Dopo quasi un decennio
di legittimo esercizio del diritto alla libera
circolazione da parte di cittadini dell'Unione Europea
laureati in giurisprudenza in Italia che, al fine di
arricchire il proprio bagaglio formativo e
professionale, hanno svolto un ciclo di studi in diritto
Spagnolo, presso università iberiche, nel Gennaio 2009,
l'emanazione della Sentenza Cavallera ( C-311/06 ),
indusse le autorità Italiane a porre improvvisamente
quanto inspiegabilmente, un freno all'esercizio di tale
diritto, ostacolando illecitamente l'applicazione della
direttiva 2005/36 sul reciproco riconoscimento dei
diplomi, nonchè della direttiva 98/5 sulla libertà di
stabilimento degli avvocati comunitari.
a) Dalla
Sentenza Cavallera ( C-311/06 ) al Parere C.N.F. n.
17/2009
Il C.N.F. con parere 17/2009, rispondendo ad esplicita
domanda formulata da alcuni C.O.A. esprimeva
considerazioni sul da farsi in merito ai laureati in
giurisprudenza in possesso di titolo professionale
abilitante all'esercizio della professione forense
ottenuto in altro Stato Membro che chiedessero
l'iscrizione ai sensi della direttiva 98/5.
Tale parere fu
inequivocabilmente fondato sulla sentenza Consiglio
Nazionale degli Ingegneri vs Cavallera ( C-311/06 ),
citata a più riprese nel medesimo, in base alla quale il
certificato di omologazione del titolo Italiano del Sig.
Cavallera al corrispondente Spagnolo ( in virtù del
quale Cavallera ottenne l'iscrizione all'albo Spagnolo
degli ingegneri, e poi, presentando il certificato
d'iscrizione all'albo Spagnolo, ottenne l'iscrizione
all'albo Italiano ai sensi della direttiva 89/48 ) in
quanto rilasciato dal "Ministerio de Educacion" in base
ad una vecchia normativa, oggi abrogata, che permise un
riconoscimento meramente "burocratico" delle qualifiche
Italiane, cioè non fondato "ne su un esame ne su
un'esperienza professionale" non deve ritenersi un
diploma ai sensi dell'art. 1 lett a) della direttiva
89/48, il che implica la non invocabilità della
direttiva 89/48 ai fini dell'esercizio della professione
di Ingegnere in Italia. Recitano infatti, le
motivazioni Corte di Giustizia nella sentenza C-311/06:
44 Con la sua prima
questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se
possano invocarsi le disposizioni della
direttiva 89/48 per accedere ad una professione
regolamentata in uno Stato membro ospitante, da parte
del titolare di un titolo rilasciato da un'autorità di
un altro Stato membro che non sanzioni alcuna formazione
prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro
e non si fondi né su un esame né su un'esperienza
professionale acquisita in detto Stato membro.
45 Per poter
risolvere tale questione, occorre esaminare se il
riconoscimento di un titolo come quello oggetto della
causa principale ricada nella sfera di applicazione
della direttiva 89/48.
46 Con riserva
delle disposizioni di cui all'art. 4 della direttiva
89/48, l'art. 3,
primo comma, lett. a), della direttiva medesima
conferisce ad ogni richiedente che sia titolare di un
«diploma», ai sensi della stessa direttiva, che gli
consente di esercitare una professione regolamentata in
uno Stato membro, il diritto di esercitare la medesima
professione in ogni altro Stato membro. La nozione di
«diploma», definita dall'art. 1, lett. a), della
direttiva 89/48, costituisce pertanto la chiave di volta
del sistema generale di riconoscimento dei diplomi di
istruzione superiore previsti dalla stessa direttiva.
47 Quanto alle
qualifiche che fa valere il sig. Cavallera, occorre
ricordare,
anzitutto, che il «diploma», ai sensi dell'art. 1, lett.
a), della direttiva 89/48, può essere costituito da un
insieme di titoli.
48 Il requisito
previsto dall'art. 1, lett. a), primo trattino ,
della direttiva 89/48, poi, è soddisfatto per quanto
riguarda i titoli che fa valere il sig. Cavallera,
atteso che ciascuno di tali titoli è stato
rilasciato da un'autorità competente, designata
conformemente alle disposizioni normative,
rispettivamente, Italiane e spagnole.
49 Per quanto
riguarda il requisito previsto dall'art. 1, lett. a),
secondo trattino, della direttiva 89/48, dagli
atti trasmessi alla Corte risulta manifesto che
il sig. Cavallera soddisfaceva la condizione secondo cui
il titolare deve aver seguito con successo un ciclo di
studi post-secondari di una durata minima di tre anni in
un'università. Tale circostanza, infatti, è
espressamente attestata dal titolo di studi rilasciato
all'interessato dall'Università di Torino.
50 Per quanto
riguarda, peraltro, il requisito previsto dall'art.
1, lett. a), terzo trattino, della direttiva 89/48,
dal certificato di omologazione redatto dal Ministero
dell'Educazione e delle Scienze risulta che il sig.
Cavallera è in possesso delle qualifiche professionali
richieste per accedere ad una professione regolamentata
in Spagna. Anche a voler ritenere che tale elemento non
risulti espressamente da detto certificato, esso si
evince chiaramente dall'iscrizione del sig. Cavallera
all'albo dell'ordine professionale competente in Spagna.
51 Resta da
chiarire se, atteso che il certificato di omologazione
di cui fa stato il sig. Cavallera non sanziona alcuna
formazione prevista dal sistema di istruzione spagnolo e
non si fonda né su di un esame né su di un'esperienza
professionale acquisita in Spagna, l'insieme dei
titoli in suo possesso può tuttavia essere
considerato come un «diploma» ai sensi della direttiva
89/48 ovvero può essere assimilato a un diploma siffatto
in forza dell'art. 1, lett. a), secondo comma, della
direttiva 89/48.
52 In tale contesto, non
possono essere accolti gli argomenti dedotti dal
Consiglio Nazionale degli Ingegneri nonché dai governi
Italiano ed austriaco, fondati sul tenore letterale di
talune versioni linguistiche della direttiva 89/48, che
divergono puntualmente, come si è rilevato ai punti 7,
9, 11 e 12 della presente sentenza, da quelli delle
altre versioni linguistiche nel menzionare i termini
«altro Stato membro» laddove la maggioranza
delle versioni linguistiche contiene
semplicemente l'indicazione delle espressioni «Stato
membro» o «Stato membro ospitante».
53 A tale riguardo, infatti,
risulta da costante giurisprudenza che la necessità di
applicare e, quindi, di interpretare il diritto
comunitario in modo uniforme esclude che, in caso di
dubbio, il testo di una disposizione possa essere
considerato isolatamente in una delle sue versioni, ma
esige, al contrario, che esso sia interpretato ed
applicato alla luce dei testi redatti nelle altre
lingue ufficiali (sentenze 12 novembre 1969, causa
29/69, Stauder, Racc. pag. 419, punto 3; 2 aprile 1998,
causa C-296/95, EMU Tabac e a., Racc. pag. I-1605,
punto 36, e 9 marzo 2006, causa C-174/05, Zuid-Hollandse
Milieufederatie e Natuur en Milieu, Racc. pag. I-2443,
punto 20).
54 Peraltro, se è
pur vero che si è statuito che la direttiva 89/48 non
contiene alcuna limitazione per quanto riguarda lo Stato
membro in cui un richiedente deve aver acquisito le sue
qualifiche professionali (sentenze 23 ottobre 2008,
causa C-274/05, Commissione/Grecia, non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 28, e causa
C-286/06, Commissione/Spagna, non ancora
pubblicata nella Raccolta,
punto 62), tale giurisprudenza pone tuttavia una
distinzione tra il luogo geografico in cui si svolge una
formazione e il sistema di istruzione di cui essa fa
parte. Infatti, in tali sentenze, gli interessati
avevano seguito formazioni previste da un sistema di
istruzione diverso da quello dello Stato membro in cui
intendevano avvalersi delle loro qualifiche
professionali.
55 La direttiva
89/48 mira a sopprimere gli ostacoli all'esercizio di
una
professione in uno Stato membro diverso da quello che ha
rilasciato il titolo che attribuisce le qualifiche
professionali in oggetto. Dal primo, terzo
e quinto 'considerando' di detta direttiva risulta
che un titolo che sancisca formazioni professionali
non può essere assimilato ad un «diploma» ai sensi della
stessa direttiva in assenza dell'acquisizione, totale o
parziale, delle qualifiche nel contesto del sistema
dell'istruzione dello Stato membro che ha rilasciato il
titolo de quo. La Corte ha peraltro già avuto modo
di sottolineare che un titolo facilita l'accesso ad una
professione ovvero il suo esercizio in quanto attesti il
possesso di una qualifica supplementare (v., in tal
senso, sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus,
Racc. pag. I-1663, punti 18-23, e 9 settembre
2003, causa C-285/01, Burbaud, Racc. pag.
I-8219, punti 47-53).
56 Orbene,
l'omologazione spagnola non attesta
alcuna qualifica supplementare. Al riguardo, né
l'omologazione né l'iscrizione all'albo di uno dei
«colegios de ingenieros técnicos industriales» di
Catalogna si sono fondate sulla verifica delle
qualifiche o delle esperienze professionali acquisite
dal sig. Cavallera.
57 Accettare, in
tale contesto, che la direttiva 89/48 possa essere
invocata al fine di beneficiare dell'accesso alla
professione regolamentata nella causa principale in
Italia si risolverebbe nel consentire ad un
soggetto che abbia conseguito esclusivamente un
titolo rilasciato da tale Stato membro che, di per sé,
non dà accesso a detta professione regolamentata di
accedervi egualmente, senza che tuttavia il titolo
di omologazione conseguito in Spagna attesti una
qualifica supplementare o un'esperienza professionale.
Un siffatto risultato sarebbe contrario al principio
sancito dalla direttiva 89/48, ed enunciato al suo
quinto 'considerando', secondo cui gli Stati membri
conservano la facoltà di stabilire il livello minimo di
qualifica necessario allo scopo di garantire la qualità
delle prestazioni fornite sul loro territorio.
58 Dall'insieme
delle suesposte considerazioni risulta che l'art 1,
lett. a), della direttiva 89/48 deve essere interpretato
nel senso che la definizione della nozione di «diploma»
che esso prevede non include il titolo rilasciato da uno
Stato membro che non attesti alcuna formazione prevista
dal sistema di istruzione di tale Stato membro e non si
fondi né su di un esame né su di un'esperienza
professionale acquisita in detto Stato membro.
59 Di conseguenza,
la prima questione deve essere risolta nel senso che le
disposizioni della direttiva 89/48 non possono essere
invocate, al fine di accedere ad una professione
regolamentata in uno Stato membro ospitante, da parte
del titolare di un titolo rilasciato da un'autorità di
un altro Stato membro che non sanzioni alcuna formazione
prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro
e non si fondi né su di un esame né su di un'esperienza
professionale acquisita in detto Stato membro.
Specificamente, il
CNF, in linea con quanto stabilito nella sentenza
Consiglio nazionale degli ingegneri vs Cavallera (
C-311/06 ) nel proprio parere n. 17/2009, ha affermato
quanto segue:
"4. L'esito
interpretativo della sentenza in parola va, dunque, nel
senso di escludere la possibilità di iscrivere negli
albi professionali soggetti i quali, nel corso di una
duplice procedura di riconoscimento di titoli di studio
e titoli professionali, non abbiano in realtà
aumentato la propria formazione accademica nè abbiano
acquisito esperienza nello svolgimento di attività
professionale all'estero. Pertanto l'esame di casi
di questo tipo andrà condotto considerando in concreto
l'aumento del livello formativo o professionale
dell'interessato: ove sia constatata la mancanza di
qualsiasi sostanziale incremento di tale patrimonio nel
corso delle diverse procedure di riconoscimento, si
potrà ritenere che l'utilizzo delle garanzie del diritto
comunitario ha avuto l'unico scopo di eludere il
tirocinio formativo nazionale e l'esame di Stato, il
quale ultimo - tra l'altro - riveste particolare
importanza, rappresentando una garanzia
costituzionalmente prevista per l'accesso alle attività
professionali. La Corte di Giustizia, nella sentenza
richiamata, ha sottolineato che la domanda di
riconoscimento di un titolo professionale, al quale però
non corrisponda alcuna effettiva esperienza concreta da
riconoscersi, mina il diritto degli Stati a prevedere
forme di particolare qualificazione per l'accesso alle
attività professionali ( cfr. il quinto "considerando"
della direttiva 89/48 e più ampiamente l'undicesimo
"considerando" della direttiva 2005/36 ) , e quindi dà
luogo ad un abuso del diritto".
5. Da quanto
esposto emerge con chiarezza la necessità che il
Consiglio dell'Ordine forense esamini nel dettaglio le
domande di iscrizione nella sezione speciale dell'albo
dedicata agli avvocati stabiliti. Per accedere ad essa,
infatti, secondo la giurisprudenza appena richiamata, è
necessario possedere una qualificazione professionale
che sia effettiva e non solo formale. È chiaro,
tuttavia, che non esiste nelle norme di diritto positivo
una specifica procedura per verificare che le domande di
riconoscimento non invochino il diritto comunitario
«fraudolentemente o abusivamente»; è viceversa
necessario procedere ad un giudizio analitico caso per
caso, verificando dalla documentazione prodotta quale
sia la consistenza del percorso formativo e
professionale dell'interessato. Colui che, come nel caso
di cui alla sentenza C-311/06, intenda spendere il
titolo straniero dopo una procedura di trasferimento
all'estero solo "burocratica" e senza documentare alcun
periodo di esercizio professionale, potrà a buon diritto
indurre ad un rigetto della domanda. Viceversa, non
potranno essere penalizzati i professionisti, anche se
in possesso di cittadinanza Italiana o di una formazione
accademica in Italia, i quali dimostrino l'effettivo
svolgimento di esperienza professionale all'estero (
come è avvenuto nel caso di cui alla sentenza del CNF 20
dicembre 2008, n. 175 ). Si dovrà, in ultima analisi,
procedere attraverso una specifica considerazione di
elementi eventualmente sintomatici dell'abuso di
diritto, particolarmente attenta nel caso in cui,
successivamente all'iscrizione del professionista quale
"stabilito", l'integrazione avvenga attraverso la
verifica affidata alla prova attitudinale.
b) Dal parere C.N.F. 17/2009 alla Sentenza
Koller ( C-118/09 )
Nel parere n. 17/2009 ( che, di per sè, nulla può
modificare o introdurre rispetto ad una disciplina di
rango comunitario ) pertanto, il CNF, si limita ad
aderire alle opinioni espresse dalla corte nella
Sentenza Consiglio Nazionale degli Ingegneri vs
Cavallera ( C-311/06 ) affermando sostanzialmente che il
diniego dell'iscrizione all'albo Italiano ai sensi della
direttiva 98/5 nonchè il diniego del riconoscimento
in Italia del titolo Spagnolo ai sensi della direttiva
2005/36 ( fu 89/48 ) siano eccezionalmente legittimi ove
il certificato di omologazione Spagnolo non sanzioni
alcuna formazione prevista dal sistema d'istruzione
Spagnolo e non si fondi ne su un'esame ne su
un'esperienza professionale poichè in tal caso la
qualificazione ottenuta all'estero sarebbe solo
"formale" e la procedura di riconoscimento "meramente
burocratica".
Pertanto, al contrario, fuori da tale caso, cioè ove il
richiedente dimostri di aver seguito una formazione
prevista dal sistema d'istruzione spagnolo e di aver
acquisito una qualifica supplementare fondata su esami
integrativi, al superamento dei quali sia stato
subordinato il rilascio del certificato d'omologazione
spagnolo, l'utilizzo del titolo professionale di Abogado
per ottenere l'iscrizione all'albo ai sensi della
direttiva 98/5 o il riconoscimento del titolo di
"Avvocato" ai sensi della direttiva 2005/36, non
dovrebbe essere impedito.
A conferma, si
consideri che, recentemente, nel caso Koller ( C-118/09
) la Corte ha risolto analoga vertenza in modo
diametralmente opposto: partendo dal presupposto che
l'omologazione del titolo austriaco del Sig. Koller di
"Magister der Rechtswissenschaften" al corrispondente
Spagnolo di "Licenciado en Derecho", in quanto
subordinata al superamento di un esame integrativo,
sanziona una formazione prevista dal sistema
d'istruzione Spagnolo, cioè attesta una qualifica
supplementare acquisita in tale Stato Membro, ha
ritenuto il titolo del Sig. Koller un diploma ai sensi
dell'art. 1 lett. a, ( punti 32 -35 ) il che implica
la piena invocabilità della direttiva 89/48 ( oggi
della 2005/36 i cui principi, rimasti immutati, sono i
medesimi contenuti nella 89/48 ) ai fini
dell'esercizio ai sensi dell'art. 3 della professione di
"Avvocato" in Austria, previo superamento di una prova
attitudinale ai sensi dell'art. 4. Recitano infatti,
le argomentazioni della Corte:
25 Con la prima
questione, in sostanza, il giudice del rinvio chiede se,
al fine
di accedere, previo superamento di una
prova attitudinale, alla professione regolamentata
di avvocato nello Stato membro ospitante, le
disposizioni della direttiva 89/48 modificata possano
essere fatte valere dal possessore di un titolo,
rilasciato in detto Stato membro e attestante il
compimento di un ciclo di studi post- secondari di oltre
tre anni, nonché di un titolo equivalente rilasciato in
un altro Stato membro, a seguito di una formazione
complementare di durata inferiore a tre anni e che
abiliti detto possessore ad accedere, in quest'ultimo
Stato, alla professione regolamentata di avvocato,
professione che egli effettivamente vi esercitava al
momento della richiesta di autorizzazione ad essere
ammesso alla prova attitudinale.
26 Si deve
rammentare che la nozione di «diploma», definita
dall'art. 1, lett. a), della direttiva 89/48 modificata,
costituisce la chiave di volta del sistema generale di
riconoscimento dei diplomi d'istruzione superiore
previsto da tale direttiva (v., in particolare,
sentenza 23 ottobre 2008, Commissione/Spagna,
causa C-286/06, Racc. pag. I-8025, punto 53).
27 Fatte salve le
disposizioni di cui all'art. 4 della direttiva 89/48
modificata,
l'art. 3, primo comma, lett. a), di quest'ultima
riconosce ad ogni richiedente in possesso di un
«diploma», ai sensi di detta direttiva, che gli consenta
di esercitare una professione regolamentata in uno Stato
membro, il diritto di esercitare la stessa professione
in qualsiasi altro Stato membro (v. sentenza
Commissione/Spagna, cit., punto 54).
28 Quanto alle
qualifiche come quelle fatte valere dal sig. Koller,
occorre
precisare che il «diploma», ai sensi
dell'art. 1, lett. a), della direttiva 89/48
modificata, può essere costituito da un insieme di
titoli.
29 Riguardo alla
condizione di cui all'art. 1, lett. a), primo trattino,
della
direttiva 89/48 modificata, va rilevato che, nella causa
sfociata nella sentenza 29 gennaio 2009, causa C-311/06,
Consiglio Nazionale degli Ingegneri (Racc. pag. I-415),
la Corte ha avuto modo di dichiarare, al punto 48 di
tale sentenza, che detta condizione era soddisfatta in
ordine ai titoli fatti valere da una persona che aveva
chiesto l'iscrizione all'albo degli ingegneri in Italia,
atteso che ciascuno di tali titoli era stato
rilasciato da un'autorità competente, designata
conformemente alle disposizioni normative,
rispettivamente, Italiane e spagnole. Detta condizione
risulta del pari soddisfatta per quanto attiene a titoli
come quelli presentati dal sig. Koller,
dato che ciascuno di essi è stato rilasciato da
un'autorità competente, designata conformemente alle
disposizioni normative, rispettivamente austriache e
spagnole.
30 Per quanto
concerne il requisito previsto dall'art. 1, lett. a),
secondo trattino , della direttiva 89/48 modificata,
si deve necessariamente rilevare che una persona quale
il sig. Koller, come ha altresì dichiarato la Corte al
punto 49 della citata sentenza Consiglio Nazionale degli
Ingegneri a proposito della persona di cui alla causa
all'origine di tale sentenza, soddisfa la condizione
secondo cui il titolare deve aver seguito con successo
un ciclo di studi post-secondari di una durata minima di
tre anni in un'università. Tale circostanza, difatti, è
espressamente attestata dal titolo di studi rilasciato
dall'Università di Graz all'interessato.
31 Per quanto
riguarda il requisito di cui all'art. 1, lett. a),
terzo trattino, della
direttiva 89/48 modificata, dal certificato di
omologazione redatto dal Ministero per l'Educazione e la
Scienza spagnolo e, in ogni caso, dall'iscrizione del
sig. Koller all'ordine degli avvocati di Madrid risulta
che quest'ultimo è in possesso delle qualifiche
professionali richieste per accedere ad una professione
regolamentata in Spagna (v., in tal senso, sentenza
Consiglio Nazionale degli Ingegneri, cit., punto 50).
32 Del resto,
contrariamente al certificato di omologazione fatto
valere dalla
persona interessata nella causa all'origine della citata
sentenza Consiglio Nazionale degli Ingegneri che
non sanciva alcuna formazione nell'ambito
del sistema d'istruzione spagnolo e non si fondava né
su un esame né su un'esperienza professionale acquisita
in Spagna, il titolo spagnolo di cui si avvale il sig.
Koller attesta l'acquisizione da parte di quest'ultimo
di una qualifica supplementare rispetto a quella
conseguita in Austria.
33 Pertanto, sebbene sia vero che un titolo
attestante qualifiche professionali
non può essere assimilato ad un «diploma» ai sensi della
direttiva 89/48 modificata in assenza dell'acquisizione,
totale o parziale, di qualifiche nel contesto del
sistema d'istruzione dello Stato membro che ha
rilasciato il titolo de quo (v., in tal senso, sentenza
Consiglio Nazionale degli Ingegneri, cit., punto 55),
ciò non è vero nel caso del titolo fatto valere dal sig.
Koller nella causa principale.
34 Inoltre, la
circostanza che detto titolo spagnolo non attesti una
formazione professionale di tre anni seguita in Spagna è
priva di rilevanza a questo riguardo.
Infatti, l'art. 1, lett. a), primo comma, della suddetta
direttiva non prescrive che il ciclo di studi
post-secondari di durata minima di tre anni, o di durata
equivalente a tempo parziale, sia effettuato in uno
Stato membro diverso dallo Stato membro ospitante.
35 Pertanto,
una persona quale il sig. Koller è senz'altro
titolare di un
«diploma» ai sensi dell'art. 1, lett. a), della
direttiva 89/48 modificata.
36 Di conseguenza,
si deve risolvere la prima questione dichiarando che, al
fine di accedere, previo superamento di una prova
attitudinale, alla professione regolamentata di avvocato
nello Stato membro ospitante, le disposizioni della
direttiva 89/48 modificata possono essere fatte valere
dal possessore di un titolo, rilasciato in detto Stato
membro e attestante il compimento di un ciclo di studi
post- secondari di oltre tre anni, nonché di un titolo
equivalente rilasciato in un altro Stato membro, a
seguito di una formazione complementare di durata
inferiore a tre anni e
che abiliti detto possessore ad accedere, in
quest'ultimo Stato, alla professione regolamentata di
avvocato, professione che egli effettivamente vi
esercitava al momento della richiesta di autorizzazione
ad essere ammesso alla prova attitudinale
c) La
direttiva 2005/36 ( fu 89/48 ) sul reciproco
riconoscimento dei diplomi
Il diritto del titolare di una "Laurea in
Giurisprudenza" nonchè di un "Certificato di
Omologazione" della medesima al corrispondente titolo
spagnolo di "Licenciado en Derecho" di servirsi in
Italia del titolo di Abogado ai fini dell'accesso alla
professione di "Avvocato" previo superamento di una
prova attitudinale ai sensi della direttiva 2005/36 ( fu
89/48 ) non è più oggetto di contestazione già dalla
scorsa estate, avendo il direttore generale della
giustizia civile, Maria Teresa Saragnano, lucidamente
anticipato nelle proprie personali valutazioni, l'esito
della recentemente emanata sentenza Koller C-118/09 già
dal 29 Luglio 2010; vedasi, a titolo esemplificativo, il
decreto 10A10126 pubblicato in GU n. 193 del 18/8/2010
emanato per riconoscere, in capo al richiedente, il
titolo di Abogado quale titolo abilitante all'esercizio
in Italia della professione di Avvocato, previo
superamento di una Prova Attitudinale:
"Considerata la
pronuncia della Corte di giustizia del 29 gennaio 2009
nella parte in cui, in particolare, enuncia il principio
secondo cui non puo' essere riconosciuto un titolo
professionale rilasciato da un'autorita' di uno stato
membro che non sanzioni alcuna formazione prevista dal
sistema di istruzione di tale stato membro e non si
fondi ne' su di un esame ne' di un'esperienza
professionale acquisita in detto stato membro;
Considerato che
nella fattispecie il richiedente sig. Fadda e' in
possesso del titolo accademico ottenuto nell'aprile 2005
in Italia presso la Universita' degli studi di Sassari;
Considerato che
il medesimo risulta avere sostenuto gli
esami richiesti dall'ordinamento spagnolo al fine
dell'ottenimento del provvedimento di omologa del titolo
di accademico conseguito in Italia a quello analogo
spagnolo;
Considerato che il
Ministero dell'Educacion spagnolo, con atto dell'11
aprile 2008, avendo accertato il superamento degli esami
previsti, ha certificato l'omologa della laurea Italiana
a quella corrispondente spagnola;
Considerato che ha documentato di essere iscritto
all'«Ilustre Colegio de Abogados» di Barcellona
(Spagna);
Considerato che
l'accesso alla professione di avvocato in Spagna non
presuppone alcuna esperienza lavorativa, essendo fondata
esclusivamente sulle «qualifiche accademiche» del
laureato, sicche' queste ultime sono sufficienti per
poter decretare l'esistenza della «qualifica
professionale» del titolare di un diploma di laurea;
Ritenuto che il
certificato di omologazione di cui sopra non puo' essere
considerato un «mero atto formale» oppure una «semplice
omologazione» del diploma di laurea acquisito in Italia,
rappresentando piuttosto l'attestazione ufficiale di
qualifiche supplementari acquisite in diritto spagnolo;
Ritenuto, piu'
in particolare, che il superamento dei suddetti esami ed
il conseguente certificato di omologa possano essere
qualificati quale formazione aggiuntiva conseguita in
altro stato membro in quanto costituiscono un ciclo di
studi autonomo in diritto spagnolo, diverso e distinto
rispetto al percorso seguito in Italia per l'ottenimento
del diploma di laurea;
Ritenuto,
pertanto, che la fattispecie non e' riconducibile
nell'ambito di previsione di cui alla sopra citata
pronuncia della Corte di giustizia, essendo stata
riscontrata una formazione professionale aggiuntiva
acquisita in Spagna e che, pertanto, sussistono i
presupposti per l'applicazione della direttiva
comunitaria relativa al riconoscimento delle qualifiche
professionali con conseguente riconoscimento del titolo
di «Abogado» ai fini dell'accesso e/o esercizio della
professione di avvocato in Italia;".
d) La direttiva 98/5 sulla libertà di
stabilimento degli Avvocati
Il diritto di servirsi in Italia del titolo di
Abogado ai fini dell'esercizio della professione
stabilmente nello Stato Membro ospitante è previsto
nella direttiva 98/5:
L'art 1 della
direttiva 98/5/CE recita: "ai fini della presente
direttiva, si intende per a) avvocato, ogni persona,
avente la cittadinanza di uno Stato membro, che sia
abilitata ad esercitare le proprie attività
professionali facendo uso di uno dei seguenti titoli
professionali: ( .. ) abogado ( .. )".
L'art. 2 della
direttiva 98/5/CE stabilisce che "Gli avvocati hanno il
diritto di esercitare stabilmente le attività di
avvocato precisate all'articolo 5 in tutti gli altri
Stati membri con il proprio titolo professionale di
origine."
L'art. 3 della
direttiva 98/5/CE stabilisce inoltre che "L'avvocato che
intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello
nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale
deve iscriversi presso l'autorità competente di detto
Stato membro." E che pertanto "L'autorità competente
dello Stato membro ospitante procede all'iscrizione
dell'avvocato su presentazione del documento
attestante l'iscrizione di questi presso la
corrispondente autorità competente dello Stato membro
di origine."
Attualmente, alcuni
C.O.A. ostacolano l'esercizio di tale diritto, alla luce
della normativa e della giurisprudenza applicabili,
illegittimamente. Infatti, la Corte di giustizia,
interprete autentico dei trattati e della normativa
europea, nella sentenza C-193/05 ha spiegato, con
specifico riferimento alle procedure di iscrizione
presso lo Stato Membro ospitante previste nell'art. 3
della direttiva 98/5, lo spirito del legislatore
comunitario:
"Il legislatore
comunitario (..) con tale articolo ha realizzato
l'armonizzazione completa dei requisiti richiesti a
priori ai fini dell'esercizio del diritto conferito
dalla direttiva 98/5, prevedendo la presentazione
all'autorità competente dello Stato membro ospitante di
un certificato di iscrizione presso l'autorità
competente dello Stato membro d'origine quale unico
requisito cui deve essere subordinata l'iscrizione
dell'interessato nello Stato membro ospitante, che gli
consente di ivi esercitare con il suo titolo
professionale d'origine.
Il legislatore
comunitario, al fine di facilitare l'esercizio della
libertà fondamentale di stabilimento di una determinata
categoria di avvocati migranti, ha preferito non
optare per un sistema di controllo a priori delle
conoscenze degli interessati.
Tale rinuncia ad
un sistema di controllo a priori delle conoscenze,
in particolare linguistiche, dell'avvocato europeo
coesiste, tuttavia, nella direttiva 98/5, con una serie
di norme volte a garantire, ad un livello accettabile
nella Comunità, la protezione degli assistiti ed una
buona amministrazione della giustizia."
Il punto 38 della
medesima sentenza, peraltro chiarisce che "Tale tesi
trova conferma nell'esposizione dei motivi della
proposta di direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio intesa a facilitare l'esercizio permanente
della professione di avvocato in uno Stato membro
diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica
[COM(94) 572 def.], ove, nel commento all'art. 3, si
precisa che « [l]'iscrizione [presso l'autorità
competente dello Stato membro ospitante] si verifica di
diritto [ "automaticamente" nelle versioni Spagnola e
Inglese ] qualora il richiedente presenti il documento
attestante la propria iscrizione presso l'autorità
competente dello Stato membro di origine»."
L'estensione
dell'obbligo di risultato imposto dalle direttive, come
emerge dalla sentenza C-14/1983, riguarda ogni organo di
ciascuno Stato Membro.
"Benche l'art. 189,3* comma del trattato lasci agli
stati membri la liberta di scegliere il modo ed i mezzi
destinati a garantire l'attuazione della direttiva,
questa liberta nulla toglie all'obbligo, per ciascuno
degli stati destinatari, di adottare, nell'ambito del
proprio ordinamento giuridico, tutti i provvedimenti
necessari per garantire la piena efficacia della
direttiva, conformemente allo scopo ch'essa persegue.
L'obbligo degli stati membri, derivante da una
direttiva, di conseguire il risultato da questa
contemplato, come pure l'obbligo loro imposto dall' art.
5 del trattato di adottare tutti i provvedimenti
generali o particolari atti a garantire l'adempimento di
tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli
stati membri ( ordini degli avvocati inclusi ), ivi
compresi, nell ' ambito di loro competenza, quelli
giurisdizionali. Ne consegue che, nell'applicare il
diritto nazionale, e in particolare la
legge espressamente adottata per l'attuazione di una
direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il
proprio diritto alla luce della lettera e dello scopo
della direttiva onde conseguire il risultato contemplato
dall ' art. 189,3* comma".
Stante la accertata
validità del titolo di "Abogado" acquisito in Spagna in
seguito ad una formazione supplementare ( C-118/09 ), se
ne deduce che la prassi attualmente seguita da alcuni
C.O.A. di subordinare l'iscrizione all'albo a requisiti
di qualificazione ulteriori a quelli previsti ( cioè
il certificato d'iscrizione all'ordine dello Stato
Membro d'origine, eventualmente accompagnato da
traduzione asseverata ), quali l'aver risposto ad
appositi questionari, verifiche sulla conoscenza della
lingua Spagnola o su altre conocenze in diritto,
documentazione relativa allo svolgimento della
professione in Spagna.. risulta contraria non solo al
diritto comunitario, ma anche al diritto interno.
Infatti, nell'ordinamento Italiano, fu data corretta
attuazione all'art. 3 della direttiva 98/5 mediante
l'art. 6 del d.lgs. 96/2001. Tale articolo evidentemente
non lascia spazio alla discrezionalità nella valutazione
dei requisiti ivi tassativamente indicati, pertanto, in
presenza dei medesimi, trattandosi di attività
vincolata, al C.O.A. non resta che ordinare
l'iscrizione, corrispondente ad un diritto soggettivo
del richiedente.
Art. 6.3 "La
domanda di iscrizione deve essere corredata dai seguenti
documenti: a) certificato di cittadinanza di uno Stato
membro della Unione europea o dichiarazione sostitutiva;
b) certificato di residenza o dichiarazione sostitutiva
ovvero dichiarazione dell'istante con la indicazione del
domicilio professionale; c) attestato di iscrizione alla
organizzazione professionale dello Stato membro di
origine, rilasciato in data non antecedente a tre mesi
dalla data di presentazione, o dichiarazione
sostitutiva."
Art. 6.6 "Il
Consiglio dell'ordine, entro trenta giorni dalla data di
presentazione della domanda o dalla sua integrazione,
accertata la sussistenza delle condizioni richieste,
qualora non ostino motivi di incompatibilita', ordina
l'iscrizione nella sezione speciale dell'albo e ne da'
comunicazione alla corrispondente autorita' dello Stato
membro di origine."
Art. 6.7 "Il
rigetto della domanda non puo' essere pronunciato se non
dopo avere sentito l'interessato. La deliberazione e'
motivata ed e' notificata in copia integrale entro
quindici giorni all'interessato ed al procuratore della
Repubblica ai sensi e per gli effetti di cui al quinto
comma dell'art. 31 del regio decreto-legge n. 1578 del
1933, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 36
del 1934, e successive modificazioni. "
In base all'art. 12 delle disp. prel. al c.c.
"Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire
altro senso che quello fatto palese dal significato
proprio delle parole secondo la connessione di esse, e
dalla intenzione del legislatore."
Per converso, come
emerge, letteralmente, dal combinato degli artt. 6.6 e
6.7 del d.lgs 96/2001 il C.O.A. può denegare
l'iscrizione alla sezione avvocati stabiliti dell'albo
esclusivamente in due casi, cioè per (a) mancanza delle
condizioni richieste (b) il sussistere motivi di
incompatibilità. Ma fuori da tali casi qualsiasi C.O.A.
dovrebbe iscrivere, pena l'evidente illegittimità
dell'eventuale provvedimento di diniego. Peraltro
suscettibile di tutela risarcitoria.
"L'illegittimo
rifiuto della domanda di iscrizione all'albo
professionale comporta la responsabilità del Consiglio
dell'Ordine per i danni subiti dal professionista a
seguito della mancata iscrizione" (Trib. Roma, 3
febbraio 1994, in Gius, 1994, fasc. 8, 221).
Questa sentenza è
stata confermata dalla Suprema Corte: "L'illegittimo
rifiuto di iscrizione ad un albo professionale opposto
dal competente consiglio provinciale dell'ordine è
lesivo "ab origine" del diritto soggettivo ad ottenere
la richiesta iscrizione, e costituisce un fatto illecito
potenzialmente produttivo di un danno ingiusto, tale da
legittimare l'esperimento di un'azione risarcitoria
dinanzi all'Ago, indipendente dalla eventualità che
l'interessato possa ottenere dal competente ordine
professionale sovraordinato una pronuncia di
annullamento dell'illegittimo rifiuto opposto, nonché
un'ulteriore statuizione del giudice amministrativo in
relazione all'eventuale inottemperanza alla decisione di
annullamento. (Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 85
dell'8 gennaio 1999; Part: Ordine degli ingegneri della
Provincia di Roma c. Andriani).
Trattasi di
Fattispecie in tema di illegittimo rifiuto di iscrizione
all'albo degli ingegneri avverso il quale il richiedente
aveva, dapprima, proposto vittorioso ricorso al
consiglio nazionale dell'ordine e, successivamente, a
seguito di inosservanza alla decisione di tale organo da
parte del consiglio provinciale, instaurato giudizio di
ottemperanza ex art. 27, n. 4, del T.U. sul Consiglio di
Stato dinanzi al Tar. La S.C., nel confermare la
decisione del giudice di merito che aveva accolto
l'istanza risarcitoria conseguentemente coltivata
dall'ingegnere, ha affermato il principio di diritto di
cui in massima.
Con l'evidente
finalità di legittimare la prassi contraria al diritto
comunitario, di chiedere requisiti ulteriori a chi
intenda stabilirsi ai sensi della direttiva 98/5, i due
senatori Mazzatorta e Divina hanno recentemente proposto
l'introduzione nel disegno di legge 1098/A, di riforma
della professione forense, già approvato al Senato,
l'art.16.4:
«L'iscrizione nella sezione speciale dell'albo ai sensi
dell'articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001,
n. 96 può essere subordinata dal Consiglio dell'ordine
alla presentazione di apposita documentazione
comprovante l'esercizio della professione nel paese di
origine per un congruo periodo di tempo».
Purtroppo per loro,
ove tale articolo del disegno di riforma divenisse
legge, data la sua contrarietà all'art. 3 della
direttiva 98/5 come interpretato dalla Corte di
Giustizia nella sentenza C-193/05 e vista la Sentenza
Fratelli Costanzo C-103/1988, dovrebbe essere
disapplicato oltre che dal giudice, già a monte
dall'autorità amministrativa.
Nella Sentenza
Fratelli Costanzo C-103/1988 dopo aver ricordato come
già in passato la Corte abbia considerato che "in tutti
i casi in cui alcune disposizioni di una direttiva
appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate
e sufficientemente precise, i singoli possono farle
valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti
dello Stato, sia che questo non abbia recepito
tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale
sia che l'abbia recepita in modo inadeguato", i
giudici comunitari affermarono che "il motivo per cui
i singoli possono far valere le disposizioni di una
direttiva dinanzi ai giudici nazionali ove sussistano i
detti presupposti, è che gli obblighi derivanti da tali
disposizioni valgono per tutte le autorità degli Stati
membri" e dichiararono che "sarebbe, peraltro,
contraddittorio statuire che i singoli possono invocare
dinanzi ai giudici nazionali le disposizioni di una
direttiva aventi i requisiti sopra
menzionati, allo scopo di far
censurare l'operato dell'amministrazione, e al
contempo ritenere che l'amministrazione non è tenuta ad
applicare le disposizioni della direttiva disapplicando
le norme nazionali ad essa non conformi. Ne segue che,
qualora sussistano i presupposti necessari, secondo
la giurisprudenza della corte, affinchè le disposizioni
di una direttiva siano invocabili dai singoli dinanzi ai
giudici nazionali, tutti gli organi
dell'amministrazione, compresi quelli degli enti
territoriali, come i comuni, sono tenuti ad applicare le
suddette disposizioni".
Alla luce delle
tendenze "anti-europeiste" espresse nell'art. 16.4 del
disegno di legge 1098/A, di riforma della professione
forense, data la sua evidente contrarietà al diritto
comunitario, al fine di garantire l'effettività dei
diritti sanciti dalla direttiva 98/5 nonostante
l'ostruzionismo posto dalle autorità amministrative,
tornano alla ribalta oltre che la giurisprudenza appena
citata anche le decisioni adottate dalla Corte in due
sentenze risalenti a quasi trent'anni fa relative
all'applicazione della direttiva 78/1026 ( sul
"reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed
altri titoli di veterinario" ) oggi confluita, come la
direttiva 89/48, nella più recente 2005/36. In tali
sentenze, la Corte, in virtù dei diritti garantiti ai
singoli da direttive le cui norme siano "chiare e
sufficientemente precise" ha escluso che uno Stato
Membro possa impedire l'esercizio della professione o
imporre sanzioni penali ed amministrative, al
veterinario che eserciti senza essere iscritto all'albo
allorchè tale iscrizione, ritualmente richiesta secundum
legem, sia stata, da parte delle autorità di tale Stato
Membro, illegittimamente denegata.
Si noti, a
riguardo, l'eloquente dispositivo della Sentenza Auer
C-271/1982, in base al quale "L a mancata iscrizione
all'ordine nazionale dei veterinari non puo impedire
l'esercizio della professione ne dar luogo ad un
procedimento penale per esercizio abusivo della
professione quando l'iscrizione stessa e stata rifiutata
trasgredendo il diritto comunitario".
I principi alla
base di tale decisione sono stati ribaditi, poco dopo,
nella Sentenza Rienks C-5/1983, ove la Corte ha
chiarito, in linea di massima, che "Non si puo rifiutare
l'iscrizione all'albo dell'ordine professionale per
motivi che ignorano la validita di un titolo
professionale ottenuto in altro stato membro, quando
questo titolo figura fra quelli che tutti gli stati
membri, nonche i loro ordini professionali, in quanto
enti incaricati di una funzione pubblica, sono tenuti a
riconoscere in forza del diritto comunitario". "Di
conseguenza", ha proseguito la Corte, "la legislazione
che contempli azioni penali o amministrative a carico
del veterinario che eserciti la professione senza essere
iscritto all'albo professionale, qualora tale iscrizione
gli sia stata rifiutata trasgredendo il diritto
comunitario, è incompatibile con lo stesso diritto in
quanto finisce col privare di qualsiasi efficacia
pratica le disposizioni del trattato e della direttiva
n. 78/1026".
Peraltro, in tema
di esercizio della professione in forza di diritti
attribuiti dalle norme "sufficientemente chiare ed
incondizionate" di una direttiva, nonostante
l'illegittimo rifiuto dell'iscrizione all'albo da parte
del consiglio dell'ordine professionale, nella misura in
cui esso sia contrario al diritto comunitario, anche la
Corte di Giustizia concorda sulla risarcibilità
dell'illecito.
A riguardo, nella
Sentenza Brasserie du Pêcheur SA, cause riunite C-46/93
e C-48/93, la Corte ha chiarito che "L'applicazione del
principio secondo cui gli Stati membri sono tenuti a
risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni
del diritto comunitario ad essi imputabili non può
essere esclusa qualora la violazione riguardi una norma
di diritto comunitario direttamente efficace.
Infatti, la facoltà degli amministrati di far valere
dinanzi ai giudici nazionali le disposizioni del
Trattato direttamente applicabili costituisce solo una
garanzia minima e non è di per sé sufficiente ad
assicurare la piena e totale applicazione del diritto
comunitario. Questa facoltà, intesa a far prevalere
l'applicazione di norme di diritto comunitario rispetto
a quella di norme nazionali, non è sempre idonea a
garantire al singolo i diritti attribuitigli dal diritto
comunitario e, in particolare, a scongiurare il
verificarsi di un danno conseguente ad una violazione di
tale diritto imputabile a uno Stato membro."
»
Conclusioni giuridiche «
Quello di cui è titolare un "Abogado" in possesso di una
"Laurea in Giurisprudenza" nonchè di un "Certificato di
Omologazione" della medesima al corrispondente titolo
spagnolo di "Licenciado en Derecho" ( in virtù della
formazione supplementare che sancisce, fondata su esami
integrativi, al superamento dei quali è attualmente
subordinata l'omologazione stessa ) come specificato
dalla Corte di Giustizia nella recentemente emanata
Sentenza Koller C-118/09 ( punti 32 - 35, pagine 7 e 8 )
è a tutti gli effetti, un "attestato di competenza" ai
sensi della direttiva 2005/36/CE ( fu "diploma" ai sensi
della direttiva 89/48 ), il che rende inapplicabili
le considerazioni relative all'abuso del diritto
espresse nella Sentenza Consiglio Nazionale degli
Ingegneri vs Cavallera C-311/06 ( punti 51 - 58,
pagine 3, 4 e 5 ).
Pertanto il diritto
di servirsi in Italia del titolo di Abogado ai fini
dell'accesso alla professione di "Avvocato" previo
superamento di una prova attitudinale ai sensi della
direttiva 2005/36 ( fu 89/48 ) nonchè ai fini
dell'esercizio della professione, con carattere stabile,
nello Stato Membro ospitante, alle condizioni previste
nella direttiva 98/5, alla luce della normativa e della
giurisprudenza applicabili, non dovrebbe essere
subordinato ad ulteriori oneri dalle autorità dello
Stato Membro ospitante, poichè ove lo fosse ciò
avverrebbe illegittimamente.
L'art. 6 del d.lgs.
96/2001, emanato in attuazione dell'art. 3 della
direttiva 98/5/CE, in virtù del "principio di
interpretazione conforme al diritto comunitario" nonché
dei "canoni interpretativi" stabiliti dall'art. 12 prel
c. c. va interpretato nel senso che regola un meccanismo
d'iscrizione in virtù del quale la medesima deve
realizzarsi, per una precisa scelta in tal senso delle
istituzioni comunitarie, di diritto dietro presentazione
del solo certificato d'iscrizione all'ordine dello Stato
Membro di origine ( eventualmente accompagnato da
requisiti accessori quali la traduzione asseverata del
medesimo ).
Del resto, come
emerge dal combinato degli artt. 6.6 e 6.7 del d.lgs.
96/2001 (a) sussistendo le condizioni previste dalla
legge per l'iscrizione e, (b) in assenza di cause di
incompatibilità, il consiglio dell'ordine, trattandosi,
evidentemente, di attività vincolata, dovrebbe iscrivere
e non denegare la domanda d'iscrizione alla sezione
speciale dell'albo, dedicata agli stabiliti, pena
l'illegittimità dell'eventuale provvedimento di diniego,
il cui conseguente danno è risarcibile.
» Considerazioni personali «
Si è dimostrato che la Sentenza Cavallera ( C-311/06
) di per sè, non è invocabile per denegare la richiesta
d'iscrizione dell'Abogado in possesso di una "Laurea in
Giurisprudenza" e di un "Certificato di Omologazione"
della medesima al corrispondente titolo spagnolo di
"Licenciado en Derecho" che, una volta iscritto all'albo
Spagnolo, chieda l'iscrizione presso l'albo Italiano ai
sensi della direttiva 98/5, ciò nella misura in cui il
rilascio dell'omologazione in Spagna sia subordinata,
almeno, all'acquisizione di una formazione nell'ambito
del sistema d'istruzione Spagnolo.
Il dispositivo
della sentenza Cavallera, infatti, non esige, in ogni
caso, che la spendibilità del titolo professionale
rilasciato da uno Stato Membro, per iscriversi presso
l'autorità di un secondo Stato Membro, richieda che tale
titolo attesti necessariamente anche un'esperienza
professionale svolta nel primo Stato Membro, essendo
sufficiente, che tale titolo professionale sia ottenuto
in seguito al superamento di un esame che sanisca una
formazione impartita nel sistema d'istruzione del primo
Stato Membro.
Ciònonostante, il
parere del C.N.F. n. 17/2009, che, di per sè, da una
ineccepibile interpretazione delle statuizioni della
Corte nel caso Cavallera, di fatto, per ignoranza o
malafede, è impropriamente richiamato da parte di alcuni
ordini territoriali per giustificare provvedimenti di
diniego della domanda d'iscrizione all'albo ai sensi
dell'art. 6 del d.lgs. 96/2001 solo perchè il
richiedente non ha esercitato la professione in Spagna
per un "congruo" periodo, ciò benchè il rilascio del
"Certificato di Omologazione" del titolo di "Laurea in
giurisprudenza" dei richiedenti al corrispondente
spagnolo di "Licenciado en Derecho" sancisca una
formazione impartita in Spagna fondata sul superamento
di esami integrativi.
Che tali
provvedimenti di diniego attualmente emanati dai C.O.A.
siano illegittimi se già prima era facilmente deducibile
leggendo il dispositivo della Sentenza Cavallera (
C-311/06 ), ora risulta palese alla luce delle
motivazioni della Sentenza Koller ( C-118/09 ) nella
quale, contrariamente a quanto avvenne nel caso
Cavallera, la Corte ha escluso che possa parlarsi di
abuso del diritto comunitario allorchè il rilascio del
"Certificato di omologa" al titolo Spagnolo di "Licenciado
en Derecho" del titolo di "Laurea in Giurisprudenza" sia
subordinato al superamento di "Esami integrativi" in
diritto Spagnolo, risultando, come ( non ) emerge dalle
motivazioni, irrilevante ai fini della decisione che il
Sig. Koller abbia esercitato la professione in Spagna
per ventuno giorni, fatto naturale ma, come si può
intuitivamente comprendere, inidoneo a produrre effetti
giuridici ( la circostanza è stata menzionata nel
dispositivo della sentenza Koller unicamente per
rispondere compiutamente alla domanda pregiudiziale
formulata dal giudice austriaco ).
Autore: Luca Cortese |