Abstract:
L’Autrice ripercorre gli inizi
della mediazione familiare in Spagna e mette in evidenza
le principali differenze tra l’esperienza spagnola e
quella italiana.
1. Premessa
In materia di mediazione familiare
esemplare nel quadro europeo è stata la situazione della
Spagna, dove il legislatore (principalmente quello
catalano) ha avuto la pretesa di regolarla
dettagliatamente e al tempo stesso si assiste ad una
pluralità di legislazioni similari tra le varie province
spagnole tanto che è possibile e necessario riferirsi ad
un «derecho comparado español». Entrambi gli aspetti
hanno ragioni storiche: l'attenzione del legislatore
alla materia familiare è dovuta tanto alla forte cultura
cattolica quanto al fatto che questa materia in passato
ha avuto alterne vicende nelle contese tra Stato e
Chiesa; per quanto attiene al particolarismo giuridico,
questo è una peculiarità che ha segnato la storia della
Spagna nel corso dei secoli per cui accanto alla
Costituzione e al Codice civile nazionali vi sono le
legislazioni provinciali (comunemente dette regionali
per cui si parla anche di regionalismo giuridico
spagnolo).
La possibilità di risolvere
consensualmente le dispute di coppia è introdotta per la
prima volta in Spagna dai Tribunali Ecclesiastici, in
modo particolare quello di Barcellona che in materia di
separazione matrimoniale aveva instaurato la possibilità
pratica della separazione per mutuo consenso.
In seguito la “Ley de Divorcio”
30/1981 del 7 luglio introduce la separazione e il
divorzio consensuali. La suddetta legge, che presenta
vari difetti criticati dai giuristi, ha avuto però il
merito di introdurre alcuni principi che hanno
anticipato la mediazione familiare, tra cui quello
previsto nella “Disposición Adicional 5a K” secondo cui,
in qualunque momento del procedimento contenzioso, le
parti possono chiedere che continui in maniera
consensuale e quello contenuto nella “Disp. Adic. 6 a,
6” secondo cui il giudice di famiglia potrà negare
l'omologazione dell'accordo che gli si sottomette o
alcune delle sue clausole se vi è pregiudizio per i
figli.
Perché si parli espressamente di
mediazione familiare bisogna attendere, però, il 1990
quando il “Ministiero de Asuntos Sociales” approva il
Programma di Mediazione per la separazione e il
divorzio. Nel 1992 è istituito il Servizio di Mediazione
familiare di Barcellona (SMFB) alle dipendenze
dell'“Institut de Treball Social i Serveis Socials”
(INTRESS). Queste prime esperienze sono state avviate
soprattutto grazie al contributo degli Istituti di
Psicologia giuridica di Madrid e di Barcellona che hanno
illustrato a professionisti e studenti l'interrelazione
tra diritto e psicologia, entrambi aventi per oggetto la
condotta umana e della Scuola di Terapia familiare del
Servizio di Psichiatria dell'“Hospital de la Santa Creu
i Sant Pau” di Barcellona (quindi anche in Spagna, come
in Italia, la mediazione familiare ha avuto una matrice
psicologica). Dopo queste esperienze pionieristiche
altri servizi simili nascono in altre province quali
País Vasco, León ecc..
2. In Catalogna
Antesignana nella disciplina della
mediazione familiare è la Catalogna che si è sempre
distinta nel campo giuridico in virtù del suo
separatismo (cosiddetto catalanismo) e della sua
vicinanza al confine francese.
Il primo riferimento legislativo
alla mediazione familiare compare nel “Proyecto de
Código de Familia” del 1997 (il cui testo definitivo è
promulgato nel 1998) nel quale s'introduce all'ultimo
momento l'art. 79.2, in cui si legge la locuzione
“persona o entitad mediadora”, anche se è improprio
parlare di “ente mediatore”. All'art. 79.2 si aggiunge
la “Disposición final tercera (DF 3ª)” che prevede
l'elaborazione di un “Proyecto de Ley de mediación
familiar” che il Governo dovrà presentare al Parlamento
nel termine di sei mesi dall'entrata in vigore del
Codice attenendosi a quattro principi:
a) Confidenzialità assoluta del
contenuto delle sedute della mediazione.
b) Libertà delle parti di
allontanarsi o desistere dalla mediazione in qualunque
momento.
c) Approvazione giudiziale degli
accordi raggiunti nella mediazione.
d) Durata massima del processo di
mediazione limitata a tre mesi, prorogabili per il
medesimo tempo su richiesta del mediatore o mediatrice.
Nel 1999 è presentato il primo
“Proyecto de Ley de mediación familiar” (che viene poi
detto “anteproyecto”) ma l'iter legislativo viene
interrotto per lo scioglimento del Parlamento, per cui
nel 2000 viene presentato un secondo “Proyecto”.
Le incongruenze dei due “Proyectos”
sono molteplici e suscitano polemiche e discussioni.
Grazie anche ai risultati delle “Jornadas
Internacionales de Mediación Familiar” organizzate
dall'UNAF (“Unión de Asociaciones Familiares”) dal 23 al
25 novembre 2000 a Madrid molte incongruenze vengono
superate e viene promulgata la Legge di mediazione
familiare di Catalogna (LMFC) 1/2001 del 15 marzo che,
però, entra in vigore dopo una vacatio legis di nove
mesi il 26 dicembre 2001.
Il legislatore catalano ha seguito,
anche se spesso contraddittoriamente, i quattro principi
indicati nella DF3ª dell'art. 79.2 del C.F. ed i
principi della R(98)1.
L'art. 5 LMFC determina l'ambito
della mediazione familiare che è molto ampio rispetto ai
due “Proyectos”, infatti, le persone legittimate a
sollecitare la mediazione sono:
a) le persone unite dal vincolo
matrimoniale;
b) le persone che formano un'unione
stabile di coppia, regolata dalla Legge 10/1998 del 15
luglio "Legge sulle unioni stabili di coppia" (quindi
anche le coppie omosessuali, che in Spagna possono, a
certe condizioni, adottare bambini);
c) le persone che formano una
coppia non soggetta alla suddetta legge, la cosiddetta
coppia di fatto;
d) membri di una famiglia in
materia di alimenti;
e) persone estranee che esercitano
funzioni tutelari per questioni attinenti a queste.
L'ambito soggettivo è molto ampio
ma emergono delle incongruenze quando la legge va a
tracciare l'ambito materiale. A proposito delle coppie
unite in matrimonio emerge una contraddizione tra il
preambolo che recita «[...] se inizialmente la
mediazione familiare si dirigeva principalmente alla
riconciliazione della coppia, attualmente si orienta di
più verso la conclusione di accordi necessari per la
regolazione della rottura» e l'art. 5.1 “Primero” a) in
cui si parla di «raggiungere accordi necessari per
evitare la rottura» riemergendo così la tendenza
espressa nei due “Proyectos”. Il legislatore catalano ha
perso qui di vista tanto le indicazioni della R(98) 1
quanto l'indicazione dell'art. 79.2 C.F. in cui si
dispone che la finalità della mediazione deve essere
risolvere le divergenze (e non la rottura) e presentare
“una propuesta de convenio regulador”.
La più grossa incongruenza per
quanto concerne l'ambito materiale della mediazione si
verifica rispetto alle crisi delle coppie di fatto che
non costituiscono una coppia stabile, poiché la legge
circoscrive la mediazione familiare alle questioni
relative all'esercizio della patria potestà rispetto ai
figli comuni (art. 5.1 “Tercero” LMFC) e la limita alla
sola forma privata, cioè non finanziata né controllata
dalla “Generalidad” (Stato). È davvero inspiegabile che
questi soggetti, già privi di tutela, che possono
rivolgersi solo alla mediazione privata si vedano poi
limitata anche la loro possibilità di articolare la
mediazione su materie diverse da quelle indicate dalla
legge.
L'ambito oggettivo della mediazione
familiare ristretto per le ultime tre categorie di
soggetti è invece ampio per le prime due (coppie unite
in matrimonio e coppie conviventi), le quali possono
ricorrere tanto alla mediazione parziale, prevista
specificamente nella legge e che si occupa
dell'affidamento dei figli e del regime del diritto di
visita del genitore non affidatario, quanto alla
mediazione globale.
Nel Capitolo II della LMFC,
rubricato "Caratteristiche della mediazione familiare"
sono regolati i principi della mediazione, volontarietà,
imparzialità, neutralità, confidenzialità e
professionalità, e i conseguenti doveri del mediatore.
Il primo principio espresso è la volontarietà che vale
per le parti confliggenti, per l'operatore e per il
giudice. A proposito di quest'ultimo, la disposizione
dell'art. 11 LMFC è in linea con la “Disposición
Adicional” 5ª della “Ley de Devorcio” del 1981 (legge
statale) che stabilisce, a differenza della relativa
legge italiana, che «non sarà necessario tentare
previamente la conciliazione» e con l'art. 79.2 C.F. in
cui si dispone che « [...] se, date le circostanze del
caso, l'autorità giudiziale [...] può rimettere le parti
a una persona o ente mediatore [...]».
È disciplinata, poi, l'imparzialità
che è, però, contraddetta in un articolo del Capitolo I
della LMFC e precisamente nell'art. 6.3 che detta:
«Quando non esistono figli comuni o questi siano
maggiori d'età o emancipati, deve darsi la priorità
all'interesse del coniuge più necessitato, facendo
attenzione ai criteri d'età, situazione lavorativa,
salute fisica e psichica e durata della convivenza, in
conformità, in ogni caso, con quanto stabilito nel
Codice di Famiglia e la Legge 10/1998 del 15 luglio
sulle unioni stabili di coppia». Questo precetto risulta
appropriato per la risoluzione giudiziale di un
conflitto nel quale il giudice deve decidere tenendo
conto delle circostanze del caso. Al contrario non
risulta corretto nell'ambito della mediazione nella
quale le parti devono decidere da sé. Inoltre se vi è un
coniuge o partner più debole il mediatore deve cercare
di porsi da contrappeso sempre e non solo quando non vi
sono figli da tutelare. La suddetta disposizione
confonde il mediatore con l'avvocato, rappresentante e
difensore degli interessi di una parte, invece nella
mediazione l'unico interesse superiore e preminente è
quello dei minori allorquando questi siano presenti in
un nucleo familiare. E comunque se vi è un grave
squilibrio tra le parti è minato tutto il procedimento
della mediazione sin dall'inizio. Infine sono inadeguati
i criteri indicati perché le differenze tra le persone
possono dipendere da molte altre circostanze.
All'imparzialità segue la
neutralità: la prima si riferisce all'atteggiamento del
mediatore nei confronti dei soggetti, la seconda invece
inerisce all'atteggiamento del mediatore nei riguardi
dell'oggetto. La legge catalana anche qui cade in
contraddizione e fonde e confonde entrambi i concetti.
La neutralità nella Raccomandazione R(98)1 è precisata
“quant à l’issue du processus de médiation”, “quanto
all’esito del procedimento di mediazione”; la neutralità
è da intendere, pertanto, come equivicinanza alle parti
nel senso che il mediatore più che aiutare a costruire
un ponte deve contribuire a stabilire un confine nella
sregolata conflittualità e così non è stata intesa dal
legislatore catalano.
Seguendo la R(98)1 in seguito è
disciplinata la confidenzialità, le cui deroghe rispetto
ai due “Proyectos” sono state ampliate. Infatti,
nell'art. 19 d) si dispone che il mediatore ha l'obbligo
di porre termine alla mediazione e di informare le
autorità competenti non solo sui dati che possono
rivelare l'esistenza di una minaccia per la vita o per
l'integrità fisica o psichica di una persona ma anche su
quelli relativi alla possibile esistenza di reati
perseguibili d'ufficio.
Infine è disciplinata la
professionalità. La legge catalana richiede che il
mediatore sia una persona che esercita l'attività di
avvocato, "lavoratore sociale", educatore sociale o
pedagogista e che sia iscritta nel collegio
professionale corrispondente.
A differenza, quindi, di quanto
previsto nei due “Proyectos” si richiedono tre
requisiti: un determinato titolo professionale,
esercizio di fatto della professione e iscrizione nel
relativo collegio professionale. Tutti e tre i requisiti
sono opinabili, ma il punto più controverso è quello
relativo all'esercizio perché in tal modo s'impedisce di
diventare mediatori a coloro che non esercitano di fatto
o che hanno smesso di esercitare.
Per la questione pertinente al
vincolo dell'esercizio della mediazione ai collegi
professionali, in Catalogna si è passati da una
“desvinculación” eccessiva nell'anteproyecto a una
"certa ipertrofia collegiale" nella legge finalmente
approvata.
I collegi professionali, oltre a
gestire gli albi dei mediatori, hanno la potestà
disciplinare e la funzione di programmare e svolgere la
formazione specifica per la mediazione. Per altre
funzioni essi si riferiscono al “Centro de Mediación
Familiar de la Generalidad” presso il quale si trova il
“Registro general de personas mediadoras”. A sua volta
il “Centro” è collegato al “Departamento de Justicia de
la Generalidad” ; si tratta dunque di un'organizzazione
capillare e verticale.
L'ultima incongruenza è ravvisabile
nel Capitolo V che si riferisce al “régimen sancionador”
che si applica senza eccezione anche alle ipotesi di
mediazione familiare non coperte dalla legge (per es.
mediazione familiare privata per iniziativa delle
parti). Se si analizzano le sanzioni previste nel
Capitolo V della LMFC, che si applicano, come già detto,
a tutte le forme di mediazione, si osserva che sono
comminate per le violazioni dei doveri che gravano in
capo al mediatore previsti nel Capitolo II, doveri
richiesti solo al mediatore che esercita la mediazione
disciplinata nella legge. Questo grave difetto
strutturale della LMFC, assente nell'“anteproyecto”, è
comparso nel secondo “Proyecto” per la necessità di
negoziare il testo con i collegi professionali.
In definitiva per quanto il testo
legislativo catalano sia commendevole, è criticabile per
le numerose discrasie che sono più che un tenue riflesso
delle battaglie dei collegi professionali per
assicurarsi il futuro mercato della mediazione (basti
pensare anche alla lunga vacatio legis). Il legislatore
catalano sembra essersi preoccupato più degli aspetti
tecnici della mediazione che non del soggetto - oggetto
della mediazione stessa, la famiglia. Non è riuscito a
non farsi influenzare dalle lobbies ed ha trascurato le
indicazioni degli studiosi. Per questi la mediazione
deve essere “globalizadora”, in altre parole anche
quando essa è parziale l'operatore deve essere accorto a
slatentizzare altri problemi sottesi a quelli messi in
discussione dalle parti tenendo presenti l'unitarietà e
la multiproblematicità di ogni individuo e di ogni
famiglia. Ciò sta a significare che il mediatore è un
generalista e non uno specialista. È conveniente, per
l'esito della mediazione, che questa si realizzi
congiuntamente e in collaborazione con uno psicologo e
un avvocato (senza creare così contrasti con i collegi
professionali); e, se possibile, i mediatori dovrebbero
essere di entrambi i sessi. Infine oltre alle qualità
professionali del mediatore rilevano, forse più, le
caratteristiche personali, quali maturità di giudizio,
una certa esperienza di vita, prudenza, discrezione, età
matura.
3. Nel resto della Spagna
Quasi coeva alla LMFC è la “Ley
gallega” 4/2001 del 31 maggio (sulla base di un Progetto
preliminare presentato nel 1999), che è la seconda legge
sulla mediazione familiare approvata in Spagna.
La “Ley gallega”, a differenza
della LMFC, si riferisce soltanto alla mediazione
promossa dalle persone unite dal vincolo matrimoniale e
da quelle persone che abbiano formato un'unione stabile
di coppia e che si trovino in una situazione di crisi
della convivenza (art. 4.2 LMFG).
La LMFG enuclea ma sviluppa poco i
principi informatori della mediazione familiare (si veda
per es. l'art. 8.2).
L'aspetto che la differenzia di più
dalla LMFC è che a proposito della professionalità ha
adottato una posizione molto più aperta. Infatti il suo
art. 5 non enumera i titoli professionali che daranno
accesso alla professione di mediatore e si limita a
prescrivere che « dette persone dovranno riunire i
requisiti di esperienza professionale e formazione
specifica che si stabiliranno con regolamento, però in
ogni caso saranno esperti in situazioni psico - socio -
familiari ». Sono delegate al regolamento anche
l'istituzione di un'unità organica che debba occuparsi
dello svolgimento, controllo e valutazione della
mediazione familiare e la disciplina di ogni eventuale
relazione di questo nuovo organismo con i collegi
professionali. Infine si stabilisce che la mediazione
può essere sia giudiziale che extragiudiziale e in ogni
caso dovrà attenersi alle disposizioni contenute nella
legge. La LMFG, quindi, sia per la minore pressione dei
collegi professionali sia per un diverso atteggiamento
del legislatore si è liberata di molti difetti presenti
invece nella LMFC.
Invece il legislatore di Navarra e
quello di Valencia hanno emulato per più versi quello
catalano.
4. Confronto con l’Italia
Mentre la Spagna ha prontamente
provveduto alla regolamentazione e alla
procedimentalizzazione della mediazione familiare, in
Italia vi sono solo alcuni riferimenti in leggi
nazionali e più ampia disciplina in leggi regionali.
Questo per una proverbiale inerzia del legislatore
italiano, ma forse anche per un sostrato culturale ed
una precisa scelta. Nei vari riferimenti legislativi
italiani prevale l’uso delle espressioni “relazione” e
“comunicazione” che a loro volta, sia per significato
sia per implicazioni, rimandano a concetti come
responsabilità e comunità. In una sola parola si può
parlare, mutuando un concetto sociologico, di
“riflessività”: “La riflessività umana è il dialogo o
conversazione interiore di cui le persone e le famiglie
hanno sempre più necessità per apprendere e vivere le
virtù che rendono felice la vita personale e sociale”
(la sociologa Margaret S. Archer, 2003). Il compito
della mediazione è proprio interrompere la
conflittualità e accompagnare alla riflessività.
Inoltre in Italia la mediazione
familiare ha un preciso orientamento minorile, per cui
al di là delle possibili configurazioni della famiglia
si vuole recuperare l’essenza profonda della famiglia
che è uguale in ogni tempo e in ogni luogo, cioè coppia
unita stabilmente per la procreazione e l’educazione di
figli. “Nel mondo umano, “coppia” significa due persone
distinte e complementari nella nuova unità che vanno a
formare: questo è un concetto finalistico e non
puramente descrittivo, dice un dovere essere, e non
solamente la descrizione di uno stato di cose. Infatti,
differenza delle cose, i fatti umani sono dotati di
senso e significato, cioè appunto di un fine” (Ottavio
De Bertolis, studioso di antropologia giuridica). La
coppia di genitori non cessa mai di essere tale (coppia
etimologicamente dal latino “copula”, composto di “cum”,
con e “apere”, attaccare, legare; quindi “due elementi
della stessa specie considerati nel loro complesso”),
perché continua ad essere legata da una comunanza, i
figli. La coppia non deve essere solo generativa
(mettere al mondo dei figli) ma anche generante, per cui
deve proiettarsi e proiettare verso il futuro attraverso
un progetto educativo, obiettivo della mediazione
familiare.
Tutto ciò contraddistingue la
mediazione familiare italiana rispetto allo scenario
europeo. |