Villani Maurizio, Rizzelli
Alessandra
1. Premessa.
Il D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 741,
rubricato “Nuova disciplina dei reati in materia di
imposte sui redditi e sul valore aggiunto”, è stato
adottato in attuazione dell’art. 9 della Legge 25 giugno
1999, n. 205 e si inserisce in un più ampio contesto di
depenalizzazione dei reati minori, in seguito al
fallimento della legge 7 agosto 1982 n. 516 (c.d.
“manette agli evasori”) che non è riuscita a porre un
freno al fenomeno dell’evasione fiscale, né ha
contribuito alla formazione di una coscienza sociale
orientata verso il rispetto dei principi solidaristici
consacrati negli artt. 2 e 53 della Costituzione.
La differenza sostanziale della
nuova disciplina rispetto al sistema previgente è
rappresentata dalla rinuncia alla criminalizzazione di
violazioni meramente formali e preparatorie
all’evasione, tipica della maggior parte delle ipotesi
di reato previste dalle norme precedenti e,
diversamente, dall’importanza che assume la
presentazione della dichiarazione, quale momento in cui
viene ad instaurarsi il rapporto tra fisco e
contribuente, con il corollario della non punibilità del
tentativo sancito dall’articolo 6 del medesimo decreto
per tutti i reati in materia di dichiarazione.
Per quanto attiene, invece, i reati
in materia di documentazione e di pagamento disciplinati
dagli art. 8, 10 e 11 del D.Lgs. 74/2000, va
sottolineato come essi rappresentano un continuum con la
precedente disciplina. In sostanza, l’art. 8, rubricato
“Emissione di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti” e l’art. 10, rubricato “Occultamento o
distruzioni di documenti contabili” riguardano
fattispecie criminose volte a penalizzare il
contribuente per violazione del dovere di tenuta e
conservazione della documentazione, l’art. 11, rubricato
“Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte” ha
come scopo di reprimere la c.d. evasione alla
riscossione e di punire i responsabili dei mancati
pagamenti delle imposte dovute con un minore introito
del Fisco.
Il D.Lgs. 74/2000 è stato, poi,
integrato dapprima dalla Legge Finanziaria 2005 (Legge
30 dicembre 2004, n. 311) che all’art. 1, comma 414 ha
disposto l’inserzione nel contesto del decreto di un
nuovo articolo 10-bis (Omesso versamento di ritenute
certificate) volto a sanzionare condotte di evasione
fiscale perpetrate dal sostituto d’imposta, e
successivamente dall’art. 35, comma 7 del d.l. 4 luglio
2006, n. 233 (“Disposizioni comuni per il rilancio
economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonché
interventi in materia di entrate e di contrasto
all’evasione fiscale”), convertito con modificazioni in
Legge 4 agosto 2006, n. 248, il quale ha introdotto gli
articoli 10-ter (Omesso versamento di IVA) e 10-quater
(Indebita compensazione).
Tali reati hanno completato il
quadro dei delitti tributari contenuti nel Titolo II e
hanno dato vita ad una serie di strumenti repressivi di
violazioni in linea con quelli che sono sostanzialmente
i doveri fondamentali a cui il contribuente è tenuto a
conformarsi: l’obbligo di presentazione della
dichiarazione (Capo I dei delitti in materia di
dichiarazione), l’obbligo di tenuta e conservazione
della documentazione fiscale (Capo II dei delitti in
materia di documenti) e l’obbligo di pagamento delle
imposte (Capo II dei delitti in materia di pagamenti).
La diversità dei reati tributari,
previsti dalla legislazione vigente, comporta che la
natura di essi varia in relazione:
alla figura soggettiva che
commette il reato (reato comune, reato proprio);
al momento consumativo del
reato (reato istantaneo, reato permanente, reato
abituale);
alla condotta (reato a forma
vincolata, reato a forma libera);
all’offesa arrecata al bene
giuridico (reato di danno, reato di pericolo nonché
reati di pericolo concreto, pericolo astratto e pericolo
presunto).
Al fine di comprendere appieno la
natura del reato tributario occorre, conseguentemente,
analizzare le singole fattispecie delittuose.
2. I delitti in materia di
dichiarazione.
Il D.Lgs. 74/2000 suddivide al
Titolo II le ipotesi di reato in due gruppi: al Capo I i
delitti in materia di dichiarazione e al Capo II i
delitti in materia di pagamento e di imposte.
I delitti in materia di
dichiarazione sono disciplinati, poi, dagli articoli 2
“Dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o
altri documenti per operazioni inesistenti”, 3
“Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”, 4
“Dichiarazione infedele” e 5 “Omessa dichiarazione”.
Le figure previste nel Titolo II
Capo I - cui sono associate pene particolarmente severe,
in quanto i delitti in materia di dichiarazione, qui
regolati, realizzano in modo decisivo e concreto
l'evasione fiscale – sono accomunate da due elementi:
la necessaria sussistenza del
dolo specifico di evasione fiscale ("al fine di evadere
le imposte"): si sanzionano cioè (e pesantemente) quei
comportamenti mirati materialmente e
psicologicamente alla realizzazione
dell'evasione;
il superamento di soglie di
punibilità, riferite a determinati importi dell'imposta
evasa (tranne che il reato di cui all'art. 2).
2.1 La dichiarazione fraudolenta
mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti e la dichiarazione fraudolenta mediante
altri artifici. (artt. 2 e 3)
Tra i delitti in materia di
dichiarazione quello di “dichiarazione fraudolenta”
rappresenta sicuramente la fattispecie di delitto più
grave fra quelle regolate dalla normativa di riforma del
sistema penale tributario. Esso ricorre allorquando vi
sia una rappresentazione dei fatti non solo non
veritiera, ma anche particolarmente insidiosa, in quanto
basata su di un impianto contabile e documentale tale da
rendere quanto mai difficile la fase di accertamento da
parte dell’Amministrazione Finanziaria e, comunque, tale
da sostenere con l’inganno i dati indicati nella
dichiarazione.
Nell’ambito di tale categoria vi
rientrano due fattispecie criminose: la dichiarazione
fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti
per operazioni inesistenti disciplinata dall’art. 2, e
la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici
disciplinata dal successivo art. 3.
Soggetto attivo del reato può
essere unicamente colui il quale è contribuente ai fini
delle imposte dirette e dell’IVA, oppure è
amministratore, liquidatore o rappresentante del
contribuente soggetto ad imposizione. L’ambito
soggettivo di applicazione della norma è ampio potendo
riguardare anche i titolari di redditi di lavoro
dipendente, di fabbricati, terreni o altresì di entrate
non soggette all’obbligo di tenuta delle scritture
contabili, bensì soltanto all’obbligatoria presentazione
della dichiarazione annuale.
In relazione all’elemento oggettivo
dei reati in esame, rileva sottolineare come la
dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o
documenti per operazioni inesistenti (art. 2) richiede
due comportamenti diversi e susseguenti indispensabili
per il compimento del reato: il contribuente deve
innanzitutto disporre delle fatture e degli altri
documenti per operazioni inesistenti mediante la loro
registrazione e/o detenzione ai fini probatori nei
confronti dell’Amministrazione Finanziaria e,
successivamente, deve utilizzare tali documenti mediante
indicazione, nella dichiarazione, di elementi passivi
fittizi o di attivi inferiori a quelli reali, così
fornendo all’Erario una falsa rappresentazione della
situazione contributiva.
Diversamente, se il contribuente si
limitasse alla mera registrazione delle fatture
inesistenti in contabilità, senza che ciò influisse
sulla dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui
redditi o IVA (già presentata dal contribuente, ovvero,
per l’annualità in corso all’atto della verifica, da
presentare), siffatta condotta non rileverebbe ai fini
della configurazione del reato in esame.
La dichiarazione fraudolenta
mediante altri artifici ricorre laddove le indicazioni
mendaci di elementi attivi inferiori a quelli reali e/o
di elementi passivi superiori a quelli effettivi siano
suffragate da una documentazione contabile tesa a
fuorviare e ad intralciare la successiva attività di
accertamento dell’Amministrazione Finanziaria.
Ne deriva che le mere violazioni
degli obblighi di fatturazione e di registrazione dei
corrispettivi non sono da sole sufficienti al fine di
configurare gli artifici previsti dall’articolo in
esame. Diversamente, si richiede che tali violazioni,
per le particolari modalità con le quali vengono poste
in essere (violazioni sistematiche e continue, o tenuta
ed occultamento di contabilità in nero parallele a
quella ufficiale), conducano alla falsa rappresentazione
generale della situazione fiscale del contribuente.
In sede penale, l’onere della prova
del carattere fittizio dei costi indicati nella
dichiarazione annuale è a carico del P.M., stante il
principio di presunzione di innocenza fino a condanna
definitiva ex art. 27, comma 2, della Costituzione;
differentemente da ciò che accade nel processo
tributario laddove l’onere della prova della non falsità
delle fatture ricade sul contribuente, mentre l’Ente
impositore potrà limitarsi ad offrire un fumus di
elementi suffraganti la tesi della falsità delle
fatture.
In sostanza, nell’ambito del
processo penale, laddove i semplici indizi risultino
essere prevalenti rispetto alle prove, il combinato
disposto degli artt. 192 c.p.p. e 530, comma 2, c.p.p.
vieta al Giudice di pronunciare sentenza di condanna,
qualora sulla colpevolezza dell’imputato persiste un
ragionevole dubbio: il persistere di fatti che possano
dare una chiave di lettura diversa nel generare un
dubbio non irragionevole sulla responsabilità
dell’imputato impone l’assoluzione.
Diversamente, qualora il giudice di
merito ritenga sussistente il disegno criminoso di
evasione fiscale ed il reato di dichiarazione
fraudolenta – basandosi su prove gravi, precise e
concordanti – la relativa pronuncia sarà immune dai vizi
denunciati dall’imputato mediante ricorso per Cassazione
e consentirà, al di là di ogni ragionevole dubbio, di
pervenire ad un giudizio di responsabilità del
ricorrente.
La consumazione del reato in esame
avviene con la presentazione della dichiarazione
fraudolenta, ossia con l’unico atto mediante il quale –
nelle intenzioni del legislatore della riforma penale
tributaria – l’interesse erariale alla percezione dei
tributi è messo concretamente a repentaglio.
2.2 La dichiarazione infedele.
La dichiarazione infedele ha
carattere residuale in quanto l’art. 4 stabilisce che la
fattispecie si realizza “fuori dei casi previsti dagli
articoli 2 e 3”, che disciplinano le dichiarazioni
fraudolente.
La residualità della dichiarazione
infedele rispetto alle dichiarazioni fraudolente si
manifesta nel senso che la finalità di evadere le
imposte sui redditi e sul valore aggiunto è perseguita
con artifici, che non considerano l’impiego di documenti
(fatture, registrazioni contabili, ecc.): le due forme
di dichiarazioni fraudolente, infatti, pur diverse fra
loro, per la tipicità dei requisiti dell’una e la
varietà di elementi dell’altra, sono unificate dal
riferimento alle scritture contabili, mentre, nella
dichiarazione infedele, l’indicazione di elementi
passivi fittizi in una delle dichiarazioni annuali viene
attuata in forme che utilizzano mezzi, documentali o
meno, in ogni caso diversi da quelli richiesti nella
disciplina delle dichiarazioni fraudolente (artt. 2 e
3). Peraltro, le dichiarazioni fraudolente, come la
dichiarazione infedele, anche se hanno a oggetto
comportamenti differenti, sono preordinate allo stesso
fine, quello di evadere le imposte sui redditi e sul
valore aggiunto.
Considerato che il fine di evadere
le imposte sui redditi o sul valore aggiunto è comune a
tutte le fattispecie di delitti in materia di
dichiarazione, l’approccio progressivo deve tener conto
della struttura dei due tributi, onde individuare gli
elementi della fattispecie relativa e qualificare la
natura della fattispecie, con la conseguenza che se si
esclude il carattere fraudolento della condotta, la
fattispecie stessa è configurabile come dichiarazione
infedele.
Il reato in esame è posto,
pertanto, a tutela in via diretta dell’interesse
patrimoniale dell’Erario in quanto vengono
criminalizzate quelle condotte alle quali consegue
effettivamente l’evento del danno, per le pretese
fiscali pubbliche, cagionato dall’evasione; quest’ultima
rileva solo nel momento in cui l’imposta evasa sia
quantitativamente superiore a quanto indicato nelle
soglie di punibilità. Si richiede, quindi, che la
condotta infedele accertata ed attribuita al
contribuente sia qualitativamente tale da arrecare un
nocumento sostanziale e “non formale”
all’amministrazione.
E’ importante, inoltre, rilevare
come la nozione di cui all’art. 4 D.Lgs. n. 74 del 2000
faccia esplicito riferimento ad un reato di evento così
come la fattispecie di dichiarazione fraudolenta
mediante altri artifici di cui all’art. 3 D.Lgs. n. 74
del 2000. Al contrario, nel caso dell’art. 2 D.Lgs. n.
74 del 2000, pur non negandosi i rilevanti caratteri di
novità rispetto alla fattispecie in precedenza
disciplinata dalla L. n. 516 del 1982, si ritiene ci si
trovi innanzi ad un reato di pericolo e non di danno in
quanto l’integrazione della condotta si verifica nel
momento in cui avviene la presentazione di una
dichiarazione nella quale sono stati indicati elementi
passivi fittizi, in conseguenza dell’utilizzo di fatture
o altri documenti per operazioni inesistenti. Non
necessariamente, ai fini del perfezionamento della
figura del reato de quo, è richiesto, come elemento
indefettibile, l’evento del danno.
In merito ai soggetti attivi del
reato, poi, a dispetto delle formulazione utilizzata
(Chiunque), possiamo dire che la dichiarazione infedele
costituisce un reato proprio, in quanto configurabile
solo in capo a coloro che sono soggetti all’obbligo di
presentare la dichiarazione ai fini delle imposte sul
reddito e/o sul valore aggiunto, ancorché non obbligati
alla tenuta delle scritture contabili. L’ambito
soggettivo di applicazione risulta, pertanto, essere
dilatato rispetto all’art. 3, il quale è attribuibile
soltanto ai soggetti obbligati alla tenuta delle
scritture contabili, oltre che alla presentazione della
dichiarazione.
Infine, per quanto concerne
l’elemento soggettivo de quo, l’art. 4 del D.lgs. n. 74
del 2000 indica, quale elemento indefettibile ai fini
della punibilità della condotta, il dolo specifico del
perseguimento del fine di evadere le imposte sui redditi
o sul valore aggiunto.
2.3 L’omessa dichiarazione.
L’art. 5 prevede l’ipotesi classica
di evasione fiscale, realizzata mediante l’omessa
dichiarazione dei redditi, ma non per questo da
considerare come l’ipotesi più grave e lesiva
dell’interesse erariale.
Infatti, la condotta omissiva, nel
reato di cui all’art. 5, parimenti alla ipotesi di
dichiarazione infedele, non è caratterizzata da intenti
e mezzi fraudolenti, idonei ad indurre in errore
l’Amministrazione nella funzione di accertamento
reddituale.
Se la pena prevista per i reati di
cui agli artt. 4 e 5 è la medesima ( minimo 1, massimo 3
anni di reclusione ), l’ipotesi della omessa
dichiarazione è subordinata ad una sola condizione di
punibilità, rappresentata dal superamento della soglia
pari a € 30.000,00 per ogni singola imposta (importo
modificato a seguito della Manovra –bis 2011).
Il meccanismo sanzionatorio è
attenuato dalla previsione al co. 2 di alcune cause di
non punibilità, mutuandole dall’art. 1 co. 1 del D.L.
429/82, convertito nella l. 516/82: presentazione della
dichiarazione entro 90 gg. dalla scadenza del termine,
dichiarazione non sottoscritta o non redatta in uno
stampato conforme al modello.
Si tratta di delitto riconducibile
alla categoria degli illeciti “omissivi propri” che non
richiedono il verificarsi di alcun evento materiale e
sono, da un punto di vista oggettivo, costituiti da un
presupposto tipico da cui scaturisce l’obbligo di agire,
dalla condotta omissiva, da un termine entro il quale
deve intervenire l’adempimento. Il reato ha inoltre
natura “istantanea” perché si realizza a seguito del
mancato compimento da parte del soggetto attivo
dell’azione comandata, ossia l’omessa presentazione,
entro il termine di legge, di una dichiarazione annuale
relativa alle imposte sui redditi o all’imposta sul
valore aggiunto, senza che a ciò debba seguire il
verificarsi di un ulteriore evento materiale.
Il bene giuridico tutelato si
individua nell’interesse erariale alla tempestiva ed
efficace riscossione delle imposte, così come liquidate
dallo stesso contribuente con la propria dichiarazione.
Nonostante la norma utilizzi la
locuzione “chiunque, al fine di evadere le imposte sui
redditi o sul valore aggiunto”, trattasi di un reato
“proprio”, potendo essere commesso esclusivamente da
coloro i quali siano obbligati alla presentazione delle
dichiarazioni anzidette.
Con una recente sentenza
(10/06/2010, n. 22045, Cass., Sez. III penale), la
Cassazione penale ha avuto modo di precisare la natura
del reato di omessa dichiarazione fiscale.
Si tratta di fattispecie omissiva,
connotata dal dolo specifico di evasione, che si consuma
con il vano spirare dell’ultimo termine a disposizione
del contribuente per adempiere l’obbligo, a nulla
rilevando la modalità di presentazione prescelta. In
particolare, si richiede che l’imposta effettivamente
evasa, il cui ammontare è liberamente determinato dal
giudice penale, superi la soglia di punibilità prevista
dalla norma incriminatrice. Al reato risulta applicabile
la confisca per equivalente.
Da ultimo, si rileva come con
sentenza n. 35858/2011 la Cassazione ha avuto modo di
statuire che il reato di omessa presentazione della
dichiarazione si determina anche se sono state emesse
solo fatture per operazioni inesistenti, in quanto in
base all’articolo 21, comma 7, del Dpr 633/72 l’imposta
è sempre dovuta. Inoltre, nella specifica fattispecie di
reato, l’imposta evasa, in assenza di contabilità, deve
essere determinata dal giudice quale differenza fra le
fatture emesse e l’imposta detraibile relativa alle
operazioni passive effettivamente documentate.
3. I delitti in materia di
documentazione.
I delitti in materia di
documentazione sono disciplinati dagli articoli 8
“Emissione di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti” e 10 “Occultamento o distruzione di
documenti contabili” del D.Lgs. n. 74/2000.
La repressione di tali condotte, le
quali – alterando la documentazione contabile –
contrastano l’attività di controllo della
Amministrazione Finanziaria e pongono le basi per
fenomeni di evasione fiscale, era peraltro una finalità
espressamente prevista dalla legge delega n. 205/1999.
A differenza dei reati in materia
di dichiarazione, i delitti in materia di documentazione
sono rimasti estranei al generale arretramento della
soglia di tutela penale, penalizzando i reati in materia
di documentazione condotte prodromiche e sintomatiche di
una possibile futura evasione.
Si tratta, infatti, di reati di
mero pericolo, che sebbene volti a criminalizzare
condotte ostative all’attività di accertamento fiscale,
sono strumentali per la salvaguardia degli interessi
erariali, in quanto contrastano condotte elusive degli
strumenti fiscali, tramite i quali vengono reperite le
risorse patrimoniali dello Stato.
3.1 Emissione di fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti.
L’art. 8 del D.Lgs. 74/2000 punisce
chi emette fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti, al fine di permettere ad altri l’evasione
dell’Iva o delle imposte sul reddito
Si tratta di una fattispecie
criminosa speculare a quella prevista dall’art. 2
nell’ambito dei reati in materia di dichiarazione in
quanto riguarda colui il quale non presenti una
dichiarazione, contenente elementi non corrispondenti al
vero, sulla base dell’utilizzazione di fatture o altri
documenti di rilevanza fiscale per operazioni
inesistenti, ma ometta o rilasci i predetti documenti.
In questo caso la condotta del
soggetto attivo comporta una grave lesione degli
interessi erariali, in quanto è finalizzata a consentire
a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o
dell’imposta sul valore aggiunto oppure il conseguimento
di un indebito rimborso.
Quanto alla natura del reato di
emissioni di fatture per operazioni inesistenti,
possiamo ritenere che rientri tra i reati di pericolo
astratto, in quanto mira a tutelare l’interesse dello
Stato a non vedere ostacolata la propria funzione di
accertamento fiscale, sicché è stata anticipata dal
legislatore, nella configurazione della predetta
fattispecie criminosa, la soglia dell’intervento
punitivo rispetto al momento della dichiarazione.
Trattasi di un reato in cui è
necessario il dolo specifico dell’agente e non è
essenziale ai fini della configurazione della
fattispecie criminosa che lo scopo perseguito sia
effettivamente conseguito; ai fini della consumazione
del reato, invece, rileva il momento dell’emissione
della fattura, trattandosi di reato istantaneo.
Interessante rilevare come la
giurisprudenza si è pronunciata più volte sul rapporto
intercorrente tra il reato di cui all’art. 8 in commento
ed il delitto di truffa aggravata previsto e
disciplinato dall’art. 640, comma 2, n. 1 del codice
penale. Confrontando la struttura dei due reati in
questione emerge chiaramente che, mentre la truffa si
connota per l’induzione in errore e per il dolo
specifico di perseguire un profitto proprio o altrui
ingiusto con altrui danno, la frode fiscale si connota
per uno specifico artificio e per una condotta a forma
vincolata, senza che assuma rilievo, ai fini
dell’integrazione della fattispecie, la verificazione
dell’evento danno.
Al riguardo, recentemente la
Suprema Corte con sentenza n. 1235 del 19 gennaio 2011
ha statuito che tra frode fiscale e truffa aggravata ai
danni dello Stato vi è un rapporto di specialità. Non è
quindi possibile applicare la sanzione più severa
derivante dal concorso tra i due delitti.
L’unica eccezione è rappresentata
dal caso in cui dalla frode derivi un profitto ulteriore
e diverso rispetto all’evasione fiscale, come
l’ottenimento di finanziamenti pubblici.
3.2 Occultamento e distruzione di
documenti contabili
L’articolo 10 del D.Lgs. n. 74/2000
punisce chi occulta o distrugge la documentazione
contabile al fine ultimo di ostacolare l’accertamento
dell’Amministrazione Finanziaria: il bene giuridico
oggetto della tutela penale è l’interesse statale alla
trasparenza fiscale del contribuente, in quanto la norma
penale incriminatrice sanziona l’obbligo di non
sottrarre all’accertamento le scritture e i documenti
obbligatori.
Apparentemente il reato si connota
come un autonomo delitto proprio dei soggetti tenuti ad
un regime di contabilità obbligatorio, naturalmente ai
fini fiscali. Tuttavia, la norma contiene un’ulteriore
specificazione che consente di attrarre nella sfera del
penalmente rilevante anche la distruzione o
l’occultamento di altri documenti rispetto ai quali
sussiste un obbligo di conservazione, estendendo la
soggettività attiva al genus dei contribuenti.
Si tratta di soggetti che, pur non
essendo obbligati alla conservazione delle scritture
contabili ai fini fiscali, dispongono in ogni caso di
documenti dei quali sia prescritta la conservazione:
trattasi, pertanto, di un reato comune.
Al pari della fattispecie
incriminatrice prevista dall’articolo 8, anche per il
delitto di occultamento e distruzione di documenti
contabili è necessario il dolo specifico consistente
nella finalità di evadere le imposte sui redditi o sul
valore aggiunto, ovvero dallo scopo di consentire a
terzi tale obiettivo.
4. I delitti in materia di
pagamenti di imposte.
Nel progetto iniziale del
legislatore delegato, nel novero dei delitti in materia
di pagamento era incluso soltanto l’art. 11 del D.Lgs.
n. 74, rubricato “Sottrazione fraudolenta al pagamento
di imposte”.
Successivamente, in considerazione
di alcune lacune che la disciplina penale tributaria
presentava, si è provveduto ad apportare delle modifiche
e delle integrazioni che hanno introdotto delle nuove
fattispecie delittuose che, sebbene sottonumerazioni
dell’art. 10, si accostano maggiormente ai delitti in
materia di pagamento che a quelli di documentazione.
Le nuove fattispecie introdotte
riguardano l’Omesso versamento di ritenute certificate
(art. 10-bis), l’Omesso versamento di IVA (art. 10 ter)
e l’Indebita compensazione (art. 10 quater).
Si tratta di norme volte a
penalizzare comportamenti che incidono negativamente
sulla riscossione delle imposte e che vedono quale bene
giuridico tutelato l’interesse statale al prelievo
fiscale.
4.1 Omesso versamento di ritenute
certificate.
L’art. 10-bis del D.Lgs. 74/2000
punisce chiunque non versi entro il termine previsto per
la presentazione della dichiarazione annuale di
sostituto di imposta ritenute risultanti dalla
certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare
superiore a € 50.000,00 per ciascun periodo d’imposta.
Si rileva come tale fattispecie
criminosa fosse in precedenza prevista dal D.L. n.
429/1982 poi abrogato dall’art. 25 del D.Lgs. 74/2000;
poco dopo l’intervenuta abrogazione, però, il
Legislatore si rese conto che la scelta di non
sanzionare le condotte illecite dei sostituti d’imposta
aveva determinato un rilevante danno economico per
l’Erario, conseguentemente al proliferarsi di episodi di
mancato versamento delle ritenute certificate da parte
dei soggetti tenuti a tale adempimento.
Il reato di omesso versamento di
ritenute certificate è un reato proprio in quanto la
condotta illecita può essere posta in essere soltanto
dai soggetti gravati dagli obblighi dei sostituti
d’imposta; inoltre, anche se in base alla lettera della
norma può essere commesso da “chiunque”, in realtà può
essere imputato soltanto a chi riveste la qualità di
sostituto d’imposta, essendo connotato indefettibile
della condotta il mancato adempimento dell’obbligo di
versamento posto a carico del sostituto d’imposta.
Per quanto attiene al bene
giuridico tutelato dalla fattispecie delittuosa in
commento, possiamo dire che consiste nell’interesse
dello Stato alla puntuale e quasi integrale percezione
del tributo e, quindi, all’effettiva riscossione delle
imposte effettivamente dovute. Nello stesso tempo, però,
la norma incriminatrice realizza in via mediata una
forma di tutela penale del lavoratore che, nonostante
abbia percepito una retribuzione diminuita delle somme
trattenute dal datore di lavoro a titolo di acconto
dell’imposta sui redditi, si troverebbe a dover
rispondere nei confronti del Fisco, con aggravio di
sanzioni ed interessi, del proprio debito tributario
conseguente al mancato versamento da parte del sostituto
delle somme trattenute.
Trattasi di un reato a forma
vincolata considerando che la condotta si sostanzia in
un non facere. In merito, invece, alla consumazione del
reato trattasi di un delitto di natura istantanea che si
consuma al momento della scadenza del termine ultimo
previsto dalla legislazione tributaria per la
presentazione della dichiarazione del sostituto
d’imposta.
Diversamente dalle fattispecie
criminose previste dal D.Lgs. n. 74/2000, non è
richiesto quale elemento soggettivo il dolo specifico di
evasione, con conseguente irrilevanza del movente
dell’omissione del sostituto d’imposta. Il delitto,
pertanto, è punito a titolo di dolo generico, inteso
come coscienza e volontà di omettere il versamento.
Uno dei momenti dell’atteggiamento
psichico richiesto dalla legge, oltre alla volontà di
non versare, è il superamento della soglia di
punibilità, stabilito dalla norma in € 50.000,00, la
quale, ovviamente, costituisce un elemento costitutivo
della fattispecie criminosa e, quindi, una componente
del reato che deve essere rappresentata e voluta
dall’agente.
4.2 Omesso versamento di IVA.
L’art. 10-ter assicura una
protezione penale all’omesso versamento dell’IVA
risultante dalla dichiarazione annuale. Sotto il profilo
sanzionatorio, il comportamento di chi non versa l’IVA,
è assimilato a quello del sostituto d’imposta che non
versa le ritenute risultanti dalla certificazione
rilasciata ai sostituti.
L’omesso versamento IVA costituisce
una fattispecie di reato proprio non esclusivo, dal
momento che è realizzabile dal soggetto passivo degli
obblighi dichiarativi e contributivi in materia di
imposta sul valore aggiunto. Costituisce un reato a
forma vincolata con un evento di mancato pagamento e,
quindi, di natura omissiva, per la cui configurazione è
necessario il mancato adempimento dell’obbligazione di
pagamento del debito IVA, dovuta in base alla
dichiarazione regolarmente presentata.
Come già rilevato in relazione al
reato di omesso versamento delle ritenute, anche il
reato di omesso versamento IVA si caratterizza per il
dolo generico e non richiede, pertanto, la sussistenza
di un dolo specifico di evasione.
4.3 Indebita compensazione.
Tale fattispecie criminosa,
introdotta dal decreto Bersani, non conosce precedenti
nel diritto penale tributario e rappresenta il risultato
della forte preoccupazione destata dalla proliferazione
del fenomeno di indebita compensazione nel corso del
2006.
In particolare, il comportamento
del contribuente è connotato da un particolare disvalore
di condotta e di evento: costui, tradendo la fiducia
ripostagli dall’Amministrazione Finanziaria, procede
intenzionalmente a decurtare dall’imposta dovuta crediti
d’imposta inesistenti o semplicemente non spettanti.
La nuova condotta delittuosa viene
individuata, quindi, nel mancato versamento di somme
dovute utilizzando l’istituto della compensazione in
modo scorretto per un importo superiore a € 50.000,00
per ciascun periodo d’imposta e, precisamente, opponendo
in compensazione crediti inesistenti o non spettanti.
Anche il reato di indebita compensazione costituisce un
delitto istantaneo in quanto si consuma nel momento in
cui viene operata la compensazione per un importo
superiore alla soglia prevista dalla norma: esattamente
la condotta si perfeziona al momento della presentazione
del Modello F24, il quale rileva anche ai fini
dell’individuazione del giudice competente per
territorio a conoscere della condotta illecita ex art.
18 D.Lgs. n. 74/2000.
4.4 Sottrazione fraudolenta al
pagamento di imposte.
La fattispecie delittuosa
disciplinata dall’art. 11 del D.Lgs. 74/2000 ha colmato
una grave lacuna che sia la dottrina che la
giurisprudenza avevano riscontrato nella Legge 516/1982,
la quale lasciava impunite le condotte di volontaria
diminuzione della garanzia patrimoniale poste in essere
dal contribuente per sottrarsi al pagamento delle
imposte.
La sottrazione fraudolenta al
pagamento delle imposte è da considerarsi non un reato
di danno bensì di pericolo: è sufficiente, infatti, la
mera astratta possibilità, anche in fieri, che una
determinata operazione protettiva (fondo patrimoniale,
trust, separazione coniugale, ipoteca, ecc..) sia stata
attuata per far scattare il pericolo affinché tale
azione si finalizzi poi nel rendere difficoltosa la
riscossione delle imposte dovute; siano esse quelle
maggiori derivanti da una verifica che quelle ordinarie
dovute sulla base della dichiarazione presentata.
Non è quindi necessario l’effettivo
impedimento della procedura di riscossione, ma la mera
idoneità della condotta del contribuente a rendere nulla
la stessa procedura; idoneità da apprezzare, in base ai
principi, con giudizio ex-ante. Così un soggetto
potrebbe vedersi sequestrare i beni di cui detiene la
disponibilità per aver messo in atto delle operazioni
solo potenzialmente idonee a rendere infruttuosa la
riscossione, a prescindere che poi l’Agenzia riesca a
concludere positivamente la riscossione.
Al riguardo, si rammenta la
sentenza della Cassazione penale n. 38925/2009 che,
richiamando le precedenti pronunce giurisprudenziali,
sostiene che è evidente la natura di reato di pericolo
della sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte
“essendo stato anticipato il momento sanzionatorio alla
commissione di qualsiasi atto che possa porre in
concreto pericolo l’adempimento di un’obbligazione
tributaria, indipendentemente dall’attualità della
stessa”.
Sebbene nel testo della norma il
legislatore utilizzi la locuzione “chiunque”, il reato è
proprio in quanto può essere commesso dal contribuente
gravato da un’obbligazione tributaria nei confronti del
fisco: infatti, l’ambito di applicazione della norma è
limitato alla sottrazione del pagamento delle sole
imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto.
La responsabilità per il delitto in
esame è configurabile qualora il contribuente ponga in
essere, anche alternativamente, una delle seguenti
condotte:
alienazione simulata;
compimento di altri atti
fraudolenti.
Ai fini della configurabilità del
reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle
imposte è richiesto l’elemento soggettivo del dolo
specifico di evasione ossia la consapevolezza
dell’esistenza di un suo dovere dare in funzione della
ricchezza che possiede e degli interessi e delle
sanzioni dovute in conseguenza del mancato o del tardivo
pagamento.
5. Condono delle liti pendenti:
attenuante ai fini penali.
L’art. 39, comma 12, del D.L.
98/2011 nel prevedere la definizione delle liti
pendenti, lascia la possibilità anche al contribuente
indagato/imputato in un procedimento penale in corso di
poter ricorrere a tale definizione: tanto in virtù del
fatto che l’art. 16 della Legge 289/2002, cui rinvia la
norma succitata, non fa alcun espresso riferimento
all’eventuale avvenuto esercizio dell’azione penale.
Nondimeno, anche sul piano penale
la definizione della lite produce i suoi effetti
considerato che il condono vale come circostanza
attenuante ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 74/2000 e,
pertanto, proprio in virtù di ciò, rende possibile il
patteggiamento della pena: ovviamente, in virtù del
“doppio binario” il processo penale eventualmente
pendente prosegue, in quanto il condono non comporta la
sua interruzione.
Come innanzi detto, in caso di
avvenuta conciliazione ci si potrà avvalere della
circostanza attenuante prevista dall’art. 13 del D.Lgs.
74/2000 e beneficiare di uno sconto della pena di un
terzo se, prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado, i debiti tributari sono
estinti mediante pagamento, “anche a seguito delle
speciali procedure conciliative o di adesione
all’accertamento previste dalle norme tributarie”.
Mentre l’adesione al condono
dovrebbe integrare una procedura conciliativa o di
adesione all’accertamento e, quindi, far scattare
l’attenuante, diverso si profila il discorso allorquando
il condono venga effettuato a seguito di un atto
irrogativo di sole sanzioni: in tal caso, infatti,
concernendo l’atto le sanzioni e non l’imposta,
l’attenuante non può operare.
Occorre rilevare, però, che le
suesposte considerazioni riguardano in particolar modo
il delitto di cui all’art. 2 (Dichiarazione fraudolenta
mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti) del D.Lgs. 74/2000, fattispecie in cui non
è prevista alcuna soglia di punibilità.
Nelle altre ipotesi di reato,
infatti, laddove sono previste delle soglie di
punibilità, il contribuente che superi le suddette
soglie non potrà accedere al condono
6. La Manovra –bis 2011.
La Legge 14 settembre 2011, n. 148,
in sede di conversione del D.L. 13 agosto 2011, n. 138
(Manovra-bis 2011), ha modificato varie disposizioni
contenute nel D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, con il chiaro
intento di colpire con maggiore efficacia la dilagante
evasione fiscale: tale intento è stato perseguito senza
modificare le figure criminose a suo tempo introdotte
dal decreto legislativo n. 74/2000 ma bensì abbassando
le soglie di punibilità, allungando i tempi necessari
per il decorso della prescrizione e limitando sia la
possibilità di patteggiamento che, nei casi più gravi,
la concessione della sospensione condizionale della
pena.
Indubbiamente la modifica
maggiormente rilevante, introdotta dal citato decreto
legge n. 138/2011, è stata apportata al reato di
dichiarazione fraudolenta mediante annotazione di
fatture false: invero, è stata abrogata l’attenuante che
nel caso in cui le operazioni inesistenti non fossero
superiori a euro 154.937,07 prevedeva in luogo della
pena edittale innanzi indicata quella più favorevole
della reclusione da sei mesi a due anni.
E’ evidente che a seguito di tale
abrogazione la pena edittale sarà applicabile
all’emissione e alla registrazione di ogni e qualunque
documento relativo ad operazioni inesistenti di
rilevanza penale e cioè a quelli emessi per operazioni
non realmente effettuate in tutto o in parte, che
indicano i corrispettivi o l’IVA in misura maggiore a
quella reale e che riferiscono l’operazione a soggetti
diversi da quelli effettivi, senza alcuna distinzione di
importo; paradossalmente, quindi, l’emissione e/o
l’utilizzo di una fattura falsa di pochi euro viene
punita alla medesima maniera di una da milioni di euro.
La nuova disciplina ha abolito
anche per il reato di emissione di fatture false o altri
documenti per operazioni inesistenti l’ipotesi
attenuata, con la conseguenza che la pena applicabile è
sempre la reclusione da un anno a sei anni,
indipendentemente dall’importo dei documenti falsi.
Per entrambi i predetti reati il
decreto legge n. 138/2011 ha introdotto anche una
significativa limitazione alla possibilità di avvalersi
della sospensione condizionale della pena, che non può
essere più concessa qualora l’imposta evasa sia
superiore a tre milioni di euro e al 30% del volume di
affari dichiarato.
Anche la possibilità di poter
beneficiare della riduzione di pena prevista per la
scelta del rito alternativo del patteggiamento è stata
fortemente limitata in quanto con la nuova disciplina
l’accesso al rito è condizionato al preventivo pagamento
di tutte le imposte oggetto della contestazione e delle
relative sanzioni.
Parimenti le attenuanti
riconosciute in favore del contribuente che prima
dell’apertura del dibattimento ha provveduto a
estinguere il debito d’imposta sono state ridotte dalla
metà a un terzo della pena inflitta
Per tali reati, infine, è stato
previsto un aumento di un terzo degli ordinari termini
di prescrizione: conseguentemente il termine ordinario
di sei anni viene elevato a otto anni ovvero, qualora
ricorra una delle cause di interruzione previste
dall’articolo 17 del decreto legislativo n. 74/2000, a
dieci anni. |