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UNA TASSA SUL DIVORZIO? IL CASO DELL’INGHILTERRA –Avv. Patrizia D'Arcangelo

 

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 All’inizio di quest’anno ho letto che il governo inglese sta valutando di inserire una “tassa sul divorzio”.

Il Sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Pensioni, Maria Miller ha infatti affermato:

“Stiamo considerando di imporre una tassa sul divorzio, che potrebbe presto riguardare tutte le coppie sposate con figli. In caso di separazione, queste ultime dovranno pagare una tassa che servirà per finanziare il sistema che gestisce e supervisiona l’affidamento e il mantenimento dei figli. L’obiettivo è quello di convincere i genitori che il divorzio deve essere l’ultima soluzione possibile. Nel progetto c’è infatti anche un programma che cerca di aiutare i genitori a individuare e risolvere possibili problemi e contrasti in famiglia. Ma questo è solo un inizio. Io credo fermamente che tutto il sistema vada rivisto in favore del concetto di famiglia”.

Una tassa? E perché mai? La notizia è di quelle che fanno certamente rabbrividire.

Per ora, è bene precisarlo, si tratta solo di una proposta che dovrà poi eventualmente confrontarsi con l’opinione pubblica.

Da un lato è certamente positivo che ci si interroghi sul degrado ormai diffuso della relazione familiare ma, dall’altro lato, è oltremodo ingenuo pensare che possa bastare l’introduzione di una tassa per ridurre i divorzi. Non è certamente una tassa che può tenere unita una famiglia.

Non si può poi non considerare che una simile tassa rischierebbe di compromettere la libertà di scelta delle coppie meno abbienti, penalizzando così i coniugi che subiscono dal proprio partner abusi e soprusi di ogni genere.

Scrive Giuseppe Anzani su Avvenire: “ L’amore è una cosa diversa, è promessa e dono totale. L’amore è un’arte da apprendere, ma è un’arte che nessuno ti insegna, questo è il punto. E forse il censimento dei disastri familiari è l’occasione per riflettere e per escogitare qualche rimedio serio, invece che una tassa, per “aiutare” le coppie in difficoltà, le famiglie in crisi, le vite minacciate di naufragio.
È questa, in fondo, la differenza fra l’ordine giuridico concepito grezzamente come cintura di “diritti individuali” noncuranti, e l’ordine sociale che abbraccia la presenza delle persone vive, con l’intreccio di un dono reciproco. La scelta familiare è un dono singolarissimo, inconfondibile, irretrattabile. Perderlo è una sventura fra le più grandi. Io non giudico le persone che incontrano il divorzio; a volte mi è parso di sentire nella loro confidata ferita la nostalgia dolente di un bene perduto, quasi il varco di un lutto. Ma giudico una società indifferente a questi lutti, a questi cancelli del dolore; a queste statistiche dei fallimenti. Giudico una società che ha creduto finora di assolvere i suoi compiti negando di avere compiti, paga di esaltare ideologicamente “diritti” impiegati a distruggere, invece che a costruire. Altro che tasse, è il soccorso e la prevenzione ciò che ci manca”.

 

 

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