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1. Brevi cenni introduttivi e
storici sull’evoluzione della tutela cautelare nel
processo amministrativo.
Il libro secondo del codice del
processo amministrativo, introdotto dal D.lgs., 2 luglio
2010, n. 104, contempla al titolo II il procedimento
cautelare. Attraverso tali misure si realizza la c.d.
tutela processuale cautelare, ovvero una forma di tutela
mediata (detta anche strumentale) diretta ad assicurare
l’efficace risoluzione della controversia.
Il carattere strumentale
attribuisce alle misure cautelari la connotazione
dell’interinalità: esse non sono mai definitive e
irreversibili, ma si collocano in una posizione servente
rispetto alla pronuncia definitiva (1).
L’istituto in commento costituisce
uno dei più importanti strumenti tecnici mediante i
quali l’ordinamento garantisce l’effettività della
tutela (vedi art. 1 c.p.a.). Tale esigenza trova il
proprio fondamento già nella prima parte della
Costituzione all’art. 24 e nella seconda parte all’art.
113. Il codice, dal canto suo, pur facendo riferimento
ai predetti principi volge la propria attenzione altresì
al diritto europeo, adeguando l’intera codificazione
all’ordinamento multilivello e quindi al modo di
intendere detto principio nell’ordinamento comunitario e
in quello internazionale (con particolare riguardo nella
Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali) (2).
Parimenti, le misure cautelari
attuano quel principio chiovendiano per cui il tempo
necessario per celebrare un processo non deve ricadere
in termini pregiudizievoli sulla sfera giuridica della
parte che, in conclusione di giudizio, risulterà
vittoriosa. Il soggetto, infatti, deve ottenere la
tutela del suo diritto negli stessi termini di
effettività in cui l’avrebbe ottenuta se l’accertamento
– avente in conclusione di giudizio ricadute positive –
della sua pretesa fosse stato effettuato il giorno in
cui è stata proposta domanda giudiziale (3).
Il processo amministrativo, sulla
falsariga del processo civile, conosce una vasta gamma
di misure cautelari che spaziano da: la sospensione del
provvedimento impugnato e l’ingiunzione al pagamento di
somme, passando attraverso il sequestro conservativo e
le misure urgenti ex art. 700 c.p.c.
La disciplina della tutela
cautelare costituisce, dunque, un profilo assolutamente
primario nel quadro generale del processo
amministrativo, integrando un elemento imprescindibile
per la garanzia dell’interesse – pubblico generale –
alla tutela effettiva avverso il cattivo esercizio del
potere pubblico.
L’istituto della tutela cautelare
assume, quindi, particolari peculiarità nel giudizio
amministrativo. Questo sorge con la stessa istituzione
della IV sezione del Consiglio di Stato. L’art. 12 della
legge 31 marzo 1889, n. 5992, pur sancendo l’inidoneità
del ricorso contenzioso a sospendere l’efficacia
dell’atto o del provvedimento impugnato, non mancava di
prevedere che l’esecuzione di quest’ultimo potesse
essere sospesa «per gravi ragioni, con decreto motivato
della Quarta sezione previa istanza del ricorrente».
Le regole procedurali da seguire
vennero, in seguito, dettate dall’art. 21 del r.d. 17
ottobre 1889, la cui impostazione sarebbe stata ripresa
dall’art. 36 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642
(regolamento per la procedura del giudizio davanti al
Consiglio di Stato) (4).
L’art. 21, ultimo comma, della
legge Tar, confermava, anche per il primo grado di
giudizio, il regime della tutela cautelare vigente in
precedenza innanzi il Consiglio di Stato.
La legge 205 del 2000, dal canto
suo, ha sostanzialmente modificato l’art. 21, comma 7,
della legge TAR, attribuendo al giudice amministrativo,
sia nell’ambito della sua giurisdizione di legittimità
che in quella esclusiva, un potere cautelare a contenuto
generico e atipico.
A tal proposito si è sostenuto
come, tale atto normativo abbia avuto il merito di
recepire e codificare i principi già consolidati in sede
giurisprudenziale amministrativa, costituzionale e
comunitaria (5). Il legislatore ha pertanto sancito che
«Se il ricorrente, allegando un pregiudizio grave e
irreparabile derivante dall’esecuzione dell’atto
impugnato, ovvero dal comportamento inerte
dell’amministrazione, durante il tempo necessario a
giungere ad una decisione sul ricorso, chiede
l’emanazione di misure cautelari, compresa l’ingiunzione
a pagare una somma, che appaiono, secondo le
circostanze, più idonee ad assicurare interamente gli
effetti della decisione del ricorso, il tribunale
amministrativo regionale si pronuncia sull’istanza con
ordinanza emessa in camera di consiglio» (6).
Prima della legge n. 205 del 2000
nella prassi emergevano varie tipologie di provvedimenti
cautelari, utilizzati dal giudice amministrativo in sede
di legittimità: provvedimenti di sospensione
dell’efficacia dell’atto impugnato, esplicitamente
previsti dall’art. 21 legge TAR nella sua versione
originale; provvedimenti a contenuto misto a fronte di
atti negativi dell’amministrazione, contenti, oltre alla
sospensione dell’efficacia dell’atto, un ordine rivolto
all’amministrazione che questa è tenuta ad osservare
(7).
Così la giurisprudenza aveva dato
attuazione agli artt. 24 e 113 Cost. in funzione di una
tutela piena degli interessi legittimi, trasformando la
tutela cautelare amministrativa «non più volta, come
nell’originaria idea del legislatore, a svolgere un
ruolo di mera conservazione dello stato esistente prima
dell’emanazione del provvedimento impugnato, bensì ad
assicurare le misure (…) idonee a far fronte a ritardi
che potrebbero rivelarsi irrimediabili, in specie
anticipando i contenuti non solo della decisione
definitiva, ma anche della successiva attività
rinnovatoria della pubblica amministrazione ovvero
quelli dell’eventuale giudizio di ottemperanza» (8).
Il d.lgs. 104 del 2010, sul
riordino del processo amministrativo, conferma la scelta
e l’art. 55, 1° comma ricalca la disposizione contenuta
al citato art. 21 della legge TAR, così come modificato
dalla legge n. 205 del 2000. Quindi, il Codice del 2010
ha recepito l’esistente.
Restano, pertanto, i dubbi sui
limiti del potere cautelare del giudice amministrativo,
sia in ordine al principio della separazione dei poteri
sia in ordine all’esigenza di mantenere le possibili
conseguenze della misura cautelare nei limiti della sua
funzione strumentale e sull’ammissibilità delle c.d.
ordinanze propulsive.
Invero, se le perplessità del
Consiglio di Stato stanno, non tanto nel bene della vita
da attribuire in via cautelare quanto, piuttosto, nelle
modalità mediante le quali far avere all’interessato
quello stesso bene della vita, mi sembra il problema sia
di poco momento.
2. Presupposti della tutela
cautelare e profili funzionali scaturenti dalla novella
del Codice.
L’ordinamento prevede che lo
strumento dell’azione cautelare sia strumentale rispetto
a quello di merito. Esso, si conclude con una ordinanza
a carattere provvisorio, proprio perché la tutela
cautelare è volta a porre rimedio ai rischi che derivano
dalla durata del processo.
Il titolo II disciplina in modo
unitario il procedimento cautelare, lasciando fuori solo
i riti abbreviati (di cui agli artt. 119 e 125 del
c.p.a.) dettando una disciplina abbastanza organica, la
cui ratio ispiratrice si rinviene nella relazione
introduttiva al codice. In essa si desume come
l’obiettivo di fondo sia quello «garantire una posizione
di equilibrio tra le parti, rafforzando dunque la
garanzia del contraddittorio e, al contempo,
salvaguardando le esigenze di tempestività».
L’art. 55, nel regolare il
procedimento cautelare (che può essere definito,
ordinario, ossia diretto a chiedere tutela cautelare al
Collegio), contiene i presupposti per la concessione
della misura cautelare. Questi sono identificati,
rispettivamente, nel periculum in mora e nel fumus boni
iuris ai sensi dell’art. 55, commi 1 e 9.
Il primo presupposto è riferito
all’esistenza di un pregiudizio grave e irreparabile a
carico del ricorrente. Ne consegue che il ricorrente,
sin dalla riforma della l. 205/2000, in sede si
proposizione dell’istanza cautelare non deve più
allegare i danni gravi ed irreparabili bensì il
pregiudizio, che dovrà essere correlato non più solo
all’esecuzione del provvedimento bensì anche all’inerzia
dell’amministrazione.
Pertanto, il ricorrente potrà
richiedere al collegio l’emanazione delle «misure
cautelari che appaiono secondo le circostanze, più
idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della
decisione sul ricorso».
Quanto al secondo presupposto, vale
a dire il fumus, era opinione diffusa che la sospensiva
(unica misura cautelare tipica) avrebbe dovuto essere
adottata sulla scorta di una valutazione sommaria dei
fatti di giudizio.
Nel regime antecedente al codice e
alla l. 205/2000 il fumus era rimesso all’apprezzamento
del giudice. Nel novellato regime il giudice cautelare è
chiamato, in sede di adozione dell’ordinanza, a dare
seguito ad un esame più approfondito e motivato rispetto
al passato.
Sicché, l’ordinanza dovrà contenere
una motivazione approfondita in ordine al pregiudizio e
indicare in maniera chiara i profili che, ad un esame
sommario, inducono a ritenere in termini previsionali
l’esito del ricorso.
Una previsione di tal fatta
consente di evitare un utilizzo scelerato delle misure
cautelari che risultano dunque attivabili esclusivamente
con riferimento ai provvedimenti che, in maniera
manifesta, non risultino suscettibile di essere
annullati in sede di decisione di merito.
«L'ordinanza cautelare motiva in
ordine alla valutazione del pregiudizio allegato e
indica i profili che, ad un sommario esame, inducono ad
una ragionevole previsione sull'esito del ricorso» (art.
55 comma 9) (9).
Pertanto, tale elemento deve
intendersi quale indice di non manifesta infondatezza
della domanda cautelare.
Accanto alla vicenda sei
presupposti che restano inalterati, il codice del
processo amplia il termine dilatorio per la fissazione
dell’udienza cautelare.
La stessa viene fissata alla prima
Camera di consiglio successiva al 20 giorno dalla
notifica del ricorso con l’istanza cautelare (e ciò per
meglio tutelare la possibilità di difesa della p.a.) e
altresì al decimo giorno dal deposito dello stesso (e
ciò per tutelare la possibilità di esame da parte del
giudice).
In sostanza il tempo in cui la
parte potrà avere esaminata e decisa la sua istanza è di
circa un mese dalla notifica del ricorso.
Tempo breve, se si considera che
può essere lo stesso di definizione della controversia,
ove si adotti la decisione in forma semplificata.
L’emanazione di un’ordinanza
cautelare di accoglimento o di rigetto, in sede di
sospensiva, non è infatti l’unica evenienza possibile,
potendosi verificare tre distinte ipotesi:
Quanto alla prima, il collegio non
emana un’ordinanza cautelare, ma fissa l’udienza di
merito per la sollecita definizione del ricorso (art.
55, comma 10), ritenendo che le esigenze del ricorrente
siano «apprezzabili favorevolmente e tutelabili
adeguatamente» in tal modo. Nelle specifiche materie
sottoposte a rito abbreviato dall’art. 119, poi, il Tar
se ritiene «la sussistenza di profili di fondatezza del
ricorso» fissa con ordinanza la data di discussione del
merito del ricorso in tempi assai brevi (prima udienza
successiva alla scadenza del termine di 30 giorni dal
deposito dell’ordinanza). In tali materie, l’emanazione
di un’eventuale ordinanza cautelare è subordinata ai
casi di “estrema gravità e urgenza”.
Nella seconda ipotesi il collegio
emana un’ordinanza cautelare: di rigetto o accoglimento.
In quest’ultimo caso fissa la data di discussione del
merito del ricorso.
Il codice riduce i tempi per
l’appello dell’ordinanza: trenta giorni dalla sua
notificazione o 60 dalla sua pubblicazione.
Da ultimo, in terza ipotesi, il
collegio emana una sentenza in forma semplificata,
“sentite sul punto le parti costituite” (art. 60), con
ciò definendo il giudizio ove ravvisi la manifesta
fondatezza o infondatezza, improcedibilità o
inammissibilità del ricorso (art. 74) (10).
1 L. Mazzarolli, G. Pericu, A.
Romano, F.A. Roversi Monaco, F.G. Scoca, Diritto
Amministrativo, Monduzzi Editore, Bologna, 2001.
2 Secondo la consolidata
giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione
Europea i tratti distintivi del principio di effettività
della tutela giurisdizionale sono costituiti dalla
completezza della tutela; dalla pienezza della tutela ;
e l’accesso effettivo alla giustizia, ivi compresa la
ragionevole durata del processo e un costo ragionevole
del medesimo.
L’applicazione del principio
comporta che le singole disposizioni normative del
codice debbono essere interpretate in modo da realizzare
questo principio (c.d. interpretazione conforme, o
costituzionalmente orientata).
3 Chiovenda, Istituzioni di diritto
processuale civile, Napoli, 1932.
4 La trattazione in camera di
consiglio dell’istanza di sospensione venne prevista
dall’art. 2 del D.lgs., 5 maggio 1948, n. 642, che
individuò nell’ordinanza, in luogo del decreto, la forma
di adozione della decisione cautelare.
L’art. 10 della l. 21 dicembre
1950, n. 1018, in senso contrario alla disciplina di cui
al citato d.lgs. n. 642 che prevedeva l’ascolto dei
difensori delle parti solo qualora il giudice lo avesse
ritenuto necessario – dispose che i difensori che ne
avessero fatto richiesta - richiesta proponibile nella
stessa istanza di sospensione - dovessero, in ogni caso,
essere sentiti in camera di consiglio.
Cfr. Eugenio Picozza, Codice del
processo amministrativo, G. Giappichelli Editore,
Torino, 2010.
5 In tal senso venivano recepiti
gli orientamenti dell’Adunanza Plenaria, ed in
particolare della giurisprudenza comunitaria, allora
basata sulla disciplina contenuta negli artt. 185 e 186
del Trattato e delle direttive, tra le quali deve
annoverarsi la direttiva ricorsi n. 665 del 1989 e la n.
13del 1992, per mezzo delle quali è stato introdotto il
principio dell’effettività della tutela giurisdizionale.
Vedi G. Pittalis, Natura e presupposti dell'azione
cautelare (relazione al Seminario di studio su “Aspetti
problematici nella riforma del processo amministrativo”,
Bologna, 23 novembre 2000), in
www.giustizia-amministrativa.it.
6 P. Virga, Diritto amministrativo,
atti e ricorsi, Giuffrè Editore, Milano 2011.
7 E. Follieri, La fase cautelare in
Giustizia amministrativa, a cura di S.G. Scoca, G.
Giappichelli editore, Torino 2011. Cfr. R. Garofali, La
Tutela cautelare degli interessi negative. Le tecniche
del remand e dell’ordinanza a contenuto positivo alla
luce del rinnovato quadro normativo, in Dir. Proc. Amm.,
2002.
8 S. Raimondi. Profili processuali
ed effetti sostanziali della tutela cautelare tra
giudizio di merito e giudizio di ottemperanza, in Dir.
Proc, Amm, Cedam Editore 2007. Cfr. R. Garofali, La
Tutela cautelare degli interessi negative. Le tecniche
del remand e dell’ordinanza a contenuto positivo alla
luce del rinnovato quadro normativo, in Dir. Proc. Amm.,
2002.
9 P. M. Zerman. La tutela cautelare
nel codice del processo amministrativo, giustizia.it,
novembre 2010. Si veda, altresì, E. Casetta, Manuale di
Diritto Amministrativo, Giuffrè Editore, Milano, 2010.
10 Cfr. M. Clarich, ”Il processo
amministrativo a rito ordinario”, in Rivista di Diritto
Processuale Amministrativo, 2002, n. 4. M. Protto,
“Tutela cautelare, monitoria e sommaria nel nuovo
processo amministrativo”, Milano, 2010. |