Il rendiconto condominiale “in
rosso” non implica automaticamente che le somme sborsate
per far fronte ai debiti della compagine siano delle
anticipazioni dell’amministratore di condominio. Spetta
comunque al mandatario dimostrare che alle singole voci
di spesa approvate corrispondano dei suoi esborsi e
quindi un credito verso il condominio. Ciò può essere
fatto magari proprio inserendo nel rendiconto una
specifica voce a ciò destinata. Questo sostanzialmente
il cuore della pronuncia della Cassazione n. 10153,
depositata in cancelleria il 9 maggio 2011.
Il rendiconto è il documento
contabile con cui l’amministratore, al termine dell’anno
di gestione, espone all’assemblea la situazione
finanziaria del condominio, le spese sostenute e la loro
ripartizione tra i vari comproprietari. La sua
approvazione attesta la regolarità gestionale, ratifica
eventuali spese extra sostenute auto nomante
dall’amministratore (purché sempre inerenti le cose
comuni) e gli concede l’azione giudiziale ex art. 63
disp. att. c.c. (il c.d. decreto ingiuntivo
immediatamente esecutivo). Il codice non specifica i
criteri di redazione del rendiconto condominiale.
Secondo il pressoché unanime orientamento
giurisprudenziale, cui non fa eccezione la sentenza di
Cassazione succitata, non è necessario che “ la
contabilità sia stata redatta dall'amministratore con
rigorose forme, analoghe a quelle previste per i bilanci
delle società, purché essa sia idonea a rendere
intelligibile ai condomini le voci di entrata e di spesa
” (così Cass. 9 maggio 2011 n. 10153). Forma libera ma
obiettivo ben determinato: ai condomini dev’essere data
l’opportunità di comprendere incassi, spese e loro
suddivisione.
Nel caso di specie un
amministratore faceva causa ad un condominio da lui
amministrato chiedendo ed ottenendo un decreto
ingiuntivo sulla base dei rendiconti approvati
dall’assemblea. Ciò al fine di recuperare dei crediti
per anticipazioni vantati nei confronti della compagine.
Il condominio faceva opposizione sostenendo,
sostanzialmente, che non v’era prova che alle poste
passive indicate nel rendiconto corrispondessero crediti
del mandatario. Vittoriosa in primo grado la compagine
vedeva ribaltata la situazione nel giudizio d’appello.
Da qui il ricorso per Cassazione. Secondo gli ermellini
il giudice di primo grado aveva ragione, in sostanza la
Corte d’appello aveva sbagliato e quindi la sua sentenza
doveva essere annullata. Nel fare ciò i giudici supremi
hanno anche specificato il principio di diritto cui il
giudice del rinvio dovrà attenersi. Si legge in sentenza
che " in materia di deliberazioni di assemblea
condominiale, l'approvazione del rendiconto ha valore di
riconoscimento di debito in relazione alle sole poste
passive specificamente indicate. Pertanto,
l'approvazione di un rendiconto di cassa che presenti un
disavanzo tra uscite ed entrate, non implica che, per
via deduttiva, possa ritenersi riconosciuto il fatto che
la differenza sia stata versata dall'amministratore
utilizzando denaro proprio, ovvero che questi sia
comunque creditore del condominio per l'importo
corrispondente, atteso che la ricognizione di debito,
sebbene possa essere manifestata anche in forma non
espressa, richiede pur sempre un atto di volizione su di
un oggetto specificamente sottoposto all'esame
dell'organo collettivo, chiamato a pronunciarsi su di
esso " (così Cass. 9 maggio 2011 n. 10153).
L’amministratore, dunque, farà meglio ad indicare la
specifica somma che ha anticipato e ad inserirla nel
rendiconto ai fini della sua approvazione e di
conseguenza del riconoscimento del debito.
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