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di Roberto Tamborin

 

E' chiaro a tutti che il neo governo Monti ha dinanzi a sé una strada stretta e ripida lungo la quale sono presenti tre formidabili difficoltà tra loro combinate: la scelta della strategia di politica economica, l'involuzione del quadro economico-politico europeo, la fragile lealtà della maggioranza parlamentare.


Cominciamo dalla scelta dalla strategia di politica economica, e sia consentita una premessa. Ogni economista di buoni studi e intellet­tualmente onesto sa che il suo mestiere ha un senso in quanto esistono sempre almeno due vie alternative per raggiungere una data meta. Le vie si distinguono per i diversi costi e benefici che comportano, la cui valutazione, in genere, è di natura anche extra-economica. L' "equità sociale", una delle grandi riscoperte del nuovo secolo, è uno di questi metri di valutazione extra-economica, se non il principale. Il buon economista dovrebbe essere il primo a rigettare la tentazione del "pensiero unico", la perniciosa idea tanto diffusasi nell'ultimo ventennio, secondo cui esiste sempre una sola ricetta obbligata (spesso imposta).

Il buon economista sa anche che il suo compito consiste nel prefigurare le alternative, le decisioni tecniche, le loro conseguenze. Da lì in poi subentra il compito della politica, che è essenzialmente l'arena dove si confrontano le diverse visioni del bene comune e degli interessi presenti nella collettività. Per esempio, il documento che più di ogni altro sintetizza e misura le scelte pubbliche, il bilancio dello stato, comprende decine di voci diverse; a parità di saldi, si possono fare scelte politiche molto diverse tra loro. Un altro esempio d'attualità è che teoria e storia ci ammoniscono che tra crescita aggregata e distribuzione del reddito può presentarsi un trade-off: trovare il punto equilibrio, quanto rinunciare all'una in cambio dell'altra non è un compito dell'economista ma della politica. Mario Monti conosce perfettamente tutto ciò, e quindi sa che il suo governo nasce con questo dualismo della personalità, che non sarà facile controllare e gestire per arrivare a scelte economicamente efficaci e politicamente sostenibili.

Prima di entrare nei dettagli di una possibile manovra, va considerato che ci sono sul campo "tecnico" due opzioni strategiche. La prima è la classica "shock therapy" in due tempi alla IMF, BCE ecc. Subito l'aggiustamento fiscale massiccio, "front loaded". Se esso è rapido e risolutivo, l'effetto recessivo sarà piccolo e transitorio e il secondo tempo arriva quasi gratis: l'attacco speculativo ai titoli pubblici cessa immediatamente, i tassi scendono e la fiducia sale, consumi e investimenti ripartono e poi si comincia a crescere. Nella seconda strategia si parte con un mix di stabilizzazione (non correzione completa) fiscale e politiche di domanda-offerta che a) minimizzano l'impatto recessivo della stabilizzazione fiscale e b) disegnano un sentiero di medio termine di crescita lungo il quale si snoda l'aggiustamento fiscale progressivo, o "back loaded".

Questa seconda strategia si basa su due presupposti. Il primo è che la strategia "front loaded" è molto rischiosa perché richiede numerose condizioni favorevoli (piccola economia aperta, politica monetaria espansiva, svalutazione del tasso di cambio, commercio estero in espansione), senza le quali l'effetto recessivo può non essere (di solito non è) né piccolo né transitorio1. Se il Pil si ferma o cade più velocemente del debito, come in Grecia, il risultato è disastroso. Il secondo è che i "fondamentali" del nostro paese non presentano fattori né di crisi di liquidità, né d'insolvenza, ma un problema di sostenibilità a medio termine del debito (che poi si è trasformato in una specie di "bank run" sui titoli di stato principalmente per varie scempiaggini del trio Merkel-Sarkozy-Berlusconi). Quindi la soluzione va appunto disegnata lungo quell'orizzonte temporale e, anzi, un approccio emergenziale da crisi d'insolvenza la rende solo più probabile.

La "buro-strategia" IMF-BCE (R. Wilder, The Wilder View , 20-11-11) sembra oggi caduta in discredito, dopo i drammatici insuccessi prodotti in America Latina negli anni '90, tranne che presso i tecnocrati europei, che continuano a somministrarla come l'unica medicina possibile, con gli esisti che stiamo vedendo in Grecia. Ma, come noto, la medicina sbagliata non è mai sufficiente per il medico cocciuto. Secondo le prime indicazioni, il governo sembra infatti più orientato verso la  seconda strategia, che gode di maggiori favori tra autorevoli esperti2. Tuttavia, anch'essa presenta alcune difficoltà e rischi per un governo "tecnico" a tempo.

Innanzitutto si tratta di una strategia che "chiede in prestito tempo" ai creditori. La crescita come antidoto alle lacrime e sangue fiscali non si ottiene né per decreto, né dall'oggi al domani. Inoltre andrebbero assolutamente evitate aspettative miracolistiche. Secondo miei calcoli (che ho già presentato qui, Nel Merito > Fisco, 11-3-11) per realizzare il piano ventennale europeo di riduzione del debito mantenendo lo "sforzo fiscale" invariato (il rapporto tra avanzo pubblico primario e Pil) occorrerebbe un tasso di crescita annuale nell'ordine del 6% in termini nominali per i primi dieci anni. Con un tasso d'inflazione medio tra il 2% e 3%, stiamo parlando di una crescita reale del 3%-4% all'anno. Non faccio commenti sul realismo di questa promessa. Il contraente ideale di un nuovo patto coi nostri creditori sarebbe un governo di legislatura, in grado di promettere e realizzare credibilmente risultati di crescita e l'aggiustamento fiscale "back loaded" di medio termine. Monti potrebbe quindi optare per un mix delle due strategie, con un aggiustamento fiscale immediato più incisivo di quanto si potrebbe permettere un forte governo di legislatura che optasse per la strategia di medio termine. A mio parere questo sgradevole ingrediente sarà necessario, ed esso andrebbe finalizzato, non ad azzerare subito il deficit corrente, ma creare uno scalino immediato nello stock di debito pubblico, per rendere meno oneroso lo "sforzo fiscale" futuro.

In secondo luogo, anche la strategia di medio termine è dipendente dal contesto, e il nostro contesto sono le istituzioni, i mercati e la macroeco­nomia dell'Europa. Nessuno di questi elementi gioca, per ora, un ruolo favorevole, anzi è vero il contrario. Primo, al di là dell'ossequio verbale, la strategia qui delineata non è l'obbediente applicazione delle prescrizioni ricevute, e promesse fatte, dal governo precedente. Per altro è normale che un nuovo governo possa rinegoziare accordi precedenti, ed è auspicabile (ma direi probabile) che ciò avverrà negli incontri che Monti avrà con le autorità europee e i partner di Francia e Germania già questa settimana. Secondo, l'ideologia teutonica del Patto di stabilità e crescita, secondo cui ogni singolo paese è interamente sovrano e responsabile fiscalmente, sta creando un contesto macroeconomico che non agevola ma ostacola gli aggiustamenti fiscali richiesti. La crisi dei debiti sovrani dei paesi euro è una crisi sistemica, largamente dovuta ad uno shock esterno aggregato che ha vanificato il lento processo di convergenza fiscale realizzato nel decennio precedente e ha amplificato drammaticamente i fattori di divergenza. Tutto questo richiede soluzioni sistemiche e coordinate su due fronti, quello degli strumenti di gestione del debito ("fondo salva stati", ruolo della banca centrale, eurobond, ecc.) e quello delle politiche macroeconomiche. Ogni giorno speso in schermaglie nazionalpopolari o esorcismi autopunitivi ci avvicina al meltdown della moneta unica.

Osservate i dati della tabella seguente.

Correlazione tra variabili macroeconomiche di ciascun paese e media dei rimanenti paesi europei (dati annuali, 2000-10)
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Fonte. Eurostat, AMECO database

Per ciascun paese, e per ciascuna variabile, essi indicano la "dipendenza dalla media" (mean field effect). Non è certo sorprendenti scoprire che i maggiori paesi europei sono strettamente interdipendenti. Se prendiamo l'Italia, vediamo che la nostra crescita annuale, quella potenziale e le fluttuazioni cicliche (la differenza tra le prime due) sono quasi totalmente correlate con la media degli altri. Il problema è che la media dipende da quello che fa ciascun paese. Questo vuol dire che se solo l'Italia fa una manovra restrittiva di un punto di Pil perde un punto di Pil, ma se tutti i paesi fanno la stessa manovra, l'Italia perde due punti di Pil (e più o meno lo stesso tutti gli altri). Se la Germania pensa di cavarsela siccome non deve fare (forse) una manovra restrittiva domestica sbaglia, perché subirà gli effetti di quelle imposte a tutti gli altri. Può sorprendere, ma a me non risulta che questi semplici calcoli siano presenti nelle ricette brussellesi. L'Italia deve fare la sua parte, ma non può farcela da sola, e se non ce la fa l'Italia, come ha detto Monti, non ce la farà l'Europa che abbiamo costruito in questi cinquant'anni.

1. Si veda ad esempio l'ultimo lavoro di R. Perotti, NBER Working Paper n.17571, noto come uno degli scopritori degli effetti espansivi delle restrizioni fiscali.
2. Ad es. N. Roubini, RGE Economonitor, 20-11-11, M. Wolff, Financial Times , 1-11-2011, 8-11-2011, e diversi interventi di T. Boeri su La Repubblica.

 

 

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