Cosa
si debba intendere per “irregolarità della condotta e
del carattere” risulta di difficile individuazione.
L’irregolarità della condotta e del carattere deve
essere rapportata con il dovere implicito di obbedienza
che ricorre in capo ai figli nei confronti dei genitori
(art. 358 c.c.) anche in relazione alla sussistenza del
un dovere di questi ultimi di istruire ed educare la
prole (art. 147 c.c.). Essa tuttavia assume un ambito
più ampio rispetto a quello endofamiliare, in
considerazione della legittimazione attiva dell’istituto
e degli obblighi di obbedienza ai quali il minore è
tenuto in qualsiasi ambito sociale in cui entra a far
parte. Di conseguenza, per irregolarità della condotta
del minorenne, deve intendersi una violazione rilevante
all’obbligo di obbedienza ed in generale alla buona
condotta del minorenne. La “condotta” si riferisce a
quelle componenti del comportamento che si manifestano
in modo occasionale mentre per “carattere” deve
intendersi l’insieme delle indoli morali volte a
costituire la persona nella sua individualità, formate
sia da elementi caratteriali persistenti che evolutivi.
Diversamente, deve ritenersi del tutto caducata la
ricorribilità ex art. 25, r.d. 1404/1934 per far fronte
a tutte quelle situazioni in cui il minore manifesti una
propria volontà in modo difforme da quella dei genitori
o di coloro che ne facciano le veci. In nostro
ordinamento ha infatti riconosciuto, anche in capo ai
minori, la piena operatività dei diritti della
personalità, specificamente previsti dalla costituzione
e dalle convenzioni internazionali in materia di diritti
umani (in particolare, dalla convenzione di New York del
20.11.1989, rat. l. 27.5.1991 n. 176). Legittimati a
ricorrere al Tribunale dei minorenni sono, oltreché i
genitori, il Procuratore della Repubblica, i servizi
sociali minorili, il tutore e gli organismi di
educazione, di protezione e di assistenza dell'infanzia
e dell’adolescenza (tra i quali, principalmente, la
scuola). La legge si riferisce espressamente ai minori
degli anni diciotto, tuttavia rimane dubbio se il
ricorso possa essere proposto anche nei confronti di un
minore emancipato. Il decreto del Tribunale dei
minorenni può disporre una delle seguenti sanzioni
civili: 1) affidamento del minore al servizio sociale
minorile, 2) collocamento in una casa di rieducazione od
in un istituto medico psico pedagogico. La seconda
soluzione appare in ogni caso non più realizzabile, in
virtù dei mutamenti avvenuti sotto il profilo giuridico
e sociale in materia di tutela dei minori ed in
particolare, in virtù degli obiettivi sanciti dalla l.
28.3.2001 n. 149 (art. 2, 4° co., l. 184/1983).
Conseguentemente devono ritenersi decadute, tutte le
norme che facciano riferimento a tale disposizione. Al
posto del collocamento in una “casa di rieducazione” o
di un “istituto medico psico pedagogico”, può certamente
essere disposto un collocamento eterofamiliare del
minore ad un istituto pubblico o privato di educazione,
ma a tale adempimento, i genitori, possono provvedere
autonomamente, in virtù dell’esercizio della loro
podestà genitoriale, senza che sia necessario
l’intervento del Tribunale dei minorenni. Viceversa, il
collocamento disposto dal Tribunale dei minorenni senza
il consenso dei genitori ed al di fuori delle ipotesi in
cui siano applicabili misure di natura penale (presupponenti
quindi la commissione di un grave fatto illecito da
parte del minore) deve ritenersi del tutto illegittimo
poiché contrario ai principi sanciti dall’art. 25 cost.
Sul punto và anche ricordato che la Corte costituzionale
ha dichiarato inapplicabile ai minori la misura del
ricovero in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario (Cort.
cost. 24.7.1998 n. 324, CP 1998, 3214). Relativamente
all’applicazione della prima soluzione (affidamento ai
servizi sociali), occorre preliminarmente evidenziare
che la sanzione in esame non costituisce una misura di
carattere penale e neppure una misura di prevenzione
poiché non presuppone necessariamente la commissione di
un fatto costituente reato né la pericolosità sociale
del minore, per lo meno nell’ipotesi di applicazione
diretta dell’art. 25, r.d. 1404/1934 (non altrettanto
nei casi previsti dall’art. 26, r.d. 1404/1934). La
disciplina dell’affidamento del minore al servizio
sociale si discosta da quella degli affidamenti
eterofamiliari previsti dal titolo I bis della l.
4.5.1983, n. 184 per due ragioni: In primo luogo, in
questo caso, il soggetto affidatario è necessariamente
costituito dai servizi sociali e non dagli altri
soggetti previsti dall’art. 2, l. 184/1983. In secondo
luogo, l’affidamento ai servizi sociali non comporta
necessariamente l’allontanamento del minore dal proprio
nucleo familiare bensì, piuttosto, deve ritenersi che i
servizi sociali debbano, nella maggior parte dei casi,
affiancarsi ai genitori al fine di provvedere alla
rieducazione del figlio minore (Vercellone 2002, 967).
Il tenore della legge, in ogni caso, non esclude che il
figlio minore possa essere temporaneamente allontanato
dal proprio ambiente familiare ed in questo caso, le
spese di mantenimento sono interamente poste a carico
dei genitori o di coloro che ne facciano le veci, in tal
modo distinguendosi ulteriormente dall’affidamento ex
art. 2, l. 184/1983. L’affidamento eterofamiliare ex
art. 2, l. 184/1983 ha carattere sanzionatorio nei
confronti dei genitori mentre il provvedimento ex art.
25, r.d. 1404/1934 (soprattutto laddove sia introdotto
dai genitori stessi), ha carattere rieducativo nei
confronti del minore.
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