Un giocattolo costoso
Guardi da lontano il sistema delle casse di
previdenza e assistenza dei liberi professionisti e ti
sembra il paradiso.
I
15-20 enti che lo compongono, privatizzati col D. Lgs.
509/1994 o creati ex novo in forza del D. Lgs. 103/19961,dispongono
complessivamente di 30-40 miliardi di patrimonio, godono
di un avanzo annuo di 2-3 miliardi, hanno belle sedi,
fanno bei convegni, hanno età di pensionamento già
elevate, molti giovani iscritti, pochi pensionati, basse
aliquote contributive, pensioni in media di importo
adeguato. Appena ti avvicini, tuttavia, ti rendi conto
che il sistema casse è costoso e minato da problemi
strutturali di difficile soluzione, che ne mettono in
discussione ruolo e funzioni. In questo articolo si
discutono i costi; in uno successivo il ruolo delle
casse nel sistema di welfare e l’imprescindibile
problema delle risorse; Gianni Geroldi, in un
concomitante articolo su questo stesso sito, offre dati
e un’analisi complementari a quelli qui presentati
Il Nucleo di valutazione della spesa previdenziale2
indica in più di 260 milioni annui le spese di
gestione delle casse. L’incidenza di tali spese
sul patrimonio complessivo è di poco meno dell’1%, pur
con sostanziali differenze fra cassa e cassa (da un
minimo dello 0,5% ad un massimo del 3%); l’incidenza
sulla spesa annua per prestazioni è sempre superiore al
4%, quella rapportata al flusso di entrate contributive
annue va dal 3% al 15%. Si tratta di valori elevati, ad
esempio lo standard del sistema previdenziale pubblico è
di spese di gestione contenute nel 2% delle prestazioni
annue.
Oltre a tali costi, vi sono poi da considerare almeno le
perdite finanziarie. Dai dati del
Nucleo, si evince un rendimento sul patrimonio per
l’insieme delle casse in media (semplice) del 3,4% annuo
nel quinquennio 2004-2008. Ma negli anni di crisi dei
mercati finanziari le perdite sono state molto forti, e
qualche cassa ha addirittura perso in un anno più del
10% del suo patrimonio. Recentemente, la Commissione
bicamerale sugli enti previdenziali3 ha
valutato nel 3,42% del patrimonio totale delle casse
l’esposizione diretta o indiretta nel fallimento di
Lehman, con punte superiori al 10% in due casi. D’altra
parte, la Commissione ha evidenziato come le casse
fossero all’inizio della crisi eccessivamente (e
inspiegabilmente, stante la loro funzione) esposte in
titoli strutturati e come facciano spesso uso di
accorgimenti contabili per nascondere le perdite in
bilancio.
Com’è, tuttavia, che, malgrado i costi elevati e le non
infrequenti perdite finanziarie, l’accumulazione delle
casse rimane sostenuta e alimenta l’apparenza di
un sistema in salute? La risposta va distinta a
seconda delle “vecchie” casse del 509 e delle “giovani”
casse del 103. Per le prime, finanziate a ripartizione,
vale soprattutto il fatto che, ancora per qualche anno,
il favorevole rapporto iscritti pensionati genera saldi
positivi, anche se i bilanci tecnici già evidenziano
futuri problemi di sostenibilità finanziaria. Le seconde
godono di un rapporto iscritti pensionati ancora più
favorevole ma, essendo finanziate a capitalizzazione,
con formula contributiva di calcolo delle prestazioni e
tasso di rendimento riconosciuto sui versamenti pari
alla crescita del Pil, costi di gestione eccessivi e
perdite potrebbero evidenziarsi in bilancio
nell’inadeguatezza del patrimonio al pagamento delle
prestazioni future; a salvare i bilanci vi è, tuttavia,
il fatto che solo parte della contribuzione è
riconosciuta ai fini pensionistici: si tratta del
cosiddetto “contributo soggettivo”, pari al 10% del
reddito, mentre l’ulteriore “contributo aggiuntivo”,
pagato dal committente e pari al 2% del valore fatturato
(circa il 3% in termini di reddito), non viene
considerato e rimane a disposizione dell’ente,
rappresentando così un costo nascosto del sistema.
Di fatto, vi è sicuramente un problema di
eccessiva frammentazione del sistema, che moltiplica i
costi e impedisce di sfruttare le economie di scala. Si
pensi che mentre l’Inps, da solo, gestisce più di 20
milioni di posizioni attive e 15 milioni di pensioni, le
casse sono piccole o piccolissime, con la più grande, l’Empam,
a 350mila iscritti e solo altre 5 casse sopra i 35mila;
ma ognuna ha sempre un Presidente, un Direttore
generale, un Consiglio di amministrazione, un organo di
indirizzo e uno di controllo, cui si aggiungono una
nutrita schiera di consulenti (attuari, legali,
informatici, consulenti finanziari, economisti,
comunicatori,…). D’altra parte, checché le stesse casse
cerchino di sfruttare le possibili sinergie e alcuni
progetti di fusione siano portati avanti, la
rivendicazione dell’identità professionale è talmente
forte da fare dell’autonomia di ciascun ente
previdenziale un vero tabù. Peraltro, se a ciò si unisce
la considerazione dell’influenza politica dei
professionisti, si capisce anche la timidezza con la
quale la politica affronta la cosa, timidezza ben
rappresentata dalla cautela con la quale la citata,
peraltro severa, Relazione parlamentare, conclude: “si
ritiene peraltro di non poter escludere a priori la
possibilità di piani di fusione o di accorpamento tra
casse”, a patto, però, “che vi sia una
esplicita manifestazione di volontà espressa in tal
senso dalle casse medesime”.
Si può, però, andare oltre e chiedersi se, stante
l’affermarsi della logica contributiva di calcolo delle
pensioni, nella quale non trova posto né redistribuzione
né solidarietà fra i membri della professione,
abbia senso una previdenza pensionistica categoriale.
In effetti, poiché in un sistema contributivo a
capitalizzazione, qual è quello adottato dalle “nuove”
casse del 103, l’unico interesse del singolo è che il
suo risparmio pensionistico sia investito
opportunamente, forse sarebbe meglio puntare
direttamente su gestori professionali, senza
intermediari, con un’autorità a vigilare sul corretto
investimento del portafoglio, oppure sfruttare la
garanzia pubblica confluendo nell’Inps. Peraltro, le
stesse considerazioni sono applicabili anche alle
“vecchie” casse del 509, che adottano ancora il sistema
retributivo con finanziamento a ripartizione: infatti,
quasi tutte si stanno indirizzando verso l’adozione del
sistema contributivo (sia pur pro-rata), mentre la
solidarietà intergenerazionale insita nel meccanismo di
finanziamento a ripartizione costituisce al momento
quasi un disvalore, stante, da un lato, che tali casse
stanno pagando pensioni di importo elevato a spese delle
nuove generazioni di professionisti, che mai potranno
conseguire pensioni di importi paragonabili agli attuali
e, dall’altro, che il meccanismo di finanziamento a
ripartizione in popolazioni di piccole dimensioni è
sempre rischioso.
Di fatto, l’unico vero vantaggio attualmente offerto
dalla gestione in proprio della funzione pensionistica
da parte delle casse sembra costituito dalle aliquote
contributive estremamente ridotte che, anche
considerando il contributo integrativo, sono la metà di
quelle pagate dai professionisti senza cassa, iscritti
alla gestione autonoma INPS. Vantaggio che verrà pagato,
in futuro, con pensioni di dimensioni estremamente
contenute, nell’ordine del 20% del redditi professionali
anche dopo 40 anni di contribuzione, coerentemente con
la logica del contributivo. Se prescindiamo da questo
elemento di dumping sociale, si può
concludere che mantenere un sistema così parcellizzato
solo per erogare ai professionisti la pensione è
diseconomico e probabilmente inutile. Ciò non toglie,
tuttavia, che le casse possano trovare un loro ruolo se
considerate sotto altra luce, in particolare quali
strumenti di welfare categoriale,
argomento, questo, su cui si tornerà in un successivo
articolo.
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1. Il sistema si compone di 10 casse privatizzate
ai sensi del D. Lgs. 509/1994 (forense, dottori
commercialisti Cnpadc, geometri Cipag, architetti e
ingegneri Inarcassa, notariato, ragionieri e periti
commerciali Cnpr, consulenti del lavoro Enpacl,
farmacisti Enpaf, veterinari Enpav, medici Enpam), cui
si affiancano 5 casse create ai sensi del D. Lgs.
103/1996 (psicologi Enpap, periti industriali Eppi,
infermieri professionali Enpapi, biologi Enpab, ente
pluricategoriale Epap). Nel perimetro del D. Lgs.
509/1994 rientrano anche Enasarco (agenti del
commercio), Enpaia (impiegati agricoli), Inpgi
(giornalisti), Onaosi (assistenza orfani sanitari) e
Fasc (spedizionieri), mentre l’Inpdai (dirigenti
d’azienda) è confluito in Inps nel 2003, sull’orlo del
fallimento. Nel perimetro del D. Lgs. 103/1996 rientra
anche la gestione separata dei giornalisti autonomi
(cosiddetta Inpgi2). Gli enti rientranti in queste due
ultime categorie sono considerati parte del sistema
delle casse professionali, o meno, a seconda dei casi.
2. Nucleo di valutazione della spesa previdenziale
(2009): Relazione Preliminare sui bilanci tecnici
riferiti al 31 dicembre 2006. Roma, Ministero del lavoro
e delle politiche sociali.
http://www.lavoro.gov.it/Lavoro/NVSP/StudiRicerche/
3. Commissione parlamentare di controllo sulle
attività degli enti gestori di forme obbligatorie di
previdenza e assistenza sociale (2010): Schema di
documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla
situazione economico-finanziaria delle casse
privatizzate anche in relazione alla crisi dei mercati
internazionali. Roma, Parlamento. 22 dicembre 2010.
http://parlamento.camera.it/organismi_bicamerali/16/96/98/101/scheda_commissione.asp |