Nelle
proprie conclusioni, presentate il 14 aprile 2011,
l’Avvocato Generale della Corte Europea di Giustizia, ha
statuito che uno Stato membro non può in modo
ingiustificato porre restrizioni alla libera prestazione
di servizi nel caso in cui si tratti di prestazioni
mediche fruite all’estero da un proprio cittadino.
Ancora una volta (cfr. i numerosi contributi pubblici
sul sito), la giurisprudenza comunitaria interviene a
ribadire il principio della libertà di movimento dei
pazienti all’interno dell’Unione Europa. Nel caso di
specie, si tratta del ricorso che la Commissione Europea
ha avviato nei confronti del Portogallo in ordine alla
disciplina di quest’ultimo che non prevede la
possibilità di rimborso delle spese mediche non
ospedaliere sostenute in un altro Stato membro, salvo
subordinare questa eventualità ad autorizzazione
preventiva.
Gli
“ingredienti” classici, che hanno caratterizzato questi
ultimi anni, ci sono tutti: da un lato, il cittadino UE
che intende recarsi all’estero per ottenere una cura
sanitaria (in questo caso non ospedaliera) e,
dall’altro, gli Stati membri che disciplinano in modo
restrittivo tale libertà di movimento.
La Corte
Europea di Giustizia ha svolto in questa materia il
ruolo di precuorse nella realizzazione del diritto
riconosciuto ad ogni individuo di accedere alla
prevenzione sanitaria e di accedere alle cure mediche
all’estero, principi che sono contemplati nell’art. 35
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea
e nella Direttiva sul rimborso delle spese sanitarie
sostenute all’estero recentemente approvata
(2011/14/UE).
Nella
causa in parola, si trattava di valutare se le
disposizioni legislative del Portogallo potessero
qualificare sotto il profilo giuridico una restrizione
alla libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art.
49 CE, avuto riguardo al fatto che esse subordinano il
ricorso a prestazioni sanitarie all’estero alla previa
autorizzazione da parte delle autorità competenti.
Il
reasoning che l’Avvocato Generale svolge nelle proprie
conclusioni si incentra in particolare sulla natura
delle cure mediche fruite all’estero. Al riguardo, preme
evidenziare che nella giurisprudenza della Corte Europea
di Giustizia si è sempre posto l’accento sulla
differenziazione tra cure “ospedaliere” e “non
ospedaliere”. Mentre per le prime, gli Stati membri
possono “invocare” la necessità di programmazione o
pianificazione degli interventi e dei servizi che
attengono strettamente ai vincoli di bilancio, ai quali
quindi in talune situazioni la previsione
dell’autorizzazione preventiva è stata riconosciuta come
legittima, alle seconde (ancorché “altamente
specializzate” come nel caso di specie) non è
estendibile questo approccio. Nel caso in argomento,
l’Avvocato Generale, trattandosi di cure non
ospedaliere, disconosce che le stesse possano invero
essere connesse a eventuali esigenze di pianificazione o
addirittura a un rischio per la stabilità finanziaria
del sistema sanitario nazionale tali da imporre una
restrizione alla libera prestazione dei servizi
subordinando il rimborso delle spese mediche al
requisito della previa autorizzazione.
Le
conclusioni dell’Avvocato Generale qui in esame sono
coerenti con l’impianto finale della Direttiva n.
2011/14/CE, nella quale, infatti, si prevede (ancora)
l’istituto dell’autorizzazione preventiva, il quale
tuttavia deve essere circoscritto ad alcune e limitate
fattispecie.
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