La presenza pervasiva del crimine
organizzato in alcune regioni meridionali è storicamente
consolidata, fino a diffondersi negli ultimi anni anche
nelle aree più sviluppate. Con importanti conseguenze
sullo sviluppo economico ed effetti di contaminazione
tra attività lecite e illecite, attraverso il
riciclaggio e il reinvestimento dei proventi delle
imprese criminali. Si falsa così il gioco concorrenziale
e il costo della legalità mette fuori mercato le aziende
tradizionali. Sabato 28 l'autore discute questo tema a
Napoli in una giornata organizzata in anticipazione del
Festival dell'Economia di Trento.
Locandina inglese del film di
Matteo Garrone "Gomorra"
La presenza pervasiva e
storicamente consolidata del crimine organizzato in
alcune regioni meridionali e l’espansione di queste
realtà in anni recenti anche nelle regioni più
sviluppate è una triste peculiarità del nostro paese.
Meno noti e indagati, tuttavia, sono gli effetti di
questo radicamento sullo sviluppo dell’economia in
quelle aree e gli effetti di contaminazione che dalle
attività illecite si ramificano anche in segmenti e
imprese del tutto lecite attraverso il riciclaggio e il
reinvestimento dei proventi delle attività criminali.
UNO STUDIO SU PUGLIA E BASILICATA
Un recente studio di Paolo Pinotti
del Servizio Studi della Banca d’Italia ha provato a
colmare questo vuoto informativo proponendo una
metodologia e stimando i costi della presenza criminale
in termini di mancata crescita di due regioni
meridionali, Puglia e Basilicata. (1)
Nelle due aree fino agli inizi
degli anni Settanta le organizzazioni criminali,
storicamente insediate nelle regioni limitrofe della
Campania (camorra), Calabria (‘ndrangheta) e Sicilia
(mafia), non avevano una presenza significativa, come
testimoniato da numerosi indicatori relativi ai crimini
contro la persona e la proprietà. Il riposizionamento
dei flussi del contrabbando attraverso i Balcani, la
presenza di numerosi criminali in soggiorno obbligato e,
per la Basilicata, i fondi per la ricostruzione del
terremoto del 1980 hanno portato a una progressiva
espansione delle organizzazioni criminali, costituitesi
in forma autonoma in Puglia (sacra corona unita).
Il brusco passaggio da una fase di
sviluppo nella quale la presenza del crimine organizzato
non giocava un ruolo a quella successiva caratterizzata
da una progressiva espansione delle attività illecite
offre la possibilità di verificare l’impatto di questi
ultimi fenomeni sui tassi di crescita regionale. Viene
quindi costruito, utilizzando una metodologia già
impiegata per stimare i costi di situazioni di conflitto
locale (2), un indicatore del Pil pro-capite medio delle
altre regioni italiane (escludendo, oltre a Puglia e
Basilicata, anche Sicilia, Campania e Calabria nelle
quali la presenza del crimine organizzato era sistemica
anche negli anni Cinquanta e Sessanta) in cui i pesi
minimizzano la differenza di crescita tra Puglia e
Basilicata e le altre regioni guardando a una serie di
indicatori riferiti alle principali determinanti dello
sviluppo. Si ottiene così un indicatore del reddito
pro-capite basato sull’evoluzione delle altre regioni e
capace di ben approssimare l’analogo sentiero di
crescita di Puglia e Basilicata fino agli anni Settanta.
Lo stesso indicatore evidenzia invece una progressiva
divergenza di andamento dopo la metà degli anni
Settanta, con un ritardo cumulato di oltre 20 punti
percentuali nel reddito pro-capite di Puglia e
Basilicata rispetto alla corrispondente evoluzione
dell’indicatore benchmark. Il gap persiste e risulta
robusto controllando anche per altri indicatori
potenzialmente in grado di spiegare il divario dei
sentieri di crescita.
Lo studio permette quindi di
associare una stima quantitativa, e un gap di crescita
estremamente significativo, alla congettura secondo cui
uno dei fattori che storicamente spiegano il ritardo
delle regioni meridionali sia da collegare alla presenza
pervasiva e radicata sul territorio delle organizzazioni
criminali. I canali attraverso cui l’impatto negativo
può manifestarsi sono molteplici. In primo luogo, la
presenza pervasiva delle organizzazioni criminali
comporta un progressivo indebolimento dei diritti di
proprietà, minacciati ad esempio dal fenomeno
dell’estorsione, o dalle pressioni violente perché una
impresa ceda alle richieste e ai favori di concorrenti
collegati al crimine. Un quadro nel quale una impresa
può subire dei veri e propri processi di espropriazione
del proprio reddito genera effetti negativi sugli
incentivi a investire e a sviluppare le proprie
attività.
IL COSTO DELLA LEGALITÀ
Il reinvestimento dei proventi
dalle attività criminali in settori legali segue
percorsi che numerosi studi e indagini della
magistratura hanno confermato, individuando alcune
attività particolarmente esposte a queste dinamiche. In
primo luogo l’edilizia, in particolare nel movimento
terra e nelle forniture di materiali, nelle quali le
imprese collegate alle cosche possono espandersi
imponendo i propri servizi in subappalto, o direttamente
competendo nelle gare. Il commercio all’ingrosso, che
funge anche da canale di distribuzione di prodotti non
in regola con le norme sanitarie e di prodotto, e
sfrutta la logistica per trasportare assieme prodotti
alimentari e prodotti dei traffici illeciti. Il
commercio al dettaglio, gli esercizi di ristorazione, il
turismo. Insomma, una serie di aree di attività
importanti nell’economia della regione che divengono
terra di espansione delle organizzazioni criminali a
svantaggio delle imprese legali. E che, per il basso
grado di trasparenza che in molte di queste attività si
osserva, consentono anche il riciclaggio dei proventi
illeciti.
In questi processi di espansione le
imprese collegate alle organizzazioni criminali godono
di forti vantaggi competitivi, essendo in grado di
accedere alla enorme liquidità delle attività illecite,
di prendere il controllo delle imprese concorrenti
attraverso la pratica dell’usura, di utilizzare i fondi
illeciti per manipolare gli appalti e condizionare le
istituzioni politiche e amministrative, praticando in
modo sistematico l’evasione fiscale, delle normative sul
lavoro e sull’ambiente e potendo godere di uno strumento
di competizione estremamente convincente come l’uso
della violenza. La diffusione di questi fenomeni
nell’area campana, ad esempio, è testimoniata in termini
quantitativi nella ricerca recentemente condotta dalla
Fondazione Chinnici sull’estorsione a Napoli e Caserta.
(3) Quando la presenza diviene pervasiva, come oggi si
osserva nelle regioni meridionali, ma ad esempio anche
in alcune aree della Lombardia e della Liguria, il gioco
concorrenziale viene completamente falsato e le imprese
tradizionali iniziano ad avvertire un “costo della
legalità” che le mette fuori mercato rispetto ai
concorrenti. Fenomeni di contiguità, opportunismo e
accomodamento, in cui l’imprenditore non vede e non
chiede, sono testimoniati in molte inchieste della
magistratura, non ultima quella che ha indagato la
progressiva monopolizzazione delle attività di movimento
terra nell’area del sud-ovest milanese da parte delle
‘ndrine dei comuni dell’hinterland.
Inoltre, la capacità di pressione
delle organizzazioni criminali è particolarmente
efficace in quelle attività che sono intermediate dalla
pubblica amministrazione, resa connivente dal bastone
della violenza e dalla carota della corruzione, e nei
cui confronti il controllo dei voti rappresenta un
ulteriore elemento di scambio. I processi di espansione
in questi segmenti dell’economia legale, quindi,
comportano una diffusione di pratiche di corruzione e di
decadimento del personale politico, che ulteriormente
limitano le possibilità di crescita delle economie
locali. Anche in questo caso le inchieste della
magistratura restituiscono un quadro di pervasiva
corruzione nelle amministrazioni locali, con una
frequenza non dissimile se guardiamo ai comuni dell’area
napoletana o a una cittadina della Brianza come Desio.
Il “costo della legalità“ appare
come l’elemento più pericoloso nell’evoluzione delle
economie locali in presenza del crimine organizzato,
poiché comporta un arretramento sistematico nel rispetto
delle norme e dei regolamenti che governano le attività
economiche e il diffondersi di una legalità debole entro
la quale gli operatori economici si spostano. Con
l’indebolimento ulteriore dei meccanismi concorrenziali
e di mercato. Le inchieste siciliana e campana
sull’estorsione promosse in questi anni dalla Fondazione
Chinnici hanno dimostrato come le prime vittime
dell’estorsione sono proprio le attività economiche
nella sfera della legalità debole, che preferiscono
pagare il pizzo piuttosto che denunciarlo, attirando la
Guardia di finanza in casa a controllare i libri
contabili. E l’omertà degli imprenditori lombardi
taglieggiati dalle cosche emersa nelle recenti inchieste
della Dda di Milano non lasciano ben sperare.
OLTRE LA REPRESSIONE
Quali indicazioni di policy si
possono dare per contrastare questi fenomeni? In primo
luogo, esiste ampia evidenza sulla forte correlazione
tra risorse dedicate a indagini e accertamenti e
risultati ottenuti. L’andamento ciclico delle inchieste
milanesi sulla presenza della ‘ndrangheta hanno
registrato successi quando sono state potenziate forze
dell’ordine e magistrati e arretramenti nelle fasi di
allentamento dell’impegno. Ma l’opera di repressione,
per sua natura puntuale, non può sostituire altre forme
di argine alla diffusione della presenza criminale. Il
problema è ancora una volta di esternalità:
l’imprenditore individualmente può trovare conveniente
accettare la collusione con le organizzazioni criminali,
contribuendo tuttavia a generare un decadimento del
tessuto economico e sociale. Alle esternalità possono in
parte fare da argine le azioni coordinate delle
associazioni di categoria, come l’esperienza antiracket
di Confindustria Sicilia ha testimoniato. Così come un
importante antidoto si crea con la formazione e
l’informazione presso l’opinione pubblica. Sapendo che
il rispetto delle regole e della legalità non è
solamente una battaglia civile, ma uno dei fronti su cui
le possibilità di crescita del paese si giocano.
(1)Paolo Pinotti, 2010, I costi
economici della criminalità organizzata,
(2)Abadie A e J.
Gardeazabal (2003) “The Economic Cost of Conflicts: a
Case Study of the Basque Country”, American Economic
Review, 93: 113-32.
(3)Di Gennaro e La Spina (eds.), I
costi dell’illegalità, Camorra ed estorsioni in
Campania, Bologna, Il Mulino 2010. |