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L'ADOZIONE DEI SINGLE E LA CORTE DI CASSAZIONE" - Paolo Zicchittu - associazionedeicostituzionalisti.it

 

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La problematica sottesa al caso in esame presenta senza dubbio interessanti profili di rilievo costituzionale, non tanto in relazione ad un supposto diritto riconosciuto anche a persone singole di poter accedere all’istituto civilistico dell’adozione (c.d. diritto alla genitorialità), quanto piuttosto riguardo alla tutela del miglior interesse del minore. In secondo luogo, la sentenza fornisce notevoli spunti di riflessione relativamente al rapporto tra discrezionalità legislativa e indicazioni fornite dagli organi giurisdizionali, consentendo di riflettere sui limiti propri delle scelte politiche del Parlamento e sui poteri interpretativi del giudice. Infine, la stessa pronuncia induce ad interrogarsi sui possibili riflessi nella fattispecie concreta di una coerente applicazione del principio di uguaglianza in una materia altamente sensibile come quella delle adozioni, in cui entrano in bilanciamento valori estremamente delicati. 

La sentenza 3572/2011 ha infatti prodotto una notevole eco mass-mediatica 1, proprio in ragione di un obiter dictum secondo cui, con riferimento al disposto dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo, “… il legislatore nazionale ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze, ad un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona anche con gli effetti dell’adozione legittimante …“ .
 
L’inciso in questione, seppure meritevole di un’adeguata analisi non solo nell’ambito dell’economia del giudizio, ma anche e soprattutto in relazione alla vigente legislazione in materia di adozioni, non deve comunque essere sovraccaricato di significato. Da una parte, infatti, sembra certamente condivisibile la preoccupazione di fondo che ha indotto i Giudici di legittimità a formulare una simile esortazione, e che parte fondamentalmente dalla constatazione di un’intrinseca inadeguatezza dell’attuale modello legislativo a regolare fattispecie di confine come quella in esame. Dall’altra, però, per come formulata e per come collocata nel corpus della sentenza, una simile asserzione non costituisce certamente un’apertura alle adozioni da parte di persone singole, che peraltro già trovano accoglimento nel nostro ordinamento.

In altre parole la decisione in commento induce a riflettere circa l’idoneità del modello di adozione prescelto dal legislatore nazionale a soddisfare il supremo interesse del minore. Come noto, nell’ordinamento italiano, l’adozione che attribuisce definitivamente all’adottato lo status di figlio legittimo degli adottanti, inserendolo a tutti gli effetti all’interno di un nuovo nucleo familiare, anche tramite l’interruzione dei rapporti con la propria famiglia d’origine (c.d. adozione legittimante), è infatti riservata soltanto a coppie di coniugi unite in matrimonio da almeno tre anni, che superino di diciotto anni e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando e che siano in grado di educare, istruire e mantenere il minore. In questo sistema l’adozione da parte di persone singole viene tendenzialmente esclusa, o meglio fortemente limitata soltanto ad ipotesi eccezionali, senza attribuire al minore lo status giuridico di figlio legittimo dell’adottante.

[...]

Paolo Zicchittu
dottorando di ricerca in “Giustizia costituzionale e diritti fondamentali”
Presso l’Università di Pisa


 


 

LA SENTENZA 3572/2011 DELLA CORTE DI CASSAZIONE: È ANCORA RAGIONEVOLE UN’ADOZIONE PER I SINGLE SENZA EFFETTI LEGITTIMANTI?

1. Il caso e i suoi profili di rilievo costituzionale

Una cittadina italiana single, residente negli Stati Uniti, adotta all’estero una bambina di nazionalità russa. Il provvedimento di adozione emanato nella Federazione russa dal Tribunale Regionale di Lipetsk - paese di origine della minore - viene successivamente dichiarato efficace negli Stati Uniti - luogo di residenza della ricorrente - da parte del Tribunale di Secondo Grado del District of Columbia. Tornata in Italia insieme alla figlia, la donna presenta domanda di trascrizione nei registri di stato civile del provvedimento così ottenuto. Tuttavia, in sede di delibazione, il Tribunale per i minorenni di Genova opta per il riconoscimento dei soli effetti riconducibili all’adozione in “casi particolari”, negando gli effetti dell’adozione legittimante. A questo punto, avverso la decisione del Giudice di primo grado, la donna presenta reclamo presso la Corte d’appello, la quale rigetta il reclamo, confermando la pronuncia del Tribunale per i minorenni. Da qui la decisione della madre di proporre ricorso in Cassazione.

La problematica sottesa al caso in esame presenta senza dubbio interessanti profili di rilievo costituzionale, non tanto in relazione ad un supposto diritto riconosciuto anche a persone singole di poter accedere all’istituto civilistico dell’adozione (c.d. diritto alla genitorialità), quanto piuttosto riguardo alla tutela del miglior interesse del minore. In secondo luogo, la sentenza fornisce notevoli spunti di riflessione relativamente al rapporto tra discrezionalità legislativa e indicazioni fornite dagli organi giurisdizionali, consentendo di riflettere sui limiti propri delle scelte politiche del Parlamento e sui poteri interpretativi del giudice. Infine, la stessa pronuncia induce ad interrogarsi sui possibili riflessi nella fattispecie concreta di una coerente applicazione del principio di uguaglianza in una materia altamente sensibile come quella delle adozioni, in cui entrano in bilanciamento valori estremamente delicati.

La sentenza 3572/2011 ha infatti prodotto una notevole eco mass-mediatica 1, proprio in ragione di un obiter dictum secondo cui, con riferimento al disposto dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo, “… il legislatore nazionale ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze, ad un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona anche con gli effetti dell’adozione legittimante …“ 2..

1 In particolare, gli organi di stampa avevano accolto la sentenza in esame con toni trionfalistici. Le principali testate giornalistiche e le maggiori agenzie avevano titolato in maniera entusiastica, parlando di adozione anche per i single, di un invito al Parlamento a varare una legge in materia che tenga conto delle esigenze di questi soggetti, dopo avere affidato una bimba a una single di Genova, o ancora di una significativa apertura a questo tipo di adozioni da parte dei Giudici di legittimità, evidenziando parallelamente. A titolo puramente esemplificativo si vedano ANSA del 14 febbraio 2011, Cassazione: adozioni anche per i single. Anche le persone senza un partner dovrebbero poter adottare, in www.ansa.it, Repubblica del 14 febbraio 2011, Adottare da single, la Cassazione apre. Stop dal Vaticano, in www.repubblica.it e Corriere della Sera, La Cassazione: adozione anche per i single, in www.corriere.it

2 C. Cass. sent. 17 febbraio 2011, n. 3572, punto 3.3. della motivazione.

L’inciso in questione, seppure meritevole di un’adeguata analisi non solo nell’ambito dell’economia del giudizio, ma anche e soprattutto in relazione alla vigente legislazione in materia di adozioni, non deve comunque essere sovraccaricato di significato. Da una parte, infatti, sembra certamente condivisibile la preoccupazione di fondo che ha indotto i Giudici di legittimità a formulare una simile esortazione, e che parte fondamentalmente dalla constatazione di un’intrinseca inadeguatezza dell’attuale modello legislativo a regolare fattispecie di confine come quella in esame. Dall’altra, però, per come formulata e per come collocata nel corpus della sentenza, una simile asserzione non costituisce certamente un’apertura alle adozioni da parte di persone singole, che peraltro già trovano accoglimento nel nostro ordinamento. 2

In altre parole la decisione in commento induce a riflettere circa l’idoneità del modello di adozione prescelto dal legislatore nazionale a soddisfare il supremo interesse del minore. Come noto, nell’ordinamento italiano, l’adozione che attribuisce definitivamente all’adottato lo status di figlio legittimo degli adottanti, inserendolo a tutti gli effetti all’interno di un nuovo nucleo familiare, anche tramite l’interruzione dei rapporti con la propria famiglia d’origine (c.d. adozione legittimante), è infatti riservata soltanto a coppie di coniugi unite in matrimonio da almeno tre anni, che superino di diciotto anni e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando e che siano in grado di educare, istruire e mantenere il minore. In questo sistema l’adozione da parte di persone singole viene tendenzialmente esclusa, o meglio fortemente limitata soltanto ad ipotesi eccezionali, senza attribuire al minore lo status giuridico di figlio legittimo dell’adottante 3.

3 In questo senso, per un’analisi più accurata delle varie procedure adozionali anche con riferimento ai requisiti degli adottanti si veda M. DOGLIOTTI, Affidamento ed adozione, in A. CICU - F. MESSINEO - L. MENGONI (a cura di), Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 2008.

4 Legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), pubblicata in. G. U. 17 maggio 1983, n. 133.

5 Legge 31 dicembre 1998, n. 476 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri), pubblicata in G. U. n. 8 del 12 gennaio 1999.

6 Legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), pubblicata in G. U. 3 giugno 1995, n. 128.

7 Art. 23 della Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale fatta a l’Aja il 29 maggio 1993, secondo cui: “L’adozione certificata conforme alla Convenzione, dall’autorità competente dello Stato contraente in cui ha avuto luogo, e riconosciuta di pieno diritto negli altri Stati contraenti. Il certificato indica quando e da chi i consensi indicati all’art. 17, lettera c, sono stati prestati. Ogni Stato contraente, al momento della firma, della ratifica, dell’accettazione, dell’approvazione o dell’adesione, notifica al depositario della Convenzione l’identità e le funzioni dell’autorità o delle autorità che, in tale Stato, sono competenti a rilasciare il certificato. Notifica, altresì, qualsiasi modifica nella designazione di queste autorità”.

8 Convenzione internazionale sui diritti dell' infanzia. Approvata a New York dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989.

9 Convenzione europea sull’adozione dei minori, conchiusa a Strasburgo il 24 aprile 1967.

2. I motivi del ricorso

A sostegno del proprio gravame la ricorrente adduce sostanzialmente due motivi. Con il primo argomento parte attrice denuncia la violazione degli articoli 27, 35 e 36 della l. 184/1983 4 (così come modificata a seguito dell’emanazione della l. 476/1998 5) e degli artt. 64 e 66 della l. 218/1995 6.

In particolare, l’art. 36, comma 4, della legge 184/1983 dispone che l’adozione pronunciata dalla competente autorità di un ordinamento straniero su istanza di un cittadino italiano che dimostri al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso Paese e di averne la residenza da almeno due anni, è riconosciuta a tutti gli effetti anche in Italia con provvedimento del Tribunale per i minorenni, purché conforme ai principi della Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993. La disposizione richiamata cioè attribuisce efficacia anche nell’ordinamento italiano all’adozione effettuata in Paese terzo, secondo le norme e le procedure ivi previste, previa verifica di conformità con i principi della Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale da parte del giudice nazionale.

Ad avviso della ricorrente, pertanto, la Corte d’appello di Genova avrebbe dovuto necessariamente riconoscere efficacia legittimante all’adozione dichiarata dal Tribunale Regionale di Lipetsk e successivamente ritenuta efficace dal Tribunale di Secondo Grado del District of Columbia. In sintonia con le prospettazioni della ricorrente, infatti, avendo l’adozione de qua già ottenuto un mutuo riconoscimento negli ordinamenti russo e statunitense, con contestuale produzione di identici effetti legali, il medesimo trattamento dovrebbe essere applicato anche in Italia, in ragione non solo della succitata disposizione interna, ma anche della previsione di cui all’art. 23 della Convenzione dell’Aja che attribuisce il riconoscimento di pieno diritto negli altri Stati contraenti dell’adozione conforme alla Convenzione 7.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 2 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo 8, oltre che degli articoli 6, 10 e 24 della Convenzione di Strasburgo del 1967 sull’adozione dei minori 9, ratificata e resa esecutiva nell’ordinamento italiano con la legge 476/1998.

Al riguardo l’attrice deduce che, una volta avvenuta l’adozione legittimante sia con riferimento al Paese d’origine della minore, sia con riguardo al Paese di residenza della medesima, non sarebbe possibile scomporre gli effetti dell’adozione straniera in sede di riconoscimento nello Stato italiano, producendo così risultati contraddittori circa lo status dell’adottato nei vari ordinamenti, una volta che gli stessi ammettano 3

l’adozione da parte del genitore single. Una simile operazione, infatti, contrasterebbe con quelle disposizioni della Convenzione di Strasburgo, le quali ammettono l’adozione da parte del single solo con effetti legittimanti 10.

10 C. Cass. sent. 17 febbraio 2011, n. 3572, punto 1.1 della motivazione

11 C. Cass. sent. 17 febbraio 2011, n. 3572, punto 2.1 della motivazione.

12 In particolare l’art. 10, comma 1, della Convenzione europea sull’adozione dei minori prevede che: “L’adozione conferisce all’adottante, rispetto all’adottato, i diritti e gli obblighi d’ogni specie, propri d’un genitore verso un figlio legittimo. Essa conferisce all’adottato, rispetto all’adottante, i diritti e gli obblighi d’ogni specie, propri d’un figlio legittimo verso un genitore”.

13 L’art. 24, comma 1, della Convenzione di Strasburgo dispone che: “La Parte Contraente la cui legislazione conosce più d’una forma d’adozione ha la facoltà di applicare ad una sola di, esse i disposti dei paragrafi 1, 2, 3 e 4 dell’articolo 10 e dei paragrafi 2 e 3 dell’articolo 12”.

14 C. Cass. sent. 17 febbraio 2011, n. 3572, punto 2.1 della motivazione.

15 Più specificamente, l’art. 2 della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia prevede che: “Gli Stati parti s'impegnano a rispettare i diritti che sono enunciati nella presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo nel proprio ambito giurisdizionale, senza distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, del fanciullo o dei suoi genitori o tutori, della loro origine nazionale, etnica o sociale, della loro ricchezza, della loro invalidità, della loro nascita o di qualunque altra condizione. Gli Stati parti devono adottare ogni misura appropriata per assicurare che il fanciullo sia protetto contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivata dallo status, le attività, le opinioni espresse o il credo dei suoi genitori, dei suoi tutori o di membri della sua famiglia”.

3. Il rigetto della Corte di Cassazione

a) La portata della Convenzione europea sull’adozione dei minori

Ai fini della risoluzione della fattispecie, i Giudici di legittimità ritengono preferibile, per ragioni di ordine logico, esaminare preliminarmente il secondo motivo del ricorso. Attraverso un puntuale richiamo ai propri precedenti giurisprudenziali, anche in ossequio a quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 183 del 1994, la Cassazione ritiene che l’invocato art. 6 della Convenzione di Strasburgo non conferisce immediatamente ai giudici italiani il potere di concedere l’adozione di minori a persone singole al di fuori dei limiti entro i quali tale potere è attribuito dalla legge nazionale, né tantomeno esso può essere interpretato nel senso di vincolare il legislatore italiano ad ammettere l’adozione da parte del singolo senza alcun limite. Trattasi, pertanto, di norma non auto-applicativa, che assegna al legislatore nazionale la semplice facoltà, e non l’obbligo, di prevedere l’adozione anche per persone singole. Affinché tale tipo adozione possa avere luogo in Italia è necessaria dunque l’interposizione di una legge interna che ne determini effetti e presupposti di ammissione. Di tale facoltà il legislatore italiano si è avvalso entro limiti alquanto ristretti, ammettendo tale adozione in circostanze particolari ovvero in casi speciali e senza gli effetti di un’adozione piena 11.

A giudizio della Corte, le limitazioni disposte dalla legislazione ordinaria non contrastano affatto con il disposto dell’art. 10 della Convenzione di Strasburgo 12. L’art. 24 della stessa Convenzione consente infatti la previsione da parte della legge nazionale di forme di adozione diversificate, purché ad almeno una di esse vengano ricollegati gli effetti propri dell’adozione legittimante e non vengano comunque previste limitazioni in ragione dell’esistenza di uno o più figli naturali 13. A tal proposito la Corte precisa che le norme concernenti le adozioni in casi particolari, stabilite dalla legislazione nazionale, non devono ritenersi derogatorie rispetto alle disposizioni convenzionali. Ne deriva l’infondatezza del motivo in relazione alla dedotta violazione della Convenzione europea sui diritti dei minori 14.

Ancora la Suprema Corte ritiene che la doglianza presenti profili di inammissibilità da un lato in ragione della sua genericità in relazione alla dedotta violazione dell’articolo 2 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, dall’altro, con riguardo alla questione di legittimità costituzionale prospettata in udienza relativa all’art. 55, l. 184/1983.

Quanto al primo profilo, effettivamente, il richiamo alla prescrizione di cui all’art. 2 della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia si rivela alquanto ridondante, dal momento che la norma in esame impone solamente un generico divieto di discriminazione del fanciullo per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere che caratterizzino il minore stesso, i suoi genitori o i suoi tutori, o che siano fondate sulla loro origine nazionale, etnico-sociale, sulla loro ricchezza, sulla loro invalidità, sula loro nascita o ancora su qualunque altra condizione, ingiungendo parimenti agli Stati contraenti di impiegare ogni misura appropriata per assicurare che il fanciullo sia protetto contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivata dallo status, dalle attività, dalle opinioni espresse o dal credo dei suoi genitori, dei suoi tutori o di membri della sua famiglia 15. A tal proposito, tuttavia, la ricorrente non 4

motiva in alcun modo circa quali profili antidiscriminatori contemplati dalla Convenzione debbano ritenersi violati dalla normativa nazionale. Si potrebbe probabilmente ipotizzare un’asserita discriminazione in ragione dello status di genitore single del minore, ma nella fattispecie una simile lesione deve ritenersi soltanto presunta e comunque non adeguatamente comprovata.

Limitatamente invece al secondo profilo, la censura di legittimità costituzionale prospettata dalla ricorrente viene preliminarmente risolta dalla stessa Cassazione attraverso il richiamo a quanto già stabilito dall’ordinanza n. 347 del 2005 della Corte costituzionale che aveva precedentemente sancito l’idoneità dell’adozione in casi particolari a soddisfare adeguatamente le esigenze presenti in situazioni analoghe a quella in esame 16.

16 In questo senso si veda C. Cost. ord. 15-29 luglio 2005, n. 347, pubblicata in G. U. 3 luglio 2005, n. 31

17 C. Cass. sent. 17 febbraio 2011, n. 3572, punto 3.2. della motivazione.

b) L’esatta osservanza e l’uniforme applicazione dei principi interni in materia di adozione.

In merito alla dedotta violazione degli articoli 27, 35 e 36 della legge n. 84 del 1983 e degli artt. 64 e 66 della legge n. 218 del 1995, la Suprema Corte analizza il thema decidendum, statuendo in merito alla correttezza dell’operazione ermeneutica svolta dai Giudici di secondo grado. La Corte d’appello ha infatti fornito un’interpretazione della norma in esame secondo cui, essendo l’adottante single, la dichiarazione di efficacia nello Stato italiano di una sentenza di riconoscimento, pronunciata da un tribunale straniero, relativa a un provvedimento di adozione emanato da uno Stato terzo, può avvenire unicamente ai sensi dell’art. 44 della l. 184/1983 con gli effetti previsti per le adozioni in casi particolari, senza quindi produrre le conseguenze tipiche ricollegabili alla c.d. adozione legittimante.

A giudizio della Cassazione il motivo è infondato, innanzitutto quanto al profilo relativo alla violazione degli articoli 64 e 66 l. 218/1995, per l’assorbente ragione che, a norma dell’art. 41, comma 2, di tale legge, dette disposizioni non si applicano in materia di adozione dei minori, applicandosi invece in tale materia la normativa speciale stabilita dalla legge 476/1998 di ratifica della Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale 17.

Quanto ai restanti profili va considerato che, in tema di riconoscimento da parte di cittadini italiani residenti in Italia di adozioni pronunciate in uno Stato estero, l’art. 35 della legge sul diritto del minore a una famiglia dispone che l’adozione pronunciata all’estero attribuisce all'adottato, nell’ordinamento italiano, lo stato di figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome. Qualora l’adozione sia stata pronunciata nello Stato estero prima dell’arrivo del minore in Italia, il Tribunale nazionale verifica che il provvedimento dell’autorità che ha pronunciato l’adozione presenti tutte le condizioni previste dall’art. 4 della Convenzione in materia di adozioni internazionali. A questo punto il Giudice italiano dovrà accertare che l’adozione non sia contraria ai principi fondamentali che regolano il diritto di famiglia e dei minori nel nostro ordinamento, valutati in relazione al superiore interesse del minore, ordinando la trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile. La trascrizione non potrà comunque avere luogo nei casi in cui: il provvedimento di adozione riguardi adottanti non in possesso dei requisiti previsti dalla legge italiana; non siano state rispettate le indicazioni contenute nella dichiarazione di idoneità; non sia possibile la conversione in adozione legittimante; l’adozione o l’affidamento stranieri non si siano realizzati tramite le autorità preposte e l’inserimento del minore nella famiglia adottiva si sia manifestato contrario al suo interesse.

Per parte sua l’art. 36, quarto comma, della medesima legge - nel testo modificato contestualmente alla legge di ratifica della Convenzione dell’Aja - in considerazione della particolarità della situazione ivi descritta, introduce a giudizio della Corte, una disciplina speciale per il riconoscimento dell’adozione. Tuttavia detta procedura non introduce alcuna deroga alla regola generale secondo cui la trascrizione nei registri di stato civile non può mai concretizzarsi nell’ipotesi in cui essa sia contraria ai principi fondamentali che regolano il diritto di famiglia e dei minori nell’ordinamento italiano. Pertanto, qualora la trascrizione di un provvedimento di adozione pronunciato dalla competente autorità di un Paese straniero, a istanza di cittadini italiani che si dimostrino in possesso dei requisiti di cui all’art. 36, comma 4, produca effetti in contrasto con i principi fondamentali del diritto di famiglia e dei minori, l’adempimento in questione non potrà comunque verificarsi nello Stato italiano.

In altre parole, ad avviso della Suprema Corte, la disposizione in esame, pur consentendo deroghe alla disciplina generale sul riconoscimento delle adozioni pronunciate all’estero, deve pur sempre essere inquadrata nel complessivo quadro sistematico che regola il diritto minorile nel nostro ordinamento, tenendo conto soprattutto dei principi essenziali relativi alle adozioni espressi dalla legislazione vigente. 5

Conseguentemente, a proposito di adozione legittimante, deve considerarsi che l’art. 6 della l. 184/1983 pone un principio conformatore dell’istituto, secondo cui tale adozione è consentita solo ai coniugi uniti in matrimonio. A legislazione vigente, deve quindi escludersi che - ai sensi dell’art. 36, comma 4, della l. 184/1983 - in Italia soggetti singoli possano ottenere il riconoscimento con effetti legittimanti dell’adozione di un minore pronunciata all’estero. Un simile adempimento infatti contrasterebbe con il principio generale che consente l’adozione soltanto a una coppia di coniugi regolarmente unita in matrimonio. All’adozione da parte di persone singole devono quindi ritenersi ricollegabili unicamente gli effetti delle adozioni in casi speciali di cui all’art. 44 della legge n. 184 del 1983. Ne deriva pertanto il rigetto del ricorso 18.

18 C. Cass. sent. 17 febbraio 2011, n. 3572, punto 3.3. della motivazione.

19 Sull’argomento del diritto del minore a una famiglia si veda in particolare il contributo offerto da A. ARCERI, Il punto sullo stato di adottabilità in alcune recentissime decisioni della Suprema Corte, in Questioni di diritto di famiglia, 2008, p. 11 ss.

20 Sul punto la dottrina si presenta pressoché unanimemente concorde nel ritenere che il diritto tutelato sia quello del minore ad una famiglia. Per tutti si veda il contributo offerto da F. PANARELLO, Il diritto del minore alla propria famiglia, in Quaderni di diritto civile, 2004, p. 91 ss.

21 C. Cost. sent. 9-16 maggio 1994, n. 183, pubblicata in G. U. 25 maggio 1994, n. 22, punto 5 cons. dir.

22 A tal proposito la dottrina è ricorsa all’espressione “uscite di sicurezza” per definire l’istituto dell’adozione in casi particolari, previsto dal legislatore del 1983 come correttivo alla giusta scelta di fondo a favore di un’unica adozione con effetti legittimanti. In questo senso si veda A. C. MORO, Manuale di diritto minorile, Bologna, 2008, p. 281.

4. Il modello legislativo dell’adozione in casi particolari

In questa prospettiva, occorre verificare se, e in quale misura, il paradigma astrattamente previsto dal legislatore nazionale, che, ai sensi degli articoli 25, commi 4 e 5, e 44 della legge n. 184 del 1983, assegna all’adozione da parte di persone singole soltanto un ruolo residuale da esplicarsi unicamente in situazioni particolari, sia, allo stato, ancora la modalità più confacente per rispondere concretamente alle esigenze del minore in stato di abbandono.

In quest’ambito, il canone della ragionevolezza, ex art. 3 Cost., da intendersi come piena funzionalità allo scopo perseguito, diventa il meccanismo privilegiato attraverso cui orientare quella discrezionalità di cui il legislatore dispone in materia di adozioni. Per fare questo diventa necessario preliminarmente stabilire quale sia la finalità ultima dell’adozione, a partire dal suo fondamento costituzionale.

Sulla base del combinato disposto degli articoli 3, 29, 30 e 31 Cost. è possibile individuare tale fondamento - che costituisce la stessa ragione ispiratrice dell’adozione - in quello che viene comunemente designato come il supremo interesse del minore e che, a sua volta, può essere variamente declinato nel diritto assoluto del bambino all’inserimento in un nucleo familiare, che sia in grado di assolvere i diritti e i doveri negati dalla famiglia naturale. Il minore vanta così il diritto a crescere e ad essere educato nell’ambito di una famiglia, essendo amorevolmente accudito ed avendo qualcuno che si occupi costantemente della sua persona 19. L’interesse da tutelare è quindi quello del minore a poter svolgere in maniera utile il proprio itinerario formativo, divenendo così più compiutamente uomo/donna. Il diritto garantito coincide cioè con quello del bambino privo di un proprio valido ambiente familiare ad ottenere una famiglia diversa da quella di origine - ma che diverrà la sua famiglia - in grado di assicuragli quell’affetto, quella sicurezza e quell’autostima, derivanti da relazioni interpersonali stimolanti, indispensabili per portare a felice compimento la sua formazione 20.

Il supremo interesse del minore diventa allora il criterio ultimo per valutare la congruità allo scopo delle varie tipologie adottive previste dal legislatore, potendo eventualmente giustificare anche uno scostamento dal modello base che accorda la preferenza l’adozione soltanto da parte di due persone unite in matrimonio. A confermarlo è la stessa Corte costituzionale, la quale nella sentenza 183/1994, ha stabilito che “… i principi trasfusi negli articoli 3, 29 e 30 Cost. non vincolano l'adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae, in guisa da non consentire l'adozione da parte di un singolo, nei casi eccezionali in cui è oggi prevista dalla legge n. 184 del 1983…” 21.

Il regime delle adozioni in casi particolari, infatti, garantisce di poter ovviare all’inevitabile rigidità di un’unica modalità di adozione al fine di tutelate comunque l’interesse del minore in situazioni che, pur non potendo condurre all’adozione legittimante per carenza dei presupposti minimi richiesti, esigono ugualmente l’instaurazione di vincoli giuridici tra il fanciullo e chi si occupa stabilmente di lui 22. Si è così previsto, anche in ottemperanza alla Convenzione di Strasburgo del 1967, un’autonoma forma di adozione, consentita anche a una persona singola, che tendenzialmente non elimina i rapporti con la famiglia originaria e che si radica 6

sul consenso tra le parti, creando uno status personale tra adottante e adottato diverso da quello esistente tra genitore e figlio legittimo 23.

23 Cfr. G. COLLURA, op. cit.

24 Così statuisce l’art. 25, comma 4, l. 184/1983.

25 Così dispone invece l’art. 25, comma 5, l. 184/1983

26 In generale sulle ragioni giustificatrici dell’adozione in casi particolari si legga I. BAVIERA, L’adozione speciale, Milano, 1968. Più in particolare si guardi anche P. MOROZZO DELLA ROCCA, L’adozione dei minori: presupposti ed effetti, in G. FERRANDO (a cura di), Trattato di diritto civile, Bologna, 2007, p. 587 ss.

27 Art, 44, comma 1, lett. a), l. 184/1983.

28 In tema di adozioni in casi particolari, per un esame delle singole fattispecie contemplate dalla legge si segnala altresì C. GARILLI, Adozione in casi particolari e interesse del minore straniero al formale inserimento nella famiglia, in Quaderni di diritto civile, 2004, p. 261 ss

29 Art, 44, comma 1, lett. d), l. 184/1983. Si tratta di ipotesi in cui il minore sia diversamente abile o di minore in età particolarmente avanzata, oppure di casi in cui il minore abbia ormai maturato un senso di appartenenza verso la famiglia presso la quale si trova. In questo senso si legga L. AVIGLIANO - P. FALCIOLONI, L’adozione, Milano, 2010, p. 121 ss.

30 Cfr. A. C. MORO, op. cit.

31 Il dato di riferimento è disponibile sul sito internet della Commissione per le adozioni internazionali, disponibile su www.commissioneadozioni.it

La casistica disciplinata dalla legge 184/1983 (e successive modificazioni) riguarda anzitutto l’ipotesi in cui uno dei coniugi muoia o diventi incapace durante l'affidamento preadottivo. In questa eventualità l'adozione potrà essere ugualmente disposta nell'interesse del minore su istanza dell'altro coniuge nei confronti di entrambi, con effetto, per il coniuge deceduto, dalla data della morte 24. Analogamente nel caso in cui intervenga separazione tra i coniugi affidatari, l'adozione potrà essere disposta nell'esclusivo interesse del minore nei confronti di uno solo o di entrambi i coniugi 25. In queste ipotesi l’interesse del minore coincide con la necessità di mantenere un legame costante con quei soggetti che abbiano cominciato ad occuparsi di lui costantemente, assicurandogli un ambiente familiare solido 26.

Ancora, il minore orfano può essere adottato da soggetti singoli appartenenti alla sua cerchia familiare fino al sesto grado, oppure da persone unite al minore stesso da un preesistente rapporto affettivo di carattere stabile e duraturo 27. In questa eventualità emerge invece l’intento di mantenere un legame continuo tra il minore e la sua famiglia di origine, senza recidere ex abrupto quei rapporti che hanno contribuito in maniera decisiva a costituire l’identità del minore 28.

Infine, si potrà procedere ad adozione anche da parte di persone singole, qualora sia impossibile procedere ad affidamento preadottivo, ossia in casi sostanzialmente coincidenti, da un lato, con l’esistenza di situazioni anomale del minore, che rendano impossibile trovare una coppia coniugata disposta ad adottare, dall’altro, con l’esistenza di condizioni fattuali che non appare opportuno travolgere, interrompendo legami già consolidati 29.

In tutti questi casi sembra quindi assolutamente ragionevole non procedere ad un’adozione con effetti legittimanti che, in quanto tale, interromperebbe i rapporti con la famiglia di origine del minore, arrecando un grave pregiudizio al suo sviluppo psicofisico. In queste ipotesi peculiari il supremo interesse del minore trova infatti una più adeguata soddisfazione, privilegiando l’adozione da parte di persone singole. L’alterazione dello schema che riserva l’adozione con effetti legittimanti alle sole coppie di coniugi risulta dunque giustificata da situazioni del tutto eccezionali, soltanto entro limiti categoricamente elencati dalla legge 30.

Peraltro, attualmente, non esistono neppure ragioni di ordine pratico che possano indurre il legislatore ad estendere l’istituto dell’adozione legittimante anche ai single, mettendo in discussione il criterio della preferenza per le coppie unite in matrimonio. In un sistema in cui il rapporto tra minori adottabili e domande di adozione si stima in un rapporto di 1 a 25, sembrerebbe comunque incongruo sacrificare le richieste di adozione da parte di coppie sposate per privilegiare le richieste dei singoli, rimodulando così le scelte del legislatore nazionale 31.

5. La reale portata dell’obiter dictum

Alla luce di quanto esposto, dunque, l’inciso in questione deve essere ricondotto nell’alveo della sua reale portata precettiva. La Suprema Corte prospetta in questa sede solo la possibilità di provvedere ad un ampliamento dell’istituto dell’adozione, qualora in concreto questa si riveli la soluzione più conveniente per soddisfare il superiore interesse del minore. Inteso in questa accezione, l’obiter dictum non fa altro che 7

corroborare l’impostazione di fondo prescelta dalla Corte di Cassazione che assegna al legislatore e non al giudice il compito di estendere l’istituto dell’adozione anche a persone singole, bilanciando i singoli interessi.

La sentenza in esame esplica pertanto un limitato valore ottativo, incapace di incidere sostanzialmente sull’esercizio della potestà legislativa in una materia altamente sensibile. Non si tratta allora di un vero e proprio monito, dal momento che la Corte non indica quali siano le particolari circostanze rispetto a cui dovrebbe dispiegarsi l’intervento del legislatore volto ad ampliare l’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona, anche con gli effetti dell’adozione legittimante. D’altro canto, non potrebbe essere altrimenti dato che, oltretutto, nel caso di specie, l’interesse del minore ad una famiglia sostitutiva risulta già ampiamente soddisfatto dalla disciplina vigente, seppure con gli effetti dell’adozione in casi particolari che comunque non lascia affatto la situazione sprovvista di tutela.

Sembrerebbe più corretto inquadrare questo tipo di statuizioni nell’ambito di un più ampio rapporto dialogico tra giudice e legislatore, tanto più proficuo quanto più consapevole dei limiti e delle caratteristiche dei rispettivi ruoli, che non si traduce in un’indebita invasione di competenze, ma si sostanzia piuttosto in una collaborazione continua, svolta in parallelo, per la risoluzione delle varie controversie. Vista in questo senso, la sentenza in questione potrebbe produrre effetti esortativi, indirizzando la futura attività del Parlamento, nella misura in cui ponga all’attenzione del legislatore problemi applicativi derivanti da situazioni analoghe a quella dedotta in giudizio, prospettando criticità che la generalità e l’astrattezza della norma di legge sono inevitabilmente destinate a tralasciare.

Ciò nonostante nel nostro caso, questa particolare statuizione assume più correttamente il carattere di argomento ad adiuvandum, teso semplicemente rafforzare l’argomentazione prescelta dal Collegio, il quale del tutto verosimilmente non intendeva affatto fornire indicazioni al legislatore o caldeggiare aperture. Basti a testimoniarlo la formulazione assolutamente generica, che sembra postulare soltanto un’astratta eventualità, senza fornire particolari indicazioni che possano indirizzare un futuro intervento del Parlamento.

Come si è cercato di dimostrare infatti il complesso normativo evocato dalla ricorrente deve ritenersi totalmente conforme a Costituzione, in quanto frutto di un ragionevole e ponderato bilanciamento di interessi, che privilegia attraverso tutti i suoi istituti il soddisfacimento dei diritti del minore, approntando mezzi congrui al raggiungimento dello scopo.

Sembra dunque più che ragionevole che, allo stato e senza una necessaria e ponderata interposizione legislativa, l’adozione da parte dei single sia ammessa soltanto nei casi particolari di cui all’art. 44 l. 184/1983, o nelle speciali circostanze di cui all’art. 25, quarto e quinto comma, della medesima legge, con effetti limitati rispetto all’adozione legittimante; al di fuori di queste ipotesi opera infatti il principio fondamentale secondo cui l’adozione di minore è permessa solo alla coppia di coniugi unita in matrimonio da almeno tre anni. Lo stesso principio opera in sede di adozione internazionale, la quale deve considerarsi ammissibile, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, negli stessi casi in cui è consentita l’adozione nazionale, sia essa legittimante oppure in casi particolari. Pertanto, qualora il single possa procedere all’adozione internazionale nei casi particolari di cui al citato art. 44, questo non può in alcun modo fondare una generalizzata ammissibilità di tale adozione da parte della persona singola 32.

32 C. Cass. sent. 18 marzo 2006, n. 6078, punto 4.3. della motivazione.


 

 

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