Sul problema droga, alcol e violenza collegata, ho
l’impressione che non si voglia inquadrare in maniera
comprensibile il massacro cui vanno soggetti soprattutto
i più giovani.
Esiste un tentativo piuttosto timido di indicare un
certo precariato sociale, quella parte di collettività
che rimane fuori dal mercato del lavoro, mentre sul
precariato inteso come mondo adolescenziale e giovane
adulto è calata una cappa, costringendoli all’indietro,
come a voler nascondere i cedimenti che hanno prodotto
un futuro che sembra non attenderli più.
Qualcuno sostiene che ci sono due milioni di ragazzi che
non frequentano la scuola, non vanno al lavoro, non
fanno volontariato, non svolgono nulla che non sia un
girovagare sotto vuoto spinto, due milioni di nomadi in
una comunità assente, costretta a guardare da un’altra
parte, a pensare a se stessa e poco agli altri, tanto
meno ai propri figli che domani ne prenderanno il posto
di educatori.
Si tratta di una degenerazione che non è riconducibile
ai guasti di una globalizzazione usata male, dalle leggi
del mercato mondiale oppresso dall’ appetito cannibalico
in preda all’ansia di guadagno.
C’è qualcosa di più a fare da ponte a questo scollamento
di valori e solidarietà che integra le differenze.
Giovani dislocati qua e là, in città e in periferia, a
volte ritardano, altre si perdono, in qualche occasione
non tornano più, e mentre tutto questo si cristallizza
intorno a noi, l’opinione diffusa è che la maggioranza
dei giovani è stanca di stare a guardare, di rimanere
all’angolo con la faccia al muro per colpe non sempre
riconducibili alla loro immaturità.
I pensieri assumono riflessi contrastanti, sono curve
che dapprima accecano, poi addormentano, infine rendono
il presente una sequela di domani sfornati in serie
dalla noia e dalla disistima.
La fascinazione delle droghe, tante, variopinte,
nascoste e in bella mostra, al costo accettabile, sempre
più accessibile, in centro si comprano e qualche volta
si vendono, fuori dalle mura urbane ognuno ha la sua
merce, ciascuno possiede l’illusione pregiata per ogni
circostanza, per chi non fatica sui banchi di scuola,
nei campi da arare, per chi non sa sudare e per chi non
sa accompagnare chi è in avaria.
Società dei valori da re-inventare, una collettività per
un verso intontita e per l’altro in bilico, al punto da
non saper riconoscere quei valori di cui parla, che già
ci sono, lì, semiassiderati dal freddo
dell’indifferenza.
Una società da bere, da sniffare, da fumare, che
persiste a debordare sulle irresponsabilità assunte a
giustificazioni dai contendenti ubriachi di adrenalina a
basso costo.
Eppure tutto questo non deve metterci knock down, o
farci sentire indegni e sprofondare nell’abulia, occorre
diventare protagonisti attivi a tal punto da assumere in
prima persona questo ruolo, ciò per tentare di spostare
l’asse di coordinamento sociale, basata per lo più su
un’accettazione di illegalità diffusa.
Ora più che mai è necessario richiamare tutte le energie
interiori rimaste per fare adultità, ma farlo significa
non rimanere nei rifugi disposti a misura, ma affondare
le braccia fino ai gomiti nel male e nell’ingiusto, nei
sacrifici e nelle rinunce, senza paura di sporcarsele, e
non accettarci più supinamente per quello che siamo
diventati.
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