La sentenza di applicazione di pena
patteggiata presuppone sempre una ammissione di
colpevolezza
Alcuni militari, nell’espletamento
del servizio, venivano aggrediti e coinvolti in scontri
da facinorosi e, a seguito delle aggressioni subite,
riportavo lesioni che li costringevano a assentarsi dal
servizio. Il Ministero della difesa ha convenuto in
giudizio, davanti al Tribunale di Firenze i responsabili
delle lesioni per sentirli condannare in solido al
risarcimento del danno consistente negli emolumenti
corrisposti durante l’assenza dal servizio a sei
carabinieri, dipendenti del Ministero, che avevano
subito lesioni in conseguenza dei fatti oggetto di
procedimento penale davanti al Tribunale di Pistoia
definito a seguito di applicazione della pena su
richiesta delle parti.
I convenuti si sono costituiti in
giudizio, eccependo l’inidoneità probatoria nel giudizio
civile delle sentenze del giudice penale emesse a
seguito di applicazione della pena su richiesta delle
parti.
Con la Sentenza n. 1898/2011, il
Tribunale ha accolto il ricorso. Dopo aver ricostruito i
fatti, sulla base delle sentenze penali, il Tribunale ha
rilevato che tranne qualche isolata pronuncia, si
riscontra sul punto che la giurisprudenza di
legittimità, ormai consolidata, riconosce l’efficacia
probatoria delle sentenze penali di applicazione della
pena su richiesta delle parti nel giudizio civile.
Infatti, la sentenza penale di
applicazione della pena su richiesta delle parti
costituisce un importante elemento di prova per il
giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere
tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le
ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua
insussistente responsabilità e il giudice penale abbia
prestato fede a tale ammissione. Pertanto la sentenza di
applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi
configurare quale sentenza di condanna, presupponendo
pur sempre una ammissione di colpevolezza, esonera la
controparte dall’onere della prova. Tale riconoscimento,
pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione
assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere
utilizzato quale prova nel corrispondente giudizio di
responsabilità in sede civile. La sentenza di
pattegiamento presuppone pur sempre una ammissione di
colpevolezza, neanche tanto implicita, in quanto è lo
stesso imputato a chiedere, in accordo col p.m.
l’applicazione a suo carico di una pena, pur ridotta di
un terzo in forza di tale sua scelta ‘deflattiva’, un
elementare senso di logica giuridica, di buon senso
comune e di ragionevole valutazione della posta in gioco
impone di considerare che colui che si sa innocente non
si determina a chiedere l’applicazione a suo carico di
una pena, pur ridotta di un terzo, se non a causa di
evidenti e concrete ragioni, di modo che la mancata
esplicitazione/dimostrazione in sede civile da parte del
convenuto, assunto danneggiante, dell’esistenza di serie
e gravi ragioni che lo hanno determinato alla scelta del
patteggiamento in sede penale costituisce un grave,
corposo indizio che rafforza ulteriormente l’ammissione
di colpevolezza.
Anna Teresa Paciotti |