Il dlgs 28/10 disattende il modello di mediazione
delineato dalla direttiva n. 52 del 2008 e dalla legge
delega 69/09
Il dlgs 28/10
disattende il modello di mediazione delineato dalla
direttiva n. 52 del 2008 e dalla legge delega 69/09.
D.Lgs. 28/10 e
direttiva 2008 n. 52, CE
Il d.lgs. 4 marzo
2010, n. 28, al fine di ridurre il peso del contenzioso
civile, ha introdotto nel nostro sistema l’istituto
della mediazione, il quale si basa su un complesso ed
articolato procedimento.
Con il termine
“mediazione” il legislatore ha inteso indicare
“l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo
imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti
sia nella ricerca di un accordo amichevole per la
composizione della controversia, sia nella formulazione
di una proposta per la risoluzione della stessa” (art.
1). Con la summenzionata espressione la norma indica il
procedimento che deve essere seguito per giungere, ove
possibile, alla conciliazione, ossia alla composizione
della controversia.
Una analoga
tipologia di procedimento era già stata introdotta a
livello comunitario dalla direttiva 2008 n. 52, CE. La
predetta direttiva , infatti, aveva previsto nuove
disposizioni concernenti determinati aspetti della
mediazione in materia civile e commerciale e aveva
stabilito, nel contempo, che “nulla dovrebbe vietare
agli Stati membri di applicare tali disposizioni anche
ai procedimenti di mediazione interni”. In particolare,
la direttiva europea del 21 maggio 2008 definisce la
mediazione come ”un procedimento strutturato,
indipendentemente dalla denominazione, dove due o più
parti di una controversia tentano esse stesse, su base
volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione
della medesima con l’assistenza di un mediatore”.
Ciò posto, giova al
riguardo osservare che il legislatore italiano si è
spinto ben oltre rispetto ai parametri ed alla
caratteristiche essenziali dell’istituto della
mediazione previsti dalla summenzionata direttiva
2008/52/CE, in quanto il d.lgs 28/10 ha introdotto una
serie di previsioni e vincoli non necessari alla luce
del modello delineato in sede comunitaria. Ed infatti,
alla luce delle disposizioni introdotte dal d.lgs 28/10
si evince chiaramente che lo stesso disciplina non tanto
la mediazione in genere (ossia il fenomeno in base al
quale due o parti in conflitto tra loro si rivolgono ad
un terzo che possa aiutarle a trovare una soluzione
concordata), bensì una particolare specie di mediazione,
da ricondursi sostanzialmente alla categoria della
mediazione c.d. autoritativa.
In altri termini il
legislatore ha introdotto un procedimento nel quale il
mediatore si trova in una posizione sovraordinata
rispetto alle parti e può influenzarle non solo
utilizzando le proprie capacità tecniche ma anche grazie
al ruolo formale riconosciutogli dal sistema di regole
che lo ha identificato come mediatore per quel
determinato caso. In buona sostanza, la mediazione che è
stata introdotta in Italia, caratterizzata dal fatto di
non essere lasciata alla libera scelta discrezionale
delle parti e di essere invece assai processualizzata,
risulta molto differente dalla mediazione e
conciliazione libera e non processualizzata prevista
dalle direttive europee 30 marzo 1998 (98/257/CE) 4
aprile 2001 (2001/310/CE) e 21 maggio 2008 (2008/52(CE).
Ed infatti, la
mediazione introdotta dal legislatore italiano non
risulta rimessa alla libera scelta delle parti, perché
in molti casi la mediazione in oggetto costituisce
condizione di procedibilità dell’azione giudiziale (art.
5), e perché in molti casi la segretezza delle attività
di mediazione non è affatto garantita, posto che se vi è
il consenso della parte dichiarante, la dichiarazione
non è riservata, e quindi è producibile in giudizio
(art. 10).
Ed ancora, la
mediazione prevista nel modello italiano risulta
fortemente processualizzata, in ragione del fatto che
nel corso della mediazione è consentito al mediatore di
nominare altri mediatori ausiliari, ovvero degli
“esperti” (art. 8), al pari del porre di nomina del CTU
riconosciuto all’organo giurisdizionale. Ed inoltre
nella misura in cui la disciplina prevista dal
legislatore italiano consente alle parti, nel corso
della mediazione, di produrre documenti e di redigere
atti difensivi e memorie (art. 3, 3°comma, art. 17, 2°
comma).
In tal modo la
disciplina introdotta risulta affetta da una forte
contraddittorietà in quanto, se da un lato la stessa
persegue l’obiettivo di evitare il processo e di evitare
il giudice, dall’altro introduce una vera è propria fase
pre-processuale, caratterizzata da un mediatore dotato
di poteri molto simili a quelli di cui è dotato un
giudice, e nel contempo, inserisce dei meccanismi volti
a penalizzare chi non si accontenta della fase pre-
processuale, e vuole tutelare propri diritti attraverso
un vero e proprio processo.
Rapporto tra il
D.Lgs. 28/10 e la legge delega n. 69/09
Il d.lgs 28/10
sembra essere caratterizzato anche da un eccesso di
delega, in quanto lo stesso ha introdotto alcune
prescrizioni non previste dalla legge 69/09. Giova al
riguardo osservare, in primo luogo, che l’art. 60 della
l. 69/09 si limitava a “prevedere che la mediazione,
finalizzata alla conciliazione” venisse realizzata
“senza precludere l’accesso alla giustizia”.
Il d.lgs. 28/10, al
contrario, ha reso in molti casi la mediazione una
condizione di procedibilità della domanda (art. 5),
condizione per vero non prevista dalla legge delega, e
che risulta anzi in forte contrasto con la stessa legge
delega laddove la stessa disponeva espressamente che la
mediazione non dovesse precludere l’accesso alla
giustizia. A ciò va aggiunto che l’art. 8, 5° comma del
d.lgs 28/10 ha previsto che “dalla mancata
partecipazione senza giustificato motivo al procedimento
di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova
nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116, 2° comma
c.p.c.”.
Così facendo il
legislatore delegato ha introdotto un ulteriore elemento
non previsto dalla legge delega. Alla luce di quanto
sopra riportato si evince che il legislatore delegato ha
introdotto l’obbligo, a pena di improcedibilità della
domanda giudiziale, del preventivo esperimento del
procedimento di mediazione, per una serie di
controversie davvero ampia ed eterogenea (condominio,
diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti
di famiglia, locazioni, comodato, affitto di azienda,
risarcimento del danno derivante da responsabilità
medica) con il preciso intento di deflazionare il
contenzioso civile.
Il suddetto intento
deflazionistico, insieme alla previsione dell’
obbligatorietà della mediazione, determinano un profilo
dell’istituto della mediazione che risulta
sostanzialmente difforme da quello previsto nel testo
della legge delega 69/2009.
Quest’ultima
infatti aveva individuato la ratio dell’istituto della
mediazione nella conciliazione volontaria tra le parti
in disaccordo; sulla scorta di tale ratio le parti
dovevano essere lasciate libere di decidere se adottare
la conciliazione come strumento di risoluzione della
lite , dovendosi escludere qualsiasi elemento di
coazione o di obbligatorietà.
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