di
Bernardo Giorgio
Mattarellai –Nel merito.it
L’abuso dei poteri di emergenza non
è certo un fenomeno solo italiano. Poteri e
procedure semplificate sono sempre esistiti in
tutti gli ordinamenti giuridici, per far fronte
a catastrofi naturali, eventi bellici e altre
situazioni imprevedibili, ne quid res publica
detrimenti caperet.
Questi poteri sono comodi: consentono di
adottare misure immediate, evitando i tempi
lunghi e le insidie del procedimento legislativo
e dei controlli amministrativi. Ma,
naturalmente, implicano la rinuncia alle
garanzie di democrazia e di legalità, che sono
alla base di quelle procedure e di quei
controlli. E, soprattutto se usati
frequentemente, possono implicare lo spostamento
di competenze e la modificazione di fatto della
forma di governo. Ne sanno qualcosa quei
costituzionalisti statunitensi che criticano
l’abuso, da parte di molti presidenti, dei
poteri di emergenza per affrontare problemi
duraturi e non imprevedibili1: dalla
“guerra al terrore” alla “guerra al crimine”,
dalla “guerra alla droga” alla “guerra alla
povertà”, l’uso delle parole non è casuale,
serve a giustificare l’uso di poteri eccezionali
e il rafforzamento irreversibile del potere
esecutivo.
I governi italiani non hanno certo nulla da
imparare su questo piano. Hanno usato per
decenni il decreto-legge, che la Costituzione
prevede per situazioni eccezionali, come canale
di ordinaria legislazione: negli ultimi anni, i
decreti-legge sono quasi l’unico canale di
legislazione. Non contenti, i vari governi
utilizzano spesso un ulteriore strumento, ancora
più libero da vincoli e controlli: quello dei
provvedimenti amministrativi d’urgenza, per lo
più ordinanze di protezione civile. L’esempio
più pittoresco di questo abuso è dato forse
dalla materia dei cani pericolosi, che non sono
certo una catastrofe improvvisa: la materia è
stata disciplinata dapprima da un’ordinanza del
Ministro della salute del 2008, che prevedeva
misure di buon senso ma era di dubbia
legittimità, in quanto dettava una disciplina
permanente; poi da una nuova ordinanza del 2009,
questa volta emanata da un sottosegretario, che
fa a pugni con il buon senso e la cui
legittimità è ancora più dubbia (tra l’altro,
prevede un regolamento di attuazione: il che,
dal punto di vista della teoria delle fonti del
diritto, è a dir poco stravagante). Tutto ciò
con un tipo di atto che dovrebbe servire a
gestire situazioni di emergenza2.
Quando non ha voglia di emanare provvedimenti
d’urgenza, poi, il governo nomina un
commissario, per esempio per realizzare un’opera
pubblica, al quale conferisce ampi poteri di
deroga alle norme vigenti.
Se questi sono gli esempi che vengono dal
governo nazionale, non può stupire che anche al
livello locale si abusi degli strumenti che la
legge mette a disposizione dei sindaci, che sono
tra i pochi organi pubblici ai quali è
consentito adottare provvedimenti d’urgenza. O,
per lo meno, è inevitabile che qualcuno degli
ottomila sindaci italiani ne abusi, dando prova
se non altro di fantasia. Così, i sindaci usano
questi poteri per disciplinare materie come
l’uso degli spazi pubblici, l’abbigliamento dei
cittadini e degli stranieri e le loro pratiche
religiose, travalicando facilmente i limiti
delle competenze comunali e del buon senso,
comprimendo disinvoltamente i diritti
costituzionali (come la libertà di riunione o di
religione) e perfino sostituendosi alla legge
penale (come quando viene proibita la cessione
di stupefacenti…). Usano strumenti giuridici,
che dovrebbero servire per tutelare la sicurezza
dei cittadini a fronte di situazioni
imprevedibili, per tutelare il buon costume,
pretendere le buone maniere, modellare la
società secondo le loro preferenze: di qui la
pittoresca immagine dei “sindaci sceriffi”.
È su questa materia che è intervenuta la bella
sentenza n. 115 del 2011 della Corte
costituzionale, che ha censurato una norma del
testo unico degli enti locali, inserita con il
“pacchetto sicurezza” del 2008 per ampliare il
potere dei sindaci di adottare ordinanze
“contingibili e urgenti”. La sentenza, in
effetti, si limita a espungere una singola
parola dalla legge. La parola in questione non è
“contingibili” (che pure meriterebbe di essere
espunta, ma che ha una sua tradizione
amministrativa), bensì “anche”.
Per come la disposizione era stata scritta (“il
sindaco … adotta … provvedimenti, anche
contingibili e urgenti”), infatti, essa
conteneva due diverse norme, che la Corte ha
identificato. La prima consente di emanare
ordinanze contingibili e urgenti, cioè
straordinarie, per far fronte a casi
imprevedibili: questa norma non era rilevante
nel caso all’esame della Corte, ed è rimasta. La
seconda consentiva di emanare ordinanze
“ordinarie”: questa norma è venuta meno con
l’intervento della Corte, che ha cancellato la
parola “anche”.
È bastato togliere una parola, dunque, per
riportare la legge al rispetto della
Costituzione. Ma l’aspetto più interessante è
che, tra le varie strade che avrebbe potuto
percorrere per censurare la legge impugnata, la
Corte ha scelto quella basata sull’art. 23 della
Costituzione, che contiene la più forte
enunciazione del principio di legalità. In
sostanza, la legge, attribuendo ai sindaci un
potere “innominato”, in bianco, per far fronte a
generiche esigenze di sicurezza, consentiva ai
sindaci stessi di imporre ai cittadini obblighi
che solo la legge può imporre.
È una decisione apprezzabile, che richiama al
rispetto delle procedure normali e del riparto
delle competenze tra organi pubblici. Ma è anche
la dimostrazione che la giustizia costituzionale
non è sufficiente a contenere le intemperanze
dei politici sceriffi. Per togliere di mezzo una
norma incostituzionale ci sono voluti: un
sindaco che ha emanato un’ordinanza contro
l’accattonaggio; un’associazione antirazzista
che la ha impugnata; un tribunale amministrativo
regionale capace di porre la questione alla
Corte in termini corretti; e tre anni di tempo.
Tutto per eliminare un “anche”, che purtroppo
riguarda solo i sindaci, e non il governo
nazionale o quelli regionali.
1.
In particolare B. Ackerman, Before the Next
Attack, Yale, 2006 (trad. it.
Prima del
prossimo attacco, Vita e pensiero, 2008); The
Decline and Fall of the American Republic,
Harvard 2010.
2. Più ampiamente, su questi temi, B.G.
Mattarella, La trappola delle leggi. Molte,
oscure, complicate, Il Mulino, 2011.
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