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 L'AVVOCATO LESO DEVE SEMPRE ALLEGARE E PROVARE LA FLESSIONE REDDITUALE PER IL PERIODO DI INABILITA' TEMPORANEA - Cass. civ., sez. III, 14 novembre 2011, n.23761, pres. Filadoro, rel. Giacalone Paolo M. STORANI

 

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PRSONA E DANNO.IT_

In seguito ad un sinistro l'infortunato, di professione avvocato, rimane impossibilitato ad attendere alle sue ordinarie occupazioni dal 28 agosto al 3 ottobre. E' costretto a ricorrere in cassazione per impugnare la sentenza della Corte di Appello di Roma, che, confermando la bontà del primo verdetto, ha ritenuto non provata la richiesta di liquidazione del danno patrimoniale futuro da lucro cessante per tale periodo di inattività. Talché, al libero professionista era stata negata la possibilità di ritenere "automaticamente provato" il danno patrimoniale quantunque avesse prodotto le dichiarazioni dei redditi dell'ultimo triennio. Con la pronuncia n.23761, emessa il 20 ottobre 2011 e depositata in data 14 novembre 2011, la Suprema Corte, pur superando le conclusioni del PM, che propendeva per l'inammissibilità del ricorso, rigetta nel merito i profili di censura, ritenendoli infondati. A tacer della breve durata dell'accertata inabilità temporanea, protrattasi per soli diciassette giorni di attività giurisdizionale oltre il periodo di sospensione dei termini per ferie, il lavoratore autonomo non poteva invocare nessun rigido automatismo.

 

Infatti, secondo gli Ermellini di Piazza Cavour il soggetto leso ha sempre l'onere di allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l'ipovalidità abbia inciso sulla capacità di guadagno. Solo se dalla disamina di detti elementi emerga una contrazione della capacità di guadagno e del reddito effettivamente percepito, allora la posta di pregiudizio diviene risarcibile sotto il profilo del lucro cessante.

 

Va aggiunto che in primo grado l'attore non aveva assolto l'onere di allegare le circostanze di fatto "idonee ad autorizzare l'ammissione delle ragionevoli presunzioni". Il suggerimento è sempre: DEDURRE, DEDURRE, DEDURRE. Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 20 ottobre - 14 novembre

2011, n. 23761

Presidente Filadoro - Relatore Giacalone

 

In fatto e in diritto

 

1. Il ricorrente impugna la sentenza della Corte di Appello di Roma,

depositata il 23 luglio 2008, la quale. confermando sul punto che qui rileva

quella di primo grado, ha ritenuto non provata la richiesta di liquidazione

del danno patrimoniale futuro da lucro cessante. non potendo la presunzione

di esistenza dello stesso discendere automaticamente dall'accertata

esistenza di un'invalidità temporanea: pur essendo ammissibile la prova per

presunzioni, il danneggiato non può eludere il proprio onere di allegare le

circostanze di tatto idonee all'ammissione delle ragionevoli presunzioni: l'incidente

si era verificato il : 8.8.1991 e le sue conseguenze protratte al 3.10.1991

(epoca di poco successiva alla ripresa dell'ordinaria attività

giurisdizionale; di primo acchito, poteva escludersi un'apprezzabile

contrazione della possibilità di lavoro e di guadagno; l'avvocato poiché per

i liberi professionisti l'invalidità temporanea può comportare solo un mero

differimento temporale dell'esecuzione delle prestazioni, per verificare l'effettivo

decremento patrimoniale è opportuno tener conto di un ampio periodo di

osservazione, onde acclarare se alla riduzione degli introiti nel tempo

immediatamente successivo al sinistro non corrisponda un aumento degli

incassi (in seguito) ascrivibile ragionevolmente all'attuazione degli

impegni assunti ante fatto dannoso.. Pertanto. la Corte territoriale

riteneva che la valutazione del Tribunale. che aveva negato la possibilità

di ritenere "automaticamente provato" il danno patrimoniale solo perché

erano state presentate le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni

(la diversità dei redditi lavorativi del 1991 rispetto a quelli del 1992 era

per la Corte territoriale sintomatica, non dell'asserita contrazione dei

redditi professionali nel periodo di invalidità temporanea, ma

dell'aleatorietà dei redditi del professionista come dimostrava anche il

dato relativo ad un altro degli anni in considerazione) il mancato

assolvimento dell'onere probatorio da parte del danneggiato.

1.1. L'infortunato ricorre per cassazione con unico motivo articolato in tre

profili; resiste la compagnia assicuratrice con controricorso, illustrato

con memoria, mentre l'altro intimato non ha Svolto attività difensiva.

2. Questi i profili di censura dedotti dal ricorrente:

2.1. violazione e falsa applicazione dell'art. 4 d.lg. n. 857/1976 come

modificato dalla l. n. 39/1977, rispetto al quale chiede alla Corte:

2.1.a. se vi è violazione e falsa applicazione dell'art. 4 del D.L. 23

dicembre 1976 n. 587.. convertito e modificato con legge n.39 del 26

febbraio 1977, allorquando, come nella specie, la Corte territoriale dovendo

procedere ad esaminare e decidere la domanda di risarcimento del danno per

lucro cessante proposta dal lavoratore autonomo (nella specie avvocato)

conseguente e correlata alla inabilità temporanea pari al 100% di giorni 40,

accertata dal Giudice di primo grado con statuizione definitiva, in

relazione ad un sinistro stradale, ha rigettato la suddetta domanda,

ritenendola non adeguatamente provata da parte del danneggiato, senza

considerare, quindi, che in ipotesi di inabilità temporanea totale era

necessario e sufficiente, ai fini della individuazione e quantificazione del

lamentato danno patrimoniale (lucro cessante) e, quindi, ai fini di

assolvere l'onere probatorio di spettanza dello stesso danneggiato,

depositare in atti, come avvenuto nella fattispecie, la dichiarazione dei

redditi degli ultimi tre anni, così come previsto dal precitato art. 4;

2.1.b. se, alla stregua del precitato art. 4, in ipotesi di inabilità

temporanea totale (100%), il professionista (lavoratore autonomo) debba

addurre elementi di prova specifici ulteriori rispetto alle dichiarazioni

dei redditi relativi agli ultimi tre anni, ovvero se, in considerazione dell'entità

di detta inabilità (100%), si deve dedurre automaticamente una perdita di

guadagno proporzionata alla durata e al grado di inabilità, ritenendo,

quindi, sufficiente ai fini della individuazione e quantificazione del danno

l'allegazione delle dichiarazioni dei redditi di cui si è detto;

2.2. violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. e chiede

alla Corte:

2.2.a. se vi è violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 e dell'art.

2729 c.c. e più in generale dei principi e norme che disciplinano l'onere

della prova in ipotesi di domanda di risarcimento del danno patrimoniale

(lucro cessante) conseguente e correlata alla inabilità temporanea totale

(100%) che ha colpito il lavoratore autonomo (avvocato) in conseguenza di

sinistro stradale, allorquando come nella specie la Corte territoriale,

facendo applicazione dei principi sanciti da codesta Suprema Corte in

ipotesi lucro cessante in presenza di menomazione di lieve entità, ha

ritenuto che fosse onere del danneggiato, non solo allegare le dichiarazioni

dei redditi relative agli ultimi tre anni, ma allegare, altresì, circostanze

di fatto idonee a dimostrare, anche a livello presuntivo, che l'invalidità

temporanea, che ebbe a colpire il lavoratore, ha, in concreto, inciso sulla

sua capacità di produrre reddito, con conseguente danno patrimoniale

risarcibile:

2.2.b. se, quindi, vi può essere equiparazione, anche con riferimento alle

regole che governano l'onere della prova, tra l'ipotesi di domanda di

risarcimento del danno per lucro cessante conseguente a microinvalidità

(fino al 9%) permanente e l'ipotesi di domanda di risarcimento del danno per

lucro cessante conseguente a inabilità temporanea totale (100%).

2.3. Insufficiente ed erronea motivazione su punto decisivo e chiede alla

Corte:

2.3.a. se ricorre il vizio di insufficiente ed erronea motivazione su un

punto decisivo della controversia allorquando, come nella specie, la Corte

territoriale, chiamata a decidere su una domanda di risarcimento del danno

patrimoniale (lucro cessante) correlata e conseguente alla accertata

inabilità temporanea totale (100%) che ha colpito il lavoratore autonomo

(avvocato), in conseguenza di sinistro stradale, ha ritenuto operanti i

principi sanciti da codesta Suprema Corte con la sentenza n. 19357/07,

pronunciata nella diversa fattispecie in cui era stato riconosciuto ad un

avvocato un danno biologico permanente minimo e si dibatteva sulla

possibilità o meno di riconoscere al medesimo anche il lucro cessante;

2.3.b. se, quindi, possa ritenersi sufficientemente e correttamente motivata

la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale, benché

consapevole della diversità delle due fattispecie (quella di cui è causa e

quella contemplata nella sentenza di codesta Suprema Corte n. 19357/07),

abbia proceduto ad una loro equiparazione, limitandosi a statuire che detta

sentenza della Suprema Corte "appariva istruttiva" e che, pertanto, in

applicazione dei principi enunciati nella predetta sentenza, si doveva

negare automatismo nella risarcibilità del danno patrimoniale fondato sulla

legge n. 39 del 1977.

3. I quesiti ed i momenti di sintesi sono idonei, diversamente da quanto

ritenuto dal P.G. (sul punto dovendosi condividere le osservazioni scritte

della difesa del ricorrente). Tuttavia, le censure - da trattarsi

congiuntamente data l'intima connessione, avendo tutte ad oggetto il

medesimo punto della decisione impugnata - sono infondate. La Corte

territoriale ha motivato perché, nel caso di specie, dall'accertata

esistenza di una invalidità temporanea, peraltro protrattasi per soli 17

giorni oltre la ripresa dell'attività giurisdizionale all'esito del "periodo

feriale", non poteva "automaticamente" discendere la presunzione di

esistenza di un danno da lucro cessante, dando atto che anche in primo grado

esso era stato escluso, non avendo l'attore allegato le circostanze di fatto

"idonee ad autorizzare l'ammissione delle ragionevoli presunzioni" idonee al

riconoscimento della voce di danno in questione.

3.1.Ciò dimostra che la decisione adottata non incorre negli indicati vizi

motivazionali, essendo stata congruamente motivata, né nelle dedotte

violazioni di legge, avendo, peraltro dichiaratamente, fatto corretta

applicazione del consolidato orientamento di questa S.C., secondo cui tra

lesione della salute e diminuzione della capacità di guadagno non sussiste

alcun rigido automatismo, per cui in presenza di una lesione della salute,

anche di non modesta entità, non può ritenersi ridotta in egual misura la

capacità di produrre reddito, ma il soggetto leso ha sempre l'onere di

allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l'invalidità permanente

abbia inciso sulla capacità di guadagno (Cass. 10 luglio 2008 n. 18866; 29

aprile 2006 n. 10031). In altri termini, mentre l'invalidità permanente

(totale o parziale) concorre di per sé a dar luogo a danno biologico, la

stessa non comporta necessariamente anche un danno patrimoniale, a tal fine

occorrendo che il giudice, oltre ad accertare in quale misura la menomazione

fisica abbia inciso sulla capacità di svolgimento dell'attività lavorativa

specifica e questa, a sua volta, sulla capacità di guadagno, accerti se ed

in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l'infortunio

subito, una capacità ad attendere ad altri lavori, confacente alle sue

attitudini e condizioni personali ed ambientali, ed altrimenti idonei alla

produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte.

Solo se dall'esame di detti elementi risulti una riduzione della capacità di

guadagno e del reddito effettivamente percepito, questo è risarcibile sotto

il profilo del lucro cessante. La relativa prova incombe al danneggiato e

può essere anche presuntiva, purché sia certa la riduzione della capacità di

lavoro specifica (Cass. 29 gennaio 2010 n. 2062; 23 gennaio 2006 n. 1230).

La liquidazione di tale danno, peraltro, non può essere effettuata in modo

automatico in base ai criteri dettati dall'art. 4 della legge 26 febbraio

1977, n. 39, norma che non comporta alcun automatismo di calcolo, ma si

limita ad indicare alcuni criteri di quantificazione del danno sul

presupposto della prova relativa, che comunque incombe al danneggiato e che

può essere data anche in via presuntiva, purché sia certa la riduzione di

capacità di lavoro specifica (Cass. 20 gennaio 2006 n. 1120).

Ne deriva il rigetto del ricorso. Le spese del presente giudizio seguono la

soccombenza nei rapporti tra le parti costituite, secondo la liquidazione di

cui al dispositivo

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento nei confronti della

contro ricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in Euro

3.200, di cui Euro 3.000 per onorario, oltre alle spese generali ed

accessori di legge.

 

 

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