La previdenza.it
PREMESSA
La rendita di inabilità permanente
ricorre quando a seguito dell’infortunio o della
tecnopatia siano residuati al lavoratore assicurato
postumi di carattere permanente.Con l’entrata in vigore
dell’articolo 13 del D. Lgs. 38/2000 residua soltanto
per gli infortuni che si sono verificati e per le
malattie professionali che sono state denunciate prima
del 25 luglio 2000.
NOZIONE E NATURA GIURIDICA
La rendita non ha carattere
retributivo e perciò non costituisce reddito
assoggettato all’Irpef. Trattasi di prestazione
economica che spetta al lavoratore infortunato o affetto
da tecnopatia. Lo scopo di tale prestazione è di
"risarcire" il lavoratore per il danno subito
dall'attività lavorativa. Più nel dettaglio è una
prestazione economica con funzione indennitaria del
danno subito dal lavoratore a causa dell’evento, un
danno che ristora la perdita da parte del lavoratore
della generica capacità lavorativa.
In origine il sistema di tutela
aveva come finalità non il risarcimento del danno alla
persona ma l’individuazione di un indennizzo sostitutivo
della ridotta capacità di produrre il guadagno del
lavoratore , necessario ai fini della sussistenza sua e
della sua famiglia.L’articolo 38 della Costituzione
prevede che i lavoratori hanno diritto che siano
preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro
esigenze di vita in caso di infortunio, malattia,
invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Com’è noto questa impostazione è stata rivoluzionata
dall’introduzione del danno biologico inteso come
risarcimento della lesione della integrità psico fisica
della persona di per sé considerata indipendentemente da
qualsiasi valutazione inerente il reddito.
Riservando ad altra sede l’analisi
dell’indennizzo per danno biologico proseguiamo qui
nell’analisi della rendita diretta per inabilità
permanente per eventi verificatisi ante 25.7.2000.
PRESUPPOSTO
Il presupposto alla base della
prestazione è non solo la causa lavorativa
dell’infortunio o della malattia ma anche il grado di
inabilità permanente compreso tra l ’11 ed il 100%
calcolato sulla base delle tabelle allegate al Testo
Unico e riconosciuto a guarigione clinica avvenuta prima
del 25.7.2000. La rendita diretta per inabilità
permanente spetta qualora l'infortunio o la malattia
professionale, avvenuti o denunciati prima del 25 luglio
2000, abbiano provocato postumi permanenti, cioé un
danno duraturo nel tempo, tale da raggiungere il grado
dell'11% di inabilità. L’onere della prova dei fatti
posti a fondamento della domanda di rendita grava sul
lavoratore che agisce per ottenere la prestazione. In
sede di erogazione della prestazione 1'Istituto
assicuratore è tenuto ad indennizzare anche le inabilità
permanenti sul cui determinismo l'infortunio ha svolto
un ruolo concausale solo indiretto . E’ stato precisato
(Cass. civ., Sez. lav., 24 gennaio 1998 n. 704,) che la
« misura superiore al 10% » richiesta dall’art. 74 T.U.
1965 non deve intendersi 1'11% bensì il 10, 1%. Ed
infatti, poichè il minimo richiesto dalla norma per
l'indennizzabilità del lavoratore infortunato
costituisce una clausola di favore per 1'INAIL, non può
la norma stessa essere interpretata in modo
ulteriormente favorevole per 1'Istituto assicuratore,
anche in considerazione del fatto che « ..., almeno
nell’ambito dell’assicurazione privata, le clausole
limitative di responsabilità, quale è quella in esame,
devono essere chiaramente previste (ex art. 1341 cod.
civ.), con la conseguenza che, non avendo la legge usato
la chiara espressione "in misura pari almeno all’undici
per cento", la diminuzione dell’attitudine al lavoro che
conferisce il diritto a rendita di invalidità, deve
reputarsi esser disciplinata dal disposto di cui alla
prima parte del II c. dell'art. 74 cit., che va
interpretata, secondo il significato letterale delle
parole, nel senso che è sufficiente al fine suddetto una
riduzione che superi anche di un decimo o frazione
minore la percentuale del dieci per cento, mentre la
disposizione di cui alla seconda parte dello stesso
comma va interpretata nel senso che tutte le frazioni
comprese tra il dieci e 1'undici per cento vanno
arrotondate a quest'ultima misura ai fini della
quantificazione della rendita da corrispondersi dall
‘INAIL ».
Diversamente da quanto visto con
riferimento all’indennità di temporanea per inabilità
assoluta la invalidità permanente che fonda il diritto
alla rendita e che è disciplinata dall’art. 74 del TU
1124/1965 consegue ad una situazione patologica che
compromette definitivamente, in tutto o in parte,
l’attitudine al lavoro dell'assicurato, la sua capacità
lavorativa generica, capacità di effettuare un lavoro di
qualsiasi genere suscettibile di utilità economica, e
non della capacità lavorativa specifica che fonda il
diritto all’indennità di temporanea e che concerne la
specifica attività lavorativa prestata presso l’azienda
di appartenenza. La prova di tale conclusione è
rinvenibile sia nella lettera dell’art 74 T.U. 1965 che
nelle percentuali invalidanti indicate dalla tabella
all.to n. 1, determinate con esclusivo riferimento al
tipo di menomazione, prescindendo quindi dal diverso
valore che le singole lesioni possono assumere in
relazione all’attività concretamente esercitata dal
lavoratore. II riferimento alla capacità lavorativa
generica, e non specifica, opera non solo per le lesioni
di cui la suddetta tabella determina il grado
invalidante, ma anche per quelle non contemplate e per
le quali detta tabella costituisce solo un parametro per
la valutazione medico-legale (Cass. civ. 9 marzo 1982 n.
1486, ).
LA CAPACITA’ LAVORATIVA GENERICA
La giurisprudenza di legittimità
ha, di volta in volta, definito l'attitudine al lavoro
di cui all'art. 74 del d.P.R. n. 1124 del 1965 come la
possibilità di esercitare un lavoro di qualsiasi genere,
suscettibile di utilità economica, indipendentemente
dalla incidenza che la menomazione esplica sulla
capacità di lavoro dell'assicurato (cfr. Cass. 14 aprile
1982, n. 2239, ; Cass. 14 febbraio 1983, n. 1158, ;
Cass. 9 aprile 1987, n. 3520, ), come la capacità di
svolgere un qualunque lavoro manuale medio (cfr. Cass.
14 luglio 1984, n. 4129; Cass. 24 luglio 1990, n. 7495,
), come la capacità biologica di erogare energie
fisiopsichiche per il compimento di una qualsiasi
attività lavorativa (cfr. Cass. 21 agosto 1986, n. 5138,
), come la capacità lavorativa generica tout court,
ovvero come la capacità biologica di guadagno (cfr.
Cass. 30 ottobre 1982, n. 5737,).In definitiva qui il
pregiudizio è a carico della capacità di guadagno
dell’assicurato genericamente intesa.
QUADRO NORMATIVO
L'art. 74 T.U. 1965 distingue fra
inabilità permanente assoluta, la quale ricorre allorchè
l'attitudine al lavoro del soggetto è permanente e
completamente annullata, e inabilità permanente
parziale, la quale presuppone una riduzione, purchè
essenziale, della predetta attitudine lavorativa (in
misura superiore al 10%) per 1'erogazione della rendita
di inabilita permanente (art. 74 T.U.)
L’articolo citato prevede : “Ai
sensi del presente titolo deve ritenersi inabilità
permanente assoluta la conseguenza di un infortunio o di
una malattia professionale, la quale tolga completamente
e per tutta la vita l'attitudine al lavoro. Deve
ritenersi inabilità permanente parziale la conseguenza
di un infortunio o di una malattia professionale la
quale diminuisca in parte, ma essenzialmente e per tutta
la vita, l'attitudine al lavoro.
Quando sia accertato che
dall'infortunio o dalla malattia professionale sia
derivata un'inabilità permanente tale da ridurre
l'attitudine al lavoro in misura superiore al dieci per
cento per i casi di infortunio e al venti per cento per
i casi di malattia professionale, è corrisposta, con
effetto dal giorno successivo a quello della cessazione
dell'inabilità temporanea assoluta, una rendita di
inabilità rapportata al grado dell'inabilità stessa
sulla base delle seguenti aliquote della retribuzione
calcolata secondo le disposizioni degli articoli da 116
a 120:
1) per inabilità di grado
dall'undici per cento, al sessanta per cento, aliquota
crescente coi grado dell'inabilità, come dalla tabella
allegato n. 6, dal cinquanta per cento al sessanta per
cento;
2) per inabilità di grado dal
sessantuno per cento al settantanove per cento, aliquota
pari al grado di inabilità;
3) per inabilità dall'ottanta per
cento al cento per cento, aliquota pari al cento per
cento.
Gli importi delle rendite mensili
sono arrotondati al migliaio più prossimo: per eccesso
quelli uguali o superiori alle lire cinquecento, per
difetto quelli inferiori a tale cifra (4).
A decorrere dal 1 luglio 1965, per
il calcolo delle rendite per inabilità permanente si
applica la tabella delle aliquote di retribuzione
allegato n. 7.
Dalla data del 1 luglio 1965 sono
riliquidate tutte le rendite in corso di godimento in
base alle nuove aliquote di retribuzione di cui al comma
precedente. “
La Corte Costituzionale con
sentenza 30 maggio 1977 n,93 ha dichiarato la
illegittimità costituzionale dell'art. 74, secondo
comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte
in cui non pone, agli effetti della rendita, chi é
colpito da malattia professionale nella stessa
condizione di chi é invece colpito da infortunio sul
lavoro. “Se pertanto, scrive la Corte, la conseguenza
dei due eventi (malattia e infortunio) é la medesima,
cioè a dire la invalidità permanente, la disparità di
trattamento agli effetti del percepimento della rendita
fra il lavoratore che ha sofferto una malattia
professionale e quello che ha subito un infortunio sul
lavoro, appare priva di qualsiasi razionalità e
giustificazione. In entrambi i casi la fonte dell'evento
dannoso risiede nella attività lavorativa svolta con lo
specifico rischio del pericolo che essa comporta e
quando l'evento dannoso si é verificato, producendo una
invalidità permanente, non é consentito differenziarne
la percentuale ai fini della corresponsione della
rendita, rendendola più gravosa per la malattia (21 %)
rispetto all'infortunio (11%). Né può trovare
apprezzamento l'argomento dell'INAIL secondo il quale le
malattie professionali presentano dal punto di vista
medico - legale una precisa e distinta configurazione
dagli infortuni, essendo la loro causalità lesiva
diluita nel tempo mentre é concentrata (causa violenta)
negli infortuni, talché la malattia si evidenzierebbe
dopo un certo lasso di tempo dalla sua insorgenza e
soltanto ad un certo livello di invalidità che il
legislatore ha ritenuto corrispondente al grado del 21
%. Alle considerazioni già svolte di carattere medico -
legale si aggiunge che, poiché l'invalidità contratta ha
identica natura (fatto patologico), sia che derivi da
infortunio, sia da malattia professionale e che
l'invalidità é in diretta connessione con un rapporto di
lavoro che quel fatto patologico ha causato o quanto
meno ne é stato l'occasione, non é ammissibile che ad
eguali situazioni di fatto, non debba corrispondere
nella previsione legislativa di salvaguardia del
lavoratore, eguaglianza di tutela.
Il contrasto della norma impugnata
con le norme costituzionali di raffronto (artt. 3 e 38
Cost.) appare maggiormente evidente, come rileva
l'ordinanza del pretore di Pisa, ove si consideri che
per il combinato disposto dagli artt. 80, ultimo comma,
e 132 della legge n. 1124 del 1965, il lavoratore che
abbia subito un infortunio comportante una invalidità
permanente non indennizzabile (inferiore all'11 %) - in
ipotesi 2% - se successivamente contragga malattia
professionale dalla quale derivi inabilità permanente la
cui percentuale - in ipotes19% - sommata a quella
dell'infortunio pregresso superi il 10%, ha diritto alla
rendita. Il che dà maggiormente rilievo alla illogicità
dell'art. 74 del t.u. n. 1124 del 1965 là dove
stabilisce che la inabilità permanente da sola malattia
professionale, per consentire una rendita, deve ridurre
l'attitudine al lavoro in misura superiore al 20% (venti
per cento). La norma impugnata é quindi in contrasto non
solo con l'art. 3 (principio di eguaglianza) ma anche
con l'art. 38 della Costituzione perché riduce l'obbligo
della assistenza sociale ai cittadini inabili al lavoro,
in ragione di una distinzione della causa di inabilità
che é ignorata dalla norma costituzionale. “
Prima della sentenza della Corte
cost. 30 maggio 1977 n, 93), l'art. 74, II c, T.U. 1965
richiedeva in caso di malattia professionale
un'invalidita permanente superiore al 20%, rna il
giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale del secondo comma del1'art. 74 perché
penalizza ingiustificatamente il tecnopatico rispetto
all’infortunato. Detto principio, essendo di carattere
generale, si estende anche all’asbestosi e alla
silicosi. Unitamente all’articolo 74 interessano
l’istituto della rendita diretta permanente anche gli
articoli 75,77,116,214,215,217 del Testo Unico
1124/1965 .
ISTANZA
La presentazione della domanda non
è necessaria, l’INAIL provvede direttamente dopo
l’accertamento del grado di inabilità.
Il termine di prescrizione è di 3
anni e 150 gg dalla data in cui l’assicurato è
consapevole di avere un danno di origine professionale
in misura indennizzabile.
Il termine del provvedimento è 120
gg dalla data di ricezione del certificato medico
definitivo per gli infortuni e dalla data di ricezione
del primo certificato e/o dalla data di denuncia della
malattia professionale .
DURATA
La durata della prestazione è per
tutta la vita a condizione che nell’arco di tempo in cui
è possibile che si verifichi una revisione, il grado di
inabilità riconosciuta non scenda sotto l’11% e purché
la rendita non venga capitalizzata al termine del
periodo di revisione in quanto compresa tra l’11 ed il
15% dopo 10 anni dalla costituzione della rendita in
caso di infortunio, dopo 15 anni in caso di malattia
professionale . La capitalizzazione consiste, dunque,
nell'erogazione di una somma una tantum (valore capitale
della rendita) nei casi in cui, dopo 10 anni per gli
infortuni o dopo 15 anni per le malattie professionali,
il grado di inabilità rimane fissato tra l'11% ed il
15%. Invece, se il danno raggiunge o supera il 16% di
inabilità, la rendita è erogata per tutta la vita del
lavoratore. Può accadere che i postumi minimi
indennizzabili siano accertati in un momento successivo
rispetto al primo accertamento postumi come, ad esempio,
in caso di richiesta di revisione passiva: in tal caso,
la rendita decorre dal primo giorno del mese successivo
alla richiesta di revisione (all. 1, circ. n. 71 del 30
ottobre 1996).
DECORRENZA
La decorrenza della prestazione è
dal giorno successivo alla guarigione clinica. In caso
di astensione da lavoro: dal giorno successivo alla
cessazione della inabilità temporanea assoluta. In
assenza di astensione dal lavoro: dalla data dell’evento
(infortunio) o dalla data di segnalazione all’Inail
(malattia professionale). Si pensi ad esempio al
lavoratore che contrae la malattia professionale per
ipoacusia (sordità da rumore); in tal caso,
generalmente, non interrompendo l'attività lavorativa,
la rendita avrà decorrenza dalla denuncia. decorrerà poi
dal giorno in cui il danno raggiungerà la misura minima
indennizzabile. Infatti, è possibile che il lavoratore -
in seguito all'infortunio o alla contrazione della
malattia professionale - possa subire un danno non
indennizzabile, ad esempio del 7% di inabilità
permanente. Successivamente, per aggravamento dei
postumi invalidanti, l'inabilità permanente raggiunge il
grado dell'12%. Da tale data, decorrerà la prestazione.
Inoltre poiché il diritto alla rendita sorge nel momento
in cui si realizza la percentuale minima di inabilita
permanente, in caso di contestazione il giudice deve
tener conto della condizione dell’assicurato successiva
alla presentazione della denuncia di infortunio o di
malattia professionale e riconoscere la sussistenza del
diritto all’indennizzo anche quando la suddetta
percentuale, pur essendo originariamente mancante, sia
sopravvenuta successivamente, fino al momento
dell’accertamento giudiziario. L’INAIL corrisponde una
rendita mensile al lavoratore assicurato con grado di
inabilità superiore al 10% .La rendita decorre,dunque,
dal primo giorno successivo a quello della cessazione
dell’inabilità temporanea assoluta salvo, naturalmente,
che il limite di indennizzabilità dell’inabilità
permanente non sia raggiunto successivamente . In questo
caso, come pure in quello in cui in sede di revisione
risulti una percentuale di inabilità indennizzabile
diversa da quella precedentemente accertata, la
variazione della rendita ha effetto dalla prima rata con
scadenza successiva a quella relativa al periodo di
tempo nel quale è stata richiesta la revisione (art. 84
T.U. 1965).
CALCOLO DELLA RENDITA
II calcolo della rendita comporta
una duplice operazione: la prima, a carattere
medico-legale, ha per oggetto la valutazione del danno,
cioè dell’incidenza che l'infortunio o la malattia
professionale hanno avuto sulla capacita di lavoro
dell'assicurato. Quindi innanzitutto si calcola il grado
di inabilità residuato dopo la guarigione ( di tale
aspetto si parlerà più estesamente in ulteriore
contributo). La seconda, invece, accerta la base
economica sulla quale si deve procedere per il computo
della prestazione. Detta base è rappresentata dalla
retribuzione percepita dal lavoratore assicurato, in
danaro o in natura, nei dodici mesi precedenti la data
di infortunio o di manifestazione della malattia, e
rispetto al grado di inabilità riconosciuto, sempre
entro i limiti minimo e massimo stabiliti per legge.
(art. 116, I c, T.U. 1965). Viene, dunque, calcolata in
base alla retribuzione annua precedente l’evento,
nell’ambito del minimale e del massimale stabilito per
legge, e al grado di inabilità residuato ( i parametri
sono diversi in regime di indennizzo del danno
biologico). In definitiva poiché la legge stabilisce un
minimo ed un massimo di retribuzione, se la retribuzione
percepita nell’anno precedente risulta inferiore al
minimo, la rendita si liquida sul predetto minimo (cd.
minimale di rendita); se invece è superiore al massimo
la rendita si liquida sul massimo ( cd. massimale di
rendita).; sono inoltre previste delle quote aggiuntive
nel caso di presenza dei soggetti di cui all’art. 85
T.U. Per alcune categorie di lavoratori (artigiani,
coltivatori diretti, facchini, ecc.) il calcolo della
prestazione viene effettuato sulla base di retribuzioni
convenzionali stabilite da Decreto Ministeriale. Si
tiene conto anche della tredicesima mensilità. Se il
lavoratore è un apprendista o comunque minore degli anni
diciotto, la retribuzione da prendere a base per la
rendita è quella della qualifica iniziale del lavoratore
di età superiore ai diciotto anni non apprendista della
stessa categoria o lavorazione.
Nel caso in cui manchi un dato
salariale riflettente 1'intero periodo (dodici mesi)
preso in considerazione - il che può avvenire o perchè
l’infortunato nel predetto periodo non ha prestato
servizio in modo continuativo oppure perchè l'ha
prestato presso diversi datori di lavoro ma non è
possibile determinare il cumulo delle retribuzioni
percepite la retribuzione annua si valuta eguale a
trecento volte la retribuzione giornaliera, per questa
intendendosi «la sesta parte della somma che si ottiene
rapportando alla durata oraria normale della settimana
di lavoro nell'azienda per la categoria cui appartiene
1'infortunato il gua-dagno medio orario percepito
dall'infortunato stesso anche presso suc-cessivi datori
di lavoro flno al giorno dell’infortunio nel periodo,
non superiore ai dodici mesi, per il quale sia possibile
l'accertamento dei guadagni percepiti» (art. 116, II c,
T.U. 1965).Per la determinazione della retribuzione
giornaliera occorre aver riguardo all’orario settimanale
abitualmente praticato nell'azienda in cui lavora
1'assicurato, e non a quello previsto dalla legge e dai
contratti collettivi. Definiti,pertanto, retribuzione e
grado di inabilità, la rendita da corrispondere è
rapportata al grado della inabilità stessa sulla base di
aliquote della retribuzione crescenti con il grado di
inabilità come da tabella allegato n. 7 al T.U. 1965. Se
la rendita viene erogata in conseguenza di inabilità
permanente assoluta, essa è pari alla retribuzione
annua. Se si tratta, invece, di inabilità permanente
parziale essa viene proporzionalmente ridotta con
riguardo al grado di invalidità permanente di cui
1'assicurato risulta portatore. La tabella allegato n. 7
al T.U. 1965 (« Aliquote percentuali basi di
retribuzione per il calcolo delle rendite e rendita base
annua per ogni mille lire di retribuzione ») indica per
ciascun grado, compreso fra 1’11 e il 100%, la rendita
spettante all’assicurato per ogni mille lire di
retribuzione annua, accertata secondo quanto detto.
LA RIVALUTAZIONE PERIODICA
L’articolo 10 della legge 19
gennaio 1963 n. 15 prevede che “all'articolo 40 del
regio decreto 17 agosto 1935, numero 1765, e successive
modificazioni, e' aggiunto il seguente comma "Le
rendite liquidate sulle retribuzioni convenzionali
previste dal presente articolo sono riliquidate
ogni triennio a norma dell'articolo 39 sulla base
delle retribuzioni convenzionali in vigore alla scadenza
di ciascun triennio, sempreche' sia intervenuta una
variazione non inferiore al 10 per cento; in mancanza
di retribuzioni convenzionali cui fare riferimento
si applica il disposto del quinto comma
dell'articolo 39".
Le variazioni inferiori al 10 per
cento intervenute nel corso di un triennio si computano
con quelle verificatesi nel triennio successivo per la
riliquidazione delle rendite.”
L’articolo che disciplina il
periodico adeguamento delle prestazioni previdenziali
alla dinamica salariale introducendolo nel nostro
ordinamento si muove in perfetta coerenza con gli artt36
e 38 Cost e con la funzione di parziale sostituzione
della retribuzione che le prestazioni hanno.
“In relazione alla determinazione
delle rendite per inabilità permanente dovute dall’INAIL
ed alla rivalutazione delle stesse, il sistema normativo
delineato prima dall’art. 116 T.U. 1965, poi dall'art. 1
L. 10 maggio 1982 n. 251 ed infine dall'art. 111 L. 30
dicembre 1991 n. 412 è sostanzialmente omogeneo,secondo
Cassazione sez. lav dec.5100/2003, in quanto trova il
suo perno sempre nella determinazione della retribuzione
media giornaliera fissata con decreto del Ministero del
lavoro e della previdenza sociale, soggetta a revisione
dopo un periodo di tempo (la cui durata è individuata
diversamente dalle tre leggi), purchè si sia medio
tempore verificata una variazione del costo della vita
superiore ad una determinata soglia, anch'essa fissata
in misura diversa da ogni singola legge. A questo
riguardo è stato peraltro chiarito in sede
giurisprudenziale che l'adeguamento delle rendite non
costituisce un indennizzo per svalutazione monetaria
giacche’ esso è previsto non per compensare il danno
subito a seguito della svalutazione medio tempore
intervenuta, ma per adeguare la rendita al costo della
vita, non diversamente da quanto si veriflca per la
retribuzione con l'indennità di contingenza.”
La retribuzione percepita dal
lavoratore viene contenuta, agli effetti del computo
della rendita, nei limiti di un minimale e di un
massimale, con la conseguenza che se la massa salariale
annua accertata è infe-riore al minimale, quest'ultimo
viene assunto come base per il computo; se è superiore
al massimale, la rendita viene calcolata su questa. In
definitiva, la retribuzione percepita viene assunta come
effettiva base per il calcolo solo se compresa
nell’ambito di questi due parametri che non sono fissi
ma suscettibili di periodica revisione, a mezzo di
decreto ministeriale, in relazione alle variazioni
intervenute, nell'arco temporale considerato, nei prezzi
al consumo.Una volta che il decreto ministeriale abbia
stabilito i nuovi minimali e massimali , tutte le
rendite in corso di godimento vengono riliquidate su di
essi, al fine di porle su di un identico metro
salariale, indipendentemente dalla data nella quale si è
verificato rinfortunio o si è manifestata la malattia
professionale.
Ai sensi dell’art. 11 D.L.vo 23
febbraio 2000 n. 38, con effetto dall'anno 2000 e a
decorrere dal 1° luglio di ciascun anno la retribuzione
da assumere per la liquidazione delle rendite
corrisposte dall’INAIL è annualmente rivalutata con
decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e
delle finanze, sulla base della variazione effettiva dei
prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati
intervenuta nell'anno precedente. I suddetti incrementi
annuali sono riassorbiti nell’anno in cui scatta la
variazione retributiva minima non inferiore al 10%
fissata dall’art. 20, III e IV c, L. 28 febbraio 1986 n.
41, rispetto alla retribuzione presa a base per 1'ultima
rivalutazkme effettuata (art. 4 D.M. 31 luglio2003). Per
un esempio su tale ultimo aspetto si fa rinvio alla
Delibera PRES-C.S. n. 464 del 21 giugno 2004.La
rivalutazione ha effetto anche sulle rendite già
costituite in precedenza in corso di godimemento, tranne
quelle costituite nell’ultimo anno.
Il tema verrà ulteriormente
approfondito quando ci occuperemo delle modifiche
sopravvenute per effetto del’introduzione del danno
biologico.
LA RENDITA PROVVISORIA DI
INABILITA’ PERMANENTE
L’articolo 102 del TU prevede
:”ricevuto il certificato medico costatante l'esito
definitivo della lesione, l'Istituto assicuratore
comunica immediatamente all'infortunato la data della
cessazione dell'indennità per inabilità temporanea e se
siano o no prevedibili conseguenze di carattere
permanente indennizzabili ai sensi del presente titolo.
Qualora siano prevedibili dette
conseguenze, L'Istituto assicuratore procede agli
accertamenti per determinare la specie ed il grado
dell'inabilità permanente al lavoro e, nel termine di
trenta giorni dalla data di ricevimento del certificato
medico di cui al comma precedente, comunica
all'infortunato la liquidazione della rendita di
inabilità, indicando gli elementi che sono serviti di
base a tale liquidazione .
Quando per le condizioni della
lesione non sia ancora accertabile il grado di inabilità
permanente, l'Istituto assicuratore liquida una rendita
in misura provvisoria, dandone comunicazione nel termine
suddetto all'interessato, con riserva di procedere a
liquidazione definitiva.
Nel caso di liquidazione di rendita
non accettata dell'infortunato, ove questi convenga in
giudizio l'Istituto assicuratore, quest'ultimo, fino
all'esito del giudizio, è tenuto a corrispondere la
rendita liquidata.”La data della comunicazione è anche
data della costituzione della rendita, dalla quale
decorrono i termini per le successive revisioni.
Trascorsi 120 giorni dalla ricezione del predetto
certificato medico,senza che si sia provveduto alla
liquidazione, sono dovuti gli interessi moratori.In
caso di rendita provvisoria, infine, qualora vengano
accertati postumi di grado non superore al minimo
indennizzabile , la rendita provvisoria viene
soppressa.La corresponsione della rendita cd. provvi-
soria non ha carattere vincolante
nè per quanto concerne 1'entità del danno nè per quanto
riguarda l’an debeatur, che può essere disconosciuto in
sede di successivo accertamento tecnico, per il quale
non è previsto dalla legge alcun termine finale. La
rendita provvisoria non è suscettibile di revisione,
essendo questa un istituto che riguarda esclusivamente
la rendita definitiva.L'obbligo per l’lstituto
assicuratore di procedere alla liquidazione della
rendita prowisoria costituisce un'innovazione realizzata
dal T.TJ. 1965 giacche in precedenza l'art. 42, III c,
R.D. n. 200 del 1937 riconosceva un'ampia potesta
discrezionale in materia .
QUOTE INTEGRATIVE
L’articolo 77 del TU 1124/1965
prevede che se l'infortunato ha moglie e figli, solo
moglie o solo figli aventi requisiti di cui ai nn. 1 e 2
dell'art. 85 la rendita è aumentata di un ventesimo per
la moglie e per ciascun figlio, indipendentemente dalla
data di matrimonio e di nascita.
Tali quote integrative della
rendita sono corrisposte anche nel caso in cui
l'infortunio sia occorso ad una donna; a tale effetto,
per quanto riguarda il coniuge, debbono ricorrere le
condizioni di cui al secondo e terzo comma dei n. 1
dell'art. 85 .
Le quote integrative della rendita
seguono le variazioni della rendita e cessano in ogni
caso con questa, qualora non siano cessate prima per il
decesso della persona per la quale furono costituite o
per il raggiungimento del diciottesimo anno per i figli.
Per i figli viventi a carico dei lavoratore infortunato
dette quote sono corrisposte fino al raggiungimento del
ventunesimo anno di età, se studenti di scuola media o
professionale, e per tutta la durata normale del corso,
ma non oltre il ventesimo anno di età, se studenti
universitari.
Le quote predette, che sono parte
integrante della rendita liquidata all'infortunato, sono
riferite per tutta la durata della rendita alla
composizione della famiglia dell'infortunato stesso. La
rendita è aumentata di 1/20 per il coniuge e per i figli
fino a 18 anni, figli inabili, senza limiti di età,
finché dura l’inabilità , figli viventi a carico fino a
21 anni e studenti di scuola media superiore e 26 anni
se universitari.
Le quote integrative per i figli
sono corrisposte fino al diciottesimo anno di eta e, se
inabili, senza alcun lirnite, anche se l'inabilita e
posteriore alTevento lesivo . Se i figli sono studenti
di scuola media o | professionale le quote spettano fino
al raggiungimento del ventunesimo anno di eta; se
studenti universitari per tutta la durata normale del
corso, ma non oltre il ventiseiesimo anno. In questi
ultimi due casi, peraltro, e necessario fornire la prova
della vivenza a carico del lavoratore infortunato,
vivenza a carico che e invece presunta/iuris et dejure
per la moglie e per i figli inabili o di eta non
superiore ai diciotto anni. La Corte cost. 12 maggio
1988 n. 529 ha dichiarato l'illegittimita
costituzionale dell’art. 77, II c, T.U. 1965 per
violazione degli artt. 3 e 29 Cost. nella parte in cui,
per il periodo di tempo anteriore all'entrata in vigore
della L. 9 dicembre 1977, n. 903, riconosceva il diritto
della moglie infortunata alla quota integrativa della
rendita solo nell’ipotesi di riduzione dell’attitudine
al lavoro del marito a meno di un terzo, anzichè per il
semplice fatto della vivenza a carico della moglie, che
e situa-zione considerata invece sufficiente per
1'ipotesi in cui 1'infortunato sia il marito.Le quote
integrative hanno natura indennitaria e costituiscono
parte integrante della rendita, giacche perseguono la
funzione di risarcire i familiari dell’infortunato che,
vivendo con quest'ultimo, risentono anch'essi della
conseguenza dell'infortunio; pertanto, tali
maggiorazioni non rappresentano un'erogazione
assimilabile agli assegni familiari, e quindi, per essi
non opera il divieto di cumulo sancito in generale
dal1'art. 16,1 c, D.L. 2 marzo 1974 n. 30 fra i suddetti
assegni e gli altri trattamenti di famiglia comunque
denominati . Il tutto purchè, per quanto concerne la
moglie, non vi sia stata sentenza di separazione
personale passata in giudicato e pronunciata per colpa
di lei o di entrambi i coniugi.
PAGAMENTO
La periodicità del pagamento è
mensile; la modalità è con accredito bancario o postale,
oppure in contanti presso un ufficio postale la
rivalutazione\rinnovo è su base annua.
LA CAPITALIZZAZIONE DELLE RENDITE
L’art. 75 del tu 1124/1965 prevede
che qualora, dopo la scadenza del decennio dalla
costituzione della rendita, il grado di inabilità
permanente residuato all'infortunato risulti determinato
in maniera definitiva nella misura superiore al dieci e
inferiore al sedici per cento, è corrisposta, ad
estinzione di ogni diritto, una somma pari al valore
capitale, determinato in base alle tabelle di cui al
primo comma dell'art. 39, dell'ulteriore rendita
spettante, calcolata sul limite minimo di retribuzione
annua ai sensi del terzo comma dell'articolo 116,
applicabile al momento della liquidazione di tale somma.
La Corte Cost.con decisione n. 93 del 9-4-1981 ha
dichiarato non fondate le questioni di legittimità
costituzionale: 1) dell'articolo 75 del D.P.R.
30-6-1965, n. 1124 (testo unico delle disposizioni per
l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali), nella parte in cui
impone la capitalizzazione della rendita, calcolata nel
minimo della retribuzione annua, e del combinato
disposto degli artt. 75, 79 e 80 dello stesso D.P.R.
nella parte in cui, per essere intervenuta la
capitalizzazione relativamente al primo infortunio,
esclude il diritto ad una rendita corrispondente al
grado di invalidità derivata da due infortuni policroni,
questione sollevata in rif. agli artt. 3, 35, 38 e 76
della Cost; 2) dell'art. 79 del D.P.R.- n. 1124/1965 e
del combinato disposto dallo stesso articolo - con
particolare riferimento all'inciso "o liquidati in
capitale ai sensi dell'art. 75"- e dell'art 80 del
medesimo D.P.R., questione sollevata in rif. agli artt.
3 e 38, 2° comma, della Cost.; 3) dell'art. 75 in
relazione all'art. 212 dello stesso D.P.R., questione
sollevata in rif. agli artt. 3, 35, 38 e 76 della Cost.
(G.U. n. 165 del 17-6-1981). II provvedimento di
capitalizzazione della rendita si fonda su tre
presupposti: a) decorso del decennio dalla costituzione;
b) esistenza di un grado invalidante superiore al 10 ed
inferiore al 16%; c) stabilizzazione dell’invalidità
che, risultando gia dagli atti in possesso dell’Istituto
assicuratore, non richiedono particolari accertamenti.
II decennio dalla costituzione della rendita decorre dal
giorno successivo a quello della cessazione
dell’inabilità temporanea assoluta.La giurisprudenza ha
individuato questo momento nel provvedimento di
riconoscimento e liquidazione della prestazione. II
momento della liquidazione va individuato in quello nel
quale si compiono le operazioni tecnico-contabili
necessarie per la determina-zione quantitativa della
somma in base ai criteri preventivamente enunciati o
stabiliti e non in quello in cui aviene l’accertamento
od il riconoscimento della relativa obbligazione.
In merito all’applicabilità dei
termini di prescrizione l’Istituto con propria nota del
24 gennaio 2006 ha precisato che” l’art. 75 T.U., dopo
aver indicato le condizioni in presenza delle quali
trova applicazione l’istituto della liquidazione in
capitale, dispone che, in presenza di dette condizioni,
“è corrisposta, ad estinzione di ogni diritto, una somma
pari al valore capitale …..dell’ulteriore rendita
spettante”. Tale formulazione letterale rende palese che
la liquidazione in capitale costituisce conseguenza
giuridica necessaria del venire in essere delle
condizioni normativamente previste. In altri termini, la
liquidazione in capitale è una novazione ex lege
dell’obbligazione dell’INAIL che, per effetto della
norma, muta il suo oggetto, da prestazione periodica in
forma di rendita a prestazione unica in forma di
capitale. Da ciò consegue che la suddetta liquidazione:
• costituisce per l’Istituto
l’attuazione di un obbligo derivante dalla legge, come
affermato anche dalla Corte di Cassazione (per tutte,
sentenza n. 7142/2002);
• non costituisce per il
reddituario un diritto, ma piuttosto un obbligo a
soggiacere al potere – dovere dell’Istituto di
corrispondere il valore capitale “dell’ulteriore rendita
spettante”.
L’assenza di ogni discrezionalità
da parte dell’Istituto e del reddituario, e la
circostanza che la liquidazione in capitale rappresenta
un obbligo direttamente derivante dal dettato normativo,
inducono a ritenere che l’istituto della prescrizione
non sia applicabile alla fattispecie in esame. Pertanto,
a rettifica delle direttive impartite con la lettera del
3 ottobre 2000, si fa presente che, ove per qualunque
ragione non si sia provveduto a dare attuazione all’art.
75 T.U. alle scadenze previste dalla norma (e cioè al
termine del periodo revisionale), la liquidazione in
capitale può essere effettuata successivamente, in ogni
momento, senza che a ciò osti alcun termine
prescrizionale. Fermo restando quanto sopra, si precisa
che, nei casi di tardiva liquidazione in capitale, i
parametri per il calcolo del valore capitale (minimale
retributivo, età dell’assicurato) devono essere assunti
con riferimento al momento in cui il calcolo stesso
viene effettuato, con contestuale cessazione della
rendita e senza procedere, ovviamente, alla detrazione
dei ratei nel frattempo corrisposti. Tanto è stato, da
ultimo, ribadito dalla Suprema Corte con la citata
sentenza n. 7142/2002, secondo la quale i criteri di
calcolo dell’importo da liquidare in capitale “debbono
essere riferiti al momento della liquidazione della
somma, onde – quale che sia il momento della
liquidazione - è illegittimo il riferimento a tempi
anteriori” giudici di legittimità hanno argomentato la
decisione rilevando che “in caso di liquidazione
compiuta molti anni dopo la scadenza del decennio, la
retrodatazione del calcolo ossia il riferimento dei
detti elementi al momento della scadenza, può portare ad
un risultato, ossia ad un ammontare della somma
capitalizzata detratte le rendite già pagate, così
esiguo da annullarne l’utilità, ossia da annullare
“l’ulteriore rendita” di cui all’art. 75”. Si ricorda,
inoltre, che l’espletamento del procedimento revisionale
non costituisce una condizione imprescindibile per la
determinazione della capitalizzazione della rendita
(Cassazione, sentenze nn. 876/1981, 6481/1985), con la
conseguenza che la liquidazione in capitale, quando la
revisione non sia più esperibile per scadenza dei
termini, può essere effettuata sulla base delle
risultanze degli atti di cui l’Istituto è in possesso,
tenendo conto, in particolare, del grado di inabilità
riconosciuto nell’ultimo accertamento medico – legale
utile, sulla base del quale è stata calcolata la rendita
che viene cessata. Si conferma, infine, che l’istituto
della liquidazione in capitale non si applica alle
“prestazioni particolari” erogate ai sensi dell’art. 9,
comma 3, del D.Lgs. n. 38/2000, e successive modifiche.
Ciò in quanto, come specificato nella lettera del 15
marzo 2000, le “rendite congelate in quanto non
rettificabili” sono prestazioni “sui generis” non dovute
ai sensi del testo unico, la cui conservazione è imposta
dallo stesso art. 9. Si informa che sta per essere
rilasciata, nella procedura informatica, una funzione
che consentirà a ciascuna Sede di individuare i casi per
i quali, pur ricorrendo le condizioni previste dall’art.
75 T.U., non si è ancora proceduto alla liquidazione in
capitale.Tale funzione permetterà, altresì, di procedere
alla liquidazione in capitale della rendita senza
l’intervento dell’area medica.”
VARIAZIONI DELL’IMPORTO DELLA
RENDITA
Gli importi della rendita possono
subire delle modifiche dovute a variazioni del grado di
inabilità; è possibile, infatti, che si abbia aumento,
diminuzione o anche cessazione dell’indennità. . L'INAIL
provvede direttamente dopo l'accertamento del grado di
inabilità. Dopo la costituzione della rendita il danno
di origine professionale può modificarsi nel tempo sia
in maniera peggiorativa che in maniera migliorativa. Per
poter garantire la costante corrispondenza tra il grado
di invalidità ed il relativo indennizzo è previsto
l'istituto della revisione periodica della misura della
rendita. Tale revisione può essere attiva, se disposta
dall'INAIL, o passiva, se richiesta dal reddituario.
Questa può essere disposta o richiesta soltanto alle
scadenze temporali appositamente previste ed entro un
periodo massimo. È prevista, inoltre, la rivalutazione
annuale a decorrere dal 1 luglio di ciascun anno, sulla
base della variazione effettiva dei prezzi al consumo,
stabilita con Decreto del Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali di concerto con quelli dell’Economia e
delle Finanze, e della Salute. A tale tema verrà
dedicato apposito contributo.
CASI DI INCUMULABILITA’E/O
INCOMPATIBILITA
La rendita diretta e l'indennizzo
per danno biologico possono generare forme di
incompatibilità o incumulabilità con le seguenti
prestazioni previdenziali erogate dall'INPS:
assegno ordinario di invalidità (se
riferito allo stesso evento o causa - art.1 comma 43, l.
335/95) Dal 1° settembre 1995 l'assegno di invalidità
non è cumulabile con l'eventuale rendita vitalizia in
caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale,
erogata dall'INAIL, se riferita allo stesso evento o
causa. Se però la rendita INAIL è inferiore all'assegno
INPS, il titolare riceve dall'INPS la differenza tra le
due prestazioni. 43. Le pensioni di inabilità, di
reversibilità o l’assegno ordinario di invalidità a
carico dell’assicurazione generale obbligatoria per
l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, liquidati in
conseguenza di infortunio sul lavoro o malattia
professionale, non sono cumulabili con la rendita
vitalizia liquidata per lo stesso evento invalidante, a
norma del testo unico delle disposizioni per
l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124,
fino a concorrenza della rendita stessa. Sono fatti
salvi i trattamenti previdenziali più favorevoli in
godimento alla data di entrata in vigore della presente
legge con riassorbimento sui futuri miglioramenti.Con
l’art. 1, comma 2, del DL 24 novembre 2000, n. 346, è
stato disposto che:“Per il periodo dal 1° luglio 2000 al
30 giugno 2001, il divieto di cumulo di cui all’art. 1,
comma 43, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non opera
tra il trattamento di reversibilità a carico
dell’assicurazione generale obbligatoria per
l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, nonché delle
forme esclusive, esonerative e sostitutive della stessa,
e la rendita ai superstiti erogata dell’Istituto
nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro spettante in caso di decesso del lavoratore
conseguente ad infortunio sul lavoro e malattia
professionale ai sensi dell’art. 85 del DPR 30 giugno
1965, n. 1124. Le disposizioni di cui al presente comma
si applicano alle rate di pensione di reversibilità
successive alla data del 30 giugno 2000, anche se la
pensione stessa è stata liquidata in data anteriore”,
Con l’art. art. 73, comma 1, della legge 23 dicembre
2000, n. 388, è stato disposto che:
“A decorrere dal 1o luglio 2001, il
divieto di cumulo di cui all’articolo 1, comma 43, della
legge 8 agosto 1995, n. 335, non opera tra il
trattamento di reversibilità a carico dell’assicurazione
generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed
i superstiti, nonché delle forme esclusive, esonerative
e sostitutive della medesima, e la rendita ai superstiti
erogata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) spettante in
caso di decesso del lavoratore conseguente ad infortunio
sul lavoro o malattia professionale ai sensi
dell’articolo 85 del decreto del Presidente della
Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124. Le disposizioni di
cui al presente comma si applicano alle rate di pensione
di reversibilità successive alla data del 30 giugno
2001, anche se la pensione stessa è stata liquidata in
data anteriore”.Inoltre, con l’art. 78, comma 20 e comma
33, della stessa legge n. 338/2000, è stato stabilito
che: “Per il periodo dal 1° gennaio 2001 al 30 giugno
2001, il divieto di cumulo di cui all’articolo 1, comma
43, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non opera tra il
trattamento di reversibilità a carico dell’assicurazione
generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed
i superstiti, nonché delle forme esclusive, esonerative
e sostitutive della stessa, e la rendita ai superstiti
erogata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro spettante in caso di
decesso del lavoratore conseguente ad infortunio sul
lavoro o malattia professionale ai sensi dell’articolo
85 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno
1965, n. 1124, recante testo unico delle disposizioni
per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni
sul lavoro e le malattie professionali, e successive
modificazioni. Le disposizioni di cui al presente comma
si applicano alle rate di pensione di reversibilità
successive alla data del 31 dicembre 2000, anche se la
pensione stessa è stata liquidata in data anteriore” e
che “Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati
e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti
giuridici sorti sulla base del DL 24 novembre 2000, n.
346. La presente disposizione acquista efficacia a
decorrere dal 27 gennaio 2001” ndr.La norma in questione
incide solo sui trattamenti erogati dall'INPS, e non
sulla rendita INAIL, che è assunta come parametro di
riferimento per quantificare 1'entita della prestazione
a carico del primo Istituto. Con l’art. 1, comma 43,
della legge 8 agosto 1995, n. 335, fu stabilito che le
pensioni di inabilità, di reversibilità o l’assegno
ordinario di invalidità, a carico dell’assicurazione
generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed
i superstiti, liquidati in conseguenza di infortunio sul
lavoro o malattia professionale, non erano cumulabili
con la rendita INAIL liquidata per lo stesso evento
invalidante, fino a concorrenza della rendita stessa. La
Corte di cassazione, chiamata a verificare
l’applicabilità di tale divieto di cumulo alle pensioni
ai superstiti, ha escluso che tale norma potesse
riguardare la reversibilità delle pensioni di vecchiaia
e di anzianità. L’INPS si è adeguata all’orientamento
della Corte di cassazione e, con la Circolare n. 187 del
24 ottobre 2001, ha diramato le nuove disposizioni
applicative del divieto di cumulo di cui all’art. 1,
comma 43, della legge n. 335/1995. Con l’occasione
l’INPS: - ha precisato che non rientra nel divieto di
cumulo la “reversibilità” dell’assegno di invalidità in
quanto, tale prestazione non è reversibile ai
superstiti. I superstiti del titolare dell’assegno di
invalidità, ricorrendone i requisiti, hanno diritto alla
c.d. pensione indiretta; - ha ricordato che dal 1°
luglio 2000 il divieto di cumulo di cui al ripetuto
comma 43 dell’art. 1 della legge n. 335/1995, non è più
operante per le pensioni di reversibilità per effetto
dell’art. 1, comma 2, del DL 24 novembre 2000, n. 346, e
dell’art. 73, comma 1, e dell’art. 78, commi 20 e 33,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388 .
La Cass. civ., Sez. lav., 7 gennaio
2003 n. 30 ha,peraltro, precisato che il divieto di
cumulo stabilito dalla norma succitata si riferisce alle
sole ipotesi di concorrenza di trattamenti INPS e
rendita INAIL derivanti dallo stesso evento invalidante,
e non e applicabile in relazione a reversibilita di
trattamenti di invalidita a carico dell'INPS originati
da situazioni invalidanti diverse dall’infortunio o
dalia malattia professionale determinativi della rendita
INAIL in favore del lavoratore poi deceduto, in quanto
la ratto del divieto di cumuloè quella di evitare
1'erogazione di prestazioni a carico di enti diversi,
originate dal medeskno evento invalidante, liquidate in
conseguenza di infortunio o malatria professionale.
Pertanto, anche se l’infortunio indennizzato con rendita
abbia per conseguenza la morte dell'assicurato, i
superstiti possono cumulare il trattamento di
reversibilita di vecchiaia con la rendita vitalizia a
carico dell'INAIL.
Altro caso di incompatibilità è
rappresentato dall’assegno mensile erogato dal Ministero
dell’interno in favore degli invalidi civili parziali ex
art. 13 della legge 30 marzo 1971 n. 118 dove, come
chiaramente rappresentato nella circolare 54/1993
dell’Inail viene riconosciuta alll’interessato la
facolta' di opzione per il trattamento piu' favorevole. |