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Definizione delle liti fiscali
pendenti ex art. 39, comma 12, del Decreto Legge 6
luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla
Legge 15 luglio 2011, n. 111: ambito di definibilità
delle liti.
1. Premessa.
Il 30 novembre 2011 è scaduto il
termine ultimo per il primo adempimento cui sono tenuti
i contribuenti che intendevano usufruire della chiusura
agevolata delle liti pendenti.
Con il Decreto Legge n. 98 del
06/07/2011 recante “Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria” e convertito con
modificazioni dalla Legge n. 111 del 15/07/2011, è stata
reintrodotta all'art. 39, comma 12, la disciplina sulla
definizione delle cd. liti fiscali “minori”.
La norma contiene un espresso
rinvio alla disciplina dettata per l’analogo istituto
dall’art. 16 della Legge 27 dicembre del 2002 n. 289 e
riguarda la definizione agevolata di tutte le liti
fiscali di importo non superiore a 20.000 euro, al netto
di sanzioni e interessi, instaurate con l'Agenzia delle
Entrate e ancora pendenti al 1° maggio 2011.
Tale misura ha la finalità di
favorire la pronta risoluzione delle controversie
tributarie con l'Agenzia delle Entrate, riducendo, in
tal modo, il numero delle pendenze giudiziarie.
In particolare, la nuova normativa
prevede che le liti fiscali in cui è parte l'Agenzia
delle Entrate, pendenti alla data del 1° maggio 2011
dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice
ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito
di rinvio, se di valore non superiore a 20.000 euro,
possono essere definite a domanda del soggetto che ha
proposto l'atto introduttivo del giudizio, con il
pagamento delle somme stabilite ai sensi dell'art. 16
della Legge n. 289/2002.
Il versamento dovrà essere
effettuato in un'unica soluzione entro il 30 novembre e
la presentazione della domanda dovrà avvenire entro il
31 marzo 2012 (02 aprile 2012, perché il 31 marzo cade
di sabato).
In merito all' importo da versare,
esso sarà commisurato al valore della lite.
Schematicamente le somme da versare sono le seguenti:
a) 150 euro se il valore della lite
non supera 2.000 euro;
b) qualora, invece, il valore della
lite superi 2.000 euro:
- 10% del valore se l'ultima o
unica sentenza è favorevole al contribuente;
- 50% del valore se l'ultima o
unica sentenza è favorevole all'Agenzia;
- 30% se non c'è stata ancora
alcuna sentenza;
- se la sentenza è parzialmente
favorevole al contribuente:
- 10% sulla parte definita dalla
Commissione Tributaria;
- 50% sulla differenza tra
accertato e definito.
E’ opportuno precisare che la
definizione si perfeziona non con il semplice pagamento
delle somme dovute, ma solo se ad esso segue la
presentazione della domanda entro il predetto termine.
E ancora è utile sottolineare che i
contribuenti, che chiudono le liti con il Fisco, dopo
aver eseguito il pagamento, chiedano all’Agenzia delle
Entrate, Direzione provinciale competente, di effettuare
lo sgravio delle eventuali somme iscritte a ruolo.
Questo perché l’Agente della riscossione è estraneo alla
definizione effettuata e, quindi, potrebbe pretendere il
pagamento delle somme iscritte a ruolo con cartella di
pagamento. Pertanto, sarebbe opportuno comunicare con
una semplice lettera all’ufficio delle Entrate e, per
conoscenza, al competente Agente della riscossione, che
il contribuente ha definito la lite.
Il citato art. 39 D.L. n. 98/2011,
sia pure operando un ampio rinvio al predetto articolo
16 della Legge n. 289/2002, se ne differenzia tuttavia
per taluni aspetti.
Prima di tutto, la possibilità di
definizione è limitata alle sole controversie pendenti
in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, mentre la
precedente definizione operava con riferimento a tutte
le liti in materia tributaria, in cui fosse parte
l’Amministrazione finanziaria dello Stato (incluse,
quindi, le altre Agenzie fiscali: Agenzia del Demanio,
Agenzia delle Dogane, Agenzia del Territorio).
In secondo luogo, il valore delle
liti non deve superare i 20.000 euro, mentre per la
precedente definizione non vi erano limiti di valore.
In terzo luogo, vista l’esiguità
delle somme dovute, è escluso il pagamento rateale degli
importi dovuti in base alla definizione delle liti
minori.
2. Ambito di definibilità delle
liti.
Analizzati gli aspetti generali
dell’istituto in esame, è opportuno adesso soffermarsi
sull’ambito di definibilità delle liti e chiarire, alla
luce degli orientamenti espressi in giurisprudenza
nonché dei chiarimenti forniti dalla stessa
Amministrazione finanziaria, quali siano le liti
condonabili.
Possono essere definite, ai sensi
dell’art. 16, comma 3, della Legge n. 289/2002, cui
rinvia l’art. 39, comma 12, del D.L. n. 98/2011, le
controversie aventi ad oggetto avvisi di accertamento,
provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro
atto di imposizione.
L’Agenzia dell’Entrate con
circolare n. 48 /E del 24 ottobre 2011 ribadendo quanto
espresso nella norma di legge, aggiunge che non sono
definibili le controversie instaurate con ricorsi
avverso atti diversi da quelli impugnabili ai sensi
dell’articolo 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992, non aventi
natura di “atti impositivi”.
Prima di esaminare il contenuto
dell’articolo 16 della Legge n. 289/2002 chiariamo che
gli atti impugnabili ex art. 19 del D. Lgs. 546/92 sono:
gli avvisi di accertamento, gli avvisi di liquidazione,
i provvedimenti di irrogazione sanzione, le cartelle di
pagamento, gli atti di iscrizione di ipoteca sugli
immobili e atti di fermo amministrativo sui beni mobili
registrati, gli atti relativi alle operazioni catastali,
il rifiuto espresso o tacito di restituzione di tributi
e accessori non dovuti, il diniego o la revoca di
agevolazioni e il rigetto di domande di condono; a
questi atti occorre aggiungere per espressa
giurisprudenza consolidata delle Commissioni tributarie,
della Suprema Corte di Cassazione e della Corte
Costituzionale gli avvisi bonari e tutti gli altri atti
di imposizione con i quali l’amministrazione finanziaria
impone di pagare imposte e sanzioni ai cittadini. Ne
consegue che l’elenco dei provvedimenti impugnabili di
cui all’ art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992 non ha
carattere tassativo; al contrario, deve essere
interpretato estensivamente e ciò al fine di garantire
un pieno esercizio del diritto di difesa.
Orbene, riprendendo quanto sopra
detto, secondo l’art. 16 della legge 289/2002 sono liti
pendenti quelle scaturite da atti relativi ad avvisi di
accertamento, avvisi di irrogazione sanzione e ogni
altro atto impositivo, ricomprendendo in questa
categoria residuale tutti gli atti con i quali
l’amministrazione finanziaria chiede ai cittadini di
pagare somme a titolo di imposta e sanzioni.
Non a caso, la Corte Suprema ha,
più volte, osservato che - per i fini di cui alla Legge
n. 289/2002, art. 16, comma 3, lettera a) - ciò che
rileva ai fini della qualificazione dell'atto come
impositivo è la sua effettiva funzione, a prescindere
dalla qualificazione formale dell'atto stesso
(Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 8866 del 14
aprile 2006; Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 8367
del 10 aprile 2006; Cassazione civile, sez. Tributaria,
n. 3427 del 21 febbraio 2005).
La locuzione “ogni altro atto di
imposizione” deve essere, pertanto, intesa nella sua
latitudine maggiore, riducendo l'area delle liti non
definibili ad ipotesi alquanto marginali.
2.1. Liti sanabili.
Contributo al servizio sanitario
nazionale.
Sono definibili le controversie
riguardanti il contributo al servizio sanitario
nazionale, che, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n.
546/1992, rientrano nella giurisdizione delle
Commissioni Tributarie.
Ruoli emessi a seguito della
rettifica delle dichiarazioni in sede di liquidazione e
controllo formale.
E' annosa la questione della
definibilità in via agevolata dei ruoli emessi a seguito
della rettifica delle dichiarazioni in sede di
liquidazioni e controllo formale.
Si tratta di comprendere se, e in
quale misura, possano essere ricomprese nella locuzione
“ogni altro atto di imposizione”, di cui all'art. 16
citato, anche le cartelle di pagamento emesse a seguito
di liquidazioni ai sensi dell'art. 36-bis e 36-ter del
DPR 29 settembre 1973 n. 600 e dell'art. 54-bis del DPR
26 ottobre 1972, n. 633.
Secondo l'interpretazione fornita
dall'Amministrazione finanziaria con Circolare n. 48 del
24 ottobre 2011, per quanto concerne la condonabilità
delle cartelle emesse ex art. 36-bis e 36-ter del DPR n.
600/1973, occorre distinguere due ipotesi: da un lato,
il caso in cui la liquidazione delle imposte ex art.
36-bis del DPR n. 600/1973, conduca alla semplice
correzione di errori materiali e di calcolo nella
determinazione degli imponibili, delle imposte, dei
contributi e dei premi ovvero nel riporto di eccedenze
delle imposte, di contributi e di premi; dall'altro, il
caso in cui l'ufficio, oltre al controllo dei
versamenti, provveda anche alla rettifica dei dati
indicati in dichiarazione con conseguente iscrizione a
ruolo di imposte maggiori rispetto a quelle dichiarate e
versate, ovvero riducendo le detrazioni di imposta e le
deduzioni dal reddito o dei crediti di imposta,
considerati non spettanti o spettanti in misura
inferiore a quella indicata.
Nel primo caso la lite fiscale non
sarebbe definibile in via agevolata, in quanto la
cartella di pagamento avrebbe il valore di un semplice
atto di riscossione, attraverso il quale l'Ufficio
acquisisce le somme che il contribuente deve versare
sulla base dei dati dallo stesso indicati nella
dichiarazione. Nel secondo caso, invece, la lite fiscale
è definibile, in quanto viene riconosciuta alla cartella
di pagamento il valore di atto impositivo, costituendo
per il contribuente il primo atto con il quale viene a
conoscenza dell'attività di rettifica svolta
dall'Ufficio.
Ancora prima dell'emanazione della
Circolare n. 48/E del 24 ottobre 2011, la Direzione
Provinciale di Bergamo, con nota del 29 settembre 2011
ha affermato che: “sono definibili le controversie
aventi ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti
di irrogazione delle sanzioni ed ogni altro atto che
abbia funzione impositiva, ad eccezione degli atti
aventi ad oggetto il silenzio, espresso o tacito, alla
restituzione di tributi, il diniego o revoca di
agevolazioni tributarie, salvo che l'atto impugnato
contenga l'accertamento di maggiori tributi o
l'irrogazione di sanzioni, l'avviso di liquidazione ed
il ruolo, ove finalizzati alla mera riscossione di
tributi ed ove non contengano una rettifica di dati
dichiarati”.
In senso conforme si sono
pronunciate, ancor prima, le Sezioni Unite della Corte
di Cassazione, con sentenza n. 21498 del 12 novembre
2004, affermando che la “rettifica dei risultati della
dichiarazione costituisce un'attività impositiva
propriamente detta, per definizione rientrante in quella
di accertamento, anche se più semplice ed immediata
rispetto alle verifiche sostanziali”.
Tale orientamento favorevole è
stato recepito dalla giurisprudenza di merito con la
sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Bari
n. 68 del 13 settembre 2005 che ha avallato quanto
pronunciato dalle Sezioni Unite.
Atti di recupero di crediti
d’imposta che realizzano un’agevolazione fiscale.
Va sicuramente riconosciuta natura
impositiva agli atti con i quali gli Uffici recuperano
crediti d’imposta che realizzano un’agevolazione
fiscale, indebitamente utilizzati. Tali atti, infatti,
in quanto volti, previo diniego del diritto
all’agevolazione, a recuperare il credito d’imposta
utilizzato, rientrano nel novero degli atti impositivi.
Tale natura impositiva è confermata
dalla recente giurisprudenza di Cassazione civile, sez.
Tributaria, che con ordinanza n. 8033 del 7 aprile 2011
ha sottolineato che “In tema di contenzioso tributario
gli avvisi di recupero di crediti di imposta
illegittimamente compensati, oltre ad avere una funzione
informativa dell’insorgenza del debito tributario,
costituiscono manifestazione della volontà impositiva da
parte dello Stato al pari degli avvisi di accertamento o
di liquidazione, e come tali sono impugnabili innanzi
alle Commissioni tributarie, ai sensi del D.Lgs 31
dicembre 1992, n. 546, art. 19”.
Tale orientamento è conforme,
inoltre, alla precedente Ordinanza della Cassazione
civile, sez. Tributaria, n. 4968 del 2 marzo 2009 ed, è
stato ulteriormente ribadito dalla Circolare dell'
Agenzia delle Entrate n. 48/E del 24 ottobre 2011.
Avvisi di liquidazione, ingiunzioni
e ruoli.
L’Agenzia delle Entrate con
Circolare n. 12 del 21 febbraio 2003 ha statuito che
«non sono definibili l'avviso di liquidazione,
l'ingiunzione e il ruolo in considerazione della natura
di tali atti non riconducibili nella categoria degli
atti impositivi in quanto finalizzati alla riscossione
dei tributi e degli accessori».
La stessa Amministrazione ha
aggiunto che, «si deroga a tale principio qualora uno
dei predetti atti assolve anche alla funzione di atto di
accertamento, oltre che di riscossione».
In altri termini, le liti relative
ad avvisi di liquidazione, le ingiunzioni e i ruoli
possono essere definite qualora i predetti atti
costituiscano il primo atto di manifestazione della
pretesa impositiva.
Al riguardo la giurisprudenza di
legittimità ha riconosciuto la definizione degli avvisi
di liquidazione dell’imposta di registro facendoli
rientrare nel più ampio concetto di “atti di
imposizione”.
Si fa riferimento alla recente
sentenza n. 20731 del 6 ottobre 2010 della Corte di
Cassazione civile, sez. tributaria, in base alla
quale:”…con specifico riferimento agli avvisi di
liquidazione dell’imposta di registro, la definizione
dell’atto come”avviso di liquidazione” non vale ad
escludere la sua natura di atto impositivo, quando esso
sia destinato ad esprimere, per la prima volta, nei
confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore
di quella applicata, in via provvisoria, al momento
della richiesta di registrazione”.
Secondo lo stesso Collegio, deve
darsi continuità all'indirizzo interpretativo secondo il
quale ciò che rileva ai fini della lite è il contenuto
sostanziale dell'atto impugnato, quale espressione del
potere impositivo dell'amministrazione, la cui
contestazione da parte del contribuente è idonea ad
integrare una controversia effettiva e non apparente sui
contenuti dell'obbligazione tributaria.
In senso conforme sono, infatti,
ulteriori sentenze della Cassazione: sentenza Cassazione
civile, sez. Tributaria, n. 12242 del 19 maggio 2010;
sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 4129 del
20 febbraio 2009; sentenza Cassazione civile, sez.
Tributaria, n. 6076 del 13 marzo 2009.
E' stata ritenuta suscettibile di
definizione anche la controversia avente ad oggetto
l'impugnazione degli avvisi di liquidazione dell’imposta
di successione.
In particolare, secondo la sentenza
della Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 18840 del
30 agosto 2006 “ In tema di condono fiscale, esulano dal
concetto normativo di lite pendente, e quindi dalla
possibilità di definizione agevolata ai sensi dall'art.
16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, soltanto le
controversie aventi ad oggetto provvedimenti di mera
liquidazione del tributo, emanati senza il previo
esercizio di un potere discrezionale
dell'Amministrazione, cioè senza accertamento o
rettifica e senza applicazione di sanzioni. Rientra
pertanto nell'ambito applicativo del beneficio
l'impugnazione dell'avviso di liquidazione dell'imposta
di successione, il quale comporta sempre una previa
valutazione, da parte dell'ufficio finanziario, della
congruità dei valori e dell'effettiva esistenza delle
passività dichiarate, dovendo esso ufficio, in caso di
dichiarazione incompleta o infedele, procedere alla
rettifica, ai sensi dell'art. 27, comma 3, del d.lgs. 31
ottobre 1990, n. 346; ciò implica che, allorquando alla
rettifica non si sia proceduto, non è affatto mancata la
valutazione, ma questa è consistita nel giudicare
congrui i valori dichiarati. L'avviso di liquidazione
dell'imposta di successione è quindi compreso fra gli
atti impositivi cui si riferisce l'art. 16 della legge
di condono, contenendo necessariamente una valutazione
di congruità, e non essendo finalizzato alla mera o
automatica liquidazione e riscossione dell'imposta, in
base a valori incontestati ed a parametri prestabiliti”.
Analogo orientamento interpretativo
è seguito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n.
13185 del 6 giugno 2007 secondo la quale “La
controversia tra il contribuente e l'amministrazione
finanziaria avente ad oggetto l'impugnazione dell'avviso
di liquidazione dell'imposta di successione, in quanto
non preceduto dalla notifica del classamento, investe i
presupposti dell'atto impositivo e le condizioni della
sua legittimità; essa, pertanto, rientra tra le liti
pendenti che, ai sensi dell'art. 16 della legge 27
dicembre 2002, n. 289, possono essere definite
attraverso il pagamento di una somma forfettaria, ed è
di conseguenza illegittimo il provvedimento col quale
l'amministrazione erariale rigetta l'istanza del
contribuente avente ad oggetto la definizione della
suddetta lite ai sensi dell'art. 16 legge cit.”.
Con riferimento alla cartella di
pagamento, va negata natura di atto impositivo autonomo,
direttamente impugnabile come tale, allorché essa faccia
seguito ad un avviso di accertamento, ma non anche nei
casi in cui essa costituisca l’unico atto che consente
al contribuente di mettere in discussione la debenza del
tributo. E’ in questi casi che l’atto deve essere
qualificato come atto di imposizione, a prescindere
dalla sua formale definizione.
In tal senso si è pronunciata la
Corte di Cassazione civile, sez. Tributaria, con
sentenza n. 9140 del 16 aprile 2010 “…..la cartella di
pagamento non preceduta da altro atto autonomamente
impugnabile ha natura di per sé necessariamente
impositiva, a prescindere dall’attività che documenta,
con l’effetto che la controversia che su di essa sorge
rientra tra quelle indicate nella Legge n. 289 del 2002,
art. 16, comma 3, lett. a), il quale significativamente
riferisce la nozione di lite fiscale pendente, per il
quale ammette il condono, non solo alle controversie
aventi ad oggetto avvisi di accertamento, ma anche a
quelle su cui si discute di “ogni altro atto di
imposizione”.
In senso conforme la Corte di
Cassazione si è pronunciata con sentenza n.10588 del 30
aprile 2010 e con sentenza n. 15548 del 2 luglio 2009
secondo le quali “....l'impugnazione della cartella di
pagamento, con cui l'Amministrazione liquida le imposte
calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, da
origine ad una controversia definibile in forma
agevolata, ai sensi della Legge n. 289 del 2002, art.
16, in quanto detta cartella, essendo l'unico atto
portato a conoscenza del contribuente con cui si rende
nota la pretesa fiscale e non essendo preceduta da
avviso di accertamento, è impugnabile non solo per vizi
propri della stessa, ma anche per questioni che
attengono direttamente al merito della pretesa fiscale
ed ha, quindi, natura di atto impositivo”.
Sanzioni amministrative collegate
al tributo.
Sono sanabili anche le controversie
riguardanti le sanzioni amministrative collegate al
tributo.
In particolare, come la stessa
Circolare n. 48/E chiarisce, qualora con provvedimento
separato siano state irrogate sanzioni collegate a un
tributo non più in contestazione, perché, ad esempio, la
relativa controversia autonomamente instaurata non è più
pendente, è consentito definire la relativa lite avendo
riguardo all’ammontare delle sanzioni.
In maniera analoga sarà ammessa la
definizione qualora la lite abbia ad oggetto sanzioni
amministrative collegate al tributo separatamente
irrogate a soggetto diverso dal contribuente.
Diniego e revoca di agevolazioni.
La lite è definibile se esprime un
valore sul quale calcolare le somme dovute, costituite
da tributi accertati dall’ufficio e contestati con il
ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Una
vertenza riguardante esclusivamente la spettanza di
un’agevolazione non può essere quindi definita, poiché
in essa non si fa questione di un tributo preteso
dall’Amministrazione finanziaria in base al quale
determinare la somma dovuta.
3. Conclusione.
Concludendo, alla luce degli
orientamenti maggioritari espressi in giurisprudenza e
dei chiarimenti forniti dall'Amministrazione
finanziaria, si può ritenere che l'attuale condono abbia
un vasto ambito applicativo, restando escluse solo le
controversie riguardanti provvedimenti di mera
liquidazione del tributo, emanati senza accertamento o
rettifica e senza applicazione di sanzioni. |