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Un terzo della manovra del governo
si fonda sull'imposizione immobiliare, attraverso
l'introduzione dell'Imu. Il provvedimento ha diversi
pregi: torna la tassazione sulla prima casa, aumenta il
gettito con una tassa che non incide sulla crescita e
ridà ai comuni una potente leva di fiscalità. Più
discutibili la compartecipazione dello Stato a un
tributo locale, l'inasprimento sulle locazioni e la
mancata soluzione delle iniquità del sistema delle
rendite catastali. E in generale, si va forse verso un
nuovo modello di federalismo fiscale con più autonomia e
meno solidarietà?
La manovra varata dal governo Monti
si affida per ben un terzo della sua dimensione
complessiva lorda a interventi sull’imposizione
immobiliare: 11 miliardi su 30 complessivi. In
particolare, la manovra anticipa al 2012, e riforma
radicalmente, l’Imu, Imposta municipale propria, già
prevista dal decreto sul federalismo municipale del
2011, in sostituzione dell’Ici.
LA NUOVA IMPOSTA
Gli interventi principali
consistono nel:
1) riportare l’abitazione
principale nella base imponibile, ma prevedendo un
regime agevolato: aliquota ribassata al 4 per mille,
rispetto a quella ordinaria del 7,6 per mille, e
detrazione fissa di 200 euro;
2) rivalutare decisamente le
rendite catastali ai fini del calcolo dei valori da
sottoporre a tassazione. In particolare, per le
abitazioni va applicato un moltiplicatore pari a 160 (e
non più 100, come finora) alla rendita catastale
rivalutata del 5 per cento.
Ai comuni sono poi riconosciuti
ampi margini di manovra sia sull’ammontare della
detrazione per la prima casa, sia sulle aliquote: +/- 3
per mille sull’aliquota ordinaria; +/- 2 per mille su
quella agevolata per la prima casa; possibile riduzione
fino al 4 per mille per immobili posseduti dai soggetti
passivi dell'imposta sul reddito delle società ovvero
nel caso di immobili locati.
Il gettito della nuova Imu tuttavia
non è lasciato interamente ai comuni. Lo Stato si
riserva una quota di imposta pari alla metà dell’importo
calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli
immobili, a eccezione delle abitazioni principali,
l’aliquota di base della 7,6 per mille. In altri
termini, ai comuni rimarrebbe, oltre al gettito della
tassazione sulle prime case, metà del gettito relativo a
tutti gli altri immobili, ovviamente calcolato alla
aliquota base (cioè senza tener conto dell’eventuale
sforzo fiscale, ma anche delle riduzioni di aliquota,
decisi in autonomia dal comune).
PUNTI A FAVORE
L’intervento del governo sull’Imu
ha più di un pregio. Innanzitutto, risolve in modo
chiaro e diretto la questione della mancata tassazione
della prima casa nell’imposta patrimoniale comunale pur
tenendo conto, attraverso la previsione dell’aliquota
ribassata e della detrazione, delle preoccupazioni
equitative collegate a un bene così sensibile dal punto
di vista redistributivo, come è l’abitazione principale.
Infatti, se applicassimo il regime Ici 2007, quello in
vigore prima della progressiva esenzione della prima
casa dalla tassazione patrimoniale, il limite di valore
catastale non soggetto ad alcun prelievo sarebbe
equivalente a circa 43mila euro. (1) Nella nuova
normativa, il limite è ora innalzato a 50mila euro.
Il secondo pregio consiste nel
fatto che, soprattutto attraverso la potente
rivalutazione delle rendite catastali, la nuova Imu
produce un aumento rilevante del prelievo immobiliare.
Si tratta di una scelta opportuna perché nel confronto
internazionale l’imposizione in Italia risulta(va) meno
gravosa che nella maggior parte degli altri paesi, e
perché tassare gli immobili è una modalità di prelievo
fiscale “più amica” della crescita economica rispetto ad
altri tipi di imposizione.
In terzo luogo, la manovra consegna
ai comuni una leva potente di fiscalità, in passato
fiaccata dall’esenzione della prima casa dalla base
imponibile. La Relazione tecnica valuta che alle
aliquote base (e quindi al netto dell’eventuale aumento
di aliquote autonomamente deliberato dai comuni) il
gettito della nuova Imu accresca di 2 miliardi le
entrate fiscali del complesso dei comuni rispetto a
quanto promesso con la versione Imu precedente (e al
netto della riserva a favore dello Stato). Inoltre, sono
ampi i margini di variazione delle aliquote su cui i
sindaci potranno esercitare il proprio sforzo fiscale
(oppure, ma è meno probabile, le riduzioni di aliquota).
E le variazioni di aliquote si applicano su una base
imponibile gonfiata dalla rivalutazione, in grado quindi
di produrre rilevanti margini di gettito.
ASPETTI CRITICI
Al contempo però l’intervento del
governo presenta alcuni punti critici. Il primo è
relativo alle iniquità, non risolte, del sistema delle
rendite catastali tra diverse aree territoriali del
Paese, tra diversi quartieri nelle aree urbane, tra
diverse tipologie di immobili soprattutto residenziali.
L’aumento deciso del moltiplicatore applicato alle
rendite attuali, anzi, le enfatizza fortemente. Data
l’urgenza dei provvedimenti, non è proponibile una
rideterminazione delle rendite, che è operazione di
medio periodo, ma certamente sarebbe auspicabile una
loro correzione per ridurre gli scostamenti assai
differenziati rispetto ai valori di mercato.
Interessante è la proposta avanzata da Nens di
utilizzare a tale scopo le rilevazioni sui prezzi delle
transazioni immobiliari condotte per micro-zone dall’Omi
(Osservatorio del mercato immobiliare) dell’Agenzia del
territorio.
Un secondo elemento critico è
quello della tassazione delle abitazioni date in
locazione. Nella precedente normativa sull’Imu, il
proprietario di un’abitazione locata era assoggettato a
un’imposta dimezzata rispetto all’aliquota normale: 3,8
contro 7,6 per mille. Ora la riduzione dell’aliquota
(fino al minimo del 4 per mille) è possibile, ma deve
essere deliberata discrezionalmente dal comune e
ovviamente a carico del suo bilancio. Si tratta cioè di
un (probabile) inasprimento sulle locazioni che
contrasta con l’alleggerimento fiscale sul lato della
tassazione dei redditi da locazione recentemente
introdotto con il meccanismo della cedolare secca e che,
nel caso in cui il maggior onere venga traslato dai
proprietari sugli inquilini, potrebbe portare a effetti
di iniquità.
Infine, un punto problematico
riguarda le relazioni tra diversi livelli di governo
(comuni e Stato) coinvolti nella riforma Imu. Lo Stato
si riserva una potente compartecipazione nel gettito
incrementato dal rientro della prima casa e dalla
rivalutazione delle rendite catastali, 9 miliardi
secondo la Relazione tecnica. Inserire una
compartecipazione erariale in un tributo locale può
indebolire l’incentivo del comune a gestire
efficientemente il tributo.
Meglio sarebbe allora attribuire
pienamente l’Imu riformata all’autonomia comunale e
“ammortizzare” l’aumento di risorse pubbliche assegnate
ai comuni con una rideterminazione verso il basso delle
compartecipazioni su molti tributi statali attribuiti ai
comuni dalla riforma del federalismo fiscale, a partire
da Iva, imposta di registro, eccetera.
LA QUESTIONE DEL FONDO PEREQUATIVO
C’è poi un altro profilo più
generale da valutare, non immediatamente inerente
all’Imu ma a essa collegato, che riguarda l’impatto
della manovra sulla finanza comunale. Innanzitutto, il
maggior gettito attribuito dalla riforma Imu al comparto
dei comuni è compensato da un corrispondente taglio di
risorse con cui lo Stato (attraverso compartecipazioni
comunali su tributi erariali) alimenta il fondo
perequativo tra comuni (nella sua attuale versione
provvisoria e poi in quella a regime). In aggiunta, la
manovra stringe ancora i cordoni della finanza locale,
sommando agli inasprimenti del Patto di stabilità
interno decisi con le manovre di luglio e agosto, nuovi
sacrifici, questa volta però nella forma di un’altra
sforbiciata di 1,45 miliardi di euro annui sempre sui
trasferimenti statali al finanziamento del fondo
perequativo dei comuni. Il risultato è che, da un lato,
aumentano le necessità perequative tra i diversi comuni
perché crescono le risorse proprie loro attribuite (cioè
l’Imu) e, dall’altro, si riducono le risorse finanziarie
che possono essere utilizzate per perequate le
differenze di capacità fiscali tra i vari comuni.
Ritornano qui le preoccupazioni circa gli effetti
equitativi della manovra. Non più collegate al prelievo
dei tributi locali sui contribuenti, bensì più
concretamente alle capacità dei comuni di fornire i
servizi essenziali ai propri cittadini su base
tendenzialmente omogenea sull’intero territorio
nazionale. Dopo tanto discutere nel precedente governo,
spesso senza contenuti effettivi, stiamo forse andando
verso un nuovo modello di federalismo fiscale con più
autonomia e meno solidarietà?
(1) Valore rivalutato secondo il
nuovo moltiplicatore delle rendite catastali e tenendo
conto della nuova aliquota. |