La scelta
di uscire irreversibilmente dal nucleare presa dal
governo tedesco è una decisione storica, coraggiosa e
destinata a influenzare le politiche energetiche degli
altri paesi europei e probabilmente di tutte le altre
nazioni industriali. È accompagnata da una serie di
provvedimenti e investimenti sulle fonti rinnovabili.
Che cosa impedisce all'Italia di seguire la stessa
strada? Perché non possiamo diventare almeno la seconda
"green economy" del mondo sviluppato?
La
decisione di uscire irreversibilmente dal nucleare
presa dal governo tedesco sotto la guida di Angela
Merkel è una decisione storica, coraggiosa e destinata a
influenzare le politiche energetiche degli altri paesi
europei e probabilmente di tutti gli altri paesi
industriali.
UNA
DECISIONE STORICA
La storia
del nucleare civile inizia in Germania Ovest nel
1955: grazie alla collaborazione con i produttori
statunitensi vengono sviluppati reattori commerciali di
tipo Pwr (Pressurized Water Reactor) da
Siemens-Westinghouse e Bwr (Boiling Water Reactor)
da parte di General Electric-Aeg. Il primo reattore, di
tipo Bwr, inizia a produrre elettricità nel 1960. Oggi
la Germania conta diciassette reattori operativi, tutti
di tipo Pwr e Bwr, cioè di seconda generazione, il più
vecchio dei quali risale al 1974 mentre sette sono stati
allacciati alla rete negli anni Settanta. Si tratta
perciò di reattori particolarmente vecchi (quello di
Fukushima risale al 1971), prossimi al termine del loro
ciclo di vita. Questi reattori sono già attualmente
scollegati dalla rete, insieme a un altro del 1981, e
non saranno più riattivati. Altri sei reattori, entrati
in attività tra il 1983 e il 1986, saranno pensionati
entro il 2022 a partire dal 2015; gli ultimi tre entro
il 2022. In quell’anno, il reattore più recente avrà
operato per trentatré anni sui quaranta teorici (tabella
1).
Si tratta di una decisione storica: la Germania sarà
infatti la prima potenza industriale a rinunciare
all’energia nucleare.
A volere essere precisi un altro paese, aveva preso una
simile decisione circa 25 anni prima, ed era l’Italia.
Con i referendum del 1987, il nostro paese
rinunciava alla produzione di energia elettrica da fonte
nucleare, che nel 1986 aveva toccato un picco pari al
4,5 per cento del totale, ma che negli anni precedenti
si era attestata generalmente intorno al 3-4 per cento.
Dunque, la quantità di elettricità di cui l’Italia si
privava era assai inferiore a quella tedesca.
L’elettricità generata dal nucleare operativo tedesco
infatti è stata pari nel 2010 al 28,4 per cento del
totale o al 10,7 per cento del proprio fabbisogno
energetico del 2009 (tabella 2). I numeri suggeriscono
che si è trattato di una decisione coraggiosa, anche se
va sottolineato che i 133 TWh elettronucleari verranno a
mancare solo fra undici anni. E soprattutto non va
dimenticato che per quella data si sarebbe dovuto
comunque rimpiazzare metà dei reattori e che ai
rimanenti sarebbero restati pochi anni di vita utile.
Anche la Svizzera ha deciso di uscire dal
nucleare entro il 2034. I cinque reattori, tre dei quali
vecchi quanto quelli di Fukushima-Daichi, attualmente in
grado di generare il 38 per cento di tutta l’elettricità
elvetica, verranno disattivati alla fine del loro ciclo
di vita e non verranno sostituiti (tabella 2). Durante
il G8 di Deauville dedicato naturalmente all’atomo, il
premier giapponese Naoto Kan ha annunciato che il
suo paese ridisegnerà completamente la sua politica
energetica anticipando al 2020, dieci anni prima del
previsto, l’obiettivo di un mix composto per il 20 per
cento da fonti rinnovabili.
UNA
DECISIONE CORAGGIOSA
La
decisione del governo tedesco è coraggiosa anche perché
la Merkel del maggio 2011 smentisce totalmente la Merkel
dell’ottobre 2010. Allora la cancelliera aveva abolito
il nuclear phase-out entro il 2021 stabilito dal
precedente governo rosso-verde di Gerhard Schroeder: al
contrario, si deliberava che le centrali attive da prima
del 1981 restassero aperte otto anni più del previsto
(dunque fino al 2030), mentre quelle entrate in funzione
più di recente chiudessero i battenti non prima di altri
quattordici anni (ossia nel 2036). L’obiettivo
dell’abbandono del nucleare si era fatto dunque sempre
più lontano. Allo stesso tempo, tuttavia, Angela Merkel
imponeva una tassa sull’energia nucleare a carico
delle società che gestivano i reattori con la finalità
di finanziare la transizione verso le energie
rinnovabili. Questo consentiva di scremare una parte
della rendita nucleare e permetteva alla cancelliera di
affermare che il provvedimento costituiva l’avvio della
transizione verso un’economia di energie pulite e a
basso tenore di carbonio.
La tragedia di Fukushima, l’affermazione dei Verdi e il
crollo della Cdu nel Baden-Wuerttemberg, perso dopo
sessanta anni, susseguente adaltre disfatte del
centrodestra in molte elezioni regionali degli ultimi
mesi, hanno probabilmente convinto Angela Merkel a una
svolta radicale. Il 14 marzo 2011 si decideva una
revisione generale del programma energetico e la
chiusura temporanea di tre mesi di tutti gli impianti
antecedenti al 1980, per verifiche sulla loro sicurezza.
Una decisione sicuramente senza precedenti e sostenere
che è stata presa sotto la spinta delle emozioni o dei
risultati elettorali appare comunque riduttivo. I dati
infatti suggeriscono che nel 2009 la percentuale di
fabbisogno energetico fornita dalle centrali
atomiche tedesche era di poco superiore a quella che la
Germania ricava da eolico, fotovoltaico, biomassa e
altre energie rinnovabili: 10,7 per cento contro 8,5 per
cento (tabella 3). Ma dieci anni prima, nel 1999, il
raffronto era 12,8 contro 2,4 per cento. Tra il 2020 e
il 2030 il governo tedesco vuole che le energie
rinnovabili passino a coprire tra il 70 e l’80 per
cento di quel fabbisogno. Difficile quindi credere che
la Merkel, dopo una capriola politica di 360 gradi,
possa avere preso una decisione simile in maniera
superficiale, senza soppesarne adeguatamente le
conseguenze. Tanto più che vi sono prezzi da pagare nel
periodo transitorio: la rinuncia al nucleare costerebbe
infatti 40 miliardi di euro, tant’è che la tassa
sull’energia atomica pagata dai produttori di energia è
stata mantenuta e aiuterà a finanziare la spesa. In
Svizzera, il conto sarebbe pari a un importo tra lo 0,4
e lo 0,7 per cento del Pil. A ciò si aggiunga un
incremento temporaneo delle emissioni di CO2
tra i 20 e 29 milioni di tonnellate annue in Germania.
UNA
DECISIONE DA CUI NON SI POTRÀ PRESCINDERE
La
strategia tedesca prevede una serie di azioni. Primo,
incrementare la produzione da rinnovabili che nel 2010
hanno raggiunto il 17 per cento del fabbisogno elettrico
così da arrivare al 35 per cento nel 2020. Secondo, le
infrastrutture elettriche: sono stati stanziati
500 milioni di euro per la ricerca e sviluppo di sistemi
per accumulare l'elettricità e redistribuirla in maniera
efficiente. In particolare, l’obiettivo è avere una rete
capace di trasferire al sud del paese l'energia eolica
prodotta in grande quantità al nord e centrali dalla
produzione modulabile, capaci di coprire i momenti in
cui la produzione di fonti come l'eolico è più bassa: il
pensiero va soprattutto agli impianti a gas. Poi
efficienza energetica negli edifici – si punterà a
ridurre i consumi del 20 per cento in dieci anni – e
sensibilizzazione dei cittadini, anche per scongiurare
reazioni Nimby contro impianti eolici ed
elettrodotti. (1) Infine, una riduzione delle
emissioni di gas-serra del 40 per cento nello stesso
periodo.
“Dobbiamo seguire una nuova strada. Vogliamo chel’elettricità
del futuro sia sicura, affidabile ed economicamente
sostenibile. Le forniture energetiche in
Germania hanno bisogno di una nuova architettura”: è
la sfida che Merkel pone a tutti i suoi concittadini,
una sfida destinata a rendere le rinnovabili ancora
più protagoniste. Gli investimenti annuali in fonti
rinnovabili in Germania hanno superato molto bene la
crisi: si stima infatti un giro d’affari di 26
miliardi di euro, circa un 25 per cento in più
rispetto al 2009. Anche l’occupazione nel settore
è cresciuta (+8 per cento) con 370mila addetti, più del
doppio di quanti erano nel 2004 (160.500).
Si tratta certamente di un piano ambizioso che se da un
lato si presenta non privo di rischi, dall’altro
dimostra che chi lo propone ci crede ed è pronto a
mettere nel piatto tutta la sua credibilità per
raggiungerne i fini.
E
L’ITALIA?
Il nostro
paese continua a muoversi sul terreno energetico con uno
stile, e naturalmente con un’efficacia, diametralmente
opposte a quelli tedeschi. Nell’immediato, il ministro
Romani dichiara all’assemblea annuale di Confindustria
che “continuiamo ad essere convinti che la scelta
nucleare sia la più corretta” (corretta?), anche se
“adesso il tema è la sicurezza” e sul tema del quarto
conto energia lamenta che “vi confesso che ci siamo
sentiti spesso soli. Il sistema delle imprese è stato
spesso alla finestra a vedere come andava a finire”.
Romani ha concluso dando appuntamento “alla Conferenza
energetica nazionale, che iniziamo subito a preparare”.
Sarà presentata lì l’agognata Strategia energetica
nazionale? Nel medio termine, abbiamo visto i
contenuti che il ministro Tremonti ci ha prospettato in
tema di energia nel Piano nazionale di riforma: ben poca
cosa. L’Europa ci ha chiesto di rivedere il Piano
d’azione nazionale per le rinnovabili al 2020. E cosa
deve essere l’Italia nel 2050 dal punto di vista
energetico?
Quella tedesca è una scommessa? Forse. Ma è suggestiva.
Non varrebbe la pena che anche l’Italia, giocando
d’anticipo sugli altri paesi europei, facesse
altrettanto? Non potrebbe o non vorrebbe il nostro paese
diventare almeno la seconda Green Economy del
mondo sviluppato?
(1) Nel quadro della sua strategia energetica al
2050 anche la Confederazione elvetica punterà su
maggiore risparmio energetico, potenziamento
dell’energia idroelettrica e incremento delle altre
rinnovabili, cogenerazione e su un maggiore utilizzo di
gas importato da impiegare in centrali a ciclo
combinato.
Tabella 1
- Germany, Federal Republic of: Nuclear Power Reactors
Operational |
17 |
Shutdown |
19 |
Annual Electrical Power Production for 2010 |
Total Power Production
(including Nuclear) |
Nuclear Power Production |
468660.331 GWh(e) |
133012.06 GWh(e) |
|
|
|
Capacity (MWe) |
Date |
Name |
Type |
Location |
Net |
Gross |
Connected |
BIBLIS-A (KWB A) |
PWR |
HESSEN |
1167 |
1225 |
25/08/1974 |
BIBLIS-B (KWB B) |
PWR |
HESSEN |
1240 |
1300 |
25/04/1976 |
BROKDORF (KBR) |
PWR |
SCHLESWIG-HOLSTEIN |
1410 |
1480 |
14/10/1986 |
BRUNSBUETTEL (KKB) |
BWR |
SCHLESWIG-HOLSTEIN |
771 |
806 |
13/07/1976 |
EMSLAND (KKE) |
PWR |
NIEDERSACHSEN |
1329 |
1400 |
19/04/1988 |
GRAFENRHEINFELD (KKG) |
PWR |
BAYERN |
1275 |
1345 |
30/12/1981 |
GROHNDE (KWG) |
PWR |
NIEDERSACHSEN |
1360 |
1430 |
05/09/1984 |
GUNDREMMINGEN-B (GUN-B) |
BWR |
BAYERN |
1284 |
1344 |
16/03/1984 |
GUNDREMMINGEN-C (GUN-C) |
BWR |
BAYERN |
1288 |
1344 |
02/11/1984 |
ISAR-1 (KKI 1) |
BWR |
BAYERN |
878 |
912 |
03/12/1977 |
ISAR-2 (KKI 2) |
PWR |
BAYERN |
1410 |
1485 |
22/01/1988 |
KRUEMMEL (KKK) |
BWR |
SCHLESWIG-HOLSTEIN |
1346 |
1402 |
28/09/1983 |
NECKARWESTHEIM-1 (GKN
1) |
PWR |
BADEN-WUERTTEMBERG |
785 |
840 |
03/06/1976 |
NECKARWESTHEIM-2 (GKN
2) |
PWR |
BADEN-WUERTTEMBERG |
1310 |
1400 |
03/01/1989 |
PHILIPPSBURG-1 (KKP 1) |
BWR |
BADEN-WUERTTEMBERG |
890 |
926 |
05/05/1979 |
PHILIPPSBURG-2 (KKP 2) |
PWR |
BADEN-WUERTTEMBERG |
1402 |
1468 |
17/12/1984 |
UNTERWESER (KKU) |
PWR |
NIEDERSACHSEN |
1345 |
1410 |
29/09/1978 |
Tabella 2
- Switzerland (Swiss Confederation): Nuclear Power
Reactors
Annual Electrical Power Production for 2010 |
Total Power Production
(including Nuclear) |
Nuclear Power Production |
66300 GWh(e) |
25200 GWh(e) |
|
|
|
Capacity (MWe) |
Date |
Name |
Type |
Location |
Net |
Gross |
Connected |
BEZNAU-1 |
PWR |
DOETTINGEN |
365 |
380 |
17/07/1969 |
BEZNAU-2 |
PWR |
DOETTINGEN |
365 |
380 |
23/10/1971 |
GOESGEN |
PWR |
SOLEURE |
970 |
1035 |
02/02/1979 |
LEIBSTADT |
BWR |
AARGAU |
1190 |
1245 |
24/05/1984 |
MUEHLEBERG |
BWR |
BERN |
373 |
390 |
01/07/1971 |
Tabella 3
|