Il principio di
riserva di legge esprime il divieto di punire un
determinato fatto in assenza di una legge che lo
configuri come reato.
Individuando nella legge l’unica e sola fonte normativa
in materia penale, di fatto esso tende a
garantire i cittadini dagli abusi del potere
esecutivo, al quale non è consentita l’emanazione di
norme penali.
Doveroso, a tal proposito, ragionare circa la portata della riserva di legge sancita dall’art. 25,
comma 2, della Costituzione; più precisamente, si tratta
di stabilire se come legge vada intesa esclusivamente la
legge formale del Parlamento, ovvero se siano
ammissibili, come fonti del diritto penale, anche le
leggi in senso materiale, cioè i decreti legge e le
leggi delegate.
Parte della dottrina sostiene che tali atti
non possano contenere norme penali, poiché, se così
fosse, risulterebbero
“….eluse, o quanto meno attenuate, le stesse garanzie
implicite nella riserva della competenza penale al
Parlamento, consistenti anche nel permettere
effettivamente alle minoranze di sindacare le scelte di
criminalizzazione operate dal legislatore”.
Fiandaca, Musco, Diritto Penale –Parte Generale-,
Bologna 1995, pag. 54
D’altro canto, l’opinione prevalente ammette, tra le
fonti del diritto penale, anche le leggi in
senso sostanziale sulla base di un duplice
assunto: in primo luogo, la delega legislativa, oltre a
rispondere ad esigenze pratiche nella normazione penale,
è necessariamente subordinata a dei limiti che vincolano
l’esercizio della potestà delegata e che permettono
quindi un adeguato controllo da parte della Corte
Costituzionale circa il rispetto della volontà del
legislatore (Padovani, Diritto Penale, Milano, 2006); in
secondo luogo, dato che lo stesso ordinamento
costituzionale riconosce efficacia, pari a quella delle
leggi ordinarie, anche al decreto legislativo (art. 76
Costituzione) e al decreto legge (art. 77 Costituzione),
questi vanno annoverati fra le fonti del diritto penale.
Dottrina e giurisprudenza paiono, invece, in sintonia
circa il monopolio statale in materia penale, escludendo
dal novero delle fonti la legge regionale, sia nelle
ipotesi di competenza esclusiva, sia in quelle di
competenza concorrente ex art. 117 Costituzione.
Fa eccezione, peraltro, Corte
Costituzionale, 25.06.1957, n. 104, che ha
ritenuto competente la Regione Sicilia a presidiare con
sanzioni penali la propria legge elettorale:
“La Corte è pertanto d'avviso che sia giustificato e
risponda ad una razionale interpretazione dell'art. 3
dello Statuto siciliano, ritenere che l'attribuzione di
competenza ad emanare la legge per le elezioni dei
deputati all'Assemblea regionale, si riferisca alla
legge elettorale nel suo complesso, considerata cioè
nella sua tradizionale struttura, comprendente quindi
sia i precetti e i divieti concernenti le operazioni
elettorali, sia le disposizioni di carattere penale che,
per quanto si è detto, vi sono connesse. Com'è chiaro,
dopo quanto si è esposto, si tratta di attribuzione di
competenza legislativa di carattere eccezionale, che
deroga, per la materia in esame, al principio generale
che si ricava dall'art. 25 della Costituzione, secondo
quanto ha già ritenuto questa Corte”.
Corte Cost., 25.06.1957, n. 104
In considerazione dei diritti che vengono toccati, primo
fra tutti la libertà personale, e avuto
riguardo all’esigenza di unità dell’ordinamento statale
(art. 5 Costituzione) e all’uguaglianza dei cittadini
(art. 3 Costituzione), resterebbe inammissibile
riconoscere alle singole Regioni potestà legislativa in
materia penale:
“Il potere legislativo penale appartiene soltanto
allo Stato, principalmente in virtù di un principio
generale che trova fondamento soprattutto nella
particolare natura delle restrizioni della sfera
giuridica che si infliggono mediante la pena. La quale
incide sugli attributi e beni fondamentali della persona
umana, in primo luogo sulla libertà personale; onde la
necessità che tali restrizioni siano da stabilirsi in
base a una generale e comune valutazione degli interessi
della vita sociale, quale può essere compiuta soltanto
dalla legge dello Stato. Il principio discende inoltre
da altri criteri informatori della Costituzione, quali
sono consacrati nelle norme generali, e nell'art. 3, che
garantisce l'uguaglianza dei cittadini davanti alla
legge, e nell'art. 5, che consacra l'unità politica
dello Stato proclamando che la Repubblica è "una ed
indivisibile". La competenza esclusiva dello Stato a
legiferare in un campo, che attiene a quella
salvaguardia dei diritti fondamentali dell'uomo che la
Costituzione afferma e pone anzi a base di tutto
l'ordinamento giuridico dello Stato, trova conferma
nella disposizione specifica dell'art. 25, comma 2 :
"Nessuno può essere punito se non in forza di una leggè
che sia entrata in vigore prima del fatto commesso". Si
è osservato che questa disposizione è diretta ad
affermare il principio della irretroattività della legge
penale; ma il fatto che il 2 comma dell'art. 25 affermi
questo principio non porta alla conseguenza e non
esclude che contemporaneamente ne ha affermato un altro,
quello della riserva della legge statale. In proposito
si obietta: che tale disposizione parla genericamente di
"legge"; che sono leggi formali non soltanto quelle
statali ma anche quelle regionali; e che perciò la norma
contenuta nell'art. 8 della legge sarda impugnata non è
in contrasto con la disposizione dell'art. 25 della
Costituzione, giacché è stata emanata con "legge". Su
questo punto specifico, in un caso simile all'attuale
rispetto alla portata della parola "legge" adoperata
dall'art. 108, comma 1, della Costituzione, la Corte
ebbe esplicitamente a pronunciarsi nella sentenza n. 4,
affermando che quando questo articolo rinvia alla
"legge" la emanazione delle "norme sull'ordinamento
giudiziario e ogni magistratura" si riferisce
sicuramente e non può che riferirsi alla legge dello
Stato. Che allo stesso modo debba intendersi la parola
"legge" quando è adoperata nell'art. 25, comma 2,
risulta dalla natura dei diritti che da esso vengono
toccati, ed è comprovato dalla portata inequivocabile
che ha la stessa parola "legge" quando è adoperata negli
altri due commi dell'art. 25, che trattano di materie le
quali attengono a diritti fondamentali di libertà, e che
perciò sicuramente rientrano nella sfera di competenza
dello Stato "uno e indivisibile". Nel comma 1, dell'art.
25 si prescrive che "nessuno può essere distolto dal
giudice naturale precostituito per leggè", e nel terzo
comma che "nessuno può essere sottoposto a misure di
sicurezza se non nei casi previsti dalla legge". E se si
esaminano tutti gli altri articoli della Costituzione,
nei quali si rinvia puramente e semplicemente alla
"legge" la disciplina dei diritti individuali e delle
funzioni e potestà degli organi costituzionali dello
Stato, si vede che essi si riferiscono sempre alla
"legge statale". In base adunque ai principi generali
contenuti nelle disposizioni degli artt. 3 e 5 della
Costituzione e al principio specifico dettato dall'art.
25, comma 2, si può affermare che la disciplina del
potere punitivo resta riservata allo Stato, e che è del
tutto preclusa alle Regioni, sia a quelle ad ordinamento
comune, sia a quelle a statuto speciale. Soltanto una
deroga espressa avrebbe potuto o potrebbe limitare
l'efficacia di questo principio; ma né nella
Costituzione per le Regioni ad autonomia ordinaria, né
nello Statuto speciale per la Sardegna (art. 35), né
negli Statuti speciali delle altre Regioni ad
ordinamento particolare, vi ha alcuna disposizione che
vi apporti deroghe. Per limitare la portata di tale
principio è stato addotto che la Regione, pur non
potendo innovare al Codice penale né introdurre pene da
quest'ultimo non previste, potrebbe garantire la
efficacia delle norme da essa emanate, configurando con
le sue leggi reati specificamente ed esclusivamente
connessi con materie (quale, nella fattispecie,
l'agricoltura in virtù dell'art. 3 dello Statuto) di
competenza regionale, ed in particolare connettendo
sanzioni penali con la violazione di quei precetti
tecnici, giuridicamente codificati, la cui osservanza
sarebbe necessaria al migliore rendimento delle attività
considerate. Col che la Regione non innoverebbe rispetto
al diritto penale "generale" (che si ammette appartenere
alla competenza esclusiva del legislatore statale), ma
lo integrerebbe con un proprio diritto penale
"speciale", con l'emanazione di norme sanzionatorie
penali complementari, accessorie, integrative, "di
rilievo soltanto contravvenzionale". Si arriverebbe così
a riconoscere indirettamente alle Regioni, sia pur
limitatamente al campo contravvenzionale, una potestà
legislativa attinente al magistero penale, quella
potestà che è ad essa completamente preclusa dai
principi affermati negli artt. 3, 5 e 25 della
Costituzione, e che non è ad alcuna di esse attribuita
né dallo Statuto sardo né dagli altri Statuti speciali.
Orbene una tale potestà non può venire attribuita e
riconosciuta indirettamente alle Regioni, ricorrendo a
distinzioni e a configurazioni di istituti non previsti
nell'ordinamento costituzionale, ed anzi con esso
addirittura contrastanti. Va rilevato anzitutto che nel
sistema della autonomia regionale è la Costituzione che
attribuisce alle Regioni funzioni e potestà determinate,
e che di conseguenza non è possibile che alle Regioni se
ne riconoscano, quasi ad integrazione di quelle avute,
altre ad esse collegate, in base al prospettarsi di
esigenze la cui valutazione spetta in definitiva
soltanto allo Stato. Va altresì rilevato che non è
esatto distinguere tra diritto penale "generale" e
diritto penale "speciale", perché il diritto penale è
unico, sia rispetto all'essenza, al contenuto ed alle
finalità del magistero punitivo, sia riguardo alla fonte
da cui unicamente promana (lo Stato sovrano) ed al
sistema con cui soltanto può esserne regolata la
disciplina (con legge statale). E se il potere punitivo
compete esclusivamente allo Stato, non è possibile
riconoscerne alla Regione una parte, sia pur limitata al
campo contravvenzionale, perché il diritto penale
comprende anche questa parte”.
Corte costituzionale, 26 gennaio 1957, n. 21
Per le implicazioni del principio in tema di concorso di
persone nel reato, si veda
"Il concorso di reati e il
concorso di persone nel reato", Cedam 2011
|