L’art. 4 della legge 4 novembre 2010 n. 183,
c.d. “Collegato Lavoro”, modificando ancora una volta il
testo dell'art. 3 del D.L. 12/2002 convertito con
modificazioni dalla legge 23 aprile 2002 n. 73 (già
modificato dall’art. 36 bis comma 7 del D.L. 223/2006
convertito nella legge n. 248/2006) ha introdotto una
nuova disciplina (la terza) della c.d. "maxi sanzione"
per il lavoro sommerso.
Pertanto dal 24.11.2010, data di entrata in vigore
della legge 183/2010, l’interprete si trova a fare i
conti con tre diverse discipline della
“maxisanzione”, l’applicazione delle quali presuppone la
risoluzione di problematiche complesse in merito alle
varie fattispecie ricavate dalle norme succedutesi nel
tempo.
Ciò perché, in materia di illeciti amministrativi, a
differenza di quanto previsto per i reati dall'art. 2
del Codice penale, il comportamento illecito deve essere
assoggettato alla legge del tempo del suo verificarsi,
con conseguente inapplicabilità della disciplina
posteriore più favorevole, anche se abrogatrice della
fattispecie prima sanzionata.
Infatti secondo il principio di legalità di
cui all’art. 1, comma 1, della legge 689/81 “Nessuno
può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non
in forza di una legge che sia entrata in vigore prima
della commissione della violazione”. 1
Inoltre per il principio di irretroattività
della legge, sancito dall’art.11 delle disposizioni
preliminari al codice civile (“La legge non dispone
che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo”),
nonché per i principi generali in materia di
sanzioni amministrative, “le leggi
che prevedono sanzioni amministrative si applicano
soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”
(art. 1, comma 2, legge 689/81).
La diverse disposizioni succedutesi contro
il lavoro sommerso
La prima disposizione in ordine cronologico contro il
lavoro sommerso, è contenuta nella originaria
formulazione dell’art. 3, commi 3, 4 e 5, del D.L. n.
12/2002 convertito nella legge n. 73/2002. Secondo tale
norma, in vigore sino al 11.08.2006, ferma
restando l’applicazione delle altre sanzioni,
l’impiego di lavoratori dipendenti non
risultanti dalle scritture o da altra documentazione
obbligatoria era soggetto ad una sanzione
amministrativa dal 200% al 400% dell’importo del
costo del lavoro (calcolato sulla base dei CCNL),
per ciascun lavoratore irregolare, per il periodo
compreso tra l’inizio dell’anno e la data di
constatazione dell’illecito.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 144 del
12.04.2005, aveva successivamente dichiarato
l’incostituzionalità della norma nella parte in cui non
prevedeva la possibilità per il trasgressore di provare
che il rapporto di lavoro irregolare avesse avuto inizio
successivamente al 1° gennaio dell’anno in cui era stato
accertato.
La legge ha attribuito la competenza per
l’irrogazione di questa sanzione alla Agenzia delle
Entrate che dovrebbe seguire le disposizioni
generali in materia di sanzioni amministrative per
le violazioni di norme tributarie contenute dal
D.Lgs. 472/1997.2
Recentemente però la Corte di Cassazione con sentenza
nr. 356 del 13 gennaio 2010, stabilendo che la
disciplina più favorevole introdotta con il Decreto
Bersani-Visco non è applicabile retroattivamente, ha
ritenuto che le sanzioni sul lavoro sommerso non
hanno natura tributaria e, di conseguenza ad esse
non si applica la disciplina posteriore più favorevole,
bensì la norma che stabilisce il principio di stretta
legalità e della disciplina vigente al momento del
fatto.
La competenza per l'adozione dei provvedimenti
sanzionatori rimane dell'Agenzia delle Entrate per tutte
le violazioni commesse prima del 12.08.2006
(data di entrata in vigore del cd. Decreto
Bersani-Visco) anche se constatate (accertate)
successivamente.3
Inoltre la Corte di Cassazione con sentenza nr. 356
del 13 gennaio 2010 ha stabilito che la disciplina più
favorevole introdotta con il Decreto Bersani-Visco non è
applicabile retroattivamente ai fatti commessi sotto la
vigenza della precedente legge.
La secondo disciplina è stata introdotta modificando
il testo precedente con l’art. 36 bis,comma 7,
del D.L. 04.07.2006 n. 223, c.d. “decreto
Bersani-Visco”, convertito con modificazioni nella legge
4 agosto 2006 n. 248, in vigore dal 12.08.2006.
Ferma restando l’applicazione delle altre sanzioni
già previste dalla normativa in vigore, l’impiego di
lavoratori, (non soltanto subordinati) non
risultanti dalle scritture o da altra documentazione
obbligatoria, viene punito con una sanzione
amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun
lavoratore, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata
di lavoro effettivo.
Destinatari della sanzione sono tutti i datori di
lavoro, sia pubblici che privati.
La competenza all’irrogazione4
della nuova sanzione (o per meglio dire
alla emanazione della ordinanza di ingiunzione) passa
alle Direzioni Provinciali del Lavoro, organi
periferici del Ministero del Lavoro che seguiranno le
disposizioni generali previste per le sanzioni
amministrative di cui alla legge 24.11.1981 n. 689.5
Per tale violazione la legge espressamente non
ammette la procedura di diffida di cui all’art.
13 del D.Lgs. 23.04.2004 n. 124.
Oltre alla sanzione amministrativa, per il medesimo
fatto, il decreto Bersani-Visco prevede che l'importo
delle sanzioni civili connesse all'omesso
versamento dei contributi e premi non può
essere inferiore a euro 3000 indipendentemente dalla
durata della prestazione lavorativa accertata.
La terza disciplina, arriva con il c.d. “Collegato
lavoro” contenuto nella legge 4 novembre 2010 n. 183
entrata in vigore il 24.11.2010, e
presenta molte novità rispetto alle precedenti versioni.
Sempre facendo salva l’applicazione delle sanzioni
già previste dalla normativa in vigore, secondo la nuova
formulazione, la c.d. "maxi sanzione" sarà applicata
in caso di impiego di lavoratori subordinati
senza preventiva comunicazione di instaurazione del
rapporto di lavoro.
La nuova fattispecie dell’illecito risulta meglio
delimitata rispetto alle precedenti -che si riferivano
genericamente a “scritture” e documenti obbligatori- ma
la specifica sanzione per la mancata comunicazione
preventiva al Centro per l'Impiego di cui all'art. 19,
comma 3, del D.Lgs n. 276/2003, risulta ora "assorbita"
nella fattispecie più grave in quanto indice rilevatore
dell'impiego di lavoratori "in nero".
Ad attenuare la rigidità del criterio scelto per
riconoscere il lavoro sommerso, la nuova legge prevede
che la sanzione non è applicabile "qualora dagli
adempimenti di carattere contributivo precedentemente
assolti (le denunce contributive Uniemens/DM10), si
evidenzi comunque la volontà di non occultare il
rapporto, anche se trattasi di differente
qualificazione" .
Inoltre ora è sanzionato il solo impiego irregolare
di lavoratori subordinati mentre nel testo
precedente, veniva sanzionato anche l’utilizzo
irregolare di lavoratori non subordinati (come
co.co.co, collaboratori a progetto, associati in
partecipazione, ecc.)
Secondo l’ultima disciplina la sanzione è riservata
ai soli datori di lavoro privati con espressa
esclusione dei datori di lavoro domestico per i
quali pertanto non potrà più applicarsi la
“maxisanzione”.
Inoltre la nuova disciplina, a differenza delle
precedenti, prevede due distinte ipotesi sanzionatorie.
Ad una sanzione amministrativa (del medesimo
importo della precedente previsione) da euro 1.500
euro 12.000 per ciascun lavoratore irregolare,
maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro
effettivo, ne aggiunge una "attenuata" nel caso
in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per
un periodo lavorativo successivo. Per questa nuova
fattispecie la sanzione varia da euro 1.000 a 8.000
per ciascun lavoratore irregolare, maggiorata di euro 30
per ciascuna giornata di lavoro irregolare. Con
tale sanzione “attenuata” il legislatore ha voluto
punire meno severamente quei periodi c.d. "di prova" in
nero che spesso i datori di lavoro fanno fare ai propri
dipendenti prima di assumerli formalmente. Pertanto la
norma va interpretata nel senso di considerare
sanzionabile in forma attenuata solamente il periodo
sommerso seguito da un periodo di lavoro regolare
senza soluzione di continuità, altrimenti qualsiasi
assunzione successiva, anche a distanza di molti giorni,
giustificherebbero la applicazione della minor sanzione.
Mentre la disciplina previgente non ammetteva
espressamente l'illecito in esame alla procedura della
diffida di cui all'art. 13 del decreto
legislativo 23.04.2004 n.124, il testo modificato non
dispone più questa preclusione.
Infine, sempre l'art. 4 della legge 183/2010,
stabilisce che l'importo delle sanzioni civili,
previste dall'art. 116 della legge n. 388/2000, connesse
all'evasione dei contributi e dei premi riferiti a
ciascun lavoratore è aumentato del 50 per cento,
senza più alcun limite minimo. Si tratta
di un importante "alleggerimento" delle precedenti
sanzioni civili previste per il lavoro sommerso dal
decreto Bersani-Visco se si pensa che, anche per pochi
giorni di lavoro nero, queste non potevano essere di
importo inferiore ai 3000 euro.
Stesso illecito o pluralità di tipi di
illecito?
Preliminarmente, guardando alle diverse discipline
succedutesi, l’interprete deve chiedersi se si trova
davanti a tre diversi tipi di illecito amministrativo,
oppure al medesimo illecito, parzialmente modificatosi
nel corso del tempo.
Il dubbio nasce dalle notevoli diversità
riscontrabili nelle diverse fattispecie sopra descritte,
in particolare tra quella del c.d. “decreto Bersani” del
2006 e la nuova contenuta nel c.d. “Collegato lavoro”.
La questione non è di poco conto, infatti, se ci
trovassimo di fronte a fattispecie relative a due
illeciti del tutto diversi, i problemi interpretativi
sarebbero risolti semplicemente applicando la legge del
tempo in cui i fatti si sono verificati.
Diversamente, se consideriamo le discipline
succedutesi riferibili ad uno stesso illecito, sia pure
con modificazioni successive, dovremmo stabilire quali
norme applicare nel caso in cui la violazione si
protragga sotto la vigenza di diverse leggi.
Utilizzando i criteri adottati dalla dottrina
penalistica, per distinguere quando vi sia abolitio
criminis con creazione di nuova fattispecie
o quando, al contrario, si sia in presenza di una
modificazione della medesima fattispecie,
possiamo arrivare alla conclusione che, nel caso in
esame, ci troviamo di fronte ad una successione
modificativa con una abrogazione parziale
per alcune fattispecie contenute nella disciplina
previgente.
Infatti mettendo a confronto i beni-interessi
tutelati dalla nuova e dalla vecchia normativa risulta
che questi sono sempre gli stessi, così come le modalità
offensive della condotta (l’occupazione di lavoratori
totalmente sconosciuta alla Pubblica Amministrazione)
mentre sono stati parzialmente modificati alcuni
elementi strutturali della fattispecie.
Tra le due fattispecie in esame esiste un
rapporto di specialità 6 per cui la
nuova norma ritaglia, all’interno della precedente, una
nuova fattispecie “incriminatrice”, con la conseguenza
che quanto non conservato del vecchio illecito dovrà
considerasi abrogato.
In altre parole col passaggio dalla fattispecie
contenuta nel c.d. “decreto Bersani-Visco” a quella del
c.d. “Collegato lavoro” si è verificata una
abrogazione parziale con riguardo ai casi non
rientranti nella nuova e più specifica disciplina.
Così dal 24.11.2010, deve considerarsi abrogato
l’illecito amministrativo riguardante il datore di
lavoro pubblico, il datore di lavoro domestico, e
l’occupazione “in nero” di lavoratori non
subordinati.
Pertanto, per tali fattispecie, la c.d.
“maxisanzione” si potrà applicare solamente sino alla
data di entrata in vigore della legge 183/2010, a nulla
rilevando che la medesima condotta continui anche oltre
tale data.7
Infatti per il principio generale della
irretroattività, in caso di successioni di leggi, la
legge successiva che abbia abrogato la norma che prevede
l'illecito amministrativo non si applica ai fatti
commessi sotto la vigenza della legge precedente, i
quali, pertanto restano sanzionati con le pene previste
dalla legge abrogata (Cass. Civ. Sez. I, 13.08.1992
n. 9557 e succ.).
Il problema della condotta illecita sotto
la vigenza di due norme succedutesi nel tempo
Come abbiamo visto, in materia di illeciti
amministrativi, l’operatività del principio di legalità
ed irretroattività comporta l’assoggettamento della
condotta in esame alla legge del tempo del suo
verificarsi, con conseguente inapplicabilità della
disciplina posteriore. Pertanto al fine di escludere
l’applicabilità della norma sopravvenuta rimane
determinante il momento della commissione
dell’illecito.
Quindi in caso in cui la condotta illecita si
protragga senza soluzione di continuità sotto la vigenza
di due norme succedutesi nel tempo, dovremo
preliminarmente stabilire quando l’illecito può
dirsi commesso.
Con l'ausilio dalla dottrina penalistica8
possiamo stabilire che l'illecito si considera
commesso nel momento in cui è stata realizzata l'azione
o l'omissione.
Infatti è nel momento della condotta che il
trasgressore si pone contro la legge (la legge in vigore
in quel momento) e di conseguenza è in tale momento che
l'illecito amministrativo deve considerarsi commesso.
Infatti il trasgressore non deve subire conseguenze più
gravi di quelle che poteva attendersi dalla legge in
vigore al tempo in cui agì.
Ma pensiamo, ad esempio, al caso di un datore di
lavoro privato che ha occupato un lavoratore subordinato
“in nero” per un periodo iniziato prima del 24.11.2010 e
terminato dopo tale data con una “regolare” assunzione
per un periodo successivo. Si dovrà applicare la
sanzione prevista dal “decreto Bersani” o la più mite
del “Collegato lavoro” od entrambe, ciascuna per il suo
periodo di vigenza?
La maxisanzione per lavoro sommerso come
illecito permanente
Fin dalla prima modifica normativa il Ministero del
Lavoro, con la circolare n. 29 del 28.09.2006, ha fatto
ricorso alla teoria di origine penalistica dell’illecito
permanente.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza sono
illeciti permanenti quelli per la cui esistenza la
legge richiede che l’offesa al bene giuridico si
protragga nel tempo per la persistente condotta del
soggetto (ad es. i vari delitti di sequestro di
persona o la contravvenzione della detenzione abusiva di
armi). Non importa che la condotta sia attiva o
omissiva. Anche gli illeciti omissivi possono
essere permanenti, quando, malgrado la scadenza
del termine, permanga il dovere di adempiere
all’obbligo, proprio come nel caso dell’illecito in
esame.
Sempre secondo la dottrina penalistica, per capire
quale è il tempo del commesso reato (tempus commissi
delicti) dell'illecito permanete si dovrà tener
conto dell'ultimo atto, poichè l'autore si pone
contro la legge sino all'esaurimento della condotta.
Come indicato nella Circolare del Ministero del
Lavoro n.38/2010 “al fine di stabilire la disciplina
applicabile, il personale ispettivo è chiamato ad
individuare il momento consumativo dell'illecito,
ossia a verificare se la condotta posta in essere dal
datore di lavoro sia cessata sotto la vigenza della
vecchia disciplina ovvero di quella riformulata dalla L.
n. 183/2010, applicando il relativo regime
sanzionatorio.”
La “consumazione” dell'illecito si ha con la
cessazione della permanenza, ovvero quando cessa la
condotta volontaria (es. il datore di lavoro effettua la
comunicazione di assunzione o licenzia il lavoratore
irregolare) oppure quando tale condotta diviene
impossibile (es. il lavoratore “in nero” si dimette
oppure l'illecito viene accertato dagli organi
ispettivi).
Dunque, nel caso illustrato nell'esempio precedente,
dovrà essere applicata per tutto il periodo di lavoro
sommerso (anche se iniziato prima del 24.11.2010) la
sanzione “attenuata” prevista dal “Collegato lavoro” in
quanto la permanenza è cessata dopo tale data
(con l'assunzione del dipendente) e dunque l'illecito
deve considerarsi commesso sotto la vigenza della nuova
legge.9
Ma cosa succede per quelle fattispecie di illecito
abrogate dalla legge successiva (ad esempio nel caso
rapporti irregolari di lavoro domestico o di
rapporti di lavoro sommerso ma genuinamente
“parasubordinati”)?
Se si trattasse di reati, per i quali vige
il principio della retroattività delle legge
favorevole al reo, il problema di stabilire quale
sia il tempus commissi delicti non si porrebbe
neppure: la norma abrogatrice sarebbe comunque
applicabile quando la parte finale della condotta si sia
verificata sotto di essa.
[...]Ma in materia di illeciti amministrativi,
dove vige il diverso principio di
irretroattività della legge, a parere di chi scrive
la soluzione deve essere diversa.
Nel caso di fattispecie di illecito non più soggette
a maxisanzione, la condotta illecita che di fatto si
prolungasse oltre la vigenza della norma abrogata, si
deve considerare cessata con l'entrata in vigore della
norma abrogatrice e pertanto sanzionabile con la vecchia
disciplina solo sino a tale data.
Diffidabilità ex art. 13 D.Lgs. n.
124/2004
Mentre la disciplina dettata dalla legge 248/06 (che
ha convertito con modificazioni il decreto
Bersani-Visco) espressamente non ammetteva la
"maxisanzione" alla procedura di diffida di cui
all'art. 13 del decreto legislativo 23.04.2004 n.124, il
testo sostituito dall'art. 4 del “Collegato Lavoro” non
dispone più questa preclusione. Pertanto, anche alla
luce del nuovo testo dell'art. 13 del D.lgs. 124/04,
sostituito dall'art. 33 della stessa legge n. 183/2010,
il personale ispettivo che accerti la nuova
fattispecie di illecito dovrà provvedere a
diffidare il trasgressore e l'eventuale obbligato in
solido, alla regolarizzazione delle inosservanze (la
mancata comunicazione di instaurazione del rapporto di
lavoro) in quanto materialmente sanabili, con
conseguente ammissione al pagamento della sanzione
minima.
Infatti in caso di ottemperanza alla diffida la legge
prescrive che il trasgressore sarà ammesso al pagamento
della sanzione al minimo edittale ovvero in misura
di un quarto della sanzione stabilita in misura fissa.
Nel caso della "maxi sanzione" dunque il trasgressore
che abbia regolarizzato, deve considerarsi ammesso al
pagamento di una sanzione pari a 1.500 o 1.000 per
ciascun lavoratore irregolare, aumentata di € 37,50
(150:4) o di € 7,50 (30:4) per ciascuna giornata di
lavoro "in nero", a seconda che il lavoratore risulti o
meno regolarmente occupato per un periodo lavorativo
successivo.
Poiché presupposto per l'adozione della diffida è che
l'illecito sia “materialmente sanabile”, non si potrà
ricorrere a tale provvedimento in caso di lavoro
sommerso che riguardi lavoratori extracomunitari
privi di idoneo permesso di soggiorno e di
minori non occupabili.
Tutto ciò per gli illeciti commessi dopo il
24.11.2010.
Rimane da chiedersi se sono allo stesso modo
diffidabili anche gli illeciti commessi sotto la vigenza
della legge 248/2006.
La domanda non si pone per quelle fattispecie in cui
la condotta, iniziata sotto la vigenza della legge
precedente, sia cessata dopo l'entrata in vigore del
Collegato lavoro. In tali casi, per quanto si è detto
prima sul momento consumativo dell'illecito, si
applicherà integralmente la nuova disciplina che,
appunto, non esclude la diffida.
Ma per le condotte illecite esaurite prima
dell'entrata in vigore della legge 183/2010?
La soluzione si trova ancora una volta nel principio,
più volte citato, di irretroattività della legge in
materia di illeciti amministrativi che comporta
l'assoggettamento della condotta alla legge del tempo
del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità
della disciplina posteriore, anche se più favorevole.
Si pensi al caso di un rapporto di lavoro domestico
“in nero”, terminato prima dell'entrata in vigore del
Collegato lavoro. E' evidente che non potranno trovare
applicazione le disposizioni dell'art. 4 della legge
184/2010, per il quale quel fatto non rientra più tra le
fattispecie sanzionabili, mentre l'organo di vigilanza
dovrà applicare (integralmente) la diversa disciplina di
cui alla legge 248/2006, in vigore al momento del fatto.
In tale ultima legge l'interprete troverà chiaramente
espressa dal legislatore la disposizione per cui
“nei confronti della sanzione non è ammessa la procedura
di diffida di cui all'art. 13 del decreto legislativo 23
aprile 2004 n. 124”.
Ma la citata circolare ministeriale n. 38/2010, nel
fornire le prime istruzioni operative al personale
ispettivo sull'argomento, stabilisce che, “stante la
natura procedurale della disposizione”, la
possibilità di adottare la diffida ex art. 13 D.Lgs.n.
124/2004 deve estendersi a tutti gli accertamenti in
corso al momento dell'entrata in vigore della legge
183/2010 non ancora conclusi con verbale di accertamento
e notificazione. In questo modo la circolare
estende la diffida anche agli illeciti commessi sotto la
vigenza della vecchia disciplina.
Tale indicazione, dettata dalla volontà di non
penalizzare i “vecchi” trasgressori rispetto ai “nuovi”,
appare però inevitabilmente in contrasto con i principi
più volte citati dell'art. 1 della legge 689/81.
Applicabilità dell'art. 16 della legge
689/81(pagamento della sanzione in misura ridotta)
La norma generale, contenuta nell'art. 16 della legge
689/81, ammette il trasgressore di un illecito
amministrativo, entro 60 giorni dalla
contestazione-notificazione, al pagamento della
sanzione in misura ridotta pari alla terza parte
del massimo della sanzione prevista o, se più
favorevole, e qualora sia stabilito il minimo, al doppio
del minimo della sanzione edittale.
Pertanto in assenza di una diversa disposizione
legislativa, anche l'autore dell'illecito punibile con
la maxisanzione ha il diritto di
pagare in misura ridotta la sanzione entro il termine di
legge, con effetto estintivo dell'obbligazione.10
Nella circolare nr. 29 del 28.09.2006 della Direzione
Generale per l'attività Ispettiva si sottolineava, con
riguardo alla maxisanzione allora disciplinata dalla
legge n. 248/2006, "che trattasi di una sanzione
proporzionale che prevede un importo minimo e massimo (€
1.500 - € 12.000) ed un importo in misura fissa di € 150
per ciascuna giornata di lavoro effettivo. Tale
ultimo importo (€ 150 giornaliere) costituisce una mera
maggiorazione della sanzione edittale e perciò per essa
non trova applicazione l'art. 16 della legge 689/81."
A seguito di tale direttiva gli organi ispettivi
hanno ammesso i trasgressori al pagamento in misura
ridotta di una parte della sanzione (quella prevista tra
un massimo ed un minimo edittale) mentre hanno richiesto
il pagamento della parte proporzionale della sanzione
per intero.
Tale interpretazione sembrava basata sull'idea che
l'importo dei 150 euro fosse "qualcosa di diverso" dalla
sanzione amministrativa mentre, più semplicemente, tale
importo costituisce il fattore per la determinazione di
una sanzione pecuniaria (aggiuntiva a quella variabile
tra un minimo ed un massimo) calcolata in modo
proporzionale (in base ai giorni di lavoro) e
dunque sanzione amministrativa anch'essa, come
tale soggetta alla disciplina del Capo I della legge
689/81.
Il Ministero del lavoro, mutando orientamento, con la
recente circolare n. 38/2010 ha infine riconosciuto la
possibilità di adottare le modalità di calcolo della
sanzione in misura ridotta ex art. 16 L. 689/81 a tutti
gli accertamenti in corso al momento di entrata in
vigore della legge 183/2010 non ancora conclusi con la
notificazione.
Pertanto nel verbale unico di accertamento e
notificazione redatto dal personale ispettivo,
dovrà essere indicata la possibilità di estinguere
l'infrazione attraverso il pagamento della
“maxisanzione” in misura ridotta, non solo per
gli illeciti commessi dopo il 24.11.2010, ma anche per
quelli commessi sotto la vigenza del decreto
Bersani-Visco.
Dunque il trasgressore potrà sempre pagare, entro i
termini di cui all'art. 33 della legge 183/2010, la
maxisanzione nella misura ridotta di € 3.000 - pari al
doppio del minimo-, maggiorata di 50 euro - quale terzo
di 150- per ogni giorno di lavoro irregolare, sia con
l'applicazione della vecchia disciplina sul lavoro
sommerso, sia con l'applicazione della nuova.
Per la nuova fattispecie “attenuata”, prevista dal
Collegato lavoro, il trasgressore potrà pagare nel
termine di legge la sanzione ridotta di € 2.000,
maggiorata di € 10 per ogni giorno di “lavoro nero”.
Ma la circolare citata si spinge anche oltre
prevedendo che “le nuove modalità di calcolo della
sanzione in misura ridotta andranno applicate ai
procedimenti sanzionatori che hanno già formato oggetto
di rapporto al Direttore (art.17 della legge n. 689/81)
in sede di determinazione della sanzione ai fini della
adozione della relativa ordinanza ingiunzione (art. 18
della L. 689/81)”.
Tale direttiva, seppure giustificata dalla volontà di
porre rimedio al precedente orientamento ministeriale,
trova un limite insuperabile proprio nelle norme
richiamate dalla stessa circolare.
Infatti, una volta che il trasgressore non si è
avvalso della facoltà del pagamento in misura ridotta
prevista dal citato art. 16, il Direttore della D.P.L.
nel determinare con l'ordinanza -ingiunzione la somma
dovuta per la specifica violazione, non può prevedere
una sanzione inferiore a quanto previsto dal legislatore
come pena edittale.
Conclusioni
Dunque le norme succedutesi nel tempo per sanzionare
il lavoro sommerso, in assenza di una specifica
legge che consenta l’applicazione retroattiva della
norma sopravvenuta, devono essere applicate agli
illeciti commessi nel momento in cui erano in vigore,
anche se tali illeciti siano stati accertati e
sanzionati dopo la loro abrogazione o modificazione.
In altri termini, le varie riformulazioni
dell'illecito in esame non possono incidere sulla
previgente disciplina che rimane l'unica applicabile
agli illeciti commessi mentre tale disciplina era ancora
in vigore.
Le considerazioni esposte sono frutto esclusivo
del pensiero dell'autore e non hanno carattere in alcun
modo impegnativo per l'amministrazione pubblica di
appartenenza.
NOTE
1 Si noti che il principio di legalità
in materia di illeciti amministrativi, seppure contenuto
in una legge ordinaria, e dunque astrattamente
derogabile da una legge di pari rango, sembra scritto
quale corollario dell’art. 25 della Carta Costituzionale
e comunque costituisce, anche in questa materia, un
fondamento di diritto positivo.
2 Il decreto legislativo n. 472 del
18.12.1997 ha riunito in un unico corpus
normativo la disciplina delle violazioni tributarie
sanzionate amministrativamente. Tale disciplina si
discosta in diversi punti da quella fissata per la
generalità degli illeciti amministrativi dalla legge
24.11.1981 n. 689, uno di essi è proprio in materia di
irretroattività. L’art. 3 del D.Lgs. 472/97
infatti, stabilisce che se la legge in vigore al momento
in cui è stata commessa la violazione e le leggi
posteriori stabiliscono sanzioni di entità diverse,
si applica la legge più favorevole, salvo che il
provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo.
3 vedi il comma 7-bis dell'art. 36 bis,
del decreto legge 04.07.2006 n. 223, convertito con
modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248,
introdotto dall'art. 1, comma 54, della legge 24.12.2007
n. 247, come modificato dal comma 3 dell'art. 4 della
legge 183/2010
Il termine irrogazione (irrogare
significa infliggere una sanzione) è proprio del
procedimento per l’applicazione delle sanzioni
amministrative in materia tributaria disciplinato
dagli artt. 16 (Procedimento di irrogazione delle
sanzioni) e 17 (Irrogazione immediata) del
D.Lgs. 18.12.1997 n. 472, mentre non ha alcun riscontro
nella diversa procedura per l’applicazione
delle sanzioni amministrative di cui agli artt. 13 e ss.
del Capo I, sezione II della legge 689/81. In materia
tributaria infatti le sanzioni amministrative sono
irrogate dallo stesso Ufficio competente
all'accertamento del tributo cui le violazioni si
riferiscono. Inoltre l'irrogazione della
sanzione amministrativa tributaria avviene mediante
notifica dello stesso atto di contestazione del
fatto illecito, a differenza di quanto previsto per
la generalità degli illeciti amministrativi dalla legge
689/81 dove rimane distinto l'atto di
contestazione-notificazione della violazione, dall'ordinanza
di ingiunzione con la quale viene “inflitta” la
sanzione. Il termine “irrogazione”, correttamente usato
nella prima versione dell’illecito, quando la competenza
era demandata alla Agenzia delle Entrate, è stato
successivamente usato piuttosto impropriamente, anche
nell’ultima formulazione del “Collegato lavoro”. Il
nuovo testo infatti stabilisce che "alla
irrogazione delle sanzioni
amministrative provvedono gli organi di vigilanza che
effettuano accertamenti in materia di lavoro, fisco e
previdenza" specificando però, nel periodo
successivo, che "autorità competente a ricevere il
rapporto ai sensi dell'art.17 della legge 24.11.81 n.
689, è la Direzione provinciale del lavoro
territorialmente competente." Si deve ritenere
pertanto che il termine irrogazione sia usato
dal legislatore nel significato di
“contestazione-notificazione” (v. art. 14 della legge
689/81).
5 Le sanzioni amministrative sono
determinate ed ingiunte (ovvero inflitte,
“irrogate” appunto) con Ordinanza Ingiunzione
emessa dall'autorità competente a ricevere il rapporto
ai sensi dell'art. 18 della legge 689/81. Tale autorità
è individuata, dallo stesso art. 4 della legge 183/10 in
esame, nella Direzione Provinciale del Ministero del
Lavoro competente per territorio.
6 Si pensi all’occupazione di
lavoratori (subordinati e non) non risultanti
da scritture e documenti obbligatori da parte della
generalità dei datori di lavoro (fattispecie
generale), rispetto all’impiego di
lavoratori, solo subordinati, senza
preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto
di lavoro da parte dei soli datori di lavoro
privati esclusi i datori di lavoro domestici
(fattispecie speciale).
7 Ad esempio l’occupazione irregolare di
una collaboratrice domestica iniziata il 1.05.2010 e
terminata il 31.12.2010 potrà essere sanzionata con la
“maxisanzione” solamente sino al 23.11.2010, essendo
oltre tale data l’illecito implicitamente abrogato dalla
l. 183/10 ed il fatto non più sanzionato da quella
norma.
8 In questo senso v. F.MANTOVANI, Diritto
Penale, varie edizioni CEDAM.
9 Si noti che è lo stesso criterio a cui
la giurisprudenza fa riferimento per individuare il
momento da cui far decorrere i termini della
prescrizione quinquennale di cui all'art. 28 della legge
689/81 (“...allorchè l'illecito abbia carattere
permanente, la prescrizione inizia a decorrere solo
dalla cessazione della permanenza” Cass. Civ. Sez. I
28.08.1997 n. 8162).
10 Sul diritto del trasgressore al
pagamento in misura ridotta ex art. 16 della legge
689/81 si vedano Cass. civ. sez. I, 8.11.1997 n. 11034;
9.01.1997 n. 117; 11.05.2001 n. 6555.
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