La problematica sottesa al caso in esame
presenta senza dubbio interessanti profili di rilievo
costituzionale, non tanto in relazione ad un supposto
diritto riconosciuto anche a persone singole di poter
accedere all’istituto civilistico dell’adozione (c.d.
diritto alla genitorialità), quanto piuttosto riguardo
alla tutela del miglior interesse del minore. In secondo
luogo, la sentenza fornisce notevoli spunti di
riflessione relativamente al rapporto tra
discrezionalità legislativa e indicazioni fornite dagli
organi giurisdizionali, consentendo di riflettere sui
limiti propri delle scelte politiche del Parlamento e
sui poteri interpretativi del giudice. Infine, la stessa
pronuncia induce ad interrogarsi sui possibili riflessi
nella fattispecie concreta di una coerente applicazione
del principio di uguaglianza in una materia altamente
sensibile come quella delle adozioni, in cui entrano in
bilanciamento valori estremamente delicati.
La sentenza 3572/2011 ha infatti prodotto una notevole
eco mass-mediatica 1, proprio in ragione di un obiter
dictum secondo cui, con riferimento al disposto
dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo, “… il
legislatore nazionale ben potrebbe provvedere, nel
concorso di particolari circostanze, ad un ampliamento
dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da
parte di una singola persona anche con gli effetti
dell’adozione legittimante …“ .
L’inciso in questione, seppure meritevole di un’adeguata
analisi non solo nell’ambito dell’economia del giudizio,
ma anche e soprattutto in relazione alla vigente
legislazione in materia di adozioni, non deve comunque
essere sovraccaricato di significato. Da una parte,
infatti, sembra certamente condivisibile la
preoccupazione di fondo che ha indotto i Giudici di
legittimità a formulare una simile esortazione, e che
parte fondamentalmente dalla constatazione di
un’intrinseca inadeguatezza dell’attuale modello
legislativo a regolare fattispecie di confine come
quella in esame. Dall’altra, però, per come formulata e
per come collocata nel corpus della sentenza, una simile
asserzione non costituisce certamente un’apertura alle
adozioni da parte di persone singole, che peraltro già
trovano accoglimento nel nostro ordinamento.
In altre parole la decisione in commento induce a
riflettere circa l’idoneità del modello di adozione
prescelto dal legislatore nazionale a soddisfare il
supremo interesse del minore. Come noto,
nell’ordinamento italiano, l’adozione che attribuisce
definitivamente all’adottato lo status di figlio
legittimo degli adottanti, inserendolo a tutti gli
effetti all’interno di un nuovo nucleo familiare, anche
tramite l’interruzione dei rapporti con la propria
famiglia d’origine (c.d. adozione legittimante), è
infatti riservata soltanto a coppie di coniugi unite in
matrimonio da almeno tre anni, che superino di diciotto
anni e di non più di quarantacinque anni l’età
dell’adottando e che siano in grado di educare, istruire
e mantenere il minore. In questo sistema l’adozione da
parte di persone singole viene tendenzialmente esclusa,
o meglio fortemente limitata soltanto ad ipotesi
eccezionali, senza attribuire al minore lo status
giuridico di figlio legittimo dell’adottante.
[...]
Paolo Zicchittu
dottorando di ricerca in “Giustizia costituzionale e
diritti fondamentali”
Presso l’Università di Pisa
LA SENTENZA 3572/2011
DELLA CORTE DI CASSAZIONE: È ANCORA RAGIONEVOLE
UN’ADOZIONE PER I SINGLE SENZA
EFFETTI LEGITTIMANTI?
1. Il caso e i suoi
profili di rilievo costituzionale
Una cittadina italiana
single, residente negli Stati Uniti, adotta
all’estero una bambina di nazionalità russa. Il
provvedimento di adozione emanato nella Federazione
russa dal Tribunale Regionale di Lipetsk - paese
di origine della minore - viene successivamente
dichiarato efficace negli Stati Uniti - luogo di
residenza della ricorrente - da parte del Tribunale di
Secondo Grado del District of Columbia. Tornata
in Italia insieme alla figlia, la donna presenta domanda
di trascrizione nei registri di stato civile del
provvedimento così ottenuto. Tuttavia, in sede di
delibazione, il Tribunale per i minorenni di Genova opta
per il riconoscimento dei soli effetti riconducibili
all’adozione in “casi particolari”, negando gli effetti
dell’adozione legittimante. A questo punto, avverso la
decisione del Giudice di primo grado, la donna presenta
reclamo presso la Corte d’appello, la quale rigetta il
reclamo, confermando la pronuncia del Tribunale per i
minorenni. Da qui la decisione della madre di proporre
ricorso in Cassazione.
La problematica sottesa al
caso in esame presenta senza dubbio interessanti profili
di rilievo costituzionale, non tanto in relazione ad un
supposto diritto riconosciuto anche a persone singole di
poter accedere all’istituto civilistico dell’adozione
(c.d. diritto alla genitorialità), quanto piuttosto
riguardo alla tutela del miglior interesse del minore.
In secondo luogo, la sentenza fornisce notevoli spunti
di riflessione relativamente al rapporto tra
discrezionalità legislativa e indicazioni fornite dagli
organi giurisdizionali, consentendo di riflettere sui
limiti propri delle scelte politiche del Parlamento e
sui poteri interpretativi del giudice. Infine, la stessa
pronuncia induce ad interrogarsi sui possibili riflessi
nella fattispecie concreta di una coerente applicazione
del principio di uguaglianza in una materia altamente
sensibile come quella delle adozioni, in cui entrano in
bilanciamento valori estremamente delicati.
La sentenza 3572/2011 ha
infatti prodotto una notevole eco mass-mediatica 1,
proprio in ragione di un obiter dictum secondo
cui, con riferimento al disposto dell’art. 6 della
Convenzione di Strasburgo, “… il legislatore
nazionale ben potrebbe provvedere, nel concorso di
particolari circostanze, ad un ampliamento dell’ambito
di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una
singola persona anche con gli effetti dell’adozione
legittimante …“ 2..
1 In particolare, gli
organi di stampa avevano accolto la sentenza in esame
con toni trionfalistici. Le principali testate
giornalistiche e le maggiori agenzie avevano titolato in
maniera entusiastica, parlando di adozione anche per i
single, di un invito al Parlamento a varare una
legge in materia che tenga conto delle esigenze di
questi soggetti, dopo avere affidato una bimba a una
single di Genova, o ancora di una significativa
apertura a questo tipo di adozioni da parte dei Giudici
di legittimità, evidenziando parallelamente. A titolo
puramente esemplificativo si vedano ANSA del 14 febbraio
2011, Cassazione: adozioni anche per i single.
Anche le persone senza un partner dovrebbero poter
adottare, in www.ansa.it, Repubblica del 14 febbraio
2011, Adottare da single, la Cassazione apre. Stop
dal Vaticano, in www.repubblica.it e Corriere della
Sera, La Cassazione: adozione anche per i single,
in www.corriere.it
2 C. Cass. sent. 17
febbraio 2011, n. 3572, punto 3.3. della motivazione.
L’inciso in questione,
seppure meritevole di un’adeguata analisi non solo
nell’ambito dell’economia del giudizio, ma anche e
soprattutto in relazione alla vigente legislazione in
materia di adozioni, non deve comunque essere
sovraccaricato di significato. Da una parte, infatti,
sembra certamente condivisibile la preoccupazione di
fondo che ha indotto i Giudici di legittimità a
formulare una simile esortazione, e che parte
fondamentalmente dalla constatazione di un’intrinseca
inadeguatezza dell’attuale modello legislativo a
regolare fattispecie di confine come quella in esame.
Dall’altra, però, per come formulata e per come
collocata nel corpus della sentenza, una simile
asserzione non costituisce certamente un’apertura alle
adozioni da parte di persone singole, che peraltro già
trovano accoglimento nel nostro ordinamento. 2
In altre parole la
decisione in commento induce a riflettere circa
l’idoneità del modello di adozione prescelto dal
legislatore nazionale a soddisfare il supremo interesse
del minore. Come noto, nell’ordinamento italiano,
l’adozione che attribuisce definitivamente all’adottato
lo status di figlio legittimo degli adottanti,
inserendolo a tutti gli effetti all’interno di un nuovo
nucleo familiare, anche tramite l’interruzione dei
rapporti con la propria famiglia d’origine (c.d.
adozione legittimante), è infatti riservata soltanto a
coppie di coniugi unite in matrimonio da almeno tre
anni, che superino di diciotto anni e di non più di
quarantacinque anni l’età dell’adottando e che siano in
grado di educare, istruire e mantenere il minore. In
questo sistema l’adozione da parte di persone singole
viene tendenzialmente esclusa, o meglio fortemente
limitata soltanto ad ipotesi eccezionali, senza
attribuire al minore lo status giuridico di
figlio legittimo dell’adottante 3.
3 In questo senso, per
un’analisi più accurata delle varie procedure adozionali
anche con riferimento ai requisiti degli adottanti si
veda M. DOGLIOTTI, Affidamento ed adozione, in A.
CICU - F. MESSINEO - L. MENGONI (a cura di),
Trattato di diritto civile e commerciale, Milano,
2008.
4 Legge 4 maggio 1983, n.
184 (Diritto del minore ad una famiglia),
pubblicata in. G. U. 17 maggio 1983, n. 133.
5 Legge 31 dicembre 1998,
n. 476 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per
la tutela dei minori e la cooperazione in materia di
adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio
1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in
tema di adozione di minori stranieri), pubblicata in
G. U. n. 8 del 12 gennaio 1999.
6 Legge 31 maggio 1995, n.
218 (Riforma del sistema italiano di diritto
internazionale privato), pubblicata in G. U. 3
giugno 1995, n. 128.
7 Art. 23 della
Convenzione sulla protezione dei minori e sulla
cooperazione in materia di adozione internazionale fatta
a l’Aja il 29 maggio 1993, secondo cui: “L’adozione
certificata conforme alla Convenzione, dall’autorità
competente dello Stato contraente in cui ha avuto luogo,
e riconosciuta di pieno diritto negli altri Stati
contraenti. Il certificato indica quando e da chi i
consensi indicati all’art. 17, lettera c, sono stati
prestati. Ogni Stato contraente, al momento della firma,
della ratifica, dell’accettazione, dell’approvazione o
dell’adesione, notifica al depositario della Convenzione
l’identità e le funzioni dell’autorità o delle autorità
che, in tale Stato, sono competenti a rilasciare il
certificato. Notifica, altresì, qualsiasi modifica nella
designazione di queste autorità”.
8 Convenzione
internazionale sui diritti dell' infanzia. Approvata a
New York dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il
20 novembre 1989.
9 Convenzione europea
sull’adozione dei minori, conchiusa a Strasburgo il 24
aprile 1967.
2. I motivi del ricorso
A sostegno del proprio
gravame la ricorrente adduce sostanzialmente due motivi.
Con il primo argomento parte attrice denuncia la
violazione degli articoli 27, 35 e 36 della l. 184/1983
4 (così come modificata a seguito dell’emanazione della
l. 476/1998 5) e degli artt. 64 e 66 della l. 218/1995
6.
In particolare, l’art. 36,
comma 4, della legge 184/1983 dispone che l’adozione
pronunciata dalla competente autorità di un ordinamento
straniero su istanza di un cittadino italiano che
dimostri al momento della pronuncia di aver soggiornato
continuativamente nello stesso Paese e di averne la
residenza da almeno due anni, è riconosciuta a tutti gli
effetti anche in Italia con provvedimento del Tribunale
per i minorenni, purché conforme ai principi della
Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993. La disposizione
richiamata cioè attribuisce efficacia anche
nell’ordinamento italiano all’adozione effettuata in
Paese terzo, secondo le norme e le procedure ivi
previste, previa verifica di conformità con i principi
della Convenzione sulla protezione dei minori e sulla
cooperazione in materia di adozione internazionale da
parte del giudice nazionale.
Ad avviso della
ricorrente, pertanto, la Corte d’appello di Genova
avrebbe dovuto necessariamente riconoscere efficacia
legittimante all’adozione dichiarata dal Tribunale
Regionale di Lipetsk e successivamente ritenuta
efficace dal Tribunale di Secondo Grado del District
of Columbia. In sintonia con le prospettazioni della
ricorrente, infatti, avendo l’adozione de qua già
ottenuto un mutuo riconoscimento negli ordinamenti russo
e statunitense, con contestuale produzione di identici
effetti legali, il medesimo trattamento dovrebbe essere
applicato anche in Italia, in ragione non solo della
succitata disposizione interna, ma anche della
previsione di cui all’art. 23 della Convenzione dell’Aja
che attribuisce il riconoscimento di pieno diritto negli
altri Stati contraenti dell’adozione conforme alla
Convenzione 7.
Con il secondo motivo, la
ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 2 della
Convenzione di New York sui diritti del fanciullo 8,
oltre che degli articoli 6, 10 e 24 della Convenzione di
Strasburgo del 1967 sull’adozione dei minori 9,
ratificata e resa esecutiva nell’ordinamento italiano
con la legge 476/1998.
Al riguardo l’attrice
deduce che, una volta avvenuta l’adozione legittimante
sia con riferimento al Paese d’origine della minore, sia
con riguardo al Paese di residenza della medesima, non
sarebbe possibile scomporre gli effetti dell’adozione
straniera in sede di riconoscimento nello Stato
italiano, producendo così risultati contraddittori circa
lo status dell’adottato nei vari ordinamenti, una
volta che gli stessi ammettano 3
l’adozione da parte del
genitore single. Una simile operazione, infatti,
contrasterebbe con quelle disposizioni della Convenzione
di Strasburgo, le quali ammettono l’adozione da parte
del single solo con effetti legittimanti 10.
10 C. Cass. sent. 17
febbraio 2011, n. 3572, punto 1.1 della motivazione
11 C. Cass. sent. 17
febbraio 2011, n. 3572, punto 2.1 della motivazione.
12 In particolare l’art.
10, comma 1, della Convenzione europea sull’adozione dei
minori prevede che: “L’adozione conferisce
all’adottante, rispetto all’adottato, i diritti e gli
obblighi d’ogni specie, propri d’un genitore verso un
figlio legittimo. Essa conferisce all’adottato, rispetto
all’adottante, i diritti e gli obblighi d’ogni specie,
propri d’un figlio legittimo verso un genitore”.
13 L’art. 24, comma 1,
della Convenzione di Strasburgo dispone che: “La
Parte Contraente la cui legislazione conosce più d’una
forma d’adozione ha la facoltà di applicare ad una sola
di, esse i disposti dei paragrafi 1, 2, 3 e 4
dell’articolo 10 e dei paragrafi 2 e 3 dell’articolo 12”.
14 C. Cass. sent. 17
febbraio 2011, n. 3572, punto 2.1 della motivazione.
15 Più specificamente,
l’art. 2 della Convenzione internazionale sui diritti
dell’infanzia prevede che: “Gli Stati parti
s'impegnano a rispettare i diritti che sono enunciati
nella presente Convenzione ed a garantirli ad ogni
fanciullo nel proprio ambito giurisdizionale, senza
distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di
sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o
di altro genere, del fanciullo o dei suoi genitori o
tutori, della loro origine nazionale, etnica o sociale,
della loro ricchezza, della loro invalidità, della loro
nascita o di qualunque altra condizione. Gli Stati parti
devono adottare ogni misura appropriata per assicurare
che il fanciullo sia protetto contro ogni forma di
discriminazione o di sanzione motivata dallo status, le
attività, le opinioni espresse o il credo dei suoi
genitori, dei suoi tutori o di membri della sua famiglia”.
3. Il rigetto della
Corte di Cassazione
a) La portata della
Convenzione europea sull’adozione dei minori
Ai fini della risoluzione
della fattispecie, i Giudici di legittimità ritengono
preferibile, per ragioni di ordine logico, esaminare
preliminarmente il secondo motivo del ricorso.
Attraverso un puntuale richiamo ai propri precedenti
giurisprudenziali, anche in ossequio a quanto statuito
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 183 del
1994, la Cassazione ritiene che l’invocato art. 6 della
Convenzione di Strasburgo non conferisce immediatamente
ai giudici italiani il potere di concedere l’adozione di
minori a persone singole al di fuori dei limiti entro i
quali tale potere è attribuito dalla legge nazionale, né
tantomeno esso può essere interpretato nel senso di
vincolare il legislatore italiano ad ammettere
l’adozione da parte del singolo senza alcun limite.
Trattasi, pertanto, di norma non auto-applicativa, che
assegna al legislatore nazionale la semplice facoltà, e
non l’obbligo, di prevedere l’adozione anche per persone
singole. Affinché tale tipo adozione possa avere luogo
in Italia è necessaria dunque l’interposizione di una
legge interna che ne determini effetti e presupposti di
ammissione. Di tale facoltà il legislatore italiano si è
avvalso entro limiti alquanto ristretti, ammettendo tale
adozione in circostanze particolari ovvero in casi
speciali e senza gli effetti di un’adozione piena 11.
A giudizio della Corte, le
limitazioni disposte dalla legislazione ordinaria non
contrastano affatto con il disposto dell’art. 10 della
Convenzione di Strasburgo 12. L’art. 24 della stessa
Convenzione consente infatti la previsione da parte
della legge nazionale di forme di adozione
diversificate, purché ad almeno una di esse vengano
ricollegati gli effetti propri dell’adozione
legittimante e non vengano comunque previste limitazioni
in ragione dell’esistenza di uno o più figli naturali
13. A tal proposito la Corte precisa che le norme
concernenti le adozioni in casi particolari, stabilite
dalla legislazione nazionale, non devono ritenersi
derogatorie rispetto alle disposizioni convenzionali. Ne
deriva l’infondatezza del motivo in relazione alla
dedotta violazione della Convenzione europea sui diritti
dei minori 14.
Ancora la Suprema Corte
ritiene che la doglianza presenti profili di
inammissibilità da un lato in ragione della sua
genericità in relazione alla dedotta violazione
dell’articolo 2 della Convenzione di New York sui
diritti del fanciullo, dall’altro, con riguardo alla
questione di legittimità costituzionale prospettata in
udienza relativa all’art. 55, l. 184/1983.
Quanto al primo profilo,
effettivamente, il richiamo alla prescrizione di cui
all’art. 2 della Convenzione internazionale sui diritti
dell’infanzia si rivela alquanto ridondante, dal momento
che la norma in esame impone solamente un generico
divieto di discriminazione del fanciullo per ragioni di
razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di
opinione politica o di altro genere che caratterizzino
il minore stesso, i suoi genitori o i suoi tutori, o che
siano fondate sulla loro origine nazionale,
etnico-sociale, sulla loro ricchezza, sulla loro
invalidità, sula loro nascita o ancora su qualunque
altra condizione, ingiungendo parimenti agli Stati
contraenti di impiegare ogni misura appropriata per
assicurare che il fanciullo sia protetto contro ogni
forma di discriminazione o di sanzione motivata dallo
status, dalle attività, dalle opinioni espresse o
dal credo dei suoi genitori, dei suoi tutori o di membri
della sua famiglia 15. A tal proposito, tuttavia, la
ricorrente non 4
motiva in alcun modo circa
quali profili antidiscriminatori contemplati dalla
Convenzione debbano ritenersi violati dalla normativa
nazionale. Si potrebbe probabilmente ipotizzare
un’asserita discriminazione in ragione dello status
di genitore single del minore, ma nella
fattispecie una simile lesione deve ritenersi soltanto
presunta e comunque non adeguatamente comprovata.
Limitatamente invece al
secondo profilo, la censura di legittimità
costituzionale prospettata dalla ricorrente viene
preliminarmente risolta dalla stessa Cassazione
attraverso il richiamo a quanto già stabilito
dall’ordinanza n. 347 del 2005 della Corte
costituzionale che aveva precedentemente sancito
l’idoneità dell’adozione in casi particolari a
soddisfare adeguatamente le esigenze presenti in
situazioni analoghe a quella in esame 16.
16 In questo senso si veda
C. Cost. ord. 15-29 luglio 2005, n. 347, pubblicata in
G. U. 3 luglio 2005, n. 31
17 C. Cass. sent. 17
febbraio 2011, n. 3572, punto 3.2. della motivazione.
b) L’esatta osservanza
e l’uniforme applicazione dei principi interni in
materia di adozione.
In merito alla dedotta
violazione degli articoli 27, 35 e 36 della legge n. 84
del 1983 e degli artt. 64 e 66 della legge n. 218 del
1995, la Suprema Corte analizza il thema decidendum,
statuendo in merito alla correttezza dell’operazione
ermeneutica svolta dai Giudici di secondo grado. La
Corte d’appello ha infatti fornito un’interpretazione
della norma in esame secondo cui, essendo l’adottante
single, la dichiarazione di efficacia nello Stato
italiano di una sentenza di riconoscimento, pronunciata
da un tribunale straniero, relativa a un provvedimento
di adozione emanato da uno Stato terzo, può avvenire
unicamente ai sensi dell’art. 44 della l. 184/1983 con
gli effetti previsti per le adozioni in casi
particolari, senza quindi produrre le conseguenze
tipiche ricollegabili alla c.d. adozione legittimante.
A giudizio della
Cassazione il motivo è infondato, innanzitutto quanto al
profilo relativo alla violazione degli articoli 64 e 66
l. 218/1995, per l’assorbente ragione che, a norma
dell’art. 41, comma 2, di tale legge, dette disposizioni
non si applicano in materia di adozione dei minori,
applicandosi invece in tale materia la normativa
speciale stabilita dalla legge 476/1998 di ratifica
della Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e
sulla cooperazione in materia di adozione internazionale
17.
Quanto ai restanti profili
va considerato che, in tema di riconoscimento da parte
di cittadini italiani residenti in Italia di adozioni
pronunciate in uno Stato estero, l’art. 35 della legge
sul diritto del minore a una famiglia dispone che
l’adozione pronunciata all’estero attribuisce
all'adottato, nell’ordinamento italiano, lo stato di
figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e
trasmette il cognome. Qualora l’adozione sia stata
pronunciata nello Stato estero prima dell’arrivo del
minore in Italia, il Tribunale nazionale verifica che il
provvedimento dell’autorità che ha pronunciato
l’adozione presenti tutte le condizioni previste
dall’art. 4 della Convenzione in materia di adozioni
internazionali. A questo punto il Giudice italiano dovrà
accertare che l’adozione non sia contraria ai principi
fondamentali che regolano il diritto di famiglia e dei
minori nel nostro ordinamento, valutati in relazione al
superiore interesse del minore, ordinando la
trascrizione del provvedimento di adozione nei registri
dello stato civile. La trascrizione non potrà comunque
avere luogo nei casi in cui: il provvedimento di
adozione riguardi adottanti non in possesso dei
requisiti previsti dalla legge italiana; non siano state
rispettate le indicazioni contenute nella dichiarazione
di idoneità; non sia possibile la conversione in
adozione legittimante; l’adozione o l’affidamento
stranieri non si siano realizzati tramite le autorità
preposte e l’inserimento del minore nella famiglia
adottiva si sia manifestato contrario al suo interesse.
Per parte sua l’art. 36,
quarto comma, della medesima legge - nel testo
modificato contestualmente alla legge di ratifica della
Convenzione dell’Aja - in considerazione della
particolarità della situazione ivi descritta, introduce
a giudizio della Corte, una disciplina speciale per il
riconoscimento dell’adozione. Tuttavia detta procedura
non introduce alcuna deroga alla regola generale secondo
cui la trascrizione nei registri di stato civile non può
mai concretizzarsi nell’ipotesi in cui essa sia
contraria ai principi fondamentali che regolano il
diritto di famiglia e dei minori nell’ordinamento
italiano. Pertanto, qualora la trascrizione di un
provvedimento di adozione pronunciato dalla competente
autorità di un Paese straniero, a istanza di cittadini
italiani che si dimostrino in possesso dei requisiti di
cui all’art. 36, comma 4, produca effetti in contrasto
con i principi fondamentali del diritto di famiglia e
dei minori, l’adempimento in questione non potrà
comunque verificarsi nello Stato italiano.
In altre parole, ad avviso
della Suprema Corte, la disposizione in esame, pur
consentendo deroghe alla disciplina generale sul
riconoscimento delle adozioni pronunciate all’estero,
deve pur sempre essere inquadrata nel complessivo quadro
sistematico che regola il diritto minorile nel nostro
ordinamento, tenendo conto soprattutto dei principi
essenziali relativi alle adozioni espressi dalla
legislazione vigente. 5
Conseguentemente, a
proposito di adozione legittimante, deve considerarsi
che l’art. 6 della l. 184/1983 pone un principio
conformatore dell’istituto, secondo cui tale adozione è
consentita solo ai coniugi uniti in matrimonio. A
legislazione vigente, deve quindi escludersi che - ai
sensi dell’art. 36, comma 4, della l. 184/1983 - in
Italia soggetti singoli possano ottenere il
riconoscimento con effetti legittimanti dell’adozione di
un minore pronunciata all’estero. Un simile adempimento
infatti contrasterebbe con il principio generale che
consente l’adozione soltanto a una coppia di coniugi
regolarmente unita in matrimonio. All’adozione da parte
di persone singole devono quindi ritenersi ricollegabili
unicamente gli effetti delle adozioni in casi speciali
di cui all’art. 44 della legge n. 184 del 1983. Ne
deriva pertanto il rigetto del ricorso 18.
18 C. Cass. sent. 17
febbraio 2011, n. 3572, punto 3.3. della motivazione.
19 Sull’argomento del
diritto del minore a una famiglia si veda in particolare
il contributo offerto da A. ARCERI, Il punto sullo
stato di adottabilità in alcune recentissime decisioni
della Suprema Corte, in Questioni di diritto di
famiglia, 2008, p. 11 ss.
20 Sul punto la dottrina
si presenta pressoché unanimemente concorde nel ritenere
che il diritto tutelato sia quello del minore ad una
famiglia. Per tutti si veda il contributo offerto da F.
PANARELLO, Il diritto del minore alla propria
famiglia, in Quaderni di diritto civile,
2004, p. 91 ss.
21 C. Cost. sent. 9-16
maggio 1994, n. 183, pubblicata in G. U. 25 maggio 1994,
n. 22, punto 5 cons. dir.
22 A tal proposito la
dottrina è ricorsa all’espressione “uscite di
sicurezza” per definire l’istituto dell’adozione in
casi particolari, previsto dal legislatore del 1983 come
correttivo alla giusta scelta di fondo a favore di
un’unica adozione con effetti legittimanti. In questo
senso si veda A. C. MORO, Manuale di diritto minorile,
Bologna, 2008, p. 281.
4. Il modello
legislativo dell’adozione in casi particolari
In questa prospettiva,
occorre verificare se, e in quale misura, il paradigma
astrattamente previsto dal legislatore nazionale, che,
ai sensi degli articoli 25, commi 4 e 5, e 44 della
legge n. 184 del 1983, assegna all’adozione da parte di
persone singole soltanto un ruolo residuale da
esplicarsi unicamente in situazioni particolari, sia,
allo stato, ancora la modalità più confacente per
rispondere concretamente alle esigenze del minore in
stato di abbandono.
In quest’ambito, il canone
della ragionevolezza, ex art. 3 Cost., da
intendersi come piena funzionalità allo scopo
perseguito, diventa il meccanismo privilegiato
attraverso cui orientare quella discrezionalità di cui
il legislatore dispone in materia di adozioni. Per fare
questo diventa necessario preliminarmente stabilire
quale sia la finalità ultima dell’adozione, a partire
dal suo fondamento costituzionale.
Sulla base del combinato
disposto degli articoli 3, 29, 30 e 31 Cost. è possibile
individuare tale fondamento - che costituisce la stessa
ragione ispiratrice dell’adozione - in quello che viene
comunemente designato come il supremo interesse del
minore e che, a sua volta, può essere variamente
declinato nel diritto assoluto del bambino
all’inserimento in un nucleo familiare, che sia in grado
di assolvere i diritti e i doveri negati dalla famiglia
naturale. Il minore vanta così il diritto a crescere e
ad essere educato nell’ambito di una famiglia, essendo
amorevolmente accudito ed avendo qualcuno che si occupi
costantemente della sua persona 19. L’interesse da
tutelare è quindi quello del minore a poter svolgere in
maniera utile il proprio itinerario formativo, divenendo
così più compiutamente uomo/donna. Il diritto garantito
coincide cioè con quello del bambino privo di un proprio
valido ambiente familiare ad ottenere una famiglia
diversa da quella di origine - ma che diverrà la sua
famiglia - in grado di assicuragli quell’affetto, quella
sicurezza e quell’autostima, derivanti da relazioni
interpersonali stimolanti, indispensabili per portare a
felice compimento la sua formazione 20.
Il supremo interesse del
minore diventa allora il criterio ultimo per valutare la
congruità allo scopo delle varie tipologie adottive
previste dal legislatore, potendo eventualmente
giustificare anche uno scostamento dal modello base che
accorda la preferenza l’adozione soltanto da parte di
due persone unite in matrimonio. A confermarlo è la
stessa Corte costituzionale, la quale nella sentenza
183/1994, ha stabilito che “… i principi trasfusi
negli articoli 3, 29 e 30 Cost. non vincolano l'adozione
dei minori al criterio dell’imitatio naturae, in
guisa da non consentire l'adozione da parte di un
singolo, nei casi eccezionali in cui è oggi prevista
dalla legge n. 184 del 1983…” 21.
Il regime delle adozioni
in casi particolari, infatti, garantisce di poter
ovviare all’inevitabile rigidità di un’unica modalità di
adozione al fine di tutelate comunque l’interesse del
minore in situazioni che, pur non potendo condurre
all’adozione legittimante per carenza dei presupposti
minimi richiesti, esigono ugualmente l’instaurazione di
vincoli giuridici tra il fanciullo e chi si occupa
stabilmente di lui 22. Si è così previsto, anche in
ottemperanza alla Convenzione di Strasburgo del 1967,
un’autonoma forma di adozione, consentita anche a una
persona singola, che tendenzialmente non elimina i
rapporti con la famiglia originaria e che si radica 6
sul consenso tra le parti,
creando uno status personale tra adottante e
adottato diverso da quello esistente tra genitore e
figlio legittimo 23.
23 Cfr. G. COLLURA, op.
cit.
24 Così statuisce l’art.
25, comma 4, l. 184/1983.
25 Così dispone invece
l’art. 25, comma 5, l. 184/1983
26 In generale sulle
ragioni giustificatrici dell’adozione in casi
particolari si legga I. BAVIERA, L’adozione speciale,
Milano, 1968. Più in particolare si guardi anche P.
MOROZZO DELLA ROCCA, L’adozione dei minori:
presupposti ed effetti, in G. FERRANDO (a cura di),
Trattato di diritto civile, Bologna, 2007, p. 587
ss.
27 Art,
44, comma 1, lett. a), l. 184/1983.
28 In tema di adozioni in
casi particolari, per un esame delle singole fattispecie
contemplate dalla legge si segnala altresì C. GARILLI,
Adozione in casi particolari e interesse del minore
straniero al formale inserimento nella famiglia, in
Quaderni di diritto civile, 2004, p. 261 ss
29 Art,
44, comma 1, lett. d), l. 184/1983. Si tratta di
ipotesi in cui il minore sia diversamente abile o di
minore in età particolarmente avanzata, oppure di casi
in cui il minore abbia ormai maturato un senso di
appartenenza verso la famiglia presso la quale si trova.
In questo senso si legga L. AVIGLIANO - P. FALCIOLONI,
L’adozione, Milano, 2010, p. 121 ss.
30 Cfr. A. C. MORO, op.
cit.
31 Il dato di riferimento
è disponibile sul sito internet della Commissione per le
adozioni internazionali, disponibile su
www.commissioneadozioni.it
La casistica disciplinata
dalla legge 184/1983 (e successive modificazioni)
riguarda anzitutto l’ipotesi in cui uno dei coniugi
muoia o diventi incapace durante l'affidamento
preadottivo. In questa eventualità l'adozione potrà
essere ugualmente disposta nell'interesse del minore su
istanza dell'altro coniuge nei confronti di entrambi,
con effetto, per il coniuge deceduto, dalla data della
morte 24. Analogamente nel caso in cui intervenga
separazione tra i coniugi affidatari, l'adozione potrà
essere disposta nell'esclusivo interesse del minore nei
confronti di uno solo o di entrambi i coniugi 25. In
queste ipotesi l’interesse del minore coincide con la
necessità di mantenere un legame costante con quei
soggetti che abbiano cominciato ad occuparsi di lui
costantemente, assicurandogli un ambiente familiare
solido 26.
Ancora, il minore orfano
può essere adottato da soggetti singoli appartenenti
alla sua cerchia familiare fino al sesto grado, oppure
da persone unite al minore stesso da un preesistente
rapporto affettivo di carattere stabile e duraturo 27.
In questa eventualità emerge invece l’intento di
mantenere un legame continuo tra il minore e la sua
famiglia di origine, senza recidere ex abrupto
quei rapporti che hanno contribuito in maniera decisiva
a costituire l’identità del minore 28.
Infine, si potrà procedere
ad adozione anche da parte di persone singole, qualora
sia impossibile procedere ad affidamento preadottivo,
ossia in casi sostanzialmente coincidenti, da un lato,
con l’esistenza di situazioni anomale del minore, che
rendano impossibile trovare una coppia coniugata
disposta ad adottare, dall’altro, con l’esistenza di
condizioni fattuali che non appare opportuno travolgere,
interrompendo legami già consolidati 29.
In tutti questi casi
sembra quindi assolutamente ragionevole non procedere ad
un’adozione con effetti legittimanti che, in quanto
tale, interromperebbe i rapporti con la famiglia di
origine del minore, arrecando un grave pregiudizio al
suo sviluppo psicofisico. In queste ipotesi peculiari il
supremo interesse del minore trova infatti una più
adeguata soddisfazione, privilegiando l’adozione da
parte di persone singole. L’alterazione dello schema che
riserva l’adozione con effetti legittimanti alle sole
coppie di coniugi risulta dunque giustificata da
situazioni del tutto eccezionali, soltanto entro limiti
categoricamente elencati dalla legge 30.
Peraltro, attualmente, non
esistono neppure ragioni di ordine pratico che possano
indurre il legislatore ad estendere l’istituto
dell’adozione legittimante anche ai single,
mettendo in discussione il criterio della preferenza per
le coppie unite in matrimonio. In un sistema in cui il
rapporto tra minori adottabili e domande di adozione si
stima in un rapporto di 1 a 25, sembrerebbe comunque
incongruo sacrificare le richieste di adozione da parte
di coppie sposate per privilegiare le richieste dei
singoli, rimodulando così le scelte del legislatore
nazionale 31.
5. La reale portata
dell’obiter dictum
Alla luce di quanto
esposto, dunque, l’inciso in questione deve essere
ricondotto nell’alveo della sua reale portata
precettiva. La Suprema Corte prospetta in questa sede
solo la possibilità di provvedere ad un ampliamento
dell’istituto dell’adozione, qualora in concreto questa
si riveli la soluzione più conveniente per soddisfare il
superiore interesse del minore. Inteso in questa
accezione, l’obiter dictum non fa altro che 7
corroborare l’impostazione
di fondo prescelta dalla Corte di Cassazione che assegna
al legislatore e non al giudice il compito di estendere
l’istituto dell’adozione anche a persone singole,
bilanciando i singoli interessi.
La sentenza in esame
esplica pertanto un limitato valore ottativo, incapace
di incidere sostanzialmente sull’esercizio della potestà
legislativa in una materia altamente sensibile. Non si
tratta allora di un vero e proprio monito, dal momento
che la Corte non indica quali siano le particolari
circostanze rispetto a cui dovrebbe dispiegarsi
l’intervento del legislatore volto ad ampliare l’ambito
di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una
singola persona, anche con gli effetti dell’adozione
legittimante. D’altro canto, non potrebbe essere
altrimenti dato che, oltretutto, nel caso di specie,
l’interesse del minore ad una famiglia sostitutiva
risulta già ampiamente soddisfatto dalla disciplina
vigente, seppure con gli effetti dell’adozione in casi
particolari che comunque non lascia affatto la
situazione sprovvista di tutela.
Sembrerebbe più corretto
inquadrare questo tipo di statuizioni nell’ambito di un
più ampio rapporto dialogico tra giudice e legislatore,
tanto più proficuo quanto più consapevole dei limiti e
delle caratteristiche dei rispettivi ruoli, che non si
traduce in un’indebita invasione di competenze, ma si
sostanzia piuttosto in una collaborazione continua,
svolta in parallelo, per la risoluzione delle varie
controversie. Vista in questo senso, la sentenza in
questione potrebbe produrre effetti esortativi,
indirizzando la futura attività del Parlamento, nella
misura in cui ponga all’attenzione del legislatore
problemi applicativi derivanti da situazioni analoghe a
quella dedotta in giudizio, prospettando criticità che
la generalità e l’astrattezza della norma di legge sono
inevitabilmente destinate a tralasciare.
Ciò nonostante nel nostro
caso, questa particolare statuizione assume più
correttamente il carattere di argomento ad adiuvandum,
teso semplicemente rafforzare l’argomentazione prescelta
dal Collegio, il quale del tutto verosimilmente non
intendeva affatto fornire indicazioni al legislatore o
caldeggiare aperture. Basti a testimoniarlo la
formulazione assolutamente generica, che sembra
postulare soltanto un’astratta eventualità, senza
fornire particolari indicazioni che possano indirizzare
un futuro intervento del Parlamento.
Come si è cercato di
dimostrare infatti il complesso normativo evocato dalla
ricorrente deve ritenersi totalmente conforme a
Costituzione, in quanto frutto di un ragionevole e
ponderato bilanciamento di interessi, che privilegia
attraverso tutti i suoi istituti il soddisfacimento dei
diritti del minore, approntando mezzi congrui al
raggiungimento dello scopo.
Sembra dunque più che
ragionevole che, allo stato e senza una necessaria e
ponderata interposizione legislativa, l’adozione da
parte dei single sia ammessa soltanto nei casi
particolari di cui all’art. 44 l. 184/1983, o nelle
speciali circostanze di cui all’art. 25, quarto e quinto
comma, della medesima legge, con effetti limitati
rispetto all’adozione legittimante; al di fuori di
queste ipotesi opera infatti il principio fondamentale
secondo cui l’adozione di minore è permessa solo alla
coppia di coniugi unita in matrimonio da almeno tre
anni. Lo stesso principio opera in sede di adozione
internazionale, la quale deve considerarsi ammissibile,
secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata,
negli stessi casi in cui è consentita l’adozione
nazionale, sia essa legittimante oppure in casi
particolari. Pertanto, qualora il single possa
procedere all’adozione internazionale nei casi
particolari di cui al citato art. 44, questo non può in
alcun modo fondare una generalizzata ammissibilità di
tale adozione da parte della persona singola 32.
32 C. Cass. sent. 18 marzo
2006, n. 6078, punto 4.3. della motivazione.
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