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La circolazione di diritti
edificatori a titolo oneroso sta diventando una pratica
estremamente diffusa in Italia: consentita da tempo dai
piani regolatori di molti Comuni, trova un esplicito
riconoscimento nelle leggi urbanistiche di numerose
Regioni e, in epoca più recente, anche nella
legislazione statale.
Non mancano tuttavia le voci
critiche che hanno rilevato in particolare come tale
strumento possa determinare esiti assai diversi da
quelli dichiarati.
Questa tecnica trae ispirazione
dall’esperienza di altri paesi, in particolare degli
Stati Uniti, dove la creazione di diritti edificatori
commercializzabili è stata introdotta come strumento per
compensare i proprietari di beni immobili delle
limitazioni loro imposte attraverso l’attività di
regolamentazione – ad es., per il vincolo di
inedificabilità apposto sul terreno. In definitiva, essa
rappresenta uno strumento per preservare le libertà
individuali di cui la proprietà e il suo pieno godimento
sono un’espressione: l’attribuzione di un tradable
permit infatti da un lato ripristina la pienezza del
diritto ‘diminuito’ dal regolatore; dall’altro consente
la concreta attuazione del precetto, sancito dal quinto
emendamento della Costituzione americana, di riconoscere
una ‘giusta compensazione’ qualora le restrizioni
regolatorie privino il titolare di una proprietà di
tutta o parte del valore del bene.
Inoltre la creazione di diritti
edificatori trasferibili a titolo oneroso offre un
potenziale ausilio nel perseguimento dell’efficienza
economica, in accordo con le indicazioni del premio
Nobel Roland Coase secondo il quale il mercato, oltre a
rappresentare una tecnologia di scambio, può essere
inteso come un sistema di contenimento di effetti
dannosi o di conseguenze indesiderate – le cosiddette
“esternalità negative” - attraverso la creazione di
diritti ben definiti in grado di incorporarle. Tale
modello è stato ampiamente sperimentato in ambito
ambientale per quanto riguarda quote di emissioni di gas
inquinanti.
La creazione e lo scambio dei
diritti consente infatti di ottenere un duplice
beneficio: la definizione di una soglia specifica di
esternalità (ad esempio un livello di emissione di
anidride carbonica) e l’allocazione dei diritti di
emissione, tramite la negoziazione spontanea, a chi li
valuta di più, in accordo con il criterio economico di
efficienza.
L’applicazione di tale modello alla
materia urbanistica è prefigurabile nella misura in cui
lo sviluppo urbanistico rappresenta un’attività
produttrice di esternalità negative (volumetrie) che
sotto il profilo dell’impatto ambientale incidono
negativamente sulla disponibilità di suolo, percepito
come risorsa scarsa.
Se quanto scritto sin ora
illustrato è volto a indicare il ruolo che i tradable
permit possono assumere nella strada verso l’efficienza,
in Italia l’etichetta ‘perequazione’ rinvia ad un altro
epifenomeno che dovrebbe caratterizzare tale tecnica,
ovvero il perseguimento dell’equità. In effetti, il
governo del territorio induce per un verso anche una
sorta di ‘inquinamento positivo’, beneficiando quei
proprietari che, senza alcun merito, vedono aumentare il
valore del proprio terreno quando reso edificabile. Per
altro verso, ciò genera iniquità in quanto tutti gli
altri proprietari, senza alcun demerito, non traggono
alcun vantaggio dalla scelta di pianificazione ovvero ne
risultano addirittura danneggiati allorché i propri
fondi vengono resi inedificabili e non commerciabili per
essere destinati ad ospitare infrastrutture o servizi
pubblici.
L’attribuzione di diritti
edificatori trasferibili assolve dunque una funzione
perequativa nella misura in cui è destinata a
distribuire i benefici di nuova edificabilità ad un più
ampio gruppo di individui. Tale esito tuttavia dipende
dall’adozione di specifiche tecnicalità ed ha comunque
una portata limitata (ad es. esclude gli inquilini o i
proprietari esterni al comparto perequativo), mentre può
risultare compromesso dalla presenza di istituti
ambigui, volti a perseguire tramite la valorizzazione
economica dello ius aedificandi generato da un dato
suolo, obiettivi assai diversi da equità ed efficienza.
In effetti in Italia, a fianco
della perequazione vera e propria, figurano prescrizioni
di piano che riconoscono incrementi di diritti e
volumetria in cambio di denaro o altro. Queste soluzioni
rappresentano un’interpretazione estesa del concetto di
compensazione e sono nominalmente introdotte per
incentivare il raggiungimento di obiettivi riconosciuti
meritevoli dal pianificatore, legati, ad esempio, a
finalità di carattere sociale o di valorizzazione
ambientale. Nella pratica, tuttavia, vengono sovente
utilizzate in maniera strumentale alle esigenze di
trasformazione del tessuto urbano più che di tutela
conservativa del suolo e, talora, a obiettivi di finanza
pubblica, per rimpinguare le sempre più vuote casse
comunali, come esemplificato dalle due recenti e
contestate esperienze di pianificazione di Roma e
Milano.
Complessivamente dunque
l’esperienza italiana della perequazione urbanistica
solleva dubbi di varia natura. Da un lato il
perseguimento congiunto di equità ed efficienza appare
problematico nella misura in cui i due obiettivi
rimandano a criteri redistributivi distinti e per certi
versi opposti: l’efficienza guarda alla società come a
un unicum indistinto e sceglie la strada della
produzione del maggiore valore complessivo senza
riferimento alla ripartizione tra i suoi membri;
l’equità viceversa guarda ai singoli membri della
società e promuove una distribuzione delle risorse che
preservi l’eguaglianza tra essi, senza occuparsi del
risultato aggregato. Ed è ben noto inoltre che il
mercato e la libera negoziazione tra le parti sono al
più in grado di promuovere l’efficienza ma non l’equità.
Infine, la possibilità di dilatare
la concessione di diritti introdotta nelle esperienze
italiane citate non solo contraddice il meccanismo
fondante del mercato à la Roland Coase, l’individuazione
di una soglia precisa di esternalità, pregiudicando
ragionevolmente quindi gli obiettivi di efficienza; ma
introduce in modo non dichiarato uno strumento per
reintrodurre a livello locale la possibilità di batter
moneta, sotto forma di diritti trasferibili.
Complessivamente dunque la ‘perequazione urbanistica’
sembra prender la forma di espediente retorico per
camuffare sotto obiettivi socialmente rilevanti, equità
ed efficienza, interessi assai diversi. Come dicevano i
latini: pelle sub agnina latitat mens saepe lupina… |