di Federico Gavioli
Il Collegato lavoro nel consentire
al datore di lavoro pubblico di trasformare
unilateralmente il rapporto di lavoro a tempo parziale
in rapporto a tempo pieno, anche contro la volontà del
lavoratore, si pone in contrasto con la direttiva
europea (dir. 15 dicembre 1997, n.97/81/CE), in quanto
discrimina il lavoratore a part-time che, a differenza
del lavoratore a tempo pieno, rimane soggetto al potere
del datore di lavoro pubblico di modificare
unilateralmente la durata della prestazione di lavoro
In tema di modifica del part-time
nella pubblica amministrazione, dopo le novità
introdotte dalla legge n. 183 del 4 novembre 2010,
riveste particolare importanza la recentissima ordinanza
del Tribunale di Trento, sezione lavoro, che di fatto ha
accolto il ricorso di una dipendente pubblica che era
ricorsa avverso due provvedimenti , uno ministeriale , e
uno del proprio dirigente del Tribunale dove lavorava,
che le avevano revocato l’istituto del part-time.
Si ricorda brevemente che la citata
legge n. 183 del 4 novembre 2010 , dopo un lungo
dibattito parlamentare, ha previsto tra le altre
disposizioni in materia di lavoro, all’articolo 16, che
“In sede di prima applicazione delle disposizioni
introdotte dall’articolo 73 del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge
6 agosto 2008, n. 133, le amministrazioni pubbliche di
cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, entro
centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, nel rispetto dei principi di correttezza
e buona fede, possono sottoporre a nuova valutazione i
provvedimenti di concessione della trasformazione del
rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già
adottati prima della data di entrata in vigore del
citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008″.
L'articolo 73 del decreto legge
aveva dettato nuove e più stringenti disposizioni in
materia di part-time nel pubblico impiego, prevedendo,
in particolare, il rigetto delle istanze in tutti i casi
in cui la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo
pieno a tempo parziale possa determinare, in relazione
alle mansioni ed alla posizione organizzativa ricoperta
dai singoli dipendenti, un pregiudizio alla funzionalità
dell'Amministrazione. Si è trattato di una profonda
innovazione in quanto la normativa precedente non
consentiva il rifiuto della richiesta del part-time ma
solo il differimento del suo inizio fino a sei mesi e
ciò nei casi in cui la trasformazione del rapporto di
lavoro avesse determinato un grave pregiudizio
all'attività dell'ufficio.
L'articolo 16 della legge, di
conversione consente ora alle pubbliche amministrazioni
di riesaminare, alla luce dei più stringenti criteri
previsti dal citato articolo 73, tutti i rapporti di
lavoro trasformati in epoche precedenti all'entrata in
vigore del decreto-legge 112/2008. Si tratta degli atti
adottati prima del 25 giugno 2008. Tale facoltà deve
essere esercitata entro centottanta giorni dall'entrata
in vigore (24 novembre 2010) della citata legge
183/2010.
Il caso
La vicenda presa in esame dal
giudice di prime cure riguarda una funzionaria di un
Tribunale di Trento, del Ministero della Giustizia, che
era a part-time dal 2000; tale funzionaria aveva subito
due provvedimenti, uno del Ministero del febbraio 2011 e
uno del dirigente amministrativo del Tribunale di Trento
del marzo 2011, con i quali era disposto la
trasformazione del suo rapporto lavorativo a part-time
con un nuovo orario a tempo pieno.
L’analisi del giudice
Il giudice del Lavoro evidenzia,
nella sentenza in commento, che dopo oltre 10 anni di
prestazione lavorativa a tempo parziale, l’improvvisa
trasformazione in lavoro a tempo pieno, avrebbe
modificato irreparabilmente la vita privata della
lavoratrice “arrecandole danni non riparabili per
equivalente”; ecco perché ha ritenuto sussistente il
primo requisito del ricorso presentato dalla dipendente
pubblica.
Per quanto riguarda il fumus boni
iuris, invero, il Tribunale non ha del tutto condiviso
le doglianze della funzionaria sulla mancanza della
“buona fede e correttezza” (principi previsti dall’art.
16 della legge 4 novembre 2010, n. 183) per non aver
ricevuto preavviso della trasformazione e per non aver
tenuto conto delle esigenze di vita, poiché agli atti
risultava emessa una nota del 22 novembre 2011, del
Dirigente amministrativo del Tribunale, in cui si
chiedeva “a tutti i lavoratori part-time di esporre le
situazioni personali che potessero giustificare il
mantenimento di tale ridotto orario di lavoro”.
Sotto questo profilo, secondo il
giudice di primo grado, dunque la “correttezza” non era
stata lesa. Tuttavia l’aspetto molto importante della
sentenza del giudice del Lavoro è quella dove viene
precisato che l’articolo 16 della legge 4 novembre 2010,
n. 183, nel consentire al datore di lavoro pubblico di
trasformare unilateralmente il rapporto di lavoro a
tempo parziale in rapporto a tempo pieno, anche contro
la volontà del lavoratore, si ponga in insanabile
contrasto con la direttiva europea (dir. 15 dicembre
1997, n.97/81/CE), in quanto una norma nazionale
“sifatta discrimina il lavoratore a part-time, il quale,
a differenza del lavoratore a tempo pieno, rimane
soggetto al potere del datore di lavoro pubblico di
modificare unilateralmente la durata della prestazione
di lavoro; non contribuisce certo allo sviluppo delle
possibilità di lavoro a tempo parziale su basi
accettabili sia ai datori di lavoro che ai lavoratori,
atteso che il lavoratore part-time sarebbe soggetto al
rischio di vedersi trasformare il rapporto in lavoro a
tempo pieno, anche contro la propria volontà, con
evidente grave pregiudizio alle proprie esigenze
personali e familiari.
La norma nazionale, infine,
contrasta con quella parte della direttiva che impone la
presenza del consenso del lavoratore in caso di
trasformazione del rapporto”. Per il giudice del Lavoro,
quindi, l’articolo 16 della legge 4 novembre 2010, n.
183, confliggendo con la direttiva 15.12.1997, n.
97/81/CE, deve essere disapplicato.
Per tale motivo il giudice del
Lavoro accoglie il ricorso della dipendente pubblica e
annulla il provvedimento ministeriale e quello del
dirigente amministrativo di revoca del part-time dove la
stessa dipendente lavora.
Riflessi della sentenza
Per il profilo che assume si tratta
di una sentenza dirompente, che si pone come battistrada
nella battaglia che molti lavoratori del pubblico
impiego hanno intrapreso o stanno intraprendendo in
difesa dei propri diritti. Nello specifico, dalla
lettura della sentenza, si coglie come la norma
“incriminata” si ponga in evidente contrasto con i
contenuti della direttiva comunitaria n. 97/81 del 15
dicembre 1997 concernente il lavoro a tempo parziale,
rappresentando una rilevante condanna per il legislatore
che l’ha approvato , probabilmente, con molta
superficialità.
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