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Dopo tre anni dalla fine di una
storia, la donna non riesce a rassegnarsi. I
comportamenti da lei messi in atto, molestie telefoniche
offensive e “appostamenti” nei luoghi che lui
giornalmente frequentava, le sono costati la misura
cautelare del divieto di avvicinamento all’abitazione e
al posto di lavoro dell’offeso, ossia l’ex fidanzato.
La donna propone ricorso in
Cassazione eccependo l'erronea interpretazione della
legge penale e carenza/illogicità della motivazione
quanto agli indizi di reità. Inoltre, prosegue la
ricorrente, le accuse risultano generiche e non
dimostrano disagio psichico - in rapporto di causalità -
e stati di ansia e timore, elementi indefettibili per
concretare gli atti persecutori che non appaiono
plurimi, come esige la figura delittuosa, mentre la
convinzione della supposta detenzione di arma da fuoco
da parte della ricorrente non può ritenersi elemento
sufficiente a provare l'evento tipico del reato.
La Corte, rigettando il ricorso,
spiega come invece i comportamenti da lei tenuti, nel
tentativo di riconquistare l’ex compagno, configurino
gli elementi richiesti per il reato di stalking.
Fatto e diritto
S.V. è stata tratta a giudizio per
il reato di cui all'art. 612 bis c.p., commesso in
pregiudizio dell'ex fidanzato P.E., il quale ha sporto
querela asserendo che la donna in plurime occasioni
l'aveva molestato mediante telefonate offensive,
messaggi telefonici, visite presso l'azienda
agrituristica avviata dall'uomo, ovvero mediante visite
presso l'attività commerciale della nuova amica, A.B.
Il G.i.p. di Perugia ha applicato
alla S. la misura cautelare del divieto di avvicinamento
all'abitazione della p.o., ai sensi dell'art.282-ter
c.p.p., ed il locale tribunale ha rigettato, con
ordinanza 18.2.11, l'istanza di riesame avanzata dalla
prevenuta.
Avverso detta ordinanza ha proposto
ricorso la S. eccependo l'erronea interpretazione della
legge penale e carenza/illogicità della motivazione
quanto agli indizi di reità, essendosi il giudice
rimesso alla versione portata dalla querela sporta, in
data 8.11.10, dalla parte lesa, dotazione insufficiente
poiché i fatti non sono suscettibili di ulteriore
verifica e non sono stati oggetto di controllo (in
mancanza di certificazione medica), in quanto il
rapporto di p.g. non attesta le condotte criminose, ma
registra la sola voce del P., né risulta presentata
querela specifica per l'episodio oggetto dell'accesso
(effettuato il ...) della p.g.
Inoltre, prosegue la ricorrente, le
accuse risultano generiche e non dimostrano disagio
psichico - in rapporto di causalità - e stati di ansia e
timore, elementi indefettibili per concretare il reato
che non appaiono plurimi, come esige la figura
delittuosa, mentre la convinzione della supposta
detenzione di arma da fuoco da parte della ricorrente
non può ritenersi elemento sufficiente a provare
l'evento tipico del reato.
Si deduce ancora mancanza assoluta
di motivazione, tale da violare l’art. 125, comma 3,
c.p.p., poiché l'ordinanza si limita ad elencare
elementi affermati dalla p.o. o riportati dalla p.g.,
senza vaglio critico e senza la debita considerazione
della loro gravità; elementi che, si ribadisce, non sono
idonei a descrivere il comportamento illecito ex
art.612-bis c.p., mentre, infine, manca la valutazione
delle esigenze cautelari in ragione del concreto
pericolo di reiterazione di fatti della stessa indole,
carenza già propria dell'ordinanza del g.i.p..
Osserva la Corte che il ricorso è
infondato.
La reiterata quanto prolissa
doglianza dell'imputata non risulta fornire spunto
critico adeguato.
La sussistenza dei gravi indizi si
fonda sulle dichiarazioni della persona offesa che, come
è noto, possono essere assunte, anche da sole, come
prova della responsabilità della persona accusata, non
necessitando le stesse di riscontri esterni.
Argomentazione valida in questa
fase processuale in cui è sufficiente la c.d. probatio
minor scaturente dalla valutazione degli indizi
acquisiti, in relazione ai quali il giudice cautelare ha
espressamente rilevato la coerenza intrinseca delle
dichiarazioni e la relativa logica interna.
Erra, ancora, l'impugnazione nel
trascurare la dimostrazione della reiterazione dei fatti
illeciti, oggetto di plurime querele, requisito
oggettivo della fattispecie contrassegnata da
abitualità.
Adeguata, inoltre, è la motivazione
circa la serietà del pericolo sotteso al comportamento
della S., nella considerazione della sua pervicacia
ancora a tre anni di distanza dalla conclusione della
relazione affettiva, mentre, infine, è ragionevole
l'argomentazione che fornisce la dimostrazione della
ricorrenza anche dell'evento naturalistico della
fattispecie: il timore, espresso pubblicamente alla
p.g., che la donna possa detenere arma da fuoco deve
valutarsi come riscontro di uno stato (in questa sede
non interessa quanto sia fondata l'apprensione) di paura
che trasmoda seriamente l'effimera e passeggera
condizione di ansia.
Al rigetto del ricorso segue la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e
condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali. In caso di diffusione del presente
provvedimento omettere le generalità e gli altri dati
identificativi, a norma dell'art.52 d.lgs. n. 196/03, in
quanto disposto d'ufficio.
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