Nel merito.it
Gli effetti negativi che
l’inefficienza della giustizia civile può produrre
sull’economia sono molteplici e la letteratura ha
individuato ed evidenziato empiricamente l’esistenza di
numerosi di essi: compromettere la crescita
dimensionale, impedire lo sviluppo dei mercati
finanziari, distorcere il mercato del credito e quello
del prodotto, ostacolare la crescita dell’economia.
Secondo una valutazione di
Confartigianato e Infocamere svolta nel periodo
precedente alla grande crisi economica il costo per le
imprese del ritardo nella riscossione dei crediti è di
1.157 milioni di euro e quello legato alla lentezza
delle procedure concorsuali è di 1.174 milioni di euro.
Accanto a tale rilevanza diretta
per l’economia, la giustizia ha un effetto ulteriore e
rilevantissimo: dal buon funzionamento di essa dipende
l’effettività sia dei contratti sia di tutti gli altri
ambiti del diritto rilevanti per il sistema economico.
I dati sulla giustizia italiana
offrono ormai da troppo tempo un panorama sconsolante.
In alcuni settori le lentezze sono più gravi che in
altre ma comunque in nessuno di essi sono modeste.
Rimedi e riforme sono
improcrastinabili.
L’Italia segna il passo rispetto
agli altri Paesi avanzati sia dal punto di vista dei
tempi sia, sebbene in misura largamente inferiore, da
quello dei costi privati di accesso alla giustizia
civile.
In questi ultimi mesi il problema
del peso dell’inefficienza della giustizia civile sulla
crescita dell’economia italiana si è riproposto con
particolare forza in sede istituzionale, sia nazionale
sia sovranazionale.
Che cosa si sta facendo? Quali sono
le prospettive di politica normativa che si profilano in
questo campo vitale sia per l’economia sia per la
qualità della vita civile del Paese?
La manovra finanziaria approvata in
questi giorni introduce una delega al Governo per
interventi sulla geografia giudiziaria volti ad
affrontare l’inefficienza della macchina giudiziaria e
dispone una serie di interventi di minore entità
sull’organizzazione del processo. All’inizio di
settembre è stato anche approvato dal Governo lo schema
di decreto legislativo delegato per la semplificazione
dei riti processuali.
I tentativi di riforma che si sono
succeduti nel tempo hanno in comune la compresenza di
interventi straordinariamente numerosi e affastellati,
una modesta connessione tra le diverse azioni di
riforma, che, pertanto, non svolgono un’azione
coordinata verso uno stesso obiettivo, l’assoluta
prevalenza di azioni concentrate sulla modifica dei riti
piuttosto che sugli altri aspetti che governano le
dinamiche dei processi. Le regole che riguardano i riti
sono importanti, ma sono anche fondamentali gli
incentivi di comportamento che esse producono sui
protagonisti della contesa: i giudici, i difensori e le
parti.
Dal confronto internazionale emerge
chiaramente come l’Italia disponga di un numero di
magistrati e di risorse finanziarie non inferiore, e
talvolta superiore, a Paesi che pure mostrano una
performance giudiziaria migliore.
Secondo i dati del Consiglio
d’Europa, l’Italia è terza tra i Paesi europei con i
maggiori livelli di spesa pubblica per la giustizia, ed
è in linea con la media quanto a dotazione di magistrati
per l’esercizio della funzione giudicante. Quanto ai
tempi dei procedimenti, invece, secondo la stessa fonte,
l’Italia esibisce in assoluto i risultati peggiori tra
tutti i Paesi europei per tutte le tipologie di
contenzioso.
Finora in Italia le politiche di
potenziamento del sistema giudiziario sono state dirette
prevalentemente all’incremento del numero dei
magistrati.
Il principale elemento
d’inefficienza dell’offerta di giustizia in Italia
risiede nell’esistenza, nell’ambito dell’attività degli
uffici giudiziari, di economie di scala non sfruttate.
Le ragioni sono diverse ma la principale motivazione di
questa relazione risiede nella possibilità offerta dalle
sedi di maggior dimensione di sfruttare le economie di
specializzazione nell’attività dei magistrati.
Queste economie di specializzazione
non sono possibili nei piccoli tribunali, dove il
giudice si occupa delle questioni più disparate.
Le analisi rivelano anche che
l’introduzione del giudice unico ha comportato un primo
recupero di efficienza.
L’eccessivo numero di sedi, d’altra
parte, trova conferma anche dal confronto
Internazionale.Una modifica della distribuzione degli
uffici giudiziari è urgente e realizzabile senza
pregiudicare i diritti degli utenti.
Sfruttando gli investimenti di
maggiore informatizzazione dei tribunali che si stanno
realizzando nell’ambito dei progetti di innovazione
della pubblica amministrazione, massicci spostamenti e
accorpamenti fisici delle diverse sedi potrebbero essere
evitati.
Le disfunzioni legate alla
dimensione degli uffici giudiziari e alla
specializzazione nell’attività dei giudici non bastano a
spiegare il dissesto della giustizia italiana, ma certo
risolverle comporterebbe un grosso passo avanti.
Un elemento di particolare rilievo
nell’allungamento delle controversie deriva dalla
combinazione della normativa processual-civilistica
italiana, profondamente garantista, è la formula per la
remunerazione degli avvocati. La formula per determinare
l’onorario degli avvocati è ancora oggi regolata nella
sua essenza da un Regio decreto del 1933 e prevede che
la parcella del difensore sia legata indissolubilmente
al numero di attività svolte nell’ambito del processo.
Questo sistema produce non poche
distorsioni: tanto più l’avvocato è abile e riesce a
ridurre al minimo le procedure per risolvere la contesa,
tanto meno verrà pagato.
Infatti, in Italia, in proporzione
costa meno affrontare una causa di grande valore che una
di valore modesto.
E questa è la conseguenza di una
formula economicamente inefficiente di determinazione
delle parcelle che, oltre a dare luogo a molte opacità e
a impedire che i prezzi siano rivelatori di qualità,
concorre non poco alla congestione della giustizia. Se i
processi sono inutilmente complessi, per un dato numero
e una data produttività dei magistrati, i tempi
inevitabilmente si allungano.
Gran parte del dibattito sulla
riforma dell’avvocatura si concentra sul tema dei minimi
tariffari e su quello dell’opportunità o meno di porre
barriere all’ingresso per l’esercizio della professione.
In realtà, se i minimi tariffari
sono anticoncorrenziali e probabilmente anche inidonei a
svolgere un ruolo di difesa dell’interesse del cliente
da inettitudini professionali, perché fornire questa
garanzia è invece compito e ruolo degli ordini non sono
tuttavia la causa principale delle distorsioni del
mercato italiano dei servizi legali.
Per ottenere questo, la regola da
modificare è principalmente quella che governa la
formula di determinazione dell’onorario degli avvocati,
che fa sì che per un dato valore della causa, tanto
maggiore è il numero di attività svolte tanto più alta
sarà la parcella.
Infatti, se questa regola resta in
vigore, anche se si consente al singolo avvocato di
praticare prezzi inferiori ai minimi e se pure
contemporaneamente gli si consente di pubblicizzare con
qualunque mezzo questa sua scelta, comunque il
potenziale cliente non viene messo in grado di scegliere
sulla base della convenienza se rivolgersi a lui
piuttosto che a un altro avvocato.
Pubblicità e assenza di limiti al
ribasso delle tariffe non svolgono appieno il loro ruolo
di introdurre trasparenza e concorrenzialità se il costo
complessivo del servizio che si acquista non si può
conoscere in anticipo. Come può il cliente confrontare
le offerte di due diversi professionisti? Come può farsi
un’idea del
rapporto qualità/prezzo?
Le tariffe riguardano, infatti,
solo le singole azioni che l’avvocato svolgerà, ma il
numero di tali azioni può per uno stesso caso variare di
molto a seconda, per esempio, della strategia
processuale scelta. Al contempo il fatto che un avvocato
abbia svolto più azioni per il cliente non è affatto
garanzia di un servizio migliore perché la formula in
questione incentiva comportamenti distorti.
Risulta evidente il ruolo
determinante che svolge nel produrre una serie di
incentivi di comportamento la formula di determinazione
delle parcelle, che peraltro non viene adottata da
nessun altro Paese avanzato.
Imporre parcelle forfettarie
d’importo libero risolverebbe i problemi di concorrenza
nel mercato dei servizi legali e, al contempo,
alleggerirebbe non poco la congestione della giustizia
civile.
Le varie riforme che si sono
succedute negli anni hanno mirato prevalentemente a
riorganizzare i riti processuali in modo da renderli più
spediti.
Ma sono sistematicamente svuotate
dalla prassi processuale, dato che nel nostro diritto
non vi sono efficaci incentivi che rendano conveniente
alle parti e ai loro difensori non abusare delle
garanzie che il diritto processuale offre.
L’efficienza della giustizia civile
ha un effetto prociclico sull’economia e per questo la
lentezza dei processi concorrerà ad aggravare la già
profonda crisi economica del nostro Paese.
Le ragioni di tale influenza stanno
nel fatto che non solo la lentezza della giustizia rende
più difficoltoso ottenere il credito bancario e deprime
il livello degli investimenti, ma soprattutto spinge
sistema economico e imprese ad adottare comportamenti,
scelte, strutture aziendali volti a minimizzare il
rischio di incorrere in giudizio.
Restano, inoltre, ancora presenti
nel nostro ordinamento, nonostante i vari tentativi di
riforma che si sono succeduti, molti degli incentivi di
comportamento che concorrono alla congestione della
giustizia e all’allungamento dei tempi dei processi. Una
riforma delle professioni opportunamente calibrata
consentirebbe di riportare l’attuale sistema di
incentivi distorti verso un percorso virtuoso e, in
particolare, un intervento efficace potrebbe essere
quello di modificare l’attuale struttura di
determinazione delle parcelle degli avvocati. |