Michela DAMASCO
Non si placano le
polemiche sulla riforma della mediazione
finalizzata alla conciliazione delle controversie civili
e commerciali, così come prevista dal DLgs. n. 28/2010.
Gli avvocati stanno seguendo da vicino l’iter del DL 29
dicembre 2010 n. 225 (c.d. “Milleproroghe”), che si
prepara ad affrontare oggi il voto di fiducia al Senato,
mentre il Governo starebbe lavorando a un
maxiemendamento. Nel corso dell’esame nelle Commissioni
Affari Costituzionali e Bilancio del Senato, sarebbe
stato approvato un emendamento che ha riportato gli
avvocati, da tempo uniti nel chiedere una congrua
proroga dell’entrata in vigore del nuovo sistema
(prevista per il 20 marzo prossimo), sul piede di
guerra.
Dopo il Consiglio
nazionale forense (CNF), che aveva inviato giovedì
scorso una lettera al Ministro Alfano avente a oggetto
sempre la medesima richiesta, con le medesime
motivazioni, ieri è di nuovo intervenuto l’Organismo
Unitario dell’Avvocatura italiana.
Con un comunicato stampa, infatti, l’OUA elenca “i
molteplici motivi per cui è necessario, e doveroso, far
slittare l’entrata in vigore dell’obbligatorietà della
mediaconciliazione in attesa delle nuove modifiche”. Il
casus belli, stavolta, sarebbe l’approvazione, in
un primo momento, di un emendamento bipartisan al
Milleproroghe, di rinvio, “che però, a sua volta, è
stato vanificato con un ulteriore blitz del Ministero
della Giustizia, che restringeva la proroga a solo due
materie (controversie in materia di condominio e
di risarcimento del danno da circolazione di veicoli
e natanti, ndr)”. “Diversi senatori –
prosegue il comunicato – hanno promesso battaglia e la
presentazione di ulteriori emendamenti”.
Questione di pochi
giorni, quindi, per capire quale sarà la conclusione di
una polemica di cui numerose categorie, tra cui i
commercialisti, vedono poco la ragion d’essere: “Noi per
il 20 marzo siamo pronti – ha più volte affermato Felice
Ruscetta, consigliere del CNDCEC con delega alle
funzioni giudiziarie –: la scelta di una proroga sarebbe
scellerata”. Non a caso, assieme a vertici di
Unioncamere, Confederazioni imprenditoriali e altri
Ordini professionali, il Consiglio nazionale ha firmato
un documento contro il rinvio inviato poi al
Ministro Alfano, che, con un comunicato del 12 febbraio
2011, ha ringraziato “per il sostegno offerto a questa
importantissima riforma, anche tenendo conto che la
grandissima utilità di queste categorie, è il
miglior viatico al successo della mediazione e
all’efficienza della giustizia italiana”. La posizione
del Ministero appare in linea con i firmatari, i quali –
si legge ancora nel comunicato – “assumono posizioni
chiare e determinate perché la riforma abbia
immediatamente efficacia, evitando così un rinvio
generalizzato, che rischierebbe soltanto di vanificare”
un così importante “sforzo innovatore perseguito dal
Governo contro i conservatorismi che hanno ridotto la
giustizia italiana in questo stato”.
Eppure, gli
avvocati non sembrano avere nessuna intenzione di fare
marcia indietro. “L’obbligatorietà della
mediaconciliazione – spiega il presidente dell’OUA
Maurizio de Tilla – viola la Costituzione, tanto più
perché collegata alla mancata previsione di necessità
dell’assistenza dell’avvocato”. Si ricorda che l’art. 60
della L. n. 69/2009 ha delegato il Governo in materia di
mediazione. Nel documento integrale diffuso ieri, l’OUA
spiega i motivi della presunta incostituzionalità: il
legislatore delegante – si legge – non aveva
affatto previsto l’obbligatorietà del meccanismo
di conciliazione, né aveva consentito che essa potesse
essere considerata condizione di procedibilità della
domanda giudiziaria. Di conseguenza, secondo l’Organismo
sarebbero incostituzionali sia l’art. 5, sia l’art. 16
del DLgs. n. 28/2010.
Nell’art. 5, il Governo avrebbe introdotto
obbligatorietà e improcedibilità, “arrogandosi un potere
che non gli era stato conferito: è così configurabile un
evidente eccesso di delega, in quanto appare evidente
che una condizione di procedibilità di una domanda
giudiziaria, ex art. 24 Cost., può essere
introdotta esclusivamente dal legislatore”. L’art. 5, di
fatto, precluderebbe “l’immediato accesso alla
giustizia”.
L’art. 16, invece, nel prevedere che “gli enti
pubblici e privati abilitati a costituire organismi di
mediazione debbano essere selezionati alla stregua dei
parametri della “serietà ed efficienza”, lascia aperta
un’interpretazione non pienamente aderente alle
previsioni della legge delega”, ove circoscrive lo
svolgimento dell’attività esclusivamente in capo a
organismi professionali indipendenti, e dunque attuando
– prosegue il documento dell’OUA –, al di là delle
previsioni della stessa legge delega, una sorta di
liberalizzazione nella costituzione e abilitazione
degli organismi di mediazione, contrastante con la
previsione di cui all’art. 77, nonché 24 Cost.
Infine, l’art.
8 del citato DLgs. avrebbe introdotto la previsione
secondo cui, dalla mancata partecipazione senza
giustificato motivo al procedimento di mediazione, il
giudice può desumere argomenti di prova nel successivo
giudizio. Una scelta che la parte potrà fare senza
l’ausilio di un difensore – partecipare o meno al
procedimento di conciliazione – potrà, sempre per gli
avvocati, condizionare in misura determinante l’esito
del successivo processo e ne risulterebbe quindi la
violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24
Cost.
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