“Mediatori solo se muniti di laurea
(almeno) triennale o iscritti ad un ordine o collegio
professionale”.
Lo ribadisce la Circolare del
Ministero della Giustizia, del 13 giugno, che torna –
dopo le trattative delle settimane scorse con le
associazioni forensi – sui requisiti obbligatori
richiesti per l’attività di mediazione (già oggetto
della precedente Circolare del 4 aprile).
Superate le critiche
dell’avvocatura in ordine alla “scarsa professionalità”
dei conciliatori?
* * *
Ministero della Giustizia
Dipartimento per gli affari di
giustizia
Circolare 13 giugno 2011
Attività di tenuta del registro
degli organismi di mediazione e dell’elenco degli enti
di formazione. Indicazioni sull’applicabilità della
disciplina del silenzio assenso
il Direttore generale della
Giustizia civile;
visto l’art. 16 del decreto
legislativo 4 marzo 2010 n. 28;
visto il decreto interministeriale
del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro
dello Sviluppo Economico 18 ottobre 2010 n. 180,
pubblicato sulla G.U. 4 novembre 2010 n. 258, con
efficacia dal 5 novembre 2010, con il quale è stato
adottato il “Regolamento recante la determinazione dei
criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del
registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei
formatori per la mediazione nonché l’approvazione delle
indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’art.
16 del Decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28”;
visto l’art.3 del suddetto decreto
interministeriale che prevede che il registro degli
organismi abilitati a svolgere la mediazione è tenuto
presso il Ministero della Giustizia e ne è responsabile
il direttore generale della giustizia civile(o suo
delegato);
visto l’art.17 del suddetto decreto
interministeriale, che prevede che l’elenco degli enti
di formazione abilitati a svolgere l’attività di
formazione dei mediatori è tenuto presso il Ministero
della Giustizia e ne è responsabile il direttore
generale della giustizia civile;
visto l’art.5 del medesimo decreto
interministeriale (cui fa richiamo l’art.19 del medesimo
decreto relativamente agli enti di formazione), secondo
cui il responsabile del registro approva i modelli di
domanda di iscrizione e fissa le modalità di svolgimento
delle verifiche, con la indicazione degli atti, dei
documenti e dei dati di cui la domanda deve essere
corredata;
visto l’art.10 del medesimo decreto
interministeriale, secondo cui spetta al responsabile
del registro, per le finalità di cui ai commi 1 e 2,
l’esercizio del potere di controllo, anche mediante
l’acquisizione di atti e notizie, che viene esercitato
nei modi e tempi stabiliti da circolari o atti
amministrativi equipollenti;
visto il parere dell’ufficio
legislativo del Ministero della Giustizia del 6 giugno
2011;
adotta la seguente circolare
In sede di concreta attuazione
dell’attività di tenuta del registro degli organismi di
mediazione e dell’elenco degli enti di formazione, si
ritiene necessario dare specifica indicazione sul
profilo problematico inerente i termini di conclusione
dei procedimenti amministrativi che si attivano a
seguito delle diverse istanze proposte a questa
direzione generale e, in particolare, sulla
applicabilità della disciplina del silenzio assenso.
Le previsioni normative di
riferimento
Secondo la previsione di cui
all’art.5 del decreto interministeriale di cui
all’oggetto, il procedimento di iscrizione degli
organismi di mediazione nel registro tenuto presso il
Ministero della Giustizia deve essere concluso entro
quaranta giorni, decorrenti dalla data di ricevimento
della domanda. La richiesta di integrazione della
domanda o dei suoi allegati può essere effettuata per
una sola volta. Dalla data in cui risulta pervenuta la
documentazione integrativa richiesta decorre un nuovo
termine di venti giorni. Quando è scaduto il termine di
giorni quaranta (ovvero il termine di venti giorni nel
caso in cui sia stata formulata la richiesta di
integrazione ed essa sia pervenuta) senza che si sia
provveduto, si procede comunque all’iscrizione.
L’art.19 del medesimo decreto
interministeriale, poi, estende la medesima previsione
sopra citata anche al procedimento di iscrizione
nell’elenco degli enti di formazione.
Le suddette previsioni normative,
dunque, chiariscono espressamente l’applicazione della
disciplina del silenzio assenso relativamente al
procedimento di iscrizione nel registro degli organismi
di mediazione e degli enti di formazione: il trascorrere
del termine di quaranta giorni dalla data di
presentazione dell’istanza, ovvero del termine di venti
giorni dalla data di ricezione della documentazione
integrativa richiesta, assume una valenza giuridica
propria, in quanto comporta il prodursi di effetti
analoghi all’accoglimento dell’istanza di iscrizione,
tanto che l’amministrazione è tenuta comunque
all’iscrizione.
Il problema
Nei procedimenti amministrativi di
competenza, questa direzione generale non si limita
unicamente a valutare la sussistenza dei presupposti per
la iscrizione nel registro degli organismi di mediazione
ovvero nell’elenco degli enti di formazione.
Si inserisce, infatti, nell’ambito
delle attività di controllo e vigilanza di questa
direzione generale, anche la verifica di legittimità
delle ulteriori richieste che un organismo di mediazione
od un ente di formazione già iscritti sono tenuti a
formulare, in forza della previsione di cui all’art.8
del decreto interministeriale sopra citato.
Più segnatamente, ciascun organismo
di mediazione od ente di formazione iscritto è tenuto a
comunicare a questa direzione generale qualunque vicenda
modificativa dei requisiti, dei dati e degli elenchi
comunicati ai fini dell’iscrizione; ciò si verifica, ad
esempio, nel caso in cui un organismo od ente intende
modificare le proprie sedi, il regolamento, il numero
dei mediatori, il numero dei formatori, e così via.
Su ciascuna delle suddette
richieste questa direzione generale è tenuta a compiere
una valutazione di legittimità, dovendo controllare la
sussistenza dei requisiti.
In sostanza, come all’atto della
domanda di iscrizione si compie la valutazione della
sussistenza dei suddetti requisiti , così parimenti,
tale attività va compiuta anche quando l’istanza è
successiva al momento della iscrizione.
La direzione generale, in tali
ipotesi, in caso di regolarità delle modifiche
richieste, adotta un provvedimento di modifica del
precedente, il quale costituisce, dunque, nell’ambito
del rapporto tra la amministrazione vigilante e l’ente
od organismo istante, l’atto regolativo e legittimante
l’attività che può essere svolta dai soggetti
interessati.
È dunque indubbio che, anche in
questo caso, deve ragionarsi in termini di procedimento
amministravo attivato a seguito di una istanza di un
privato: la legittimità della variazione richiesta,
infatti, può derivare solo a seguito del compiuto
controllo da parte di questa direzione generale.
Il problema è che, relativamente a
tali istanze, non vi è alcuna espressa indicazione, in
sede di regolamento interministeriale n.180/2010, dei
tempi di chiusura del procedimento né degli effetti
della mancata adozione di un provvedimento espresso
entro il termine previsto.
Ciò a differenza di quanto
espressamente detto relativamente alle istanze di nuova
iscrizione dagli artt. 5 e 19 del regolamento
interministeriale.
L’applicazione della disciplina del
silenzio assenso di cui alla l.241/90
Sotto il profilo normativo, la
soluzione che si ritiene di dovere applicare, in linea
con il parere espresso dall’ufficio legislativo,
consiste nella applicabilità, ai procedimenti
amministrativi in esame, delle previsioni normative in
materia di procedimento amministrativo di cui alla l. 7
agosto 1990 n.241, segnatamente nella parte in cui ha
generalizzato l’istituto del silenzio assenso ad ogni
procedimento amministrativo, salvo specifiche
esclusioni.
In particolare, il riferimento
normativo è dato:
dall’art.2, secondo cui
1. Ove il procedimento consegua
obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere
iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno
il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un
provvedimento espresso.
2. Nei casi in cui disposizioni di
legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5
non prevedono un termine diverso, i procedimenti
amministrativi di competenza delle amministrazioni
statali e degli enti pubblici nazionali devono
concludersi entro il termine di trenta giorni;
dall’art. 20, secondo cui
1. Fatta salva l’applicazione
dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte
per il rilascio di provvedimenti amministrativi il
silenzio dell’amministrazione competente equivale a
provvedimento di accoglimento della domanda, senza
necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima
amministrazione non comunica all’interessato, nel
termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il
provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi
del comma 2.
In tali casi, pertanto, se nel
termine di trenta giorni non viene adottato il
provvedimento formale di autorizzazione, trova
applicazione la disciplina del silenzio assenso, con la
conseguenza che, ad esempio, l’organismo può operare
nelle ulteriori sedi, può applicare il nuovo
regolamento, può utilizzare i nuovi mediatori o
formatori di cui ha chiesto l’inserimento negli elenchi
e così via.
Va precisato che, a tal proposito,
il legislatore del 2005, nel modificare la previsione
contenuta nell’art. 20 della legge 241/90, ha inteso
generalizzare l’istituto del silenzio assenso a tutti i
procedimenti amministrativi, salvo eccezioni di cui al
comma quarto, non riconducibili alla presente
fattispecie.
Ed è proprio la scelta legislativa
di rendere generale la applicazione della previsione del
silenzio assenso per tutti i procedimenti amministrativi
che induce a non propendere per la diversa tesi, pur
prospettata da parte della dottrina e da una
giurisprudenza minoritaria, secondo cui l’effetto,
consistente nella legittimazione a svolgere l’attività,
si determina in forza di legge e pertanto solo ove
ricorrono tutte le condizioni previste dalla legge per
il legittimo rilascio del provvedimento favorevole;
sicchè, in mancanza di tali condizioni, la fattispecie
del silenzio assenso non si potrebbe perfezionare, con
la conseguenza che il privato si troverebbe a svolgere
l’attività in via di mero fatto in mancanza di un titolo
abilitativo.
Secondo tale impostazione,
occorrerebbe, sempre ed in ogni caso, una previa
valutazione da parte dell’amministrazione vigilante, con
la conseguenza che non potrebbe operare l’effetto del
silenzio assenso nel caso di inutile decorso del termine
di conclusione del procedimento.
Se, da un lato, tale soluzione
consente alla amministrazione vigilante di mantenere un
potere di controllo che deve necessariamente
estrinsecarsi attraverso un suo atto formale di
accoglimento dell’istanza, d’altro lato, è confliggente,
per come detto, con il dato normativo di riferimento,
secondo cui, comunque ed in ogni caso, il privato che
abbia attivato un procedimento amministrativo per lo
svolgimento di una attività, deve essere messo in
condizioni di potere operare nel senso richiesto una
volta che il termine di conclusione sia trascorso senza
adozione di un atto formale.
La applicazione, dunque, delle
previsioni normative in esame consente di:
non impedire agli istanti di potere
operare nel senso della richiesta compiuta una volta
decorso il tempo di giorni trenta dalla presentazione
dell’istanza;
porre comunque l’amministrazione
nella possibilità di intervenire in un momento
successivo o in via di autoannullamento o, comunque,
attivando quei poteri che sono da porre in relazione
alla propria funzione di vigilanza, dovendo questa
direzione generale controllare costantemente che ciascun
organismo od ente svolga l’attività nel rispetto delle
previsioni di legge, primaria e secondaria, oltre che
delle direttive date.
La tutela dell’interesse pubblico
ed i poteri dell’amministrazione vigilante
Se, dunque, l’unica via
percorribile nella questione in esame è quella della
applicabilità della disciplina del silenzio assenso come
modalità di possibile conclusione del procedimento
amministrativo, d’altro lato ciò non vuol dire che
l’amministrazione non possa, in seguito, intervenire
sugli effetti dell’atto, ripristinando la situazione di
legittimità nel caso in cui l’istanza non risulti
adeguatamente supportata dai requisiti di legge
previsti.
A tutela dell’interesse pubblico a
che l’attività che l’interessato può svolgere, per
effetto del silenzio assenso, rientri nell’ambito della
corrispondenza alle previsioni di legge, presiedono tre
diverse previsioni normative:
l’art.20 della l.241/90, secondo
cui l’amministrazione tenuta alla adozione del
provvedimento espresso può, nel caso in cui ha operato
il silenzio assenso, assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli artt.21 quinquies e 21
nonies: cioè, revocare l’atto amministrativo formatosi
per silenzio assenso (in caso di mutamento delle
situazioni di fatto o per sopravvenuto interesse
pubblico); annullare l’atto amministrativo illegittimo
(sussistendo le ragioni di pubblico interesse).
l’art.21, comma 2 bis, della legge
241/90, secondo cui restano ferme le attribuzioni di
vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette
ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni
previste dalle leggi vigenti, anche se è stato dato
inizio all’attività ai sensi degli artt.19 e 20;
l’art.21, comma 1, della legge
241/90, secondo cui con la denuncia o con la domanda di
cui agli articoli 19 e 20 l’interessato deve dichiarare
la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge
richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false
attestazioni non è ammessa la conformazione
dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria
prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è
punito con la sanzione prevista dall’articolo 483 del
codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave
reato. Al secondo comma è poi previsto che “le sanzioni
attualmente previste in caso di svolgimento
dell’attività in carenza dell’atto di assenso
dell’amministrazione o in difformità di esso si
applicano anche nei riguardi di coloro i quali diano
inizio all’attività ai sensi degli articoli 19 e 20 in
mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in
contrasto con la normativa vigente”.
Il potere di intervento successivo
dell’amministrazione e la responsabilizzazione della
parte istante
È proprio su tali poteri di
intervento successivo da parte della pubblica
amministrazione che si intende fare alcune precisazioni,
in modo da rendere chiaro quali siano i limiti della
effettiva e corretta applicazione della disciplina del
silenzio assenso.
In primo luogo, come si è visto,
sussiste il potere dell’amministrazione di procedere
alla revoca dell’atto ove, successivamente alla sua
adozione ovvero al maturarsi del silenzio assenso,
sopravvengano fatti nuovi od un nuovo interesse pubblico
che inducono a non rendere più produttivo di effetti
l’atto (anche tacito) adottato.
In secondo luogo, l’amministrazione
vigilante può intervenire con un atto di annullamento di
ufficio ove sussistano ragioni di pubblico interesse.
Tale ultimo contesto, in
particolare, sembra riconducibile, ad esempio, al caso
in cui sia stata formulata istanza di approvazione di un
nuovo regolamento di procedura che contenga nuove
indicazioni rispetto a quello in precedenza adottato.
A tal proposito, si precisa che ai
sensi dell’art.16 del d.lgs. 28/2010, il responsabile
del registro deve approvare il regolamento di procedura
inviato,nonché, evidentemente, tutte le successive
modifiche apportate.
Il suddetto regolamento, preme
precisare, assume particolare valenza ai fini dello
svolgimento del corretto servizio di mediazione, in
quanto indica e descrive le modalità nonché i criteri
tramite cui l’organismo intende svolgere la suddetta
attività; costituisce, dunque, l’atto interno regolatore
cui l’organismo è tenuto ad uniformarsi, a tutela
dell’interesse generale nonché dell’interesse specifico
sia delle parti che del mediatore.
Il riscontro, dunque, anche in un
momento successivo, di previsioni regolamentari in
contrasto con specifiche norme primarie e secondarie
legittima un intervento della amministrazione vigilante
nel senso dell’annullamento dell’atto (anche tacito) di
approvazione: è, infatti, in gioco l’interesse pubblico
a che l’attività dell’organismo di mediazione sia svolta
nel pieno rispetto delle regole predisposte dal
legislatore.
In terzo luogo, una riflessione a
parte merita l’applicazione dell’istituto del silenzio
assenso relativamente a tutte le altre istanze per le
quali l’amministrazione è tenuta a verificare la
sussistenza di determinati requisiti (come, ad esempio,
nel caso di istanze di inserimento di nuovi mediatori o
di nuovi formatori negli elenchi degli organismo e degli
enti di formazione, di aggiungere nuove sedi, ecc.).
Qui occorre compiere una
considerazione inerente alla stretta correlazione tra
istanza fondata su autodichiarazioni e maturarsi del
silenzio assenso.
In primo luogo, con riferimento
alle ipotesi di cui sopra, il legislatore ha previsto,
nell’art.4, comma quinto del D.M. 180/2010, che il
possesso dei requisiti di cui ai commi 2 e 3 (eccetto
che per quello di cui al comma 2, lett.b) può essere
attestato dall’interessato mediante autocertificazione.
A tal proposito, questa direzione
generale, proprio al fine di evitare incomprensioni o
erronee indicazioni nelle autocertificazioni, ha
provveduto a redigere una modulistica molto dettagliata
e specifica, in modo da rendere evidente, per ciascuna
autocertificazione, l’esatto contenuto che ciascuna
parte deve dichiarare, sotto la propria responsabilità,
a questa amministrazione; inoltre, sono state pubblicate
sul sito della Giustizia diverse faq finalizzate proprio
a dirimere quanto più possibile questioni interpretative
in ordine al contenuto del regolamento n.180/2010.
In questa sede, dunque, preme
evidenziare che il solo fatto di presentare un’istanza
avente ad oggetto quanto sopra indicato potrebbe non
comportare il prodursi dell’effetto del silenzio
assenso.
Trova infatti applicazione la
previsione, sopra citata, dell’art.21, comma 1, della
legge 241/90, secondo cui con la denuncia o con la
domanda di cui agli articoli 19 e 20 l’interessato deve
dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei
requisiti di legge richiesti.
In caso di dichiarazioni mendaci o
di false attestazioni non è ammessa la conformazione
dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria
prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è
punito con la sanzione prevista dall’articolo 483 del
codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave
reato.
Al secondo comma è poi previsto che
“le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento
dell’attività in carenza dell’atto di assenso
dell’amministrazione o in difformità di esso si
applicano anche nei riguardi di coloro i quali diano
inizio all’attività ai sensi degli articoli 19 e 20 in
mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in
contrasto con la normativa vigente”
Se, dunque, da un lato, deve
ritenersi che possa trovare generale applicazione, anche
in questo contesto, l’istituto del silenzio assenso,
d’altro lato, non può non evidenziarsi che, in caso di
istanza fondata su di una autodichiarazione, il
presupposto della applicabilità dell’istituto è la piena
corrispondenza al vero di quanto dichiarato o, comunque,
la effettiva sussistenza dei requisiti richiesti nel
rispetto della normativa vigente.
La concreta operatività
dell’istituto,dunque, deve muoversi su due piani: da un
lato, quello del diritto dell’istante ad avere certezza
della conclusione del proprio procedimento
amministrativo, sia in conseguenza di un atto formale
che per effetto del silenzio assenso; d’altro lato,
quello dell’autoresponsabilità del soggetto istante, che
implica piena consapevolezza della veridicità di quanto
dichiarato.
Alcune ipotesi applicative
A tal proposito, preme evidenziare
alcune ipotesi in cui si rende necessario richiedere
particolare attenzione nella redazione della modulistica
approvata da questo direzione generale, precisamente:
la sede dell’ente: occorre che sia
specificamene indicato il titolo del godimento nonché,
nel caso in cui l’immobile sia in godimento per
locazione o comodato, che sia specificamente indicata la
data di registrazione dell’atto;
il capitale: occorre che il
capitale di €10.000,00 sia effettivamente nella
disponibilità dell’ente; il riferimento fatto
dall’art.4, comma secondo, lett.a), al capitale la cui
sottoscrizione è necessaria alla costituzione di una
società a responsabilità limitata ha valenza solo
indicativa del valore numerico di riferimento, non anche
alla modalità di costituzione di una società a
responsabilità limitata (per la quale è sufficiente che,
ai sensi dell’art.2464 c.c., sia versato solo il 25 per
cento dei conferimenti in danaro); in questo caso,
l’istante dovrà allegare, altresì, una dichiarazione del
responsabile dell’istituto di credito presso cui risulti
l’accantonamento della somma;
i requisiti di qualificazione dei
mediatori: ai sensi dell’art.4, comma 3 lett.a) gli
stessi devono possedere un titolo di studio non
inferiore al diploma di laurea universitaria triennale
ovvero, in alternativa, devono essere iscritti in un
ordine o collegio professionale.
Con riferimento a questo ultimo
requisito, va precisato che non può darsi analogo
effetto all’iscrizione presso albi od elenchi (di
diversa natura), posto che il dato letterale sopra
considerato fa unicamente riferimento alla iscrizione
presso ordini o collegi professionali.
Inoltre, nella modulistica
predisposta si è provveduto a dettagliare specificamente
l’allegato 2 relativo ai requisiti dei mediatori, in
modo da rendere particolarmente responsabile l’istante
in ordine a quanto dichiarato;
i requisiti di qualificazione dei
formatori: ai sensi dell’art.18, comma 3 lett.a) del
d.m. 180/2010, i formatori devono attestare di avere
pubblicato almeno tre contributi scientifici in materia
di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa
delle controversie (formatori teorici); di avere
operato, in qualità di mediatore, presso organismi di
mediazione o conciliazione in almeno tre procedure
(formatori pratici); in entrambi i casi, devono
attestare di avere svolto attività di docenza in corsi o
seminari in materia di mediazione, conciliazione o
risoluzione alternativa delle controversie presso ordini
professionali, enti pubblici o loro organi, università
pubbliche o private, nazionali o straniere.
Con riferimento al primo requisito,
il contributo deve avere carattere scientifico, nel
senso che deve avere la sua rilevanza in quanto
costituisce motivo di approfondimento, sotto il profilo
tecnico – giuridico, della materia in esame, in
particolare delle diverse questioni che la effettiva
utilizzazione della figura può comportare nonché della
piena comprensione della stessa dagli operatori del
diritto.
In secondo luogo, l’oggetto della
pubblicazione deve riguardare specificamente la materia
della mediazione, conciliazione o risoluzione
alternativa delle controversie. Lo stesso, dunque,
implica un necessario momento di approfondimento
personale, da parte del docente del corso teorico, della
figura della mediazione e degli altri strumenti di
risoluzione alternativa delle controversie quali
strumenti di definizione della controversia nello
specifico ambito civilistico, dal punto di vista
processuale che sostanziale, delle tecniche di
mediazione da utilizzare, della disciplina normativa e
regolamentare.
Sotto il profilo, poi, della
effettiva dimostrazione della pubblicazione dello
scritto, deve trattarsi di:
a) pubblicazioni scientifiche,
giuridiche specializzate, a diffusione nazionale dotate
di codice ISBN per i libri e ISSN per le pubblicazioni
in serie; pubblicazioni scientifiche, giuridiche
specializzate, ufficiali edite o prodotte da organi
dello stato, regioni, province, comuni ed enti pubblici.
Non possono essere considerare valide, ai fini di cui
sopra, le pubblicazioni online, sebbene dotate dei
suddetti codici identificati.
Con riferimento al secondo
requisito, non può assumere rilievo qualunque attività
compiuta in sede di procedimento di mediazione, ma solo
quella svolta in qualità di mediatore, cioè, secondo
quanto prevede l’art.1 lett.c) e d) del regolamento,
quale terzo imparziale al fine di assistere due o più
soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la
composizione della controversia, nella formulazione di
una proposta per la risoluzione della controversia,
rimanendo, comunque, privo del potere di rendere giudizi
o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio.
È necessario che la suddetta
attività di mediatore sia compiuta nei casi in cui il
legislatore ha espressamente inteso fornire una
specifica regolamentazione, sotto il profilo sia
soggettivo, prevedendosi che l’attività di mediazione
debba necessariamente svolgersi presso un certo soggetto
(organismo) cui è demandato il compito di procedere
all’attività di mediazione; che oggettivo, prevedendosi
che in caso di conclusione positiva della conciliazione,
il verbale sottoscritto dalle parti e dal mediatore ha
valore di titolo esecutivo.
In tal contesto, l’istante non può
limitarsi ad una generica affermazione, ma deve
specificamente indicare, nell’ambito della modulistica
approvata, quale specifica attività di mediazione lo
stesso ha svolto, presso quale organismo, quando, nonché
il numero del procedimento.
Analogamente, con riferimento al
terzo requisito, comune ad entrambe le qualifiche di
formatore, l’istante non può fare generica indicazione
di avere svolto attività di docenza; dovrà, invece, dare
specifica indicazione della data del corso tenuto e
presso quale ente.
i requisiti formativi di
aggiornamento: ai sensi dell’art.20, comma quarto, del
D.M 180/2010, i formatori già iscritti, possono
continuare a esercitare l’attività di formazione, purchè
entro sei mesi dalla scadenza dell’entrata in vigore del
regolamento, abbiano acquisito i requisiti di
aggiornamento di cui all’art.18. I suddetti requisiti,
preme precisare, sono quelli espressamente indicati
nell’art.18, comma terzo, lett.a) per i formatori
teorici (tre contributi scientifici) e pratici (tre
procedure presso organismi di mediazione o
conciliazione).
Si invita, pertanto, a dare la
massima osservanza alle prescrizioni di cui sopra,
costituendo le stesse linee guida cui questa direzione
intende seguire al fine del compiuto esercizio della
propria attività di vigilanza preventiva e successiva.
Roma,13 giugno 2011
Il Direttore Generale
Maria Teresa Saragnano |