'ambito di applicazione della tutela dei consumatori
solo quegli atti che presentino una pertinenza specifica
con l'attività professionale svolta e non quelli in cui
il collegamento sia riconducibile ad un rapporto di
pertinenza generica, sul presupposto che in tali
situazioni il soggetto vessato, pur agendo per finalità
diverse dal puro consumo privato, è sostanzialmente un
profano, sfornito di quelle competenze specifiche che
possono farlo ritenere in posizione di parità con il
contraente forte, con conseguente asimmetria
informativa.
8.3. Sennonché non vi sono ragioni
per discostarsi dall'orientamento già espresso da queste
S.U. e sopra indicato. Va, anzi, osservato che la tesi è
corroborata dalla definizione di consumatore fornita
nell'ambito del commercio elettronico (art. 2, lett. e),
D.lgs. 9.4.2003, n.70): questa normativa prevede che
anche la mera riferibilità dell'atto all'attività
professionale svolta dalla persona fisica impedisce che
quest'ultima possa essere qualificata come consumatore.
8.4. Ne consegue che anche la
persona fisica che abbia richiesto all'avvocato la sua
prestazione professionale per una questione non estranea
alla sua attività imprenditoriale o professionale, sia
pure occasionale, non ha la qualità di consumatore e
quindi non può beneficiare del foro di cui all'art. 33,
c. 2 lett. u) d.lgs. n. 205/2006, mentre rimane soggetto
al foro alternativo di cui all'art. 637, c. 3 c.p.c..
9.1. Sotto questo profilo non può
essere condiviso l'argomento sotteso alla sentenza
impugnata e fatto proprio dal resistente, secondo cui
nella fattispecie il contratto di prestazione di opera
professionale intervenuto tra l'avvocato ed il cliente
non costituiva un atto finalizzato alla sua attività di
professore di scuola pubblica statale, svolta dal
cliente, per cui questi non era un consumatore.
Poiché nella fattispecie, invece,
come emerge dalla sentenza impugnata, il mandato
professionale era stato conferito, dall'opponente
all'opposto per ottenere l'annullamento dal TAR del
provvedimento di smembramento delle ore di insegnamento
del Ma. , insegnante di topografia, costruzioni rurali e
disegno presso istituti tecnici, tale prestazione
difensiva richiesta, non era estranea all'attività del
cliente, come rileva il ricorrente.
9.2.Osserva, quindi, questa Corte
che se la questione della qualità di professionista (e
quindi di non consumatore) dovesse essere impostata solo
nei termini di inerenza della prestazione difensiva
richiesta con l'attività svolta dall'opponente
(cliente), nella fattispecie dovrebbe necessariamente
concludersi che la prestazione richiesta all'avvocato
non era "estranea" alla stessa, poiché atteneva
espressamente a tale attività di insegnante del cliente.
Sennonché tale assunto si fonda su
un presupposto errato e cioè che si possa predicare, ai
fini che qui interessano, l'equazione tra "attività
lavorativa" ed "attività professionale".
Invece nella fattispecie la
disciplina dei c.d. contratti del consumatore trova
applicazione non perché manchi l'inerenza tra il
contratto concluso con l'avvocato e l'attività
lavorativa di insegnante del cliente, ma perché tale
attività lavorativa, trattandosi di lavoro subordinato,
non è qualificabile come "attività imprenditoriale,
commerciale, artigianale o professionale", come
richiesto dalla legge e sostenuto dal ricorrente.
Solo se il soggetto persona fisica
agisce per uno scopo relativo ad una di queste quattro
"attività", è esclusa la qualità di consumatore,
subentrando invece la qualità di professionista.
10.1.Ritiene questa Corte che il
rapporto di lavoro subordinato (sia privato che
pubblico), contrariamente a quanto sostenuto dal
ricorrente, non integri "attività professionale", idonea
(ai sensi dell'art. 3 d. lgs. n. 206/2005) a far
ritenere sussistente la qualità di professionista e, per
converso, escludere quella di consumatore.
Infatti anzitutto la disciplina
relativa alla tutela del consumatore individua nel
professionista un soggetto che opera direttamente sul
mercato per un'attività imprenditoriale artigianale,
commerciale o professionale, svolgendo su tale mercato
un'attività economica, tendenzialmente nei confronti di
tutti i soggetti che possono richiederla.
A fronte di tale attività vi è il
consumatore, quale persona fisica, che, se non ha egli
stesso in relazione a quel contratto la qualità di
professionista, rappresenta la parte debole. Nel
rapporto di lavoro subordinato, invece, il lavoratore
non svolge sul mercato la propria attività economica, ma
effettua la sua prestazione lavorativa esclusivamente
con l'inserimento nella struttura e nell'organizzazione
dell'impresa del datore di lavoro (Cass. civ., Sez.
lavoro, 14/09/2009, n. 19770), e solo l'attività di
quest' ultimo è un'attività imprenditoriale, commerciale
o artigianale o professionale (e non quella dei soggetti
che all'interno svolgono per lui l'attività lavorativa
dipendente).
Peraltro sarebbe ben strano che il
lavoratore dipendente, all'interno del rapporto di
lavoro, sia considerato la parte debole (Cass.
12/02/2004, n. 2734), mentre quando poi "agisce
nell'esercizio della propria attività", ai fini del
codice del consumo sia considerato un "professionista",
parte forte. Ulteriori elementi per escludere che nel
concetto di "attività professionale" rientri anche
l'attività lavorativa conseguente a rapporto di lavoro
emergono dal decimo "considerando" alla direttiva
93/13/CEE, che ai contratti di lavoro ha attribuito una
propria autonomia.
10.2.In definitiva con il sintagma
"attività professionale", di cui all'art. 3 del d.lgs.
n. 206/2005, come modificato dal D.Lgs. 23 ottobre 20
07, n. 221, ai fini della qualificazione del soggetto -
persona fisica - come professionista, deve intendersi
solo l'attività consistente nella prestazione autonoma
d'opera professionale intellettuale (oltre all'attività
imprenditoriale, commerciale ed artigianale,
espressamente previste dalla norma), con esclusione
quindi dell'attività di lavoro dipendente, sia pubblico
che privato.
11. Nella fattispecie, poiché si
versa in ipotesi di un contratto d'opera professionale
intellettuale tra l'avvocato opposto ed il consumatore
opponente, trova applicazione il foro esclusivo di
quest'ultimo, a norma dell'art. 33, c. 2, lett. u) del
d.lgs. 6.9.2005, n. 206, e non il foro di cui all'art.
637, c. 3, c.p.c. Quindi va affermata la competenza
territoriale del tribunale di Larino, come correttamente
statuito dalla sentenza impugnata. Stante la novità
della questione in questa sede di legittimità ed il
contrasto nella giurisprudenza di merito, esistono
giusti motivi per compensare le spese di questo
regolamento.
P.Q.M.
Dichiara la competenza per
territorio del tribunale di Larino. Compensa tra le
parti le spese di questo regolamento. |