SOMMARIO Premessa; § 1 Tutela delle formazioni
sociali; § 2 La giurisprudenza e il riconoscimento della
convivenza more uxorio; § 3 Idee nuove per la
famiglia di fatto.
PREMESSA
Il presente lavoro costituisce un excursus
di come la società innanzitutto, e quindi il mondo del
diritto (giurisprudenza, dottrina, legislatore, diritto
comparato etc.) abbiano interpretato il
fenomeno, sempre più esteso, della convivenza. I
mutamenti sociali intercorsi in Italia negli ultimi
decenni sono sotto gli occhi di tutti, ma quel che non è
altrettanto ovvio è che tali mutamenti sono ancora in
corso: il ruolo delle famiglie di fatto in Italia si sta
costruendo giorno dopo giorno, in un lento ma
inesorabile processo in fieri. Nei paragrafi
che seguono il fenomeno verrà letto attraverso gli occhi
del diritto e di tutti i suoi protagonisti, in un’ottica
storica e diacronica al tempo stesso, perché il fenomeno
non si è ancora concluso. Ciò spiega perché ho
utilizzato riferimenti anche remoti nel tempo, ma sempre
utilizzando il tempo presente: il percorso italiano
della convivenza è ancora lontano dal concludersi, ma
per sapere dove stiamo andando è utile ripercorrere le
tappe che ci hanno portato fin qui, è questo è appunto
lo scopo della presente riflessione.
1 TUTELA DELLE FORMAZIONI SOCIALI
L’art. 29 Cost. indica nella famiglia fondata sul
matrimonio un modello familiare, modello privilegiato
dal legislatore, ma certamente non l’unico; la famiglia
legittima è il principale elemento di un insieme più
grande di modelli familiari, che costituiscono
altrettante formazioni sociali dove si svolge la
personalità del singolo, tutelate dall’art. 2 della
Costituzione. La famiglia -intesa come modello sociale
di vita in comune- è dunque tutelata principalmente da
due norme della nostra Costituzione: l’art. 2, che
prende in considerazione le formazioni sociali in genere
-e la famiglia rientra senz’altro fra queste- e l’art.
29, norma speciale rispetto all’art. 2, riferita
esclusivamente alla famiglia fondata sul matrimonio.
Le altre figure di famiglia escluse dal dato letterale
dell’art. 29 Cost. trovano dunque tutela esclusiva
nell’art. 2 Cost. in quanto formazioni sociali.
Come la famiglia legittima, anche la famiglia
naturale (o famiglia di fatto, o convivenza more
uxorio che dir si voglia) ha avuto una sua
evoluzione nel tempo, un progresso attuato innanzi tutto
nella coscienza sociale e recepito anche da dottrina e
giurisprudenza; l’opera di quest’ultima è stata tuttavia
fortemente limitata dall’atteggiamento assunto dal
legislatore, che in questa materia si è sempre rifiutato
di intervenire, nonostante i numerosi disegni di legge
presentati in Parlamento1.
L’evoluzione del concetto è accompagnata anche dal
mutamento dei termini in tre distinte fasi: dal
“concubinato”, alla “convivenza more uxorio”,
alla “famiglia di fatto”; tali termini, pur indicando
sostanzialmente lo stesso fenomeno, hanno una valenza
ideologica, oltre che semantica, profondamente diversa.
La prima fase è anche l’unica che abbia un preciso
riscontro normativo: il concubinato costituiva reato
(art. 559 CP), oltre che causa di separazione per colpa.
In questa prima fase la convivenza tra uomo e donna come
se fossero coniugi rileva solo come causa di sanzione -a
condizione che almeno uno dei conviventi sia sposato- al
fine di tutelare la famiglia legittima. È un periodo in
cui l’unica organizzazione familiare degna di tutela
appare quella fondata sul matrimonio, quale vincolo
formale e coercitivo, comunità autoritaria e chiusa,
dominata dalla figura del marito e padre e protetta da
possibili “attacchi esterni”: in questa fase sono ancora
sanzionati l’adulterio e il concubinato,è ostacolato il
riconoscimento della prole e la ricerca della paternità,
è tenuta in condizione inferiore la prole illegittima
etc.
Mentre la “fase del concubinato” volge al termine (la
Corte Costituzionale cancella l’ipotesi di reato2
e la riforma del 19753
eliminerà l’ipotesi di separazione per colpa) viene
utilizzata sempre più spesso l’espressione “convivenza
more uxorio”, espressione sostanzialmente
neutra, non carica di valenze ideologiche negative, come
era invece il termine “concubinato”. In questa nuova
fase si afferma una sorta di agnosticismo
dell’ordinamento rispetto al fenomeno convivenza, che
deriva dalla mancata regolamentazione di esso e, con
riferimento ai principi costituzionali, dal disposto
dell’art. 29 Cost., che riconosce diritti solo alla
famiglia fondata sul matrimonio, tacendo su
altri tipi di organizzazione familiare; assolutamente
concordi nel negare ogni valore giuridico alla
convivenza more uxorio anche dottrina e
giurisprudenza, che si limitano a fare qualche piccola
concessione in sporadici casi che costituiscono la
conferma dell’impossibilità di equiparare famiglia
legittima e famiglia di fatto.
L’atteggiamento monolitico di dottrina e
giurisprudenza viene successivamente incrinato da una
più attenta rilettura delle norme costituzionali,
considerate quali direttive necessariamente collegate al
periodo storico in cui sono chiamate ad operare, e
quindi suscettibili di diverse interpretazioni; si va
gradualmente affermando la parificazione fra prole
legittima e illegittima, come già disposto dall’art. 30
Cost.; il modello di famiglia legittima comincia a
perdere di esclusività, perché l’accento non si pone più
sulle formalità, ma sugli affetti. In tal senso si
comincia a distinguere tra funzione ed istituzione
familiare: l’adempimento dei doveri educativi verso i
figli e le esigenze di sviluppo della personalità,
garantite al singolo anche nelle formazioni sociali
ricordate dall’art. 2 Cost., non qualificano
esclusivamente la famiglia legittima, ma anche altre
forme di convivenza con carattere di stabilità e
responsabilità. In questa fase l’espressione “famiglia
di fatto” si sostituisce progressivamente a quella di
“convivenza more uxorio” e a quella, già in
parte abbandonata, di concubinato”. È evidente la
valenza insita nell’espressione: famiglia di fatto non è
solo il convivere come coniugi, ma è prima di tutto una
“famiglia”, portatrice di valori di solidarietà, allo
scopo di arricchimento e sviluppo della personalità di
ogni componente, e di educazione e istruzione della
prole, che prima venivano considerati esclusivi della
famiglia fondata sul matrimonio: è in sostanza lo stesso
modello di famiglia legittima, e la distinzione opera
solo per i modi di formazione, essendo caratteri,
struttura e scopi analoghi, se non identici.
La riforma del diritto di famiglia viene
opportunamente ad accelerare tale evoluzione di idee.
Nella nuova normativa emerge infatti un diverso modello
familiare, più aperto e comunitario, una rivalutazione
dell’elemento affettivo rispetto ai vincoli formali e
coercitivi, evidenziandosi una totale equiparazione fra
prole legittima e naturale, con l’ampia facilitazione
del riconoscimento e della ricerca di paternità.
Si è in sostanza affermata, anche in dottrina e in
giurisprudenza, la prospettiva di un più ampio
riconoscimento alla famiglia di fatto; nella coscienza
sociale attuale valori quali solidarietà, sviluppo della
personalità, educazione ed istruzione della prole non
sono considerate più monopolio esclusivo della famiglia
fondata sul matrimonio.
Sul piano normativo invece il legislatore ha evitato
di affrontare direttamente il problema, perché non può
prescindere dal dato letterale dell’art. 29 Cost. che si
riferisce esclusivamente alla famiglia fondata sul
matrimonio; tuttavia, come abbiamo già accennato, è
corretta l’impostazione che pone la famiglia di fatto
sotto la tutela dell’art. 2 Cost. in quanto formazione
sociale: se si ritiene che famiglia legittima e famiglia
di fatto assolvano allo stesso compito -e una prova di
ciò si ha nell’art. 30 Cost., che istituisce l’obbligo
dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli
indipendentemente dal loro status filiationis-
si potrebbe ipotizzare che il programma costituzionale
di sostegno alle famiglie sia indirizzato anche alle
famiglie di fatto.
Nella legislazione codicistica norma rilevante
(“figlia” dell’art. 30 Cost.) è l’art. 317 bis
CC, in base al quale l’esercizio della potestà sui figli
spetta ad entrambi i genitori, se conviventi, con il
risultato sostanziale di cancellare ogni rilevanza, nei
rapporti tra genitori e figli, alle differenze fra
famiglia legittima e famiglia di fatto.
Nella legislazione speciale c’è un insieme di norme,
per nulla coordinate, ma sparse e disorganiche, che
ricollegano alla convivenza more uxorio alcuni
effetti giuridici, dalle quali, tuttavia, non è
possibile desumere un quadro normativo complessivo e
coerente: ad es. la legge sull’anagrafe4
considera “famiglia” non solo quella fondata sul
matrimonio, ma anche su meri vincoli affettivi e sulla
coabitazione; altri esempi di rilevanza al dato
materiale della convivenza si hanno nella legislazione
socio-assistenziale, in materia tributaria e
pensionistica: le norme sulle imposte dirette5
considerano familiari a carico anche i figli naturali, e
analoga equiparazione fra figli legittimi e naturali
fanno le norme sugli assegni familiari6
e la legge sulla pensione di reversibilità7,
mentre la legge sui consultori familiari si rivolge più
prosaicamente alle “coppie”8,
come anche la legge sulla fecondazione assistita9.
Si tratta, come ben si vede, di norme che trattano
singoli aspetti della fattispecie, ma che non
disciplinano la famiglia di fatto in sé; più
interessante è l’iniziativa presa dal comune di Pisa10-poi
imitato da altri comuni- di istituire un registro delle
varie forme di convivenza, sull’esempio di alcune
esperienze straniere11;
nonostante l’iscrizione -volontaria e facoltativa- in
tale registro non comporti alcun effetto giuridico oltre
il mero dato anagrafico, l’iniziativa si segnala per la
lucida presa di posizione nei confronti di un fenomeno
diffuso: è da precisare che nel Comune di Pisa vengono
iscritte non solo le coppie more uxorio, ma
anche ogni altro tipo di convivenza, come quelle tra
parenti o amici a scopo assistenziale, forse per la
difficoltà di distinguere le coppie di fatto dalle altre
forme di convivenza.
Il problema principale di ogni possibile legge sulla
convivenza è proprio questo, stabilire, cioè, i
caratteri indefettibili della famiglia di fatto, il suo
modello. Dal punto di vista funzionale la famiglia
naturale adempie alle stesse funzioni di quella fondata
sul matrimonio, quale sfera privata degli affetti e di
formazione del singolo; finora, tuttavia, quando si è
voluto dare una qualche rilevanza alla convivenza si è
sempre fatto riferimento al dato temporale di durata
della convivenza per accertarne l’esistenza e la
stabilità. C’è da sperare che i numerosi progetti di
legge in materia giungano all’approvazione risolvendo
definitivamente almeno il problema definitorio.
Non si può non tener conto, tuttavia, delle richieste
che, più o meno esplicitamente, fanno le famiglie di
fatto: piuttosto che uno statuto della famiglia di
fatto, si avverte l’esigenza di tutelare singoli aspetti
della vita familiare (come la tutela del partner
economicamente più debole in caso di scioglimento della
convivenza), risultato che potrebbe essere ottenuto
facilmente estendendo alcune delle norme stabilite per
la famiglia legittima anche alla famiglia di fatto, come
già comincia a fare la giurisprudenza di merito.
L’esigenza di tutela si scontra, però, con l’esigenza
di libertà dei conviventi di voler vivere senza vincoli
giuridici: è chiaro che gli interessi del convivente più
debole sarebbero tutelati a scapito della libertà
dell’altro.
2 LA GIURISPRUDENZA E IL RICONOSCIMENTO DELLA
CONVIVENZA MORE UXORIO
La giurisprudenza negli anni ha mutato il suo
atteggiamento, passando dall’indifferenza nei confronti
del fenomeno ad un progressivo riconoscimento, seppur
limitato.
Nelle sentenze più risalenti la convivenza more
uxorio viene citata contrapponendola alla famiglia
legittima, e proprio per accertare l’impossibilità di
accertare l’impossibilità di equiparare i due fenomeni,
impossibilità confermata anche dall’inesistenza, nel
nostro ordinamento, di norme apposite12.
Solo nel 1975 la Corte di Cassazione13
ricollega effetti giuridici alla convivenza, ritenendo
sussistenti tra i conviventi doveri di solidarietà di
contenuto analogo a quelli stabiliti per i coniugi
dall’art. 143 CC, fonte di un’obbligazione naturale per
la cui ripetizione non è data azione. Due anni dopo la
stessa corte, applicando anche alla convivenza more
uxorio la presunzione di gratuità delle prestazioni
lavorative nell’ambito della famiglia, si spinge fino a
definire la convivenza come una vera e propria comunità
familiare, “dovendo qualificarsi detta convivenza
non già come un mero rapporto affettivo e sessuale, di
carattere cd. ancillare, bensì come una vera e propria
comunanza spirituale ed economica”14;
tale comunità familiare, ormai lontana dall’essere
considerata immorale, può persino dimostrarsi più salda
della stessa famiglia legittima: mentre infatti alla
base di questa c’è un consenso solo iniziale (il
matrimonio), è innegabile che alla base della famiglia
di fatto c’è un consenso che è ricercato e ripetuto
quotidianamente, consenso non legato a nessuna
formalità, ma comunque riscontrabile per facta
concludentia15.
Qualche anno più tardi si pone il problema, che verrà
riproposto più volte in giurisprudenza, del risarcimento
dei danni per l’uccisione del convivente, problema che
il Tribunale di Verona16
risolve riconoscendo al convivente more uxorio
il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale,
ma non del danno patrimoniale; prescindendo dal dato
civilistico, la sentenza in parola si segnala perché
inquadra la famiglia di fatto come luogo di
arricchimento della personalità, volto a scopi
socialmente meritevoli (e analoghi a quelli della
famiglia legittima), in linea con la riforma del diritto
di famiglia, che pone come fondamento della famiglia la
stabilità degli affetti piuttosto che il vincolo formale
del matrimonio. A conclusioni non differenti giunge la
Corte d’Assise di Genova17,
che nega il diritto al risarcimento del danno
patrimoniale, perché la convivenza non è fonte di
diritti soggettivi aventi contenuto patrimoniale, ma
riconosce il risarcimento al danno non patrimoniale,
perché questo tipo di danno richiede esclusivamente la
lesione di una situazione giuridicamente protetta, come
deve considerarsi la convivenza more uxorio.
Bisognerà attendere il 1998 e un caso che ascende agli
onori della cronaca (il celebre “omicidio Gucci”) perché
un giudice di merito cambi orientamento; in quel caso la
Corte d’Assise di Milano18
in sede penale nega alla convivente della vittima
persino la legittimazione a costituirsi parte civile
(nonostante il prevalente orientamento che le
riconoscerebbe almeno i danni non patrimoniali) perché
il rapporto di convivenza non sarebbe produttivo di
obbligazioni ex lege; in sede civile, invece,
il Tribunale di Milano19
riconosce alla convivente della vittima non solo il
risarcimento dei danni morali ex art. 2059 CC,
ma anche di quelli patrimoniali ex art. 2043
CC, ravvisando nell’uccisione del convivente un danno
ingiusto consistente in una lesione dei diritti di
libertà. Il requisito richiesto è che la convivenza
abbia requisiti di stabilità analoghi alla famiglia
legittima, e che gli apporti economici di un convivente
all’altro siano potenzialmente destinati a protrarsi nel
tempo, come -per inciso- è stato provato nel caso di
specie, presunto dal fatto che la vittima stava
addirittura stipulando un’apposita “convenzione di
convivenza”. Viene quindi riconosciuto che la comunanza
di vita fra i conviventi determina una situazione
attuale ed affettiva e di aspettativa per il futuro20.
È sempre la giurisprudenza di merito a precorrere i
tempi, e ad applicare alla famiglia di fatto norme
riferite alle famiglie legittime: è il caso del
Tribunale di Genova21
che applica estensivamente l’art. 5 della L 898/1970 in
base al quale il coniuge divorziato perde il diritto
all’assegno di mantenimento nel caso in cui si risposi;
per la corte di merito anche porre in essere una
convivenza more uxorio fa venir meno tale
diritto, essendo questa idonea, come un nuovo
matrimonio, a sollevare il convivente da una situazione
di bisogno, viste le obbligazioni naturali di cui la
convivenza è fonte.
Un altro problema più volte presentato nelle aule dei
tribunali è il seguente: cosa succede alla morte del
conduttore di un immobile adibito a sede della vita di
coppia col proprio partner? Il problema si pone
perché secondo la legge sulle locazioni22
il convivente more uxorio non avrebbe avuto
diritto a succedere nel contratto, diritto che spetta,
invece, al coniuge. I giudici di Milano23,
anticipando la soluzione accolta dalla Corte
Costituzionale pochi anni dopo24
e andando contro l’opinione prevalente in quel periodo
in giurisprudenza25,
riconoscono al convivente more uxorio il
diritto a succedere nel contratto di locazione, purché
la convivenza sia stata caratterizzata da serietà e
stabilità.
Come accennato prima, questa pronuncia anticipa
un’altra importantissima sentenza, stavolta della Corte
Costituzionale26,
sulla medesima questione.
La Corte non afferma, come pure avrebbe potuto fare,
l’equiparabilità tra famiglia legittima e famiglia di
fatto, anzi conferma la differenza sostanziale tra la
posizione del coniuge e quella del convivente more
uxorio; tuttavia giunge ugualmente ad estendere il
diritto a succedere nel contratto di locazione non per
irragionevole discriminazione tra il coniuge e il
convivente more uxorio del conduttore, quanto
per il mancato inserimento nell’art. 6 L 392/1978 del
convivente more uxorio, contrariamente alla
ratio della norma. Secondo la Corte, infatti, il
fondamento della norma suddetta non è la tutela della
famiglia legittima -anche perché la norma include gli
eredi conviventi col conduttore, che potrebbero anche
non essere parenti legittimi-, bensì la tutela di un
diritto fondamentale, il cd. diritto all’abitazione.
Tale diritto è un requisito fondamentale e
caratterizzante lo stato democratico e va quindi incluso
tra i diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2
Cost, che deve considerarsi norma “aperta”; a sostegno
di tali conclusioni si menzionano anche la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il
Patto internazionale dei diritti economici, sociali
e culturali, che fanno espresso riferimento proprio
a tale diritto. Del resto che la ratio della
norma facesse riferimento al dato della convivenza
piuttosto che al dato formale della parentela era
chiaro, l’ostacolo era superare la tassatività
dell’elenco dei successibili, elenco che fino al 1974
era un insieme chiuso, perché preceduto dall’avverbio
soltanto; l’eliminazione di tale avverbio
potrebbe dunque indicare che l’elenco dei successibili
non sarebbe tassativo, ma esemplificativo, suscettibile
di includere altre ipotesi di successione nella
locazione purché in base alla stessa ratio,
ossia la convivenza. Questa pronuncia costituisce
l’unico esempio di sentenza additiva con cui la Corte
Costituzionale estende espressamente alla fattispecie
convivenza more uxorio una norma che non
comprenda tale ipotesi: in tutti gli altri casi in cui è
emerso un dubbio di legittimità costituzionale per
mancata inclusione in una norma della famiglia di fatto,
la corte ha sempre respinto la questione di legittimità27.
A seguito dell’introduzione dell’art. 230 bis
CC e del conseguente ridimensionamento della presunzione
di gratuità delle prestazioni lavorative rese
nell’ambito della comunità familiare, si ripropone il
problema della valutazione di tali prestazioni
nell’ambito della convivenza; la Corte di Cassazione28
aveva già accomunato le due ipotesi estendendo anche
alla famiglia di fatto la generale presunzione di
gratuità delle prestazioni lavorative rese nell’ambito
della comunità familiare; il ridimensionamento
dell’operare di tale presunzione non poteva non avere
effetti anche nella famiglia di fatto, e infatti è
sempre la Corte di Cassazione ad affermare che, in
presenza di prestazioni lavorative, un rapporto di
lavoro subordinato può escludersi soltanto “in
presenza della dimostrazione rigorosa di una comunanza
di vita e dio interessi tra i conviventi che non si
esaurisca in un rapporto meramente spirituale, affettivo
e sessuale, ma, analogamente al rapporto coniugale, dia
luogo anche alla partecipazione, effettiva ed equa,
della convivente more uxorio alle risorse della
famiglia di fatto”29.
Identico ragionamento fa anche la giurisprudenza di
merito30,
che conferma, comunque, l’inapplicabilità, anche per
analogia, dell’art. 20 bis CC al fenomeno della
convivenza; la Corte di Cassazione, mentre in un caso31
conferma tale inapplicabilità in quanto ipotesi
eccezionale e insuscettibile di analogia (in quanto
fondata, secondo il ragionamento dell’interprete, sulla
tutela esclusiva della famiglia legittima), in un’altra
occasione32
fa una curiosa applicazione dell’art. 230 bis
CC, in un caso di prestazioni lavorative tra conviventi,
estendendo per analogia l’ultimo comma della norma sulle
comunioni tacite familiari -istituto tipico
dell’agricoltura- ad una fattispecie che con
l’agricoltura non aveva nulla in comune33,
quando avrebbe potuto semplicemente applicare la
generale presunzione di gratuità delle prestazioni
familiari, senza fare riferimento all’impresa familiare.
In assenza di norme dirette a disciplinare il
fenomeno, l’ordinamento non può impedire che l’autonomia
dei singoli supplisca all’inerzia del legislatore e,
sull’esempio di esperienze straniere34,
stipuli “contratti di convivenza”. Peraltro nella
pratica, piuttosto che stipulare tale tipo di contratto
(tipo inesistente nel nostro ordinamento) si preferisce
adattare al caso contratti tipici, ad esempio stipulare
un contratto di comodato d’uso vita natural durante35
o la costituzione di un usufrutto d’immobile36:
tali contratti sono validi come contratti atipici che
perseguono interessi meritevoli di tutela ex
art. 1322 CC, purché non contrastino con norme
imperative, l’ordine pubblico o il buon costume.
Un altro scottante problema per cui è maggiormente
sentita l’esigenza di tutela del convivente
economicamente più debole è l’assegnazione
dell’abitazione comune in caso di fine della convivenza37;
mentre, in presenza di prole, è comunemente riconosciuta
l’applicabilità per analogia dell’art. 155 CC e
conseguentemente l’assegnazione dell’abitazione
familiare al genitore affidatario dei figli38,
in mancanza di figli sembra arduo tutelare in qualche
modo l’interesse del partner più debole: la
giurisprudenza maggioritaria39
ha finora sempre negato tale tutela, tranne rari ed
eccezionali casi in cui viene concessa l’azione di
reintegrazione nel possesso40.
In attesa di norme che disciplinino quest’aspetto, anche
in questo caso la soluzione migliore sembra affidarsi
all’autonomia privata.
Dove più chiaramente vengono ricollegati effetti
giuridici alla convivenza more uxorio è nel suo
rapporto con l’assegno di separazione o di divorzio
derivante da un precedente matrimonio di uno dei
conviventi. C’erano già stati dei precedenti41
per cui il coniuge divorziato perdeva il diritto
all’assegno di mantenimento in caso di costituzione di
una relazione more uxorio, ma tale
giurisprudenza era destinata a rimanere minoritaria per
molto tempo: ancora nel 1996 la Corte di Cassazione42
conferma che solo un nuovo matrimonio dell’ex coniuge fa
cessare l’obbligo di corresponsione dell’assegno di
mantenimento a carico dell’altro, non l’instaurazione di
una convivenza more uxorio, che di per sé non
implica alcun diritto al mantenimento. Tuttavia due anni
dopo la stessa corte comincia a cambiare orientamento,
ammettendo che, in caso di convivenza che abbia i
caratteri di stabilità e affidabilità, questa
circostanza può influire sull’assegno di mantenimento43;
ma soltanto le pronunce più recenti si spingono ad
affermare che la convivenza stabile di un coniuge
divorziato può essere determinante non solo per
l’entità, ma anche per la stessa sussistenza del diritto
all’assegno di mantenimento44.
Quanto ai rapporti patrimoniali tra conviventi
more uxorio, in assenza di convenzioni tra le
parti, è pacificamente inapplicabile per analogia la
comunione legale fra i coniugi (artt. 177 ss
CC), e la contitolarità pro indiviso di un
immobile può essere ricostruita solo indirettamente,
eventualmente provando una donazione indiretta, o
un’interposizione reale di persona, o l’adempimento
spontaneo e consapevole di un’obbligazione naturale45;
quanto ai beni immobili, invece, si ritiene applicabile
la comunione ordinaria (artt. 1100 ss CC), per
cui allo scioglimento della relazione ciascun bene
mobile deve considerarsi conferito in comunione pro
indiviso, con conseguente diritto di ciascuno dei
partecipanti al rimborso della quota conferita46.
Un’altra ipotesi di comunione tra conviventi si ha nel
caso di contestazione di un conto corrente bancario:
allo scioglimento della convivenza, le somme a credito
nel conto si considerano appartenenti per quote uguali
ad entrambi i conviventi, anche se viene fornita la
prova positiva che le somme depositate provengono
esclusivamente dal reddito di uno dei due47
perché le somme si intendono depositate per sopperire ai
bisogni comuni della famiglia, quindi per
un’obbligazione naturale. La medesima ratio si
ha nel caso di richieste di rimborsi, in sede di rottura
della convivenza, per i conferimenti patrimoniali
effettuati da un partner all’altro: proprio
perché considerati adempimento di obbligazioni naturali
non è data azione di restituzione48,
a meno di eccessiva sproporzione tra le somme sborsate e
i doveri morali e sociali reciprocamente assunti dai
conviventi49.
Questa rassegna di giurisprudenza denota da un lato
le istanze di tutela dei conviventi nei rapporti
reciproci e nei confronti dei terzi, dall’altro le
possibili soluzioni nel ventaglio di scelte del
legislatore, quali favorire l’autonomia dei singoli
piuttosto che l’intervento ab externo e
legiferare su singoli aspetti della vita familiare
piuttosto che creare un improbabile “statuto della
famiglia di fatto”50.
3 IDEE NUOVE PER LA FAMIGLIA DI FATTO
Gli autori ed i progetti di legge che si sono
occupati della famiglia di fatto si dividono in tre
grandi filoni: quelli che intendono stabilire un modello
di fatto con caratteri analoghi alla famiglia legittima,
e istituire diritti e doveri tra i conviventi come tra i
coniugi, quelli che invece riconoscono una tutela più
limitata, lasciando tutti gli aspetti non disciplinati
dalla legge all’autonomia dei singoli, ed infine quelli
che rinviano interamente all’autonomia privata.
Come ben si vede si tratta di impostazioni
profondamente diverse, ciascuna con pregi e difetti.
Secondo i fautori della prima, bisogna innanzitutto
identificare le caratteristiche della famiglia di fatto,
ma è difficile trovare un accordo: la maggior parte dei
progetti di legge richiede una coppia formata da due
individui maggiorenni di sesso opposto, mentre alcuni
autori sarebbero propensi a riconoscere anche le
convivenze omosessuali, come già avviene in altri
ordinamenti51
e come pure ipotizzato dal Parlamento Europeo52;
questa “coppia” dovrebbe costituire una comunione
materiale e spirituale analoga alla famiglia legittima;
al di là degli aspetti spirituali -di cui sarebbe arduo
fornire la prova- si deve sottolineare il fatto che ogni
aspetto della famiglia naturale viene modellato sulla
famiglia legittima53,
trascurando altri possibili modelli familiari: che dire,
ad esempio, di una convivenza tra nonno e nipote? Oppure
di una convivenza tra anziani a scopo assistenziale? Non
mi sembra difficile riconoscere anche in queste forme di
convivenza delle formazioni sociali dove si sviluppa la
personalità del singolo in nome del principio di
solidarietà, che quindi meriterebbero una riflessione54.
Per facilitare il riconoscimento delle coppie di
fatto si fa riferimento a varie opzioni, da utilizzare
congiuntamente o disgiuntamente: l’iscrizione nei
registri di stato civile, una durata minima di due o tre
anni (anche se non è chiaro se tale termine dovrebbe
decorrere dall’iscrizione nel registro oppure dovrebbe
essere già sussistente all’atto dell’iscrizione; in
questo caso che mezzi avrebbe il convivente per
affermare la sussistenza del requisito?) o la presenza
di figli55.
Mentre l’ultimo requisito è ovvio, giacché la filiazione
naturale comporta automaticamente degli obblighi per i
genitori -quindi è già “famiglia”-, gli altri requisiti
comportano delle obiezioni. Quanto ad una eventuale
iscrizione nei registri di stato civile, normalmente,
fatta eccezione per i casi che si verificano in contesti
sociali di estrema povertà e arretratezza (per fortuna
ormai rari) i conviventi scelgono consapevolmente di non
sposarsi, pur avendone le possibilità, proprio per non
essere soggetti a regole ed obblighi di natura legale,
ritenendo sufficienti gli obblighi di natura sociale e
morale. Se alla base della convivenza c’è una
riflessione di questo tipo, perché i conviventi
dovrebbero iscriversi nei registri di stato civile?
L’iscrizione sarebbe l’unica soluzione possibile per le
coppie omosessuali, ma se due conviventi di sesso
opposto vogliono “regolarizzare” la loro posizione
rimane loro aperta la via del matrimonio; a meno che
chiedano una disciplina in alcuni aspetti e non in
altri, e allora sono da ritenere più adatte, oltre che
di più semplice attuazione, le ipotesi di legge portate
avanti dal secondo orientamento.
Principio di questo orientamento è porre alla base
della disciplina della convivenza l’autonomia dei
singoli, il “contratto” prima della legge; l’ordinamento
interverrebbe solo in caso di crisi della comunità
familiare, quando non vi è stata una convenzione e la
parte più debole sia rimasta senza tutela56.
Un intervento di soft law di questo tipo
avrebbe il vantaggio di essere invisibile durante la
convivenza, di non invadere gli spazi riservati
all’autonomia privata che, anche se implicitamente, è in
grado di costituire accordi e di rispettarli per mezzo
di una ricerca quotidiana del consenso: solo quando
quest’accordo viene a mancare è necessario l’intervento
dell’ordinamento per tutelare il soggetto più debole,
specie nei rapporti patrimoniali57.
1 Ad es., facendo riferimento a legislazioni
precedenti, la proposta di legge Cossutta,
Disciplina dei patti di convivenza,18/6/2001 n.
365; disegno di legge Sodano, Norme in materia di
unione registrata, di unione civile, di convivenza di
fatto, di adozione e di uguaglianza fra i coniugi,
12/3/2001 n. 1951; proposta di legge De Simone,
Norme in materia di unione registrata, di unione civile,
di convivenza di fatto, di adozione e di uguaglianza fra
i coniugi, 20/7/2004 n. 3308; proposta di legge
Bellillo, Disciplina dei patti di convivenza,
27/7/2004 n. 795; proposta di legge Moroni,
Istituzioni del patto civile di solidarietà e disciplina
della famiglia di fatto, 27/7/2004 n. 4585.
2 Corte Cost. 3/12/1969 n. 147, in Giur. Cost.
1969, 2230, con n. di Gianzi.
3 L 19/5/1975 n. 151, Riforma del diritto di
famiglia, in G.U. 23/5/1975 n. 135.
4 DPR 30/5/1989 n. 223, Nuovo regolamento
anagrafico della popolazione residente, in GU
8/6/1989 n. 132.
5 DPR 29/1/1958 n. 645, TU delle leggi sulle
imposte dirette, in GU 7/7/1958 n. 162.
6 DPR 30/5/1955 n. 797, TU delle norme
concernenti gli assegni familiari, in GU
7/9/1955 n. 206.
7 L 4/4/1952 n. 218, Riordinamento delle
pensioni dell’assicurazione obbligatoria per
l’invalidità e la vecchiaia, in GU
25/4/1952 n. 89.
8 L 29/7/1975 n. 405, Istituzione dei consultori
familiari, in GU 27/8/1975 n. 405.
9 L 19/2/2004 n. 40, Norme in materia di
procreazione medicalmente assistita, in GU
24/2/2004 n. 45.
10 Delibera n. 58 del 7/7/1997 del Comune di Pisa.
11 Oberto, La famiglia di fatto nel diritto
comparato, Giur. It. 1986, IV, 108; Longo,
Famiglia di fatto: le convivenze registrate nei
paesi UE, Notariato 2000, 186.
12 “Il legislatore non ha fornito, in sede
civilistica, alcuna protezione diretta o indiretta agli
interessi che possono scaturire da una convivenza
more uxorio”, Trib. Vigevano 24/4/1964 in Dir.
Ecclesiastico 1966, II, 303.
13 Cass. Civ. 3/2/1975 n. 389 in Foro It.
1975, I, 2301, con n. di Florino.
14 Cass. Civ. 24/3/1977 n. 1161, in Giust. Civ.
1977, I, 1190, con n. di Mazzocca.
15 Mazzocca, Prestazioni lavorative
“affectionis vel benevolentiae causae” tra persone
conviventi more uxorio, in Giust. Civ.
1977, I, 1191.
16 Trib. Verona 3/12/1980 in Riv. Pen.
1981, 251.
17 Ass. Genova 24/10/1984 in Foro It. 1986,
II, 621.
18 Ass. Milano 30/5/1998 in Nuova Giur. Civ.
199, I, 598, con n. di Ghisiglieri.
19 Trib. Milano 21/7/1998 in Nuova Giur. Civ.
1999, I, 598, con n. di Ghisiglieri.
20 Ghisiglieri, Il risarcimento del danno per
uccisione del convivente more uxorio, Nuova
Giur. Civ. 1999, I, 609.
21 Trib. Genova 20/7/1982 in Giur. Merito
1984, 350, con n. di Truccone.
22 L 27/7/1978 n. 392, Disciplina delle
locazioni di immobili urbani, in GU 29/7/1978 n.
211.
23 Pret. Milano, 30/11/1983 in Foro It.
1984, I, 2278.
24 Corte Cost. 7/4/1988 n. 404 in Giur. Cost.
1988, 1789, con nn. di Pace e Lenzi; Dir. Famiglia
1988, 766, con n. di Dogliotti.
25 “Il convivente more uxorio non
rientra tra i soggetti a favore dei quali la L 392/1978
prevede la successione nel contratto di locazione”:
Cass. Civ. 28/11/1983 n. 7133, in Foro It.
1984, I, 2277.
26 Corte Cost. 404/1988, cit.
27
Corte Cost. 28/1/1998 n. 2 in Giur. Cost. 1998,
4; Corte Cost. 25/7/2000 n. 352, in Giur. Cost.
2000, 987; Corte Cost. 3/11/200 n. 461 in Giur.
Cost. 2000, 3642.
28
Cass. Civ. 24/3/1977 n. 1161 in Giust.
Civ. 1977, I, 1190, con n. di Mazzocca.
29 Cass. Civ. 13/12/1986 . 7486 in Mass. Giur.
It. 1986, 1260.
30 Pret. Sampierardena 26/10/1987 in Dir. Lav.
1991, II, 373, con n. di Fontana; Trib. Genova
13/4/1988, ibidem; Trib. Milano 5/10/1988, in
Giur. Merito 1992, 58, con n. di Giorgianni.
31
Cass. Civ. 2/5/1994 n. 4204 in Mass.
Giur. It. 1994.
32 Cass. Civ. 19/12/1994 n. 10927 in
Informazione Prev. 1994, 1502.
33 Nel caso di specie si trattava di una donna
impiegata nello studio professionale del convivente.
34 Vitalone, Cinque modelli stranieri di
contratti di convivenza, Contratto impresa 1991,
443; per l’esperienza italiana: Oberto, Contratti di
convivenza, Contratto Impresa 1991, 369; Franzoni,
I contratti tra conviventi more uxorio,
Riv. Trim. Civ. 1994, 737; Mariani,
Regolamentazione convenzionale della convivenza
more uxorio, Vita not. 1994, Suppl. 3, 148;
Dogliotti, La forza della famiglia di fatto e la
forza del contratto, Famiglia e dir. 2001, 531; Del
prato, Patti di convivenza, Familia, 2002, 959.
35 Cass. Civ. 8/6/1993 n. 6381 in Nuova Giur.
Civ. 1994, I, 339, con n. di Bernardini.
36 Trib. Savona 7/3/2001 in Famiglia e dir.
2001, 529, con n. di Dogliotti.
37 Ferrando, Crisi della convivenza more
uxorio e abitazione parafamiliare, Famiglia e dir.
1998, III, 255; Lepre, Abitazione
“parafamiliare” e problemi possessori, Nuova Giur. Civ.
1997, I, 245.
38 Trib. Palermo 20/7/1993 in Foro it.
1996, I, 122.
39 Pret. Vigevano 10/6/1996 in Nuova Giur. Civ.
1997, I, 240, con n. di Lepre; Trib. Messina
10/9/1997 in Famiglia e dir. 1998, III, 255,
con n. di Ferrando.
40 Trib. Perugia 22/9/1997 in Foro it.
1997, I, 3688.
41 Trib. Genova 20/7/1982 in Giur. Merito
1984, 359, con n. Truccone.
42 Cass. Civ. 30/10/1996 n. 9505 in Famiglia e
dir. 1997, 29, con n. di Ferrando.
43 Cass. Civ. 4/4/1998 n. 3503 in Famiglia e
dir. 1998, con n. di De Paola.
44 Cass. Civ. 2/6/2000 n. 7328 in Giust. Civ.
2000, 2225; Cass. Civ. 9/9/2002 n. 13060 in
Arch. Civ. 2003, 32; Cass. Civ. 2/5/2002 n. 17246
in Guida al diritto 2003, IX, 60.
45 Trib. Pisa 20/1/1988 in Dir. Famiglia
1988, 1039.
46 Pret. Torino 17/3/1988 in Dir. Famiglia
1990, 1314.
47 Trib. Bolzano 20/1/2000 in Giur. Merito
2000, 818.
48 App. Firenze 12/2/1991 ij Dir. Famiglia
1992, 633.
49 Trib. Monza 18/11/1999 in Giur. Milanese
2000, 189.
50 v. § successivo.
51 A titolo esemplificativo ricordiamo: Francia,
Loi no 99-944 du 15/11/1999 relative au pact civil de
solidarité, (cd. PACS); Islanda, L 1/7/1996 sulla
Partnership di due persone dello stesso sesso;
Belgio, L 23/1/1998 sulla coabitazione legale.
52 Risoluzione 8/2/1994 (A3-0028/94), Sulla
parità dei diritti degli omosessuali; risoluzione
16/3/2000 (A5-0050/2000), Sul rispetto dei diritti
umani nell’Unione Europea; v. art. 9 del Draft
Charter of Fundamental Rights of the European Union,
Nizza 7/12/2000 in GUCE 18/12/2000 C/364 (cd. Carta di
Nizza).
53 Nappi, Riconoscimento e limiti della famiglia
di fatto nel rispetto del diritto vigente, in
Dir. Famiglia 1988, 1818.
54 Collicelli, Famiglia e famiglie nella società
italiana, Iustitia 1999, 227.
55 Dogliotti, Due progetti di legge per la
famiglia di fatto, Giust. Civ. 1989, II,
328.
56 Oberto, Contratti di convivenza, in
Contratto e impresa 1991, 369; Calò, Sul
progetto di disciplina degli accordi di convivenza, Il
corriere giuridico 2002, 1672; Dogliotti, La
forza della famiglia di fatto e la forza del contratto,
Famiglia e dir. 2001, 531.
57 Quadri, Rilevanza attuale della famiglia di
fatto ed esigenze di regolamentazione, Dir.
famiglia 1994, 288.
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