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L’articolo presenta le competenze e
la sensibilità che devono caratterizzare chi è chiamato
a dirimere controversie non mediante una decisione,
bensì guidando le parti verso una composizione negoziata
rispetto alla quale centrale è il soddisfacimento dei
loro, solo loro, interessi e bisogni.
Il tema della preparazione del
mediatore ha assunto rilevanza ancor maggiore in seguito
al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che ha reso obbligatorio
il ricorso alla mediazione in relazione ad un
frastagliato novero di controversie.
Questa scelta rappresenta una
novità nel panorama istituzionale italiano in quanto
entrambe le parti rinunciano a parte dei loro diritti e
delle loro spettanze, optando per insipidi compromessi.
Per comprendere la mediazione occorre muovere da una
logica raffinata e nuova, secondo la quale l’uno può
vincere solo se anche l’altro vince.
Un mediatore certamente non si
improvvisa: all’arte della mediazione si giunge
attraverso un percorso formativo approfondito e
prolungato, improntato dall’alternanza di teoria e
pratica.
In definitiva, il mediatore deve
essere sufficientemente creativo per consentire
l’individuazione di modalità di risoluzione del
conflitto anche divergenti rispetto a quelle possibili
secondo diritto, ma sempre intrinsecamente giuste, non
corrispondenti a generalizzazioni, ma approntate ‘su
misura’ per le esigenze delle parti.
Le norme attuative del d.lgs. 4
marzo 2010, n. 28 assoggettano il rilascio del titolo di
mediatore ai soggetti che, avendo conseguito almeno una
laurea triennale o, in alternativa, essendo iscritti ad
ordini o collegi professionali, seguano “un percorso
formativo, di durata complessiva non inferiore a 50 ore,
articolato in corsi teorici e pratici, con un massimo di
trenta partecipanti per corso, comprensivi di sessioni
simulate partecipate dai discenti, e in una prova finale
di valutazione della durata minima di quattro ore”.
La mediazione non può prescindere
dall’analisi delle motivazioni personali, estranee al
giudizio ordinario che, per definizione, si limita
all’analisi dei fatti. La giustizia ordinaria si occupa
essenzialmente dei fatti, la mediazione delle persone
che li hanno generati e di quelle che li hanno subiti:
muove dai fatti per concentrarsi sulle istanze delle
persone.
La mediazione quindi si concentra
sulla persona, prestando attenzione ai suoi ‘nervi
scoperti’ nel gestire le relazioni, alle innegabili
difficoltà dovute ai singoli tratti caratteriali, ai
bisogni profondi messi in scacco.
Appare evidente che per lo sviluppo
di queste capacità e sensibilità non è sufficiente una
preparazione del mediatore fondata soltanto
sull’acquisizione di tecniche più o meno articolate, che
rischiano di perdere senso e significato se utilizzate
come espedienti ingenuamente ritenuti esaustivi.
La formazione deve avere carattere
di continuità onde accompagnare le reali esigenze di
crescita professionale e personale, e deve altresì
mantenere le caratteristiche di un intervento calibrato
sulle esigenze di ciascuno, assolutamente individuali, e
perciò non riducibili a schemi prefissati.
L’autrice ritiene doveroso
soffermarsi su di un’abilità che fondamentale:
l’esperienza mostra che, preliminarmente, il mediatore
deve avere la consapevolezza dei retropensieri delle
parti che spesso, se ignorati o travisati, compromettono
ogni procedibilità reale del processo di mediazione,
anche se, formalmente, l’atteggiamento delle parti è
collaborativo ed aperto.
Per questo nel mediatore deve
essere particolarmente radicata la sensibilità nei
confronti delle possibilità di cambiamento. Cambiamento
significa soprattutto saper cogliere le occasioni, anche
se fagocitati da una quotidianità che impedisce di
percepire segnali importanti e di vedere proficue
evoluzioni.
Il percorso di formazione del
mediatore deve fondare e consolidare la convinzione
della necessità di considerare il cambiamento quale
condizione naturale del vivere.
Questi schemi mentali determinano
automatismi che impediscono, di fatto, la
sperimentazione di efficaci modalità di superamento dei
conflitti, ed il mediatore deve disporre di mezzi per
individuarli e scoprirli, sì da renderli meno
condizionanti, pena il vedersi dipanare le situazioni
senza esservi ‘dentro’.
Alla formazione del mediatore non
si perviene tramite schemi genericamente predisposti, ma
grazie ad una formazione volta, più che ad ‘addestrare’
alla reiterazione di una scaletta, nel rispetto di una
sorta di check list del ‘buon mediatore’, ad insegnare,
invece, a cogliere gli stati emotivi, ad individuare con
sensibilità tutti gli snodi che la sensibilità
suggerisce.
Una formazione che sappia andare
oltre l’attuazione di un piano, di un programma
rigidamente predefinito nei tempi e nella loro
scansione: un progetto, quindi, costruito di volta in
volta dal formatore insieme alla classe.
La formazione efficace deve
contemplare la presentazione di più modelli operativi,
l’esposizione degli interventi possibili durante un
incontro di mediazione, nonché la spiegazione degli
elementi di metodologia generale e specifica;
soprattutto, però, deve tendere allo sviluppo delle
qualità richieste ad un mediatore, vale a dire la
conoscenza di sé e l’incontro con i suoi personali
conflitti. |