“Ma solo le commissioni tributarie
possono sollevare la questione di costituzionalità”,
Corte Costituzionale, decisione 143 del 2011
DaumierLaCourDAppel
E’ sempre il solito problema. Dopo
le (giuste) censure di costituzionalità sul contributo
unificato al TAR in misura fissa a 2000 euro per gli
appalti, ora è la volta dei giudizi innanzi al Giudice
di Pace, dove si ripropone la stessa domanda: “E’ giusto
prevederne il pagamento a prescindere dal valore della
controversia?”.
Hanno sollevato la questione alcuni
Giudici di pace, a Ficarolo, a Fermo, a Varazze.
Il contenuto delle ordinanze di
rimessione
Secondo il Giudice di pace di
Ficarolo, il contributo unificato “frappone un ostacolo
all’accesso alla giurisdizione, dato che numerose
sanzioni amministrative, opponibili con il rimedio de
quo, prevedono il pagamento di somme inferiori od uguali
al contributo minimo di cui sopra, con la conseguenza
che la censurata disposizione determinerebbe una
vanificazione della tutela giurisdizionale offerta con
l’annullamento di dette sanzioni”.
Il Giudice di pace di Varazze
osserva, a sua volta, come “l’arbitrio del legislatore
nel fissare gli importi dei vari scaglioni del
contributo unificato, venga a collidere con il diritto
di difesa”. Inoltre, “il contributo unificato, pur
essendo una tassa giudiziaria, ha una natura peculiare,
in quanto non risulta parametrato nella sua entità al
costo del servizio, ma − in modo non proporzionale e
irrazionale − al valore della controversia, ponendosi in
contrasto con l’art. 53 Cost. e con il principio di
capacità contributiva”.
La questione sarebbe rilevante per
la decisione del caso concreto poiché, “nell’ipotesi di
accoglimento del ricorso con compensazione delle spese
di lite, la sentenza non consentirebbe al ricorrente,
pur vittorioso, di ottenere una effettiva tutela,
giacché il bene della vita che intendeva difendere
rivolgendosi al giudice, e cioè l’integrità del proprio
patrimonio, rimarrebbe ugualmente compromesso, ancorché
modestamente, dalla tassa versata all’Erario”.
Secondo il Giudice di pace di
Fermo, infine, “il pagamento di detta imposta o tassa –
il contributo unico appunto – disincentiverebbe i
cittadini, rendendo oltremodo gravoso l’esercizio del
diritto di giustizia per contestare la violazione di
legge di accertamenti amministrativi illegittimi,
essendo spesso il contributo elevato ed a volte di pari
importo della sanzione amministrativa contestata”.
La difesa del Presidente del
Consiglio
Secondo il Presidente del Consiglio
“il contributo unificato per l’iscrizione a ruolo,
sostituendo una serie di tasse precedentemente in
vigore, si propone uno scopo di semplificazione
amministrativa per l’utente del servizio giustizia, ed è
peraltro articolato in fasce proporzionali ai vari
scaglioni di valore della causa, per cui non può
considerarsi irragionevole”.
“Inoltre, “la manifestazione di
capacità contributiva cui sottende la tassa, nel caso di
un azione in giudizio, sarebbe rappresentata dalla
decisione del soggetto di adire il giudice, non dal
possibile risultato utile della causa”.
Infine, la Corte costituzionale
avrebbe già chiarito, nella sentenza n. 114 del 2004,
che “nel valutare l’idoneità di una tassa a ledere il
diritto alla tutela giurisdizionale, si deve distinguere
tra:
– oneri razionalmente collegati
alla pretesa dedotta in giudizio, la cui previsione non
determina ostacolo alla tutela giudiziaria ma ne
costituisce solo il costo,
- quelli che tendono alla
soddisfazione di interessi del tutto estranei alle
finalità predette, che ostacolano la tutela
giurisdizionale e sono, pertanto, illegittimi … il
contributo in questione è da ricomprendere nella prima
categoria”.
Da ultimo, ma non per importanza,
“l’eventuale mancato pagamento del contributo non
determina inammissibilità del ricorso e, dunque, in ogni
caso, non preclude la tutela giurisdizionale”.
Il giudizio della Corte (ordinanza
del 20 aprile 2011)
La Corte osserva che:
“Poiché il giudizio sottoposto
all’esame dei rimettenti non ha ad oggetto la verifica
di tale obbligazione tributaria, la rilevanza della
questione potrebbe ravvisarsi solo nell’ipotesi in cui
il pagamento del contributo unificato costituisse una
condizione di ammissibilità o di procedibilità del
giudizio cui accede tale adempimento”.
L’inadempimento dell’obbligazione
tributaria – in base agli artt. 16, 247 e 249 del d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, determina sì l’attivazione, da
parte della cancelleria del magistrato dove è depositato
l’atto introduttivo del giudizio, della procedura per la
riscossione coattiva del contributo stesso, nonché
l’applicazione della sanzione di cui all’art. 71 del
d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo
unico delle disposizioni concernenti l’imposta di
registro), “ma non comporta l’ulteriore sanzione
processuale dell’improcedibilità della domanda”. La
questione di costituzionalità risulta dunque priva di
rilevanza davanti al giudice a quo. (presidente Ugo De
Siervo, redattore Luigi Mazzella)
- – -
ORDINANZA N. 143
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente:
Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio
FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi
MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO,
Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale aventi ad oggetto: l’art. 2, comma 212,
della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)»; gli
artt. 9 e 10, comma 6-bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n.
115 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo
A), così come modificati dall’art. 2, comma 212, lettere
a) e b), della legge n. 191 del 2009, e l’art. 30, comma
1, del predetto d.P.R. n. 115 del 2002; l’art. 10, comma
6-bis, n. 2 del T.U. n. 115 del 2002, come modificato
dall’art. 2, comma 212, legge n. 191 del 2009, e l’art.
23, comma 10, della legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema penale); promossi con ordinanze
emesse, rispettivamente, dal Giudice di pace di Ficarolo
il 24 febbraio 2010, dal Giudice di pace di Varazze il
27 aprile 2010 e dal Giudice di pace di Fermo il 22
aprile 2010, iscritte ai nn. 254, 258 e 345 del registro
ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 38 e 46, prima serie speciale,
dell’anno 2010.
Visti gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella
camera di consiglio del 9 marzo 2011 il Giudice relatore
Luigi Mazzella.
Ritenuto che, con ordinanza del 24
febbraio 2010, il Giudice di pace di Ficarolo ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale in
via incidentale dell’art. 2, comma 212, della legge 23
dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato (legge finanziaria 2010)»;
che, secondo il rimettente, la
norma censurata, introducendo il comma 6-bis del decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,
ha previsto l’obbligo del pagamento del contributo
unificato − pari a euro 30,00 oltre ad euro 8,00 per
bollo, fino ad un massimo di euro 170,00 − anche in caso
di proposizione di un ricorso innanzi al Giudice di Pace
avverso sanzioni amministrative, ai sensi dell’art. 23
della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
sistema penale);
che, sottolinea il rimettente, tale
disposizione, incidendo sulle procedure della predetta
legge n. 689 del 1981, frappone un ostacolo all’accesso
alla giurisdizione, dato che numerose sanzioni
amministrative, opponibili con il rimedio de quo,
prevedono il pagamento di somme inferiori od uguali al
contributo minimo di cui sopra, con la conseguenza che
la censurata disposizione determinerebbe una
vanificazione della tutela giurisdizionale offerta con
l’annullamento di dette sanzioni;
che, peraltro, osserva il
rimettente, la maggioranza delle sanzioni opposte è
accompagnata dalla decurtazione dei punti della patente
di guida, con la conseguenza che la materia del
contendere assume un valore indeterminato, per cui il
contributo unificato sale ad euro 170,00;
che è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, eccependo, preliminarmente,
l’inammissibilità della questione per difetto di
motivazione sulla rilevanza della stessa nel giudizio a
quo, atteso che il rimettente non avrebbe dimostrato in
qual modo il mancato pagamento del contributo unificato
di iscrizione della causa determinerebbe
l’improcedibilità dell’opposizione e, nel merito,
chiedendo che sia dichiarata l’infondatezza della
questione;
che, con ordinanza del 27 aprile
2010, il Giudice di Pace di Varazze ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 24, 53 e 113 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale
degli artt. 9 e 10, comma 6-bis, del d.P.R. 30 maggio
2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative
e regolamentari in materia di spese di giustizia. –
Testo A), così come modificati dall’art 2, comma 212,
lettere a) e b), legge n. 191 del 2009, e dell’art. 30,
comma 1, del predetto d.P.R. n. 115 del 2002;
che, riferisce il rimettente, in un
giudizio di opposizione a sanzione amministrativa,
intentato, contro il Comune di Varazze per violazione di
una norma del Codice della strada, il ricorrente,
contestualmente al deposito del ricorso, aveva
provveduto al versamento di euro 30,00 per contributo
unificato di iscrizione a ruolo, ed euro 8,00 come
contributo forfettario per le notifiche a carico
dell’ufficio;
che il rimettente, riservata la
decisione, ritiene che le norme censurate contrastino
con gli artt. 3, 24, 53 e 113, Cost.;
che, quanto alla dedotta violazione
dell’art. 3 Cost., il rimettente sottolinea la manifesta
irrazionalità di una disciplina normativa che prevede il
pagamento di euro 30,00 per controversie il cui valore è
ricompreso tra euro 1,00 ed euro 1.100,00 e il pagamento
di euro 1.110,00 per procedimenti di valore superiore a
euro 520.000,00 (ultimo scaglione);
che, quanto al contrasto con gli
artt. 24 e 113 della Costituzione, egli sottolinea come
l’arbitrio del legislatore nel fissare gli importi dei
vari scaglioni del contributo unificato, venga a
collidere con il diritto di difesa, giacché, se, come
nel caso di specie, per una causa del valore di 38,00
euro è richiesto il versamento di tasse giudiziarie per
lo stesso importo, risulta, di fatto, vanificato
l’assunto che tutti possono agire in giudizio per la
tutela dei propri diritti, dal momento che l’interesse a
proporre l’azione giudiziaria, stante la sua
antieconomicità, non sarà certo né patrimoniale, né
ripristinatorio della propria sfera giuridica violata da
un atto asseritamente illegittimo, ma, evidentemente,
potrà essere solo quello morale, privo di rilevanza
giuridica;
che, quanto al contrasto con l’art.
53 della Costituzione, il rimettente sottolinea che il
contributo unificato, pur essendo una tassa giudiziaria,
ha una natura peculiare, in quanto non risulta
parametrato nella sua entità al costo del servizio, ma −
in modo non proporzionale e irrazionale − al valore
della controversia, ponendosi in contrasto con l’art. 53
Cost. e con il principio di capacità contributiva;
che, secondo il rimettente, la
questione sarebbe rilevante per la decisione del caso
concreto poiché, nell’ipotesi di accoglimento del
ricorso con compensazione delle spese di lite, la
sentenza non consentirebbe al ricorrente, pur
vittorioso, di ottenere una effettiva tutela, giacché il
bene della vita che intendeva difendere rivolgendosi al
giudice, e cioè l’integrità del proprio patrimonio,
rimarrebbe ugualmente compromesso, ancorché
modestamente, dalla tassa versata all’Erario;
che è intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che il
ricorso sia dichiarato inammissibile per difetto di
rilevanza, dato che questa, essendo stata ancorata dal
rimettente all’eventualità che, in caso di compensazione
delle spese di lite, il ricorrente veda la sua tutela
patrimoniale vanificata, sarebbe meramente ipotetica,
non essendo prevedibile se le spese saranno
effettivamente compensate;
che, nel merito, il Presidente del
Consiglio, quanto alla questione sollevata con
riferimento all’art. 3 Cost., sottolinea che il
contributo unificato per l’iscrizione a ruolo,
sostituendo una serie di tasse precedentemente in
vigore, si propone uno scopo di semplificazione
amministrativa per l’utente del servizio giustizia, ed è
peraltro articolato in fasce proporzionali ai vari
scaglioni di valore della causa, per cui non può
considerarsi irragionevole;
che, quanto alla dedotta violazione
dell’art. 53 Cost., il resistente afferma che la
manifestazione di capacità contributiva cui sottende la
tassa, nel caso di un azione in giudizio, sarebbe
rappresentata dalla decisione del soggetto di adire il
giudice, non dal possibile risultato utile della causa;
che, infine, quanto alla presunta
violazione degli artt. 24 e 113 Cost., il Presidente del
Consiglio ricorda che, come la Corte costituzionale ha
chiarito nella sentenza n. 114 del 2004, citata dal
rimettente, nel valutare l’idoneità di una tassa a
ledere il diritto alla tutela giurisdizionale, si deve
distinguere tra oneri razionalmente collegati alla
pretesa dedotta in giudizio, la cui previsione non
determina ostacolo alla tutela giudiziaria ma ne
costituisce solo il costo, e quelli che tendono alla
soddisfazione di interessi del tutto estranei alle
finalità predette, che ostacolano la tutela
giurisdizionale e sono, pertanto, illegittimi,
evidenziando che il contributo in questione è da
ricomprendere nella prima categoria;
che, inoltre, sempre con
riferimento allo stesso parametro, secondo il resistente
l’eventuale mancato pagamento del contributo non
determina inammissibilità del ricorso e, dunque, in ogni
caso, non preclude la tutela giurisdizionale;
che, con ordinanza del 22 aprile
2010, il Giudice di pace di Fermo ha sollevato, con
riferimento agli artt. 24 e 25 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 10,
comma 6-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato
dall’art. 2, comma 212, legge n. 191 del 2009, e
dell’art. 23, decimo comma, della legge 24 novembre
1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale);
che il rimettente chiede che le
norme citate siano dichiarate illegittime nella parte in
cui prevedono l’obbligo di versamento del contributo
unificato per tutti i procedimenti istaurati con ricorso
previsti dall’art. 23 della legge n. 689 del 1981 – con
riferimento ai ricorsi iscritti alla data del 1º gennaio
2010 – avverso verbali di accertamento o ordinanze
ingiunzioni ex legge n. 689 del 1981 e, quindi, anche
per i ricorsi riferibili a verbali notificati prima
dell’entrata in vigore della legge n. 191 del 2009;
che, secondo il rimettente, tale
normativa sarebbe in contrasto con gli artt. 24 e 25
della Carta Costituzionale sia perché prevede
impropriamente un pagamento di imposte o tasse riferito
a ad atti o provvedimenti già in essere, sia perché il
pagamento di detta imposta o tassa – il contributo unico
appunto – disincentiverebbe i cittadini, rendendo
oltremodo gravoso l’esercizio del diritto di giustizia
per contestare la violazione di legge di accertamenti
amministrativi illegittimi, essendo spesso il contributo
elevato ed a volte di pari importo della sanzione
amministrativa contestata.
Considerato che l’identità di
alcune delle disposizioni impugnate e la sostanziale
corrispondenza delle doglianze proposte e dei parametri
invocati rendono opportuna la riunione dei giudizi;
che, quanto alle questioni
sollevate dai giudici di pace di Ficarolo e di Fermo,
questi ritengono di doversi pronunciare in merito al
mancato versamento del contributo unificato da parte dei
ricorrenti;
che tale condotta omissiva, invero,
è stata fondata da questi ultimi proprio sulla asserita
illegittimità costituzionale delle norme censurate;
che, tuttavia, poiché il giudizio
sottoposto all’esame dei rimettenti non ha ad oggetto la
verifica di tale obbligazione tributaria, la rilevanza
della questione potrebbe ravvisarsi solo nell’ipotesi in
cui il pagamento del contributo unificato costituisse
una condizione di ammissibilità o di procedibilità del
giudizio cui accede tale adempimento;
che i rimettenti non indicano in
base a quale disposizione l’inadempimento
dell’obbligazione tributaria – che, in base agli artt.
16, 247 e 249 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
determina l’attivazione, da parte della cancelleria del
magistrato dove è depositato l’atto introduttivo del
giudizio, della procedura per la riscossione coattiva
del contributo stesso, nonché l’applicazione della
sanzione di cui all’art. 71 del d.P.R. 26 aprile 1986,
n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni
concernenti l’imposta di registro) − possa comportare
l’ulteriore sanzione processuale dell’improcedibilità
della domanda;
che, più in generale, essi non
spiegano in che modo la pronuncia di illegittimità
costituzionale richiesta inciderebbe sulle decisioni ad
essi sottoposte;
che, dunque, le ordinanze di
rimessione sono manifestamente inammissibili per
insufficiente motivazione sulla rilevanza;
che, quanto alla questione
sollevata dal Giudice di pace di Varazze, quest’ultima,
a differenza delle altre, è stata sollevata d’ufficio,
nonostante l’avvenuto, spontaneo pagamento del
contributo da parte del ricorrente;
che, dunque, poiché le norme
censurate, che impongono il pagamento del contributo,
sono già state spontaneamente applicate dal ricorrente,
l’asserito vulnus ai principi costituzionali invocati e,
in particolare, all’effettività della tutela
giurisdizionale sarebbe, in ipotesi, determinato da una
norma di cui il rimettente non deve fare applicazione
nel giudizio a quo;
che pertanto, la questione è
manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza
nel giudizio a quo.
Visti gli artt. 26, secondo comma,
della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta
inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2, comma 212, della legge 23
dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato (legge finanziaria 2010)», sollevata, con
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal
Giudice di pace di Ficarolo con l’ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta
inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale degli artt. 9 e 10, comma 6-bis, del
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di
spese di giustizia. – Testo A), così come modificati
dall’art 2, comma 212, lettere a) e b), della legge n.
191 del 2009, e dell’art. 30, comma 1, del predetto
d.P.R. n. 115 del 2002, sollevata, in riferimento agli
artt. 3, 24, 53 e 113 della Costituzione, dal Giudice di
Pace di Varazze con l’ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara la manifesta
inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 10, comma 6-bis, del d.P.R. n.
115 del 2002, come modificato dall’art. 2, comma 212,
legge n. 191 del 2009, e dell’art. 23, decimo comma,
della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
sistema penale), sollevata, in riferimento agli artt. 24
e 25 della Costituzione, dal Giudice di pace di Fermo
con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il
18 aprile 2011. Depositata in Cancelleria il 20 aprile
2011 |