Il “decreto sviluppo” ha esteso
la “misurazione degli oneri amministrativi” agli enti
territoriali. È sicuramente una buona notizia, anche se
il successo della disciplina dipenderà in gran parte
dall’attuazione e dalle scelte organizzative.
Con l’approvazione del cd. “decreto
sviluppo” (decreto-legge n. 70 del 2011) il governo ha
introdotto, tra l’altro, una serie di misure di
semplificazione. Tra queste, l’estensione agli enti
territoriali della misurazione degli oneri
amministrativi (MOA) e del meccanismo noto come
“taglia-oneri”, dove per oneri amministrativi si
intendono quei costi che le imprese sostengono per
fornire informazioni alla pubblica amministrazione
(documentazione relativa ad autorizzazioni, permessi,
ecc.).
Già in passato ci sono stati vari
tentativi di introdurre questa disposizione1, che ora,
però, diventa immediatamente operativa. In concreto, si
è allargato l’ambito di applicazione di strumenti già
utilizzati a livello centrale, dove la MOA è stata
avviata sin dal 20072 e, a differenza del destino
generalmente riservato alle politiche di better
regulation, è ormai un’attività consolidata. In estrema
sintesi, la metodologia seguita (identica, almeno nei
suoi elementi fondamentali, a quella adottata da quasi
tutti i paesi europei e dalla stessa Commissione
europea) consiste nella stima dei costi che le imprese
sostengono per ogni adempimento amministrativo,
attraverso il ricorso ad indagini presso le imprese
(curate dall’Istat) ed alla consultazione di
professionisti ed esperti di settore. I costi
considerati sono sia quelli del personale impiegato
dall’impresa nelle attività amministrative, sia quelli
sostenuti per rivolgersi a tecnici e consulenti.
Ma l’estensione del taglia-oneri ad
altri regolatori è necessaria e, soprattutto, può
davvero essere utile?
Ci sono due modi, non alternativi,
per provare a rispondere: verificare se la misurazione
sinora ha prodotto effetti positivi e qual è stata la
reazione delle associazioni imprenditoriali rispetto
alla MOA, assumendo che anche questo sia un indice della
sua efficacia.
Sotto il primo profilo, in circa
quattro anni sono stati misurati3 gli oneri in materia
di privacy, lavoro e previdenza, prevenzione incendi,
paesaggio e beni culturali, sicurezza sul lavoro,
ambiente e fisco. Il costo totale annuo per le PMI
stimato sinora è di 23 miliardi. Tenuto conto delle
norme misurate, si tratta di una cifra di gran lunga
maggiore rispetto a quelle rilevate in altri paesi
europei.
In media, dunque, sono state
realizzate circa due misurazioni all’anno, con tempi
significativamente maggiori rispetto a quelli
registrati in altri paesi; l’intervallo tra misurazione
e riduzione è certamente elevato. Queste criticità sono
probabilmente dovute non solo alle scarse risorse
destinate in Italia alla MOA ed all’attenzione posta nel
corso della misurazione, ma anche alle difficoltà
derivanti dalla negoziazione, spesso lunga, necessaria
per definire gli interventi di semplificazione (a fine
2010 erano state semplificate norme in tema di lavoro e
previdenza, paesaggio e beni culturali, prevenzione
incendi, da cui dovrebbe discendere, a regime, un
risparmio annuo stimato in 5,5 miliardi di euro).
L’impegno assunto dal Dipartimento della funzione
pubblica4 è di accelerare ulteriormente le attività in
corso, misurando altre 8 aree di regolazione entro
l’anno prossimo.
Tuttavia, al di là dei numeri, la
cosa più interessante è la nuova prospettiva con cui,
grazie alla MOA, si stanno definendo gli interventi di
semplificazione. Avere a disposizione stime, per quanto
approssimative, dei costi di ogni singola attività che
un’impresa deve svolgere per rispettare gli adempimenti
in vigore aiuta a focalizzare l’attenzione sui grossi
“colli di bottiglia” della regolazione e ad evitare
battaglie di principio non ancorate all’evidenza
empirica. Le tanto attese semplificazioni in materia di
privacy e appalti inserite nel “decreto sviluppo” (che
valgono oltre 900 milioni di euro all’anno) e, ancora di
più, i regolamenti di semplificazione in materia di
ambiente e prevenzione incendi (che dovrebbero produrre
un ulteriore risparmio stimato in circa 1,5 miliardi di
euro)5 sono proprio il risultato di questo nuovo
approccio. In particolare, l’adozione di un criterio di
proporzionalità, in base al quale gli adempimenti devono
essere graduati a seconda della dimensione dell’impresa,
dell’attività svolta o del rischio atteso, è
assolutamente innovativa per la regolazione italiana ed
è il frutto dell’esperienza maturata con la MOA. La
misurazione, infatti, ha dimostrato chiaramente che
molti costi burocratici sono gli stessi per un’impresa
molto piccola (o poco rischiosa) ed una di dimensioni
maggiori (o che svolge attività potenzialmente più
rischiose per la salute o l’ambiente).
Quanto al secondo profilo, la
collaborazione delle associazioni imprenditoriali nel
corso della MOA è stata finora costante ed il livello di
condivisione mostrato molto elevato, come più volte
ribadito dai loro rappresentanti6. Al tempo stesso, le
associazioni hanno ripetutamente lamentato due
criticità: la lentezza del processo e la parzialità
della misurazione nazionale, considerato che molti oneri
derivano dalla disciplina regionale e dalle disposizioni
degli enti locali.
Non possiamo, dunque, che
aspettarci effetti positivi dall’estensione del
taglia-oneri?
Molto dipenderà dalle scelte
organizzative, dai tempi e dalla percezione dei
risultati man mano ottenuti.
Il decreto sviluppo prevede che
presso la Conferenza unificata sia istituito un
Comitato paritetico di dodici membri che dovrà
coordinare le metodologie utilizzate. È evidente che
questo organo dovrà definire la strategia da seguire, ma
le attività operative non potranno che essere affidate a
tecnici provenienti dai diversi livelli di governo. Il
coordinamento non solo di tali attività, ma anche degli
obiettivi dei vari attori sarà certamente un aspetto
critico per il successo dell’iniziativa. È per questo
che occorrerà partire con il piede giusto, misurando
adempimenti di comune interesse (dunque, riconducibili a
materie di competenza concorrente), imponendo tempi
certi e garantendo massima trasparenza.
Non è detto che tutte le
amministrazioni debbano necessariamente avere sin
dall’inizio lo stesso passo. Risultati riferiti anche
solo ad alcune regioni o enti locali, ma raggiunti in
tempi ragionevoli e concretamente traducibili in
interventi di semplificazione, avrebbero comunque una
valenza positiva e potrebbero incentivare altre
amministrazioni a partecipare all’iniziativa.
1. Il disegno di legge collegato
alla finanziaria 2010 prevedeva una disposizione simile
a quella ora introdotta nel decreto sviluppo. Anche il
“Piano per la semplificazione amministrativa per le
imprese e le famiglie 2010-2012”dello scorso ottobre
prevede l’estensione del meccanismo del taglia-oneri
alle regioni e agli enti locali. Si consideri, infine,
che addirittura l’“Accordo tra Governo, Regioni e
Autonomie locali in materia di semplificazione e
miglioramento della qualità della regolamentazione”,
approvato dalla Conferenza unificata a marzo 2007,
prevedeva la condivisione da parte di regioni ed enti
locali dell’obiettivo di riduzione del 25% degli oneri
sulle imprese.
2. L’entrata a regime della MOA è
avvenuta con il D.l. 25/6/2008, n. 112 (convertito con
la L. 6/8/2008, n. 133) che all’art. 25 ha appunto
introdotto in taglia-oneri amministrativi.
3. Cfr. Dipartimento della funzione
pubblica - Ufficio per la semplificazione, La
semplificazione amministrativa per le imprese, Dossier
del 21/4/2011 disponibile sul sito
www.innovazionepa.gov.it .
4. Dipartimento della funzione
pubblica (2011), cit., pag. 25.
5. Dipartimento della funzione
pubblica (2011), cit. I due regolamenti sono stati
adottati lo scorso 3 marzo.
6. Cfr., da ultimo, le
dichiarazioni rese a ForumPA dalle associazioni
imprenditoriali che hanno partecipato alla Giornata
della semplificazione.
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