Le
principali caratteristiche del sistema.
Da circa quindici anni, con due successive norme1,
ha preso forma in Italia un sistema di Casse private di
previdenza obbligatoria per le attività libero
professionali.
Il tempo intercorso dall’avvio è ormai sufficientemente
lungo perché si possano fare alcune valutazioni sul
funzionamento di tale sistema.
Prima di ogni considerazione, è opportuno sottolineare
la rilevanza di questa esperienza con alcuni dati
quantitativi. Innanzi tutto, in base alle informazioni
fornite dagli stessi enti, alla fine del 2009 il totale
degli iscritti attivi ha superato il milione e mezzo di
persone, mentre i pensionati sono poco più di 500 mila.
L’andamento demografico ancora relativamente dinamico
per molte categorie professionali si riflette in modo
positivo sui saldi previdenziali correnti che, nel
periodo dal 2004 al 2009, sono passati per l’insieme
delle Casse da circa 1,8 miliardi di euro a oltre 2,4
miliardi di euro annui. Da ciò deriva anche la
ragguardevole consistenza e la dinamica positiva dei
patrimoni gestiti dalle Casse che, in base alle più
recenti rendicontazioni, si avvicinano ai 40 miliardi di
euro, di cui oltre il 60% investito in attività
finanziarie.
A fronte del peso crescente che la previdenza dei
professionisti è andata assumendo, restano però
irrisolti diversi problemi, indicativi di un contesto
carico di incertezze, dovute a lacune e incoerenze
normative, ma anche all’insufficiente incisività del
sistema di vigilanza nel trattare i fenomeni complessi
che accompagnano lo sviluppo del sistema degli enti
privati. Questi limiti pongono l’esigenza di un
riassetto organico del settore per arrivare ad un
contesto normativo e di regolazione più definito e
stabile, con un disegno che riveda gli aspetti
gestionali e di controllo mostratisi più carenti
nell’esperienza fin qui maturata. A tale scopo,
andrebbero fissati alcuni punti su cui intervenire
prioritariamente che, in estrema sintesi, sono
individuabili in:
a) natura giuridica degli Enti privati di previdenza
obbligatoria e sistema di vigilanza
Un passaggio essenziale di una riforma organica consiste
nel chiarire il portato della natura giuridica delle
Casse professionali, sia rispetto alle funzioni
strategiche che ai compiti gestionali. Attualmente vi
sono molti aspetti contradditori. Ad esempio,
l’applicazione senza delimitazioni di talune norme per
il contenimento della spesa pubblica, come i tagli
lineari di spesa corrente, hanno creato molte ambiguità
sul modo di interpretare i principi di autonomia
decisionale attribuiti alla gestione privata delle
Casse.
Peraltro, tali questioni non possono prescindere dalla
definizione di un modello regolativo in cui siano
correttamente bilanciate le prerogative di una
conduzione privata con i fini di utilità collettiva
perseguiti dalle Casse che, nel caso della previdenza
obbligatoria, si incentrano sulla tutela dei redditi
degli assicurati prevista da una norma costituzionale.
Se gli schemi di regolazione fossero definiti in modo
adeguato – un riferimento può essere l’esperienza delle
public utilities - le strutture pubbliche di
controllo sarebbero in grado di esercitare i loro
compiti secondo modalità certe, indirizzando i
responsabili delle gestioni nelle fasi decisionali, più
che non esercitando controlli formali ex post che, per
essere efficaci, richiedono una macchina amministrativa
pesante e costosa. I compiti dei soggetti vigilanti non
sarebbero con ciò ridimensionati, in quanto l’autonomia
gestionale delle Casse deve comunque sottostare alla
garanzia di sostenibilità finanziaria nel lungo periodo.
Questo requisito è rafforzato dal fatto che la
devoluzione della funzione previdenziale, pur assegnando
alle gestioni private responsabilità economica e
patrimoniale, non esclude il ruolo di garante di ultima
istanza dello Stato che ha quindi fondate ragioni per
prevenire ogni rischio di dissesto finanziario2.
Un efficace modello di vigilanza dovrebbe inoltre
ripensare le proprie capacità di controllo su altri
aspetti chiave delle gestioni private. In primo luogo,
dato che le riserve delle Casse sono costituite da
portafogli complessi di attività finanziarie e sempre
più da quote di fondi immobiliari, i controlli non
dovrebbero limitarsi al profilo formale di legittimità
della singola operazione, ma utilizzare metodi di
analisi basati su indicatori segnaletici di livello
aggregato. Inoltre, per quanto riguarda la gestione,
data la limitata efficacia della verifica formale di
singoli atti, sarebbe opportuno adottare un metodo di
comunicazione sociale che utilizzi appropriati
indicatori sintetici. Ciò rappresenterebbe anche
un’adeguata forma di controllo per gli assicurati che,
non potendo adottare strategie di
exit in
forza dell’obbligatorietà dell’adesione, avrebbero però
strumenti aggiuntivi per esercitare la voice
nei confronti di amministratori che presentassero
risultati di gestione insoddisfacenti.
b) il trattamento fiscale
Le Casse sono attualmente sottoposte ad un regime di
tassazione del tipo ETT (esenzione dei contributi,
tassazione dei redditi patrimoniali e delle prestazioni
previdenziali), a fronte del modello EET (tassazione dei
soli trattamenti previdenziali) applicato alla
previdenza obbligatoria gestita dagli Enti pubblici.
Inoltre, le casse sono soggette a IRES, alla tassazione
dei proventi delle gestioni patrimoniali e non possono
detrarre IVA dalle spese connesse alle gestioni
immobiliari dirette. Considerata la finalità
previdenziale e l’obbligatorietà del risparmio
accumulato nelle gestioni patrimoniali, il mantenimento
di un regime fiscale addirittura più sfavorevole di
quello riservato alla previdenza complementare solleva
molte perplessità. Tale discriminazione andrebbe
superata con un graduale passaggio a una tassazione di
tipo EET, compatibilmente con i vincoli di finanza
pubblica. Ciò produrrebbe effetti anche sulle scelte
gestionali delle Casse, che non avrebbero più motivo per
adottare comportamenti elusivi, come oggi avviene ad
esempio con la creazione di società esterne, che
limitano l’efficacia del sistema dei controlli.
c) efficienza delle gestioni
Il perseguimento dell’efficienza gestionale dovrebbe
comportare processi di accorpamento tra Casse,
soprattutto in presenza di dinamiche demografiche
negative degli assicurati, che accrescono i rischi per
la sostenibilità finanziaria. Una maggiore efficienza
gestionale è però già ottenibile anche con gli assetti
attuali, facendo leva su economie di scala e di scopo,
attraverso accordi di tipo cooperativo che prevedano
l’utilizzo congiunto di strutture e di attività di
servizio. Tali decisioni, che si rifletterebbero
positivamente sull’ammontare delle prestazioni,
potrebbero anche essere fiscalmente incentivate.
d) prestazioni adeguate e sicure
La necessità di salvaguardare l’adeguatezza delle
prestazioni, anche a seguito di riforme indotte
dall’obiettivo della sostenibilità finanziaria, è un
tema della massima attenzione. Per raggiungere tale
obiettivo, oltre a intervenire sui parametri di
determinazione delle prestazioni, come peraltro le Casse
hanno già cominciato a fare, è necessario incrementare
le risorse finanziarie da destinare al risparmio
previdenziale, avendo anche presenti le finalità
ridistributive proprie della sicurezza sociale. Va
rilevato che il tema dell’adeguatezza non riguarda solo
le Casse funzionanti in base al metodo contributivo ma,
con l’adeguamento dei parametri di calcolo reso
necessario dal vincolo della sostenibilità finanziaria,
anche i regimi retributivi sono direttamente
interessati.
Ciò mette in primo piano la questione delle due aliquote
di contribuzione e dell’autonomia di cui le Casse
possono avvalersi nella loro determinazione. Riguardo
all’aliquota del contributo soggettivo (a carico
dell’assicurato) non ci sono ostacoli all’innalzamento,
se non le resistenze dei contribuenti. Più problematica
appare invece la manovrabilità dell’aliquota del
contributo integrativo (a carico dei clienti dei
professionisti), per la quale la legge ha previsto
limiti quantitativi e di destinazione delle relative
entrate. La questione è stata oggetto di discussioni, di
decisioni un po’ controverse da parte dei Ministeri
vigilanti, ed è materia di alcuni disegni di legge che
non avendo trovato contrariamente alle attese
accoglimento nel recente decreto milleproroghe, sono
tuttora all’esame delle commissioni parlamentari. Tra le
idee presentate, merita di essere richiamata una
proposta che, salvaguardando l’autonomia delle Casse
nella determinazione delle aliquote, subordina la
possibilità di aumentare l’aliquota integrativa
all’incremento della soggettiva, creando così un
meccanismo che avrebbe effetti incentivanti sulla quota
di reddito da dedicare al risparmio previdenziale, sia
per l’adeguatezza delle prestazioni che per la
salvaguardia dei trattamenti più bassi, rafforzando così
le finalità solidaristiche a cui la previdenza
obbligatoria è tenuta a rispondere, senza dover caricare
oneri sul bilancio pubblico.
1. Si tratta rispettivamente del d.lgs. n. 509 del
30 giugno 1994 che ha trasformato in persone giuridiche
private quindici Casse già operanti e del d.lgs n.103
del 10 febbraio 1996 che ha esteso la tutela
previdenziale obbligatoria ai soggetti che svolgono
attività autonoma di libera professione iscritti in
appositi albi o elenchi, con la creazione di cinque
nuove Casse professionali operanti con lo stesso metodo
di calcolo previsto dalla Legge Dini.
2. La verifica della sostenibilità finanziaria e
dell’adeguatezza delle prestazioni nel medio/lungo
termine attraverso l’analisi dei bilanci tecnici è
prevista dall’art.1 comma 763 della Legge n.262 del
2006. Essa comporta per ogni singola cassa la
valutazione della positività del risultato economico per
trent’anni e degli effetti di modifiche apportate ai
parametri di funzionamento. La data di consegna più
recente dei bilanci per la verifica dei Ministeri
vigilanti è stata lo scorso novembre 2010. |