Il caso (causa n. C-439/09) trae
origine dalla scelta di una nota società francese,
produttrice di prodotti cosmetici, di inserire
all’interno degli accordi di distribuzione conclusi con
gli appartenenti alla propria rete, una clausola che
impone la vendita dei prodotti all’interno di uno spazio
fisico ed alla presenza di un farmacista.
Tale clausola contrattuale, che di
fatto impedisce ai commercianti al dettaglio di
ricorrere al canale di vendita on-line, ha però
richiamato l’attenzione del Consiglio francese per la
Concorrenza, che ha ritenuto la disposizione in
contrasto tanto con il Codice del Commercio francese
quanto con l’art. 101 TFUE, che, come noto, vieta “tutti
gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di
associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate
che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e
che abbiano per oggetto e per effetto di impedire,
restringere o falsare il gioco della concorrenza
all’interno del mercato comune”.
Contro tale decisione la nota
società francese si è rivolta alla Corte di Appello di
Parigi, la quale, a sua volta, ha chiesto alla Corte di
Giustizia di pronunziarsi in via pregiudiziale,
chiarendo se il divieto assoluto di vendite su internet
costituisca una grave restrizione alla concorrenza
vietata dall’art. 101 TFUE e se l’accordo che preveda
tale divieto possa beneficiare di un’esenzione per
categoria ovvero di un’esenzione individuale a norma
dell’art. 101, comma 3 TFUE.
In data 3 marzo 2011 l’Avvocato
generale della Corte di Giustizia ha presentato le sue
conclusioni, risolvendo i quesiti posti alla Corte nel
senso che il divieto assoluto di vendite su internet,
imposto agli appartenenti ad una rete di distribuzione
selettiva, non è compatibile con i principi in materia
di concorrenza dell’Unione europea.
Le conclusioni dell’Avvocato
generale – che, è bene ricordarlo, non hanno alcun
valore vincolante-, toccano numerosi punti che ritornano
spesso nelle decisioni della Corte in materia di accordi
selettivi di distribuzione e vendite on-line.
In base alla normativa comunitaria
relativa alla concorrenza, i sistemi di distribuzione
selettiva sono ammessi, a condizione, però, che i
requisiti qualitativi imposti ai distributori in
relazione alle modalità attraverso le quali deve
avvenire la vendita dei prodotti, non eccedano quanto
strettamente necessario per distribuire tali prodotti in
maniera adeguata, tenendo conto non solo delle loro
caratteristiche materiali, ma anche del loro prestigio o
della loro immagine.
Diversamente il criterio
qualitativo di selezione della rete ricade sotto il
divieto dell’art. 101, n. 1 TFUE.
Nel caso di specie l’Avvocato
generale ha ritenuto che il divieto assoluto di vendita
su internet, non rispondendo direttamente all’esigenza
obiettiva di garantire una più adeguata distribuzione
dei prodotti, ha un oggetto restrittivo della
concorrenza e, come tale, è vietato dall’art. 101 TFUE.
In astratto l’obbligo di vendere
prodotti cosmetici all’interno di uno store fisico ed
alla presenza di un farmacista potrebbe trovare una
giustificazione obiettiva, da un lato, nell’esigenza di
tutelare la salute dei consumatori, e, dall’altro, in
quella di preservare la notorietà ed il prestigio dei
marchi attraverso i quali vengono distribuiti tali
prodotti.
Sul primo punto l’Avvocato
generale, osservando che né la normativa francese né
quella comunitaria qualificano i prodotti cosmetici come
medicinali, arriva alla conclusione che non appare
giustificabile, su un piano obiettivo, il divieto avente
ad oggetto il ricorso a canali di vendita – quali ad
esempio internet – che non prevedano la presenza fisica
di un farmacista.
Quanto alla seconda questione,
occorre rilevare che la presenza di un farmacista
all’interno del punto vendita rafforza senz’altro
l’immagine dei prodotti cosmetici, nella misura in cui
il cliente ha la possibilità di ottenere consigli da
personale altamente qualificato. A detta dell’Avvocato
generale, però, un divieto assoluto di vendita su
internet non è proporzionato rispetto allo scopo di
salvaguardare l’aura di prestigio del prodotto,
considerato che lo stesso risultato potrebbe essere
raggiunto in altro modo, ovvero imponendo adeguate
condizioni di vendita tramite Internet – si pensi ad
esempio alla possibilità che il cliente chieda a
distanza consigli o informazioni sui prodotti da
acquistare ovvero alla indicazione riportata sul sito
che maggiori informazioni o consigli personalizzati
saranno forniti direttamente presso il punto vendita -.
Sul punto le conclusioni
dell’Avvocato generale pongono un tema di grande
interesse, la cui soluzione da parte della Corte di
Giustizia non potrà non avere ricadute sui sistemi di
distribuzione selettiva adottati dai produttori di beni
di lusso, ovvero se e in che misura è legittimo vietare
in un sistema di distribuzione selettiva le vendite su
internet al fine di salvaguardare il prestigio dei
marchi di cui sono titolari le società produttrici.
In attesa della decisione della
Corte di Giustizia, qui di seguito le conclusioni
presentate dall’Avvocato generale.
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
JAN MAZÁK
presentate il 3 marzo 2011 (1)
Causa C‑439/09
Pierre Fabre Dermo-Cosmétique SAS
contro
Président de l’Autorité de la
Concurrence
e
Ministre de l’Économie, de
l’Industrie et de l’Emploi
[Domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta dalla Cour d’appel de Paris (Francia)]
«Art. 81, n. 1, CE – Concorrenza –
Distribuzione selettiva – Divieto generale e assoluto di
vendere su Internet prodotti cosmetici e di igiene
personale agli utilizzatori finali – Restrizione della
concorrenza per oggetto – Regolamento (CE) n. 2790/1999
– Art. 4, lett. c) – Limitazione delle vendite attive e
passive – Restrizione grave – Esenzione individuale –
Art. 81, n. 3, CE»
I – Introduzione
1. La presente domanda di
pronuncia pregiudiziale è sorta nell’ambito di un
ricorso con cui la Pierre Fabre Dermo-Cosmétique SAS (in
prosieguo: la «PFDC»), ha chiesto l’annullamento e, in
subordine, la modifica della decisione del Conseil de la
concurrence (Consiglio della concorrenza francese, in
prosieguo: il «Consiglio») 29 ottobre 2008, 08-D-25. In
tale decisione si è riscontrato che la PFDC aveva
violato l’art. L.420-1 del Code de Commerce (Codice di
commercio) e l’art. 81 CE (ora art. 101 TFUE), imponendo
di fatto ai suoi distributori selezionati (autorizzati),
nei suoi accordi di distribuzione selettiva, un divieto
generale e assoluto di vendita su Internet di prodotti
cosmetici e di igiene personale agli utilizzatori
finali. Il Consiglio ha ritenuto il divieto di vendita
su Internet derivante dal requisito, previsto nei
contratti di distribuzione della PFDC, che la vendita
dei prodotti di cui trattasi fosse effettuata
nell’ambito di uno spazio fisico in presenza di un
laureato in farmacia.
II – Controversia nella causa
principale e questione pregiudiziale
2. Il gruppo Pierre Fabre
commercializza varie gamme di prodotti farmaceutici,
omeopatici e parafarmaceutici. La PFDC ha come attività
la fabbricazione e la commercializzazione di prodotti
cosmetici e per l’igiene personale e dispone di più
filiali, tra cui i laboratori cosmetici Avène, Klorane,
Galénic e Ducray. Nel 2007, i gruppi Pierre Fabre e
Cosmétique Active France, filiale de l’Oréal, erano
preponderanti con il 20% e, rispettivamente, il 18,6%
delle quote di mercato in ragione della loro anzianità e
del loro «portafoglio» di marche.
3. I contratti concessi
dalla PFDC per la distribuzione dei prodotti cosmetici e
di igiene personale relativi ai marchi Avène, Klorane,
Galénic e Ducray precisano che tali vendite devono
essere realizzate in uno spazio fisico e con
l’obbligatoria presenza di un laureato in farmacia (2).
Il giudice del rinvio afferma che è pacifico tra le
parti che tali requisiti escludono, di fatto, tutte le
forme di vendita via Internet.
4. Con decisione 27 giugno
2006, il Consiglio ha proceduto d’ufficio all’esame di
pratiche attuate nel settore della distribuzione dei
prodotti cosmetici e dell’igiene personale. Con
decisione 8 marzo 2007, 07–D 07, il Consiglio ha
accettato e reso vincolanti gli impegni proposti dalle
imprese poste sotto esame, ad eccezione del gruppo
Pierre Fabre, consistenti nel modificare i loro
contratti di distribuzione selettiva al fine di
prevedere la possibilità per i membri della loro rete di
vendere i loro prodotti su Internet. L’esame delle
pratiche del gruppo Pierre Fabre è stato stralciato dal
relatore generale il 30 ottobre 2006.
5. I prodotti oggetto
d’esame sono i prodotti cosmetici e di igiene personale
distribuiti mediante sistemi di distribuzione selettiva
e offerti con il consiglio di un farmacista. Tali
prodotti, che fanno parte del più ampio settore dei
prodotti cosmetici e di igiene personale, sono, a tale
titolo, assoggettati a vari requisiti relativi alla loro
composizione e alla loro etichettatura. Tuttavia, non
rientrando nella categoria dei medicinali e non essendo
così assoggettati al monopolio dei farmacisti, nulla
osta a che tali prodotti vengano liberamente
commercializzati al di fuori della rete farmaceutica.
6. La concorrenza tra
produttori sul mercato dei prodotti cosmetici e
dell’igiene personale è viva in ragione, in particolare,
della natura dei prodotti, per i quali l’innovazione
svolge un ruolo centrale. La loro distribuzione è
essenzialmente effettuata dalle farmacie, dalle
parafarmacie indipendenti o integrate nei supermercati
alimentari, nonché dalle profumerie. Le farmacie restano
tuttavia il canale di distribuzione privilegiato, con
oltre i due terzi delle vendite: tale situazione si
spiega con il monopolio di distribuzione detenuto fino
alla fine degli anni ‘80 e con la rete territoriale di
cui esse dispongono, nonché in ragione dell’immagine
positiva data dalla presenza di un farmacista e dalla
prossimità della vendita di medicinali dispensati su
ricetta. Nel contempo, le vendite su Internet,
considerati tutti i prodotti, hanno conosciuto un forte
progresso. Secondo il Consiglio, se è ancora troppo
presto per misurare l’evoluzione delle vendite su
Internet dei prodotti cosmetici e di igiene personale,
le grandi marche di lusso nel settore della profumeria,
della gioielleria o degli accessori hanno sviluppato
recentemente, in Francia o all’estero, i propri siti di
vendita su Internet.
7. Nel corso della loro
audizione dell’11 marzo 2008 presso la relatrice, i
rappresentanti, tra l’altro, della PFDC hanno spiegato
le ragioni che hanno indotto il gruppo Pierre Fabre a
vietare la vendita dei suoi prodotti su Internet: «La
natura di tali prodotti necessita del consiglio di uno
specialista farmaceutico in ragione dell’azione di tali
prodotti, sviluppati in un’ottica di cura (…). I nostri
prodotti rispondono a problematiche di pelle
particolari, come pelli intolleranti, con un rischio di
reazione allergica. Consideriamo di conseguenza che la
vendita su Internet non risponderebbe alle attese dei
consumatori e dei professionisti della salute sui nostri
prodotti e di conseguenza alle esigenze che noi fissiamo
nelle nostre condizioni generali di vendita. Tali
prodotti sono anche raccomandati dalla comunità medica
(…)».
8. Il Consiglio, tenuto
conto della potenzialità di sensibile incidenza sul
commercio intracomunitario (3), ha esaminato le pratiche
con riferimento alle disposizioni dell’art. L.420-1 del
codice di commercio e dell’art. 81 CE. Nella decisione,
il Consiglio ha rilevato che, imponendo ai suoi
distributori autorizzati un divieto di vendita dei
prodotti su Internet, la società PFDC limita la libertà
commerciale dei suoi distributori escludendo un mezzo di
commercializzazione dei suoi prodotti cosmetici e di
igiene personale. La PFDC restringe, inoltre, la scelta
dei consumatori desiderosi di acquistare via Internet.
Il Consiglio ha altresì rilevato che il divieto fatto ai
distributori autorizzati priva questi ultimi della
facoltà di procacciarsi clienti mediante l’invio di un
messaggio o di soddisfare richieste spontanee
indirizzate sul loro sito e che tale pratica equivale ad
una limitazione delle vendite attive e passive dei
distributori.
9. Secondo il Consiglio il
divieto ha necessariamente un oggetto restrittivo della
concorrenza, che viene ad aggiungersi alla limitazione
della concorrenza inerente alla scelta stessa di un
sistema di distribuzione selettiva da parte del
fabbricante, il quale limita il numero di distributori
autorizzati a distribuire il prodotto e impedisce ai
distributori di vendere tali prodotti a distributori non
autorizzati. Poiché la quota di mercato dei prodotti
Pierre Fabre è inferiore al 30%, il Consiglio ha
esaminato se la pratica restrittiva sia coperta dal
regolamento (CE) della Commissione 22 dicembre 1999, n.
2790, relativo all’applicazione dell’articolo 81,
paragrafo 3, del Trattato CE a categorie di accordi
verticali e pratiche concordate (4), il che
richiederebbe che le restrizioni non costituiscano
restrizioni gravi. Il Consiglio ha ritenuto che, per
quanto la pratica di divieto di vendita via Internet non
sia espressamente prevista nel regolamento comunitario,
essa equivale ad un divieto di vendite attive e passive.
Di conseguenza, il divieto praticato nell’ambito di una
rete di distribuzione selettiva costituisce, in forza
dell’art. 4, lett. c), del regolamento n. 2790/1999, una
restrizione grave, che non può fruire dell’esenzione
automatica del regolamento.
10. La PFDC ha sostenuto, tra
l’altro, di avere il diritto di vietare le vendite su
Internet, poiché il gestore di una rete conserva il
diritto di vietare vendite da parte di un distributore
autorizzato «a partire da un luogo di stabilimento non
autorizzato». La PFDC ha affermato che, quand’anche il
divieto di vendita su Internet integrasse una
restrizione grave, spetterebbe all’autorità della
concorrenza dimostrare l’oggetto o l’effetto della
pratica grazie ad un esame individuale della pratica che
il relatore non avrebbe nella specie effettuato. La PFDC
ha inoltre sostenuto che, tenuto conto della rete
eccezionale ed omogenea costituita dai punti di vendita
fisici dei distributori, tutti i consumatori hanno
accesso ai rivenditori PFDC e che, così, la pratica è
priva di ogni effetto sulla concorrenza tra marche.
11. Il Consiglio ha reputato
che un sito Internet non è un luogo di
commercializzazione, ma uno strumento di vendita
alternativo. Il Consiglio ha inoltre constatato, tra
l’altro, che le pratiche restrittive gravi ai sensi del
regolamento n. 2790/1999 costituiscono restrizioni della
concorrenza per oggetto, senza che si renda necessario
dimostrare maggiormente in dettaglio sotto quale aspetto
tale oggetto è restrittivo della concorrenza, né
analizzare gli effetti delle pratiche.
12. Per quanto riguarda la
questione dell’esenzione individuale ai sensi dell’art.
81, n. 3, CE (ora art. 101, n. 3, TFUE) e dell’art.
L.420-4 del codice di commercio, il Consiglio ha
ritenuto che la PFDC non abbia dimostrato il progresso
economico e il carattere indispensabile della
restrizione di concorrenza in modo tale da poter fruire
dell’esenzione individuale, rilevando tra l’altro che la
PFDC non aveva dimostrato che la pratica controversa
contribuisse a migliorare la distribuzione dei prodotti
dermo-cosmetici prevenendo i rischi di contraffazione e
di concorrenza parassitaria tra farmacie autorizzate né
che essa garantisse il benessere del consumatore grazie
alla presenza fisica del farmacista all’atto della
consegna del prodotto.
13. Con la decisione, oltre a
dichiarare la violazione dell’art. L.420-1 del codice di
commercio e dell’art. 81 CE, da parte della PFDC, è
stato intimato a quest’ultima di sopprimere, nei suoi
contratti di distribuzione selettiva, tutte le menzioni
equivalenti ad un divieto di vendita su Internet dei
suoi prodotti cosmetici e di igiene personale e di
prevedere espressamente la possibilità per i suoi
distributori di fare ricorso a tale modo di
distribuzione entro un termine di tre mesi a partire
dalla notifica della decisione. Alla PFDC è stato
inoltre intimato di trasmettere a tutti i suoi punti
vendita, entro un termine di tre mesi a partire dalla
notifica della decisione, una lettera che annuncia loro
le modifiche apportate ai loro contratti di
distribuzione selettiva e, qualora lo ritenesse
opportuno, di inquadrare la costruzione dei siti
Internet della sua rete di distribuzione prevedendo
criteri di presentazione o di configurazione dei siti e
di informarne il Consiglio entro un termine di tre mesi
a partire dalla notifica della decisione. Alla PFDC è
stata inflitta una sanzione di EUR 17 000.
14. Il 24 dicembre 2008, la
PFDC ha proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio
chiedendo l’annullamento e, in subordine, la modifica
della decisione. A sostegno del suo ricorso la PFDC
deduce, in primo luogo, il difetto di motivazione della
decisione per quanto riguarda la qualifica dell’oggetto
anticoncorrenziale. La PFDC ha dedotto, tra l’altro, la
mancata analisi, da parte del Consiglio, del contesto
giuridico ed economico nel quale si inscrive la pratica,
obbligatoria per dimostrare l’esistenza di un’infrazione
per oggetto. In secondo luogo, la PFDC sostiene che la
decisione è affetta da errore di diritto in quanto
ritiene un oggetto «necessariamente» anticoncorrenziale.
La PFDC osserva, tra l’altro, che lo scopo perseguito
dai suoi accordi di distribuzione selettiva non è quello
di restringere il gioco della concorrenza, ma anzi, al
contrario, di garantire il livello di servizio adeguato
ai consumatori. Gli accordi sono solamente intesi a
consentire ai clienti di chiedere e di ottenere in
qualsiasi momento il parere di uno specialista sulla
scelta più adeguata dei prodotti Pierre Fabre. La PFDC
sostiene che la qualifica di infrazione per se della
pratica sanzionata contrasta con l’evoluzione generale
del diritto della concorrenza. Secondo la PFDC, la
decisione le ha negato la possibilità di legittimare la
pratica anticoncorrenziale posta in essere con
giustificazioni oggettive. In terzo luogo, la PFDC
sostiene che la decisione è affetta da errore di diritto
e da errore manifesto di valutazione in quanto non ha
riconosciuto alla pratica di cui trattasi il beneficio
dell’esenzione per categoria previsto dal regolamento n.
2790/1999. Infine, la PFDC sostiene che la decisione è
affetta da errore di diritto in quanto rifiuta alla
pratica di cui trattasi il beneficio di un’esenzione
individuale prevista dall’art. 81, n. 3, CE, sebbene il
divieto di vendita via Internet garantisca il benessere
del consumatore grazie alla presenza fisica di un
laureato in farmacia all’atto della consegna del
prodotto, prevenendo, inoltre, il rischio di
contraffazione e di concorrenza parassitaria. Inoltre la
soppressione di tale divieto non darebbe origine ad
un’accresciuta concorrenza, e in particolare ad alcun
calo dei prezzi.
15. Con documento datato 11
giugno 2009, la Commissione ha presentato osservazioni
scritte alla Cour d’appel de Paris in applicazione
dell’art. 15, n. 3, del regolamento (CE) del Consiglio
n. 1/2003 (5). Secondo il giudice del rinvio, la
Commissione ha osservato che ogni divieto generale e
assoluto di vendere on-line i prodotti contrattuali agli
utilizzatori finali, imposto dal fornitore ai propri
distributori autorizzati nell’ambito di una rete di
distribuzione selettiva, costituisce una grave
restrizione della concorrenza per oggetto ai sensi
dell’art. 81, n. 1, CE, quale che sia la quota di
mercato detenuta dal fornitore. La Commissione ha
sostenuto che la qualifica della vendita on-line come
vendita passiva o attiva non è pertinente nel caso della
distribuzione selettiva nella misura in cui ogni
restrizione alla rivendita, che si tratti di una vendita
passiva o attiva, costituisce una grave restrizione.
Inoltre, se la distribuzione dei prodotti contrattuali
non è regolamentata, la Commissione ritiene che solo in
circostanze eccezionali potrà essere fatta valere una
giustificazione oggettiva di una grave restrizione. Per
quanto riguarda l’applicazione dell’esenzione per
categoria di cui al regolamento n. 2790/1999, la
Commissione ha espresso il parere che un accordo di
distribuzione selettiva contenente una restrizione grave
della concorrenza, come quella consistente nel vietare
ai distributori autorizzati la vendita on-line dei
prodotti contrattuali, non può fruire dell’esenzione per
categoria istituita dal regolamento poiché tale utilizzo
di Internet non può essere assimilato all’apertura di un
punto di vendita fisico nel luogo di stabilimento non
autorizzato dal fornitore. Tuttavia, non è
necessariamente escluso che la restrizione possa
soddisfare le quattro condizioni cumulative relative
all’esenzione individuale ai sensi dell’art. 81, n. 3,
CE e beneficiare così di tale esenzione. A norma
dell’art. 2 del regolamento (CE) n. 1/2003, l’onere
della prova che le quattro condizioni siano soddisfatte
grava sull’impresa che invoca il beneficio
dell’esenzione.
16. In tali circostanze, con
sentenza datata 29 ottobre 2009, la Cour d’appel de
Paris ha deciso di sospendere il procedimento e di
sottoporre alla Corte la seguente questione
pregiudiziale:
«Se il divieto generale e assoluto
di vendere su Internet i prodotti contrattuali agli
utilizzatori finali, imposto ai distributori autorizzati
nell’ambito di una rete di distribuzione selettiva,
costituisca effettivamente una “grave” restrizione della
concorrenza per oggetto ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE,
che si sottrae all’esenzione per categoria prevista dal
regolamento n. 2790/1999, ma che può eventualmente
fruire di un’esenzione individuale in applicazione
dell’art. 81, n. 3, CE».
III – Procedimento dinanzi alla
Corte
17. Memorie scritte sono state
presentate dalla PFDC, dall’Autorità della concorrenza
francese (in prosieguo: l’«Autorità») (6), dai governi
francese, polacco e italiano, dalla Commissione e
dall’Autorità di vigilanza EFTA. L’11 novembre 2010 si
teneva un’udienza.
IV – Osservazioni preliminari
18. A mio parere, come
sostenuto dall’Autorità e dalla Commissione, la
questione pregiudiziale sollevata dalla Cour d’appel de
Paris può essere suddivisa, a fini di semplificazione,
in tre questioni. In primo luogo, se il divieto generale
e assoluto di vendere su Internet i prodotti
contrattuali agli utilizzatori finali, imposto ai
distributori autorizzati nell’ambito di una rete di
distribuzione selettiva, abbia un oggetto restrittivo
della concorrenza ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE. In
secondo luogo, se tale restrizione possa beneficiare
dell’esenzione per categoria prevista dal regolamento n.
2790/1999. In terzo luogo, qualora la restrizione di cui
trattasi non possa beneficiare dell’esenzione per
categoria, se possa beneficiare di un’esenzione
individuale ai sensi dell’art. 81, n. 3, CE.
V – Prima questione – L’oggetto
anticoncorrenziale
19. La PFDC sostiene che una
restrizione grave ai sensi del regolamento n. 2790/1999
non costituisce, di per sé, un’infrazione per oggetto ai
sensi dell’art. 81, n. 1, CE e, pertanto, non solleva
l’autorità o il giudice competenti dall’obbligo di
dimostrare, nella causa in esame, la sussistenza di tale
infrazione. Secondo la giurisprudenza della Corte, le
autorità garanti della concorrenza devono analizzare
individualmente e concretamente l’accordo o la pratica,
tenendo conto del contesto giuridico ed economico della
stessa. La PFDC sostiene che, nella decisione, tale
analisi non è stata effettuata, limitandosi essa a
riscontrare che una restrizione grave costituisce
un’infrazione per oggetto. La PFDC rileva, inoltre, che
l’oggetto dell’accordo era favorevole alla concorrenza
ed era volto a garantire ai consumatori il miglior
livello di assistenza possibile nell’acquisto di uno dei
suoi prodotti. Al fine di fornire il miglior livello di
assistenza possibile, un farmacista deve procedere ad
una diretta osservazione della pelle, dei capelli e del
cuoio capelluto del cliente. Consigli di qualità
equivalente non possono essere forniti nel caso di
vendita via Internet. Inoltre, la PFDC ritiene che,
autorizzando le vendite via Internet, il requisito della
presenza di un farmacista in un punto di vendita fisico
potrebbe essere considerato discriminatorio. La PFDC
rileva, inoltre, che gli accordi di distribuzione
selettiva non devono essere esaminati unicamente in base
al prezzo, ma anche tenendo conto dei servizi forniti ai
consumatori. Per di più, atteso il livello molto elevato
della concorrenza tra marche, risultante dalla presenza
di oltre 23 000 punti di vendita in Francia, un’analisi
concreta dimostra che l’oggetto dell’accordo non è la
restrizione della concorrenza.
20. L’Autorità sostiene che il
divieto, tenuto conto del suo oggetto
anticoncorrenziale, costituisce una restrizione grave ai
sensi dell’art. 4, lett. c), del regolamento n.
2790/1999 ed è proibito in forza dell’art. 81, n. 1, CE.
Il divieto prevede la restrizione delle vendite attive e
passive ai sensi dell’art. 4, lett. c), del regolamento
n. 2790/1999. L’Autorità osserva che Internet
rappresenta un canale di distribuzione nuovo ed un
importante strumento per accrescere la concorrenza, che
deve essere conciliato con canali più tradizionali, come
la distribuzione selettiva, giustificando in tal modo
l’imposizione di determinate condizioni. Tuttavia, il
divieto generale e assoluto delle vendite su Internet e
l’eliminazione totale dei loro evidenti vantaggi sotto
il profilo della concorrenza sono sproporzionati. Il
divieto è pregiudizievole per la concorrenza e per i
consumatori e ostacola l’integrazione del mercato
interno, contrastando, in tal modo, con uno degli
obiettivi essenziali del Trattato. Il contesto economico
e giuridico della causa principale non può rimettere in
discussione tale conclusione. Sebbene un sistema di
distribuzione selettiva sia legittimo ove conforme alla
giurisprudenza ad esso relativa, tale sistema provoca
una riduzione della concorrenza, rendendo in tal modo
ancora più importanti le restanti possibilità di
concorrenza.
21. Il governo francese
ritiene possibili due interpretazioni dell’art. 81, n.
1, CE nella causa in esame. In primo luogo, il divieto
può essere considerato una restrizione per oggetto della
concorrenza, che non solo produce un effetto negativo
sulla struttura della concorrenza, dovuto
all’imposizione di fatto di restrizioni territoriali ai
distributori, ma pregiudica, inoltre, gli interessi dei
consumatori e non è obiettivamente giustificato. In
secondo luogo, il governo francese ritiene che
attualmente vi sia scarsa esperienza circa il fatto se
il divieto di cui trattasi abbia, per sua stessa natura,
un oggetto restrittivo della concorrenza. Una
valutazione degli effetti positivi e negativi del
divieto di cui trattasi è pertanto indispensabile. Il
governo francese osserva che il divieto potrebbe
contribuire a rafforzare l’immagine del marchio del
prodotto, a vantaggio della concorrenza tra marche. I
governi italiano e polacco ritengono che il divieto
generale e assoluto di vendere su Internet costituisca
un’infrazione per oggetto dell’art. 81, n. 1, CE.
22. La Commissione sostiene
che il divieto costituisce un’infrazione per oggetto dal
momento che, per sua stessa natura, potrebbe ridurre
considerevolmente la possibilità per un distributore di
vendere a clienti al di fuori del suo territorio
contrattuale o settore di attività. Ciò e vero, in
particolare, nel contesto della distribuzione selettiva,
che comporta il rischio di segmentazione del mercato.
Tuttavia, la Commissione rileva che tale interpretazione
non pregiudica il diritto di un produttore di scegliere
i propri distributori sulla base di criteri specifici e
di imporre condizioni qualitative in materia di
pubblicità, presentazione e vendita dei prodotti di cui
trattasi. L’Autorità di vigilanza EFTA sostiene che il
divieto generale e assoluto di vendere su Internet
prodotti contrattuali ad utilizzatori finali, imposto a
distributori autorizzati nell’ambito di una rete di
distribuzione selettiva, in primo luogo, può essere
considerato commisurato, in linea con l’attuale
giurisprudenza in materia di sistemi di distribuzione
selettiva e, pertanto, compatibile con l’art. 101, n. 1,
TFUE, unicamente qualora le condizioni legittime sulle
quali il sistema di distribuzione selettiva si fonda non
possano essere soddisfatte nel caso di vendita su
Internet e, in secondo luogo, configura una restrizione
della concorrenza per oggetto ai sensi dell’art. 81, n.
1, CE, qualora, alla luce del contesto economico e
giuridico, sia volto a compartimentare i mercati
nazionali o a rendere più ardua l’integrazione dei
mercati nazionali, segnatamente vietando o limitando il
commercio parallelo.
A — Restrizione grave/restrizione
per oggetto
23. Secondo l’ordinanza di
rinvio, nella decisione si è constatato, tra l’altro,
che il requisito previsto nei contratti di distribuzione
della PFDC, secondo cui la vendita dei prodotti di cui
trattasi deve essere effettuata nell’ambito di uno
spazio fisico in presenza di un laureato in farmacia,
costituiva un divieto de facto di vendita su Internet,
equivale ad una limitazione delle vendite attive e
passive dei distributori autorizzati ed ha
necessariamente un oggetto restrittivo della
concorrenza. Inoltre, si è ritenuto che il divieto
limitasse la libertà commerciale dei distributori della
PFDC escludendo un mezzo di commercializzazione dei suoi
prodotti che restringe, inoltre, la scelta dei
consumatori desiderosi di acquistare via Internet. Il
giudice del rinvio ha posto la questione se, nel
silenzio del regolamento n. 2790/1999 circa il divieto
della vendita on-line, il divieto generale e assoluto di
vendere su Internet i prodotti contrattuali agli
utilizzatori finali imposto ai distributori autorizzati
nell’ambito di una rete di distribuzione selettiva
costituisca una grave restrizione della concorrenza per
oggetto ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE.
24. Ritengo che dal fascicolo
sottoposto alla Corte risulti una certa confusione per
quanto concerne i concetti distinti di restrizione della
concorrenza per oggetto e di restrizione grave. Anche la
PFDC ha fatto ampio riferimento a tale confusione nelle
sue memorie difensive dinanzi alla Corte. Inoltre, dalle
osservazioni scritte presentate dalla Commissione al
giudice del rinvio ai sensi dell’art. 15, n. 3, del
regolamento n. 1/2003 emergerebbe (7) che la Commissione
ha considerato il divieto di cui trattasi «una grave
restrizione della concorrenza per oggetto ai sensi
dell’art. 81, n. 1, CE» (8). Nelle sue memorie
presentate dinanzi alla Corte, tuttavia, la Commissione
ha chiarito la sua posizione su tale punto affermando
che, anche se possono sussistere legami tra i due
concetti, una restrizione per oggetto e una restrizione
grave sono due nozioni giuridiche distinte.
25. Dalla giurisprudenza della
Corte emerge chiaramente che gli accordi verticali
possono, in talune circostanze, essere finalizzati a
restringere la concorrenza (9). La nozione di
restrizione per oggetto si evince, come indicato dalla
PFDC, dal tenore letterale dell’art. 81, n. 1, CE (10).
Qualora l’oggetto anticoncorrenziale dell’accordo sia
accertato, non è necessario prendere in esame gli
effetti sulla concorrenza (11). Tuttavia, sebbene nel
caso di accertamento di infrazione per oggetto con
riferimento ad un accordo non occorra esaminarne gli
effetti anticoncorrenziali al fine di valutarne il
carattere anticoncorrenziale, la Corte ha sostenuto che
occorre segnatamente far riferimento, tra l’altro, al
tenore delle sue disposizioni, agli obiettivi dallo
stesso perseguiti nonché al contesto economico e
giuridico in cui esso si colloca (12).
26. L’oggetto
anticoncorrenziale di un accordo non può, pertanto,
essere determinato utilizzando unicamente una formula
astratta.
27. Di conseguenza, anche se
talune forme di accordo sembrerebbero, dall’esperienza
passata, infrazioni prima facie per oggetto, ciò non
solleva la Commissione o un’autorità nazionale garante
della concorrenza (13) dall’obbligo di effettuare una
valutazione individuale di un accordo. Ritengo che tale
valutazione possa essere ridotta in taluni casi, ad
esempio, qualora sia dimostrata in modo inequivocabile
l’esistenza di intese orizzontali volte a controllare la
produzione al fine di mantenere i prezzi, ma non può
essere soppressa del tutto.
28. La nozione di «restrizione
grave» non risulta dal Trattato CE né, di fatto, dalla
normativa comunitaria, ma vi viene fatto riferimento
nelle linee direttrici della Commissione sulle
restrizioni verticali (14) (in prosieguo: le «linee
direttrici») che, al paragrafo 46, statuiscono che il
«[regolamento n. 2790/1999] (15) contiene, all’articolo
4, una lista di restrizioni gravi che comportano
l’esclusione dell’accordo verticale nella sua totalità
dal campo d’applicazione [di detto regolamento]» (16).
Tali restrizioni gravi comprendono, pertanto, la
restrizione della facoltà dell’acquirente di determinare
il proprio prezzo di vendita, la restrizione relativa al
territorio in cui, o ai clienti ai quali, l’acquirente
può vendere i beni o i servizi oggetto del contratto, la
restrizione delle vendite attive o passive (17) (18)
agli utenti finali da parte dei membri di un sistema di
distribuzione selettiva operanti nel commercio al
dettaglio e la restrizione delle forniture incrociate
tra distributori all’interno di un sistema di
distribuzione selettiva. A mio parere, sebbene
l’inclusione di siffatte restrizioni in un accordo
darebbe luogo a timori quanto alla conformità di tale
accordo con l’art. 81, n. 1, CE (19) e potrebbe, di
fatto, dopo l’esame, tra l’altro, dell’accordo specifico
e del contesto economico e giuridico del quale fa parte,
far concludere, in effetti, nel senso di una restrizione
per oggetto, non esiste presunzione legale che l’accordo
violi l’art. 81, n. 1, CE.
29. A tale riguardo, la Corte
ha recentemente riaffermato, nella sentenza Pedro IV
Servicios (20), le modalità di applicazione dei distinti
paragrafi dell’art. 81, n. 1, CE. Pertanto, «qualora un
accordo non soddisfi tutte le condizioni previste da un
regolamento di esenzione, esso ricade nel divieto di cui
all’art. 81, n. 1, CE solo se ha per oggetto o per
effetto di restringere sensibilmente la concorrenza
all’interno del mercato comune e se può pregiudicare il
commercio tra gli Stati membri. In quest’ultimo caso, e
in mancanza di esenzione individuale ai sensi dell’art.
81, n. 3, CE, tale accordo sarebbe nullo di pieno
diritto, conformemente al n. 2 dello stesso articolo». A
mio parere, il passo citato sottolinea il fatto che un
accordo che non soddisfa tutte le condizioni previste da
un regolamento di esenzione (21) non ha,
necessariamente, per oggetto o effetto di restringere la
concorrenza ai sensi dell’art. 81 CE.
30. Si rende pertanto
necessario un esame individuale, al fine di valutare se
un accordo abbia un oggetto anticoncorrenziale, anche
qualora contenga una restrizione che rientra nell’ambito
di applicazione dell’art. 4, lett. c), del regolamento
n. 2790/1999, escludendo, in tal modo, la clausola
restrittiva dal beneficio di un’esenzione ai sensi di
tale regolamento.
A — Giustificazione oggettiva
31. La PFDC ritiene che il
divieto di cui trattasi sia obiettivamente giustificato
in ragione della natura dei prodotti di cui trattasi e
del loro utilizzo. Essa sostiene che l’uso sbagliato dei
suoi prodotti potrebbe pregiudicare i consumatori,
giustificando in tal modo la necessità di un servizio
che fornisca una consulenza di elevata qualità. Solo la
presenza di un farmacista può garantire ai consumatori
un livello di consulenza ottimale. Contrariamente a
quanto affermato dalla Commissione e dall’Autorità, la
PFDC considera la nozione di giustificazione oggettiva
più ampia rispetto alle questioni di sicurezza e sanità
pubblica. La PFDC ritiene che l’approccio restrittivo
dell’Autorità e della Commissione sia contrario alla
giurisprudenza della Corte, la quale ha riconosciuto,
con riferimento ad altri rami del diritto, che la
validità di talune pratiche deve essere esaminata alla
luce di principi diversi dalla sicurezza e la sanità
pubblica. La PFDC ha citato, in proposito, il punto 37
della sentenza della Corte nella causa Copad (22) che
statuisce che «il titolare del marchio può invocare i
diritti conferiti dal marchio stesso nei confronti di un
licenziatario che viola una clausola del contratto di
licenza con cui si vieta, per ragioni di prestigio del
marchio, la vendita a rivenditori di partite in saldo
(…) purché venga accertato che tale violazione (…)
danneggia lo stile e l’immagine di prestigio che
attribuiscono a detti prodotti un’aura di lusso».
32. La PFDC afferma che, in
ogni caso, il divieto di vendita su Internet è
giustificato da motivi di sicurezza e sanità pubblica.
In udienza, in seguito ad un quesito posto dalla Corte,
la PFDC ha affermato che il divieto di cui trattasi è
volto a garantire il corretto utilizzo dei suoi prodotti
da parte dei singoli consumatori.
33. L’Autorità sostiene che la
nozione di giustificazione oggettiva deve essere
interpretata in modo restrittivo ed è applicabile solo
in due ipotesi: in primo luogo, quando la pratica
risulta direttamente da una normativa nazionale o
comunitaria intesa a tutelare la sfera pubblica e, in
secondo luogo, quando la pratica è obiettivamente
necessaria per l’esistenza di quel tipo di accordo. Di
conseguenza, possono essere fatte valere solo
giustificazioni oggettive esterne all’impresa in
questione e alle sue scelte commerciali. Le due ipotesi
illustrate non sono applicabili agli accordi di
distribuzione selettiva della PFDC. La Commissione
sostiene che, come specificato al punto 51 delle linee
direttrici, una restrizione delle vendite su Internet
non rientra nel divieto di cui all’art. 81, n. 1, CE
qualora sia obiettivamente giustificata. In casi
eccezionali, una restrizione non rientra nell’ambito di
applicazione di tale disposizione qualora sia
obiettivamente necessaria per l’esistenza di un accordo
di tale tipo. La Commissione sostiene che, quando la
commercializzazione dei prodotti contrattuali non è
regolamentata, una giustificazione oggettiva di una
restrizione grave non è in genere applicabile. Le
imprese non possono, in linea di principio, sostituirsi
alle autorità pubbliche competenti nello stabilire ed
applicare le disposizioni concernenti la sicurezza dei
prodotti e la tutela della sanità pubblica. La
Commissione rileva inoltre che, a seguito dell’inchiesta
del Consiglio, altre imprese in situazioni simili a
quella della PFDC hanno potuto organizzare i propri
sistemi di distribuzione selettiva in assenza di un
divieto assoluto di vendita su Internet.
34. Dal fascicolo sottoposto
alla Corte emerge chiaramente che i prodotti di cui
trattasi non sono medicinali (23) e che non esiste
alcuna prescrizione normativa, né a livello nazionale,
né a livello dell’Unione, che ne imponga la vendita
nell’ambito di uno spazio fisico ed esclusivamente in
presenza di un farmacista laureato (24) giustificando,
in tal modo, il divieto generale e assoluto di vendita
su Internet di cui trattasi (25). Le affermazioni della
PFDC in merito alla sanità pubblica e alla sicurezza
sembrerebbero, quindi, oggettivamente infondate.
35. Non escluderei, in talune
circostanze eccezionali, che misure volontarie private
(26), che limitano la vendita di prodotti o servizi via
Internet, possano essere obiettivamente giustificate a
motivo della natura di tali prodotti o servizi, o dei
clienti destinatari della vendita. Concordo, pertanto,
con quanto sostenuto dal governo polacco nelle sue
memorie, secondo il quale possono esistere altre
situazioni, in cui il divieto di vendita su Internet è
obiettivamente giustificato, anche in assenza di una
normativa nazionale o comunitaria. Misure volontarie
private, ove incorporate in un accordo, possono non
rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 81, n.
1, CE (27), a condizione che le limitazioni imposte
siano opportune tenendo conto dell’obiettivo legittimo
perseguito e che non vadano oltre quanto necessario ai
sensi del principio di proporzionalità. A mio parere,
l’obiettivo legittimo perseguito deve avere natura
pubblicistica (28) ed essere, pertanto, volto a tutelare
un bene pubblico ed estendersi al di là della protezione
dell’immagine dei prodotti in questione o del modo in
cui un’impresa desidera commercializzare i suoi
prodotti.
36. Restrizioni volte a
tutelare l’immagine dei prodotti o la modalità della
loro commercializzazione devono, a mio parere, essere
esaminate alla luce della giurisprudenza della Corte in
materia di distribuzione selettiva (29).
37. Ritengo, pertanto, che gli
argomenti della PFDC concernenti l’utilizzo corretto dei
suoi prodotti e la necessità di consulenza da parte di
un farmacista non costituiscano una giustificazione
oggettiva per il divieto generale e assoluto di vendita
su Internet.
38. La PFDC sostiene, inoltre,
che il divieto è obiettivamente giustificato dal grave
rischio di aumento dei prodotti contraffatti conseguente
alle vendite su Internet, con i rischi che ne derivano
per la salute dei consumatori (30), e dal rischio di
concorrenza parassitaria, che potrebbe condurre al venir
meno dei servizi e dell’assistenza prestati in farmacia,
dal momento che i proprietari di siti Internet
potrebbero sfruttare indebitamente gli investimenti dei
distributori che non dispongono di tali siti.
39. A mio parere, il rischio
di contraffazione e il rischio di concorrenza
parassitaria sono preoccupazioni legittime nel contesto
della distribuzione selettiva.
40. Tuttavia, nutro dubbi
circa il fatto che la distribuzione dei prodotti di un
produttore via Internet da parte di un distributore
selezionato possa, di per sé, condurre ad un aumento
della contraffazione e che eventuali effetti
pregiudizievoli risultanti da tali vendite non possano
essere evitati mediante misure di sicurezza. Quanto alla
questione della concorrenza parassitaria, atteso che la
creazione e la gestione di un sito Internet di livello
elevato comporta indubbiamente dei costi, non può
presumersi che i distributori online sfruttino gli
investimenti di distributori che operano a partire da un
punto di vendita fisico. Inoltre, ritengo che un
produttore possa imporre condizioni commisurate e non
discriminatorie ai propri distributori selettivi che
effettuano vendite su Internet, allo scopo di
contrastare tale parassitismo, garantendo in tal modo il
funzionamento equilibrato ed «equo» della rete di
distribuzione del produttore. Alla luce delle
considerazioni che precedono, sembrerebbe che il divieto
generale ed assoluto sia inadeguato e non commisurato al
rischio di cui trattasi.
41. Le affermazioni della PFDC
concernenti la contraffazione e la concorrenza
parassitaria sembrerebbero pertanto infondate, salvo
verifica da parte del giudice nazionale.
C — Restrizione delle vendite
attive e passive
42. La decisione sembrerebbe
basata sul fatto che il divieto de facto di vendita su
Internet (31) equivale ad una restrizione delle vendite
attive o passive dei distributori e, nel contesto di un
sistema di distribuzione selettiva, viola
necessariamente l’art. 81, n. 1, CE (32). Anche se, come
correttamente indicato dalla Commissione, la Corte ha
dichiarato che, in linea di principio (33), gli accordi
intesi a vietare o limitare il commercio parallelo (34)
sono diretti ad impedire la concorrenza (35), a mio
avviso il mero fatto che gli accordi di distribuzione
selettiva di cui trattasi nella causa principale possono
limitare il commercio parallelo (36) può non essere, di
per sé, sufficiente a dimostrare che l’accordo ha per
oggetto la restrizione della concorrenza ai sensi
dell’art. 81, n. 1, CE (37). In effetti, secondo
giurisprudenza costante, i sistemi di distribuzione
selettiva influiscono necessariamente sulla concorrenza
(38), poiché non solo limitano la concorrenza mediante i
prezzi (39), ma incidono anche sul commercio parallelo
(40), dal momento che i distributori possono vendere
solo ad altri distributori autorizzati o a utilizzatori
finali. Nondimeno, malgrado tali restrizioni, la Corte
ha ritenuto che, in talune circostanze, gli accordi di
distribuzione selettiva non sono finalizzati a
restringere la concorrenza.
43. Inoltre, sebbene il
divieto di vendita su Internet sembrerebbe limitare il
commercio parallelo in maniera più estesa rispetto alle
restrizioni inerenti a qualsiasi accordo di
distribuzione selettiva e, di conseguenza, deve essere
tenuto in considerazione dal giudice del rinvio, la
valutazione se le clausole nel sistema di distribuzione
selettiva di cui trattasi nella causa principale abbiano
per oggetto la restrizione della concorrenza deve essere
effettuata, a mio avviso, tenendo conto della natura
degli accordi di distribuzione selettiva e della
giurisprudenza relativa, che costituisce parte del
contesto economico e giuridico nel quale gli accordi
sono stati conclusi e sono operanti.
D — Distribuzione selettiva
44. Dal fascicolo sottoposto
alla Corte, risulterebbe che la presenza di un
farmacista presso il punto di vendita rafforza
l’immagine dei prodotti di cui trattasi (41). Nella sua
sentenza nella causa Copad (42), la Corte ha statuito
che le caratteristiche dei prodotti non risultano solo
dalle loro caratteristiche materiali, ma anche dall’aura
di lusso che li circonda. La Corte ha inoltre affermato
che le caratteristiche e le modalità intrinseche ad un
sistema di distribuzione selettiva sono di per sé idonee
a conservare le qualità e a garantire l’uso corretto di
tali prodotti (43), in quel caso, prodotti di prestigio
(44).
45. Allorché un produttore
intenda imporre condizioni riguardo alle modalità di
vendita dei suoi prodotti, come l’obbligo che i
distributori e il loro personale siano specializzati
nella vendita di tali prodotti e forniscano adeguati
consigli di vendita ai clienti, o obblighi concernenti
la presentazione di tali prodotti con modalità che ne
rafforzi l’immagine, il produttore può creare e gestire
un sistema di distribuzione selettiva, al fine di
scegliere i propri distributori conformemente a tali
specifiche.
46. Nella sentenza Metro I
(45), la Corte ha dichiarato che natura ed intensità
della concorrenza variano, tra l’altro, a seconda dei
prodotti o dei servizi considerati. Un produttore può,
pertanto, adattare le proprie modalità di distribuzione
in modo da soddisfare le esigenze dei propri clienti e,
in talune circostanze, i sistemi di distribuzione
selettiva possono costituire uno degli elementi di
concorrenza conformi all’art. 81, n. 1, CE. Pertanto,
nella sentenza AEG (46), la Corte ha affermato che la
salvaguardia di un commercio specializzato in grado di
fornire prestazioni specifiche per prodotti di alto
livello qualitativo e tecnico (47) possono giustificare
la limitazione della concorrenza sui prezzi a vantaggio
della concorrenza riguardante aspetti diversi dai
prezzi. Una limitazione della concorrenza sui prezzi è
giustificata, tuttavia, solo in condizioni di
rafforzamento della concorrenza riguardante fattori
diversi dai prezzi (48).
47. Secondo giurisprudenza
costante, i sistemi di distribuzione selettiva sono
consentiti purché la scelta dei distributori avvenga
secondo criteri oggettivi d’indole qualitativa,
riguardanti la qualificazione professionale del
distributore, del suo personale e dei suoi impianti,
questi requisiti siano stabiliti indistintamente per
tutti i rivenditori potenziali e vengano valutati in
modo non discriminatorio (49). Un produttore non può,
pertanto, rifiutare di ammettere distributori che
possiedano i requisiti qualitativi del sistema di
distribuzione (50).
48. Gran parte della
giurisprudenza della Corte di giustizia si è concentrata
sulla questione di stabilire se i distributori vengano
scelti in maniera uniforme e non discriminatoria. La
questione relativa all’accesso al sistema di
distribuzione selettiva del gruppo Pierre Fabre non è,
di per sé, in discussione nella causa principale, dal
momento che nulla suggerisce che il sistema di selezione
del gruppo operi con modalità discriminatorie.
Piuttosto, ciò che viene messo in dubbio è la legalità,
ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE, dei criteri di
selezione scelti. Vorrei rilevare, in proposito, che i
criteri di selezione, che nella decisione sono stati
giudicati in contrasto con l’art. 81, n. 1, CE, si
riferiscono, in sostanza, alle qualifiche professionali
dei distributori selezionati del gruppo Pierre Fabre e
del loro personale (51) e al fatto che la vendita dei
prodotti debba essere effettuata nell’ambito di uno
spazio fisico.
49. La Corte ha ritenuto che,
in linea di principio, qualora l’accesso ad una rete di
distribuzione selettiva sia subordinato a condizioni che
vanno al di là di una semplice selezione obiettiva
d’indole qualitativa, tali condizioni ricadono, in via
di principio, sotto il divieto di cui all’art. 81, n. 1,
CE, specialmente se si fondano su criteri di selezione
(52) quantitativi (53). A tale riguardo, la
giurisprudenza distingue chiaramente tra criteri di
selezione qualitativi e quantitativi.
50. Tuttavia, non tutti i
criteri qualitativi per la selezione dei distributori
sono ammessi ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE (54).
51. Un produttore che gestisce
un sistema di distribuzione selettiva deve quindi,
conformemente alla giurisprudenza, imporre criteri
qualitativi che vanno oltre la portata della normativa
nazionale o comunitaria che disciplina la vendita di
tali prodotti (55), le proprietà dei prodotti in causa
devono necessitare, per preservarne la qualità ed
assicurarne un buon uso, di un sistema di distribuzione
selettiva (56) e i criteri non devono eccedere quanto
necessario (57) per distribuire tali prodotti in maniera
adeguata, tenendo conto non solo delle loro
caratteristiche materiali, ma anche della loro aura o
immagine (58).
52. A mio parere, criteri
qualitativi stabiliti in un accordo di distribuzione
selettiva, che soddisfano le summenzionate condizioni,
ma che comportano una restrizione del commercio
parallelo più estesa rispetto alla restrizione inerente
a qualsiasi accordo di distribuzione selettiva, non
hanno per oggetto la restrizione della concorrenza ai
sensi dell’art. 81, n. 1, CE.
53. Ritengo, salvo verifica da
parte del giudice del rinvio, che i prodotti di cui
trattasi nella causa principale siano idonei alla
distribuzione mediante un sistema di distribuzione
selettiva. Ritengo inoltre, salvo verifica da parte del
giudice del rinvio, che i requisiti imposti dal gruppo
Pierre Fabre nei suoi accordi di distribuzione
selettiva, in base ai quali la vendita dei suoi prodotti
deve essere effettuata nell’ambito di uno spazio fisico
in presenza di un laureato in farmacia, non siano intesi
a restringere il commercio parallelo, bensì a mantenere
l’immagine che i suoi prodotti hanno acquisito grazie ai
servizi particolari, disponibili ai clienti direttamente
e immediatamente presso il punto di vendita (59).
54. Sebbene il giudice del
rinvio abbia sottolineato l’immagine positiva data dalla
presenza di un farmacista e dalla prossimità della
vendita di medicinali dispensati su ricetta, tale
giudice dovrebbe, a mio avviso, verificare se un divieto
generale ed assoluto di vendita su Internet sia
commisurato. È concepibile che possano sussistere
circostanze in cui la vendita di taluni prodotti via
Internet può compromettere, tra l’altro, l’immagine e
quindi la qualità di tali prodotti, giustificando, in
tal modo, un divieto generale e assoluto di vendita su
Internet. Tuttavia, atteso che un produttore può, a mio
avviso, imporre condizioni adeguate, ragionevoli e non
discriminatorie concernenti le vendite via Internet (60)
e in tal modo tutelare l’immagine del proprio prodotto,
un divieto generale e assoluto di vendita su Internet
imposto da un produttore ad un distributore è, a mio
avviso, commisurato solo in circostanze realmente
eccezionali.
55. Nella causa principale, il
giudice del rinvio dovrebbe verificare, ad esempio, se
informazioni e consigli individualizzati sui prodotti di
cui trattasi possano essere adeguatamente forniti agli
utilizzatori a distanza, via Internet, con la
possibilità che questi ultimi formulino domande
pertinenti circa i prodotti, senza l’obbligo di recarsi
presso una farmacia (61). I distributori del gruppo
Pierre Fabre potrebbero inoltre specificare, in tali
casi, che consigli individuali e diretti sono a
disposizione degli utilizzatori presso taluni punti di
vendita fisici.
56. Inoltre, sebbene dal
fascicolo sottoposto alla Corte la concorrenza
all’interno della stessa marca appaia già forte,
considerata la vendita dei prodotti in numerosissimi
punti di vendita fisici in Francia, un divieto generale
e assoluto di vendita su Internet elimina un moderno
strumento di distribuzione, che consentirebbe ai clienti
di effettuare l’acquisto di tali prodotti al di fuori
del normale bacino di riferimento di tali punti di
vendita, in tal modo potenzialmente migliorando ancora
la concorrenza all’interno della marca. Le vendite su
Internet possono, inoltre, rafforzare la concorrenza
all’interno della marca, poiché siffatte vendite possono
aumentare la trasparenza dei prezzi consentendo, in tal
modo, il raffronto tra i prezzi dei prodotti di cui
trattasi (62).
57. Ritengo, pertanto, che il
divieto generale e assoluto di vendere su Internet
prodotti agli utilizzatori finali, imposto ai
distributori autorizzati nell’ambito di una rete di
distribuzione selettiva, che limiti o restringa il
commercio parallelo in maniera più estesa rispetto alle
restrizioni inerenti a qualsiasi contratto di
distribuzione selettiva e che ecceda quanto
obiettivamente necessario per distribuire tali prodotti
in maniera adeguata, tenendo conto non solo delle loro
caratteristiche materiali, ma anche della loro aura o
immagine, abbia un oggetto restrittivo della concorrenza
ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE.
VI – Seconda questione – Il
regolamento n. 2790/1999
58. Ai sensi dell’art. 2 del
regolamento n. 2790/1999, l’art. 81, n. 1, CE è
inapplicabile a talune categorie di accordi verticali e
pratiche concordate conclusi tra due o più imprese e che
si riferiscono alle condizioni in base alle quali le
parti possono acquistare, vendere o rivendere
determinati beni o servizi (63). Ai sensi dell’art. 4,
lett. c) del regolamento n. 2790/1999, l’esenzione di
cui all’art. 2 di tale regolamento non si applica agli
accordi di distribuzione selettiva volti alla
restrizione delle vendite attive o passive agli utenti
finali da parte dei membri del sistema di distribuzione
operanti nel commercio al dettaglio. Tuttavia, viene
fatta salva la possibilità di proibire ad un membro di
tale sistema di svolgere la propria attività in un luogo
di stabilimento non autorizzato.
59. A mio parere, il divieto
generale e assoluto delle vendite su Internet restringe
sia le vendite attive, sia le vendite passive (64),
escludendo, in tal modo, le clausole di cui trattasi
negli accordi di distribuzione selettiva della PFDC
dalla possibilità di esenzione prevista dal regolamento
n. 2790/1999, a meno che le vendite via Internet si
possano considerare come effettuate a partire da un
luogo di stabilimento non autorizzato.
60. La PFDC sostiene che le
vendite su Internet non equivalgono a vendite effettuate
a partire da un luogo di stabilimento fisico
autorizzato; esse devono, pertanto, essere considerate
come vendite effettuate a partire da un altro luogo di
stabilimento (virtuale). Anche la natura stessa di tali
vendite è diversa e le vendite in presenza di un
farmacista non possono essere assimilate a vendite via
Internet. Inoltre, l’art. 4, lett. c), del regolamento
n. 2790/1999, non fa riferimento a vendite su Internet,
consentendo quindi ad un produttore di opporsi alla
vendita di prodotti contrattuali da parte di un
distributore autorizzato a partire da un luogo di
stabilimento non autorizzato, che si tratti di un punto
di vendita fisico o di un sito Internet.
61. L’art. 4, lett. c), del
regolamento n. 2790/1999 non fa riferimento a vendite
via Internet (65). Tuttavia, a mio avviso, Internet non
può essere considerato in questo contesto un luogo di
stabilimento (virtuale), ma piuttosto un moderno
strumento di comunicazione e commercializzazione di
prodotti e servizi. Pertanto, anche se ai sensi
dell’art. 4, lett. c), del regolamento n. 2790/1999, la
libertà di un distributore autorizzato di spostare il
suo punto di vendita/luogo di stabilimento può essere
limitata senza previo consenso del produttore,
garantendo in tal modo che quest’ultimo possa, tra
l’altro, controllare la qualità e la presentazione di
tali punti di vendita/luoghi di stabilimento, ritengo
che un divieto generale e assoluto di vendita su
Internet in un accordo di distribuzione selettiva
escluda il beneficio dell’esenzione ai sensi dell’art.
4, lett. c), del regolamento n. 2790/1999. Come
affermato al paragrafo 54 supra, un produttore può, a
mio avviso, imporre condizioni adeguate, ragionevoli e
non discriminatorie concernenti le vendite via Internet,
garantendo in tal modo la qualità della presentazione e
della distribuzione dei prodotti e servizi pubblicizzati
e commercializzati nel modo descritto.
62. Ritengo, pertanto, che un
accordo di distribuzione selettiva contenente un divieto
generale e assoluto di vendita su Internet non possa
beneficiare dell’esenzione per categoria prevista dal
regolamento n. 2790/1999, dal momento che tale divieto
opera una limitazione alle vendite attive e passive ai
sensi dell’art. 4, lett. c), di detto regolamento. La
vendita via Internet di prodotti contrattuali da parte
di un rivenditore autorizzato non costituisce
svolgimento di attività a partire da un luogo di
stabilimento non autorizzato ai sensi dell’art. 4, lett.
c), del regolamento n. 2790/1999.
VII – Terza questione – Esenzione
individuale ai sensi dell’art. 81, n. 3, CE
63. Il giudice del rinvio ha
chiesto alla Corte di chiarire se, nel caso in cui il
divieto generale e assoluto di vendita su Internet non
possa beneficiare dell’esenzione per categoria prevista
dal regolamento n. 2790/1999, possa beneficiare di
un’esenzione individuale ai sensi dell’art. 81, n. 3,
CE.
64. Soltanto nel caso in cui
il giudice del rinvio dovesse constatare che il divieto
di cui trattasi restringe la concorrenza ai sensi
dell’art. 81, n. 1, CE e che non beneficia
dell’esenzione per categoria prevista dal regolamento n.
2790/1999, si renderebbe necessaria una valutazione, da
parte di tale giudice, sulla base dell’art. 81, n. 3 CE.
Inoltre, qualsiasi accordo restrittivo della concorrenza
può, in linea di principio, beneficiare di un’esenzione
ai sensi dell’art. 81, n. 3, CE. Pertanto, come
correttamente rilevato dalla Commissione nelle sue
memorie, anche qualora si accerti che un accordo abbia
per oggetto la restrizione della concorrenza ai sensi
dell’art. 81, n. 1, CE, tale accordo non è
automaticamente escluso dal beneficio di cui all’art.
81, n. 3, CE.
65. L’applicabilità
dell’esenzione prevista dall’art. 81, n. 3, CE è
assoggettata alle quattro condizioni cumulative previste
da tale disposizione. In primo luogo, occorre che
l’intesa in esame contribuisca a migliorare la
produzione o la distribuzione dei prodotti o servizi in
esame, oppure a promuovere il progresso tecnico o
economico; in secondo luogo, che una congrua parte
dell’utile che ne deriva sia riservata agli
utilizzatori; in terzo luogo, che essa non imponga alle
imprese interessate restrizioni non indispensabili e, in
quarto luogo, che essa non fornisca a tali imprese la
possibilità di eliminare la concorrenza per una parte
sostanziale dei prodotti o servizi in questione (66).
66. Inoltre, ai sensi
dell’art. 2 del regolamento n. 2790/1999, intitolato
«Onere della prova», all’impresa che invoca
l’applicazione dell’articolo 81, n. 3, CE incombe
l’onere di provare che le condizioni in esso enunciate
sono soddisfatte. Tuttavia, gli elementi di fatto fatti
valere da detta impresa possono essere tali da obbligare
la controparte a fornire una spiegazione o una
giustificazione, in mancanza della quale è lecito
ritenere che l’onere della prova sia stato soddisfatto
(67).
67. Poiché dagli atti
sottoposti alla Corte non risultano elementi sufficienti
sull’argomento, ritengo che la Corte non sia in
condizione di fornire al giudice del rinvio indicazioni
concernenti l’applicazione specifica dell’art. 81, n. 3,
CE ai fatti nella causa principale.
68. Ritengo, pertanto, che un
accordo di distribuzione selettiva contenente un divieto
generale e assoluto di vendita su Internet possa
beneficiare di un’esenzione individuale ai sensi
dell’art. 81, n. 3, CE, purché siano soddisfatte le
quattro condizioni cumulative previste da tale
disposizione.
VIII – Conclusione
69. Sulla base delle
considerazioni sopra svolte, propongo alla Corte di
risolvere come segue le questioni sottoposte dalla Cour
d’appel de Paris:
1) Il divieto generale e
assoluto di vendere su Internet prodotti agli
utilizzatori finali, imposto ai distributori autorizzati
nell’ambito di una rete di distribuzione selettiva, che
limiti o restringa il commercio parallelo in maniera più
estesa rispetto alle restrizioni inerenti a qualsiasi
contratto di distribuzione selettiva e che ecceda quanto
obiettivamente necessario per distribuire tali prodotti
in maniera adeguata, tenendo conto non solo delle loro
caratteristiche materiali, ma anche della loro aura o
immagine, ha un oggetto restrittivo della concorrenza ai
sensi dell’art. 81, n. 1, CE.
2) Un accordo di distribuzione
selettiva contenente un divieto generale e assoluto di
vendita su Internet non può beneficiare dell’esenzione
per categoria prevista dal regolamento (CE) della
Commissione 22 dicembre 1999, n. 2790, relativo
all’applicazione dell’articolo 81, n. 3, del Trattato a
categorie di accordi verticali e pratiche concordate,
dal momento che tale divieto opera una limitazione alle
vendite attive e passive ai sensi dell’art. 4, lett. c),
di detto regolamento. La vendita via Internet di
prodotti contrattuali da parte di un rivenditore
autorizzato non costituisce svolgimento di attività a
partire da un luogo di stabilimento non autorizzato ai
sensi dell’art. 4, lett. c), del regolamento n.
2790/1999.
3) Un accordo di distribuzione
selettiva contenente un divieto generale e assoluto di
vendita su Internet può beneficiare di un’esenzione
individuale ai sensi dell’art. 81, n. 3, CE, purché
siano soddisfatte le quattro condizioni cumulative
previste da tale disposizione.
1 – Lingua originale: l’inglese.
2 – L’art. 1.1 delle condizioni
generali di tali contratti impone a ciascun distributore
«di dimostrare la presenza fisica e permanente nel suo
punto di vendita, e per tutta la durata del suo orario,
di almeno una persona specificamente qualificata grazie
alla sua formazione professionale per (...) consigliare
all’istante nel punto di vendita il prodotto della
[PFDC] più adatto agli specifici problemi di igiene e di
cura, in particolare della pelle e delle fanere, che le
vengono sottoposti. Tale persona deve essere titolare, a
tal fine, di un diploma in farmacia rilasciato o
riconosciuto in Francia». L’art. 1.2 precisa che tali
prodotti potranno essere venduti solo «in un punto di
vendita materiale ed individuato».
3 – Dall’ordinanza di rinvio
risulta chiaramente che l’incidenza sul commercio
intracomunitario non è contestata dalle parti e che il
giudice del rinvio la considera dimostrata.
4 – GU L 336, pag. 21.
5 – Regolamento 16 dicembre 2002
concernente l’applicazione delle regole di concorrenza
di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato, GU 2003, L 1,
pag. 1.
6 – Sembrerebbe che l’Autorità sia
succeduta al Consiglio ai sensi della legge 4 agosto
2008, n. 2008‑776,
di modernizzazione dell’economia (JORF n. 181 del 5
agosto 2008, pag. 12471).
7 – Salvo verifica da parte del
giudice del rinvio.
8 – V. paragrafi 11, 19 e 21 di
tali osservazioni.
9 – Sentenze 30 giugno 1966, causa
56/65, LTM (Racc. pag. 235), e 13 luglio 1966, cause
riunite 56/64 e 58/64, Consten e Grundig/Commissione
(Racc. pag. 299).
10 – Il quale si riferisce ad
accordi che abbiano per oggetto e per effetto di
impedire, restringere o falsare il gioco della
concorrenza. La differenza tra «infrazioni per oggetto»
e «infrazioni per effetto» attiene alla circostanza che
talune forme di collusione tra imprese, e precisamente
le «infrazioni per oggetto», possono essere considerate,
per loro stessa natura, nocive al buon funzionamento del
normale gioco della concorrenza. V.
sentenza 20 novembre 2008, causa C‑209/07,
Beef Industry Development Society e Barry Brothers
(Racc. pag. I-8637, punto 17; v., inoltre, punto
16).
11 – Nella sua sentenza 6 ottobre
2009, cause riunite C‑501/06
P, C‑513/06
P, C‑515/06
P e C‑519/06
P, GlaxoSmithKline Services/Commissione (Racc. pag.
I-9291 (in prosieguo: la «sentenza GSK»), al punto 55,
la Corte ha confermato che, al fine di stabilire se una
pratica rientri nel divieto enunciato dall’art. 81, n.
1, CE, l’oggetto e l’effetto anticoncorrenziale non sono
condizioni cumulative, bensì alternative.
L’alternatività di tali condizioni, espressa dalla
disgiunzione «o», rende anzitutto necessario considerare
l’oggetto stesso della pratica concordata, tenuto conto
del contesto economico nel quale quest’ultima deve
trovare applicazione. Nel caso in cui, invece, l’analisi
del tenore della pratica concordata non rivelasse un
pregiudizio per la concorrenza di sufficiente entità,
occorrerebbe prendere in esame i suoi effetti e, per
poterla vietare, dovrebbero sussistere tutti gli
elementi che comprovino che il gioco della concorrenza
sia stato di fatto impedito, ristretto o falsato in modo
sensibile.
12 – V. sentenza GSK, cit. alla
nota 11, punto 58, e 6 aprile 2006, causa C‑551/03
P, General Motors/Commissione (Racc. pag. I-3173, punto
66) (in prosieguo: la sentenza «General Motors»). V.,
inoltre, sentenza 4 giugno 2009, causa C‑8/08,
T‑Mobile
Netherlands e a. (Racc. pag. I-4529, punto 31), in cui
la Corte fa riferimento al «contesto giuridico ed
economico». L’elenco degli elementi individuati dalla
Corte non sembrerebbe di natura esaustiva.
13 – Nell’applicare l’art. 81, n.
1, CE.
14 – Comunicazione della
Commissione – Linee direttrici sulle restrizioni
verticali, GU 2000, C 291, pag. 1.
15 – Come indicato dal titolo, il
regolamento n. 2790/1999 è relativo all’applicazione
dell’art. 81, n. 3, piuttosto che dell’art. 81, n. 1,
del trattato CE e trova fondamento giuridico nel
regolamento del Consiglio 2 marzo [1965], n. 19,
relativo all’applicazione dell’art. [81, n. 3, CE] a
categorie di accordi e pratiche concordate (GU 1965, n.
36, pag. 533).
16 – Vorrei rilevare che nello
stesso art. 4 del regolamento di esenzione per categoria
non vengono utilizzati i termini «restrizione grave».
17– I termini «vendite attive» e
«vendite passive» non sono definiti nel regolamento n.
2790/1999. Tuttavia, le linee direttrici, che non sono
vincolanti per la Corte (v. paragrafo 4 delle linee
direttrici), prevedono, al punto 50, la seguente
definizione: «vendite “attive”: il contatto attivo con
singoli clienti all’interno del territorio esclusivo o
del gruppo di clienti esclusivo di un altro
distributore, ad esempio per posta o mediante visite ai
clienti, oppure il contatto attivo con uno specifico
gruppo di clienti, o con clienti situati in uno
specifico territorio attribuito in esclusiva ad un altro
distributore attraverso inserzioni pubblicitarie sui
media o altre promozioni specificamente indirizzate a
quel gruppo di clienti o a clienti in quel territorio,
oppure l’apertura di un deposito o punto vendita
all’interno del territorio esclusivo di un altro
distributore; vendite “passive”: la risposta ad ordini
non sollecitati di singoli clienti, incluse la consegna
di beni o la prestazione di servizi a tali clienti. Sono
vendite passive le azioni pubblicitarie o promozioni di
portata generale realizzate attraverso i media o via
Internet che raggiungano clienti all’interno del
territorio esclusivo o del gruppo di clienti esclusivo
di un altro distributore, ma che costituiscano un modo
ragionevole per raggiungere clienti al di fuori di tali
territori o gruppi di clienti, ad esempio per
raggiungere clienti in territori non concessi in
esclusiva o all’interno del proprio territorio».
18 – Ritengo che il divieto
generale e assoluto delle vendite su Internet restringa
effettivamente sia le vendite attive, sia le vendite
passive, dal momento che riduce le possibilità per un
distributore autorizzato di vendere agli utilizzatori
finali in altri Stati membri. Il divieto di cui trattasi
rende più ardua l’integrazione dei mercati nazionali e,
di conseguenza, costituisce una restrizione ai sensi
dell’art. 4, lett. c), del regolamento n. 2790/1999,
impedendo, pertanto, l’applicazione dell’esenzione per
categoria di cui all’art. 2 di detto regolamento.
L’assenza di una menzione specifica delle vendite su
Internet nell’art. 4, lett. c), del regolamento n.
2790/1999, non contrasta con questa conclusione.
19 – A condizione che sia idonea ad
incidere sensibilmente sul commercio tra Stati membri.
20 – Sentenza 2 aprile 2009, causa
C‑260/07
(Racc. pag. I-2437, punto 68).
21 – Quale il regolamento n.
2790/1999.
22– Sentenza 23 aprile 2009, causa
C‑59/08
(Racc. pag. I-3421).
23 – La Corte ha sottolineato il
carattere del tutto particolare dei medicinali, che si
distinguono sostanzialmente dalle altre merci per via
dei loro effetti terapeutici. Tali effetti terapeutici
implicano che, se i medicinali sono assunti senza
necessità o in modo scorretto, essi possono nuocere
gravemente alla salute senza che il paziente sia in
grado di prenderne coscienza al momento della
somministrazione. V. sentenza 19 maggio 2009, cause
riunite C‑171/07
e C‑172/07,
Apothekerkammer des Saarlandes e a. (Racc. pag. I-4171,
punti 31 e 32).
24 – V. paragrafo 5 supra.
25 – Ritengo che, per analogia con
la sentenza 11 dicembre 2003, causa C‑322/01,
Deutscher Apothekerverband (Racc. pag. I-14887), se
imposto dalla normativa nazionale tale divieto generale
e assoluto di vendita su Internet dei prodotti in
questione nella causa principale violerebbe le norme
sulla libera circolazione delle merci. In detta causa,
la Corte ha ritenuto che un divieto a carattere
nazionale di vendita per corrispondenza di medicinali la
cui vendita è riservata esclusivamente alle farmacie
dello Stato membro interessato costituisce, in tal
senso, una misura di effetto equivalente ad una
restrizione quantitativa. L’art. 30 CE può, tuttavia,
essere invocato per giustificare tale divieto nazionale
di vendita per corrispondenza di medicinali, purché esso
riguardi i medicinali soggetti a prescrizione medica.
Nondimeno, l’art. 30 CE non può essere invocato per
giustificare un divieto assoluto di vendita per
corrispondenza dei medicinali che non sono soggetti a
prescrizione medica nello Stato membro interessato. V.
inoltre, per analogia, la recente sentenza della Corte 2
dicembre 2010, causa C‑108/09,
Ker-Optika (non ancora pubblicata nella Raccolta), in
merito alla commercializzazione di lenti a contatto via
Internet.
26 – In contrapposizione alle
limitazioni imposte a livello nazionale o comunitario.
27 – Taluni prodotti o servizi
possono, in effetti, essere intrinsecamente inidonei
alla vendita via Internet.
28 – V., per analogia, sentenza 19
febbraio 2002, causa C‑309/99,
Wouters e a. (Racc. pag. I-1577).
29– V. paragrafo 44 e segg. infra.
30 – La PFDC sostiene, di fatto,
che grazie al divieto i consumatori sanno che qualsiasi
prodotto venduto su Internet con il marchio della PFDC è
contraffatto.
31 – La decisione si fonda, tra
l’altro sul paragrafo 51 delle linee direttrici, il
quale statuisce che: «[q]ualsiasi distributore deve
essere libero di utilizzare Internet per pubblicizzare o
vendere prodotti». Nondimeno, nello stesso paragrafo 51,
la Commissione ammette che «il fornitore può esigere il
rispetto di standard qualitativi in relazione all’uso di
siti Internet per la rivendita dei suoi beni, così come
può farlo in relazione ad un punto vendita o
all’attività pubblicitaria e promozionale in generale.
Quest’ultimo aspetto può essere importante, in
particolare, per la distribuzione selettiva. Un divieto
assoluto di vendere via Internet o su catalogo è
possibile solo se vi è una giustificazione oggettiva».
32 – V. paragrafi 8 e 9 supra.
33 – In alcune occasioni la Corte
ha riconosciuto la compatibilità con l’art. 81, n. 1, CE
di taluni accordi che restringono, direttamente o
indirettamente, gli scambi commerciali paralleli. I casi
interessati sono, a mio avviso, di carattere eccezionale
e si limitano, forse, ai fatti delle cause di cui
trattasi. Tuttavia, sono sufficienti per stabilire il
principio che gli accordi che restringono, direttamente
o indirettamente, il commercio parallelo non hanno
automaticamente un oggetto restrittivo della concorrenza
ai sensi dell’art 81, n. 1, CE. Pertanto, la mera
valutazione dei termini di un accordo, che non preveda,
ad esempio, la verifica del contesto economico e
giuridico in cui esso è stato redatto ed opera
attualmente, non è, a mio avviso, sufficiente. V., ad
esempio, sentenze 19 aprile 1988, causa 27/87,
Erauw-Jacquery (Racc. pag. 1919), e 28 aprile 1998,
causa C‑306/96,
Javico (Racc. pag. 1983). V., inoltre, sentenza 6
ottobre 1982, causa 262/81, Coditel e a. (in prosieguo:
la «sentenza Coditel II») (Racc. pag. 3381), che a mio
avviso deve essere letta in combinato con la causa
62/79, Coditel e a. («Coditel I»), Racc. 1980, pag. 881.
Per quanto riguarda le cause Coditel, si vedano tuttavia
le recenti conclusioni dell’avvocato generale Kokott
nella causa C-403–/08, Football association Premier
League e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta),
punti 193‑202;
v. anche punti 243‑251.
34 – Vorrei sottolineare che la
decisione, salvo verifica da parte del giudice
nazionale, non sembra riferirsi specificamente ai
termini «commercio parallelo». Tuttavia, a mio avviso,
una restrizione delle vendite attive o passive ha il
potenziale di restringere il commercio parallelo tra
Stati membri.
35 – V. sentenza GSK, cit. alla
nota 11, punto 59. Un accordo tra produttore e
distributore allo scopo di ristabilire le barriere
nazionali nel commercio tra Stati membri può essere tale
da impedire il perseguimento dell’obiettivo del
Trattato, diretto a realizzare l’integrazione dei
mercati nazionali tramite la creazione di un mercato
unico. La Corte ha così ripetutamente qualificato
accordi diretti a compartimentare i mercati nazionali
secondo le frontiere nazionali o rendendo più ardua
l’integrazione dei mercati nazionali, segnatamente
quelli diretti a vietare o a limitare le esportazioni
parallele, come accordi aventi ad oggetto la limitazione
della concorrenza ai sensi del detto articolo del
Trattato. V. sentenza 16 settembre 2008, cause riunite
da C‑468/06
a C‑478/06,
Sot. Lélos kai Sia (Racc. pag. I‑7139,
punto 65, e giurisprudenza ivi citata). Nella sentenza
General Motors (cit. alla nota 12), la Corte ha
ritenuto, al punto 67, che un accordo in materia di
distribuzione ha un oggetto restrittivo ai sensi
dell’art. 81 CE se manifesta chiaramente la volontà di
trattare le vendite all’esportazione in maniera meno
favorevole rispetto alle vendite nazionali e porta così
ad una compartimentazione del mercato in questione.
36 – Limitando le vendite attive e
passive dei prodotti mediante un divieto di vendita su
Internet.
37 – Ciò non significa che la
questione dell’incidenza sul commercio parallelo non sia
pertinente nel contesto degli accordi di distribuzione
selettiva. In effetti, la Corte ha ritenuto che gli
accordi di distribuzione selettiva possono, in talune
circostanze, violare l’art. 81, n. 1, CE, in conseguenza
della restrizione al commercio parallelo. V. sentenza 24
ottobre 1995, causa C‑70/93,
Bayerische Motorenwerke (Racc. pag. I-3439). La Corte ha
ritenuto che la concessione della protezione
territoriale assoluta ai rivenditori della BMW fosse
preclusa ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE. V., inoltre,
sentenza 21 febbraio 1984, causa 86/82,
Hasselblad/Commissione (Racc. pag. 883).
38 – Sentenza 25 ottobre 1983,
causa 107/82, AEG-Telefunken/Commissione (Racc. pag.
3151) (in prosieguo: la «sentenza AEG»), punto 33.
39 – Nella sentenza 22 ottobre
1986, causa 75/84, Metro/Commissione (in prosieguo: la
«sentenza Metro II») (Racc. pag. 3021) la Corte ha
affermato che una certa limitazione della concorrenza
mediante i prezzi è inerente a qualsiasi sistema di
distribuzione selettiva, data l’assenza di concorrenza
tra commercianti specializzati e commercianti non
specializzati, ma che tale assenza della concorrenza
mediante i prezzi era compensata da una concorrenza
concernente la qualità delle prestazioni fornite ai
clienti, che non è normalmente possibile se non vi è un
margine di utile adeguato che consenta di sopportare le
maggiori spese causate da queste prestazioni. Nella
sentenza 25 ottobre 1977, causa 26/76, Metro
SB-Großmärkte/Commissione (in prosieguo: la «sentenza
Metro I») (Racc. pag. 1875, punto 21), la Corte ha
ammesso che nei sistemi di distribuzione selettiva
l’accento non cade esclusivamente né essenzialmente
sulla concorrenza dei prezzi. Pertanto, sebbene la
concorrenza nei prezzi non possa essere eliminata, essa
non è la sola forma di concorrenza né quella cui si
debba dare in ogni caso la preminenza assoluta. Nella
sentenza AEG (cit. alla nota 38), punto 42, la Corte ha
fatto riferimento alla compensazione tra la concorrenza
sui prezzi e la concorrenza basata su fattori diversi
dal prezzo.
40 – V. in tal senso, sentenza 13
gennaio 1994, causa C‑376/92,
Cartier (in prosieguo: la sentenza «Metro III») (Racc.
pag I-15, punti 26-29). L’effetto, de facto, prodotto
sul commercio parallelo può variare in funzione, ad
esempio, del grado di «ermeticità» di un sistema di
distribuzione selettiva. Il grado di ermeticità, in
questo contesto, si riferisce alla misura in cui i
prodotti oggetto di un accordo di distribuzione
selettiva giungono ai consumatori solo attraverso
distributori autorizzati.
41 – V. paragrafo 6 supra.
42 – In tale causa (cit. alla nota
22) si afferma, tra l’altro, che, qualora un
distributore autorizzato venda prodotti oggetto di un
accordo di distribuzione selettiva ad un distributore
non autorizzato, un titolare di marchio può far valere i
diritti conferiti dal marchio
‑
oltre a poter proporre un’azione fondata sul diritto dei
contratti
‑
nei confronti del distributore autorizzato, qualora la
vendita da parte del distributore non autorizzato
danneggi lo stile e l’immagine di prestigio che
attribuiscono a detti prodotti un’aura di lusso.
Inoltre, in tali circostanze i diritti di marchio non
possono essere esauriti.
43 – Dalla sentenza nella causa
Copad (cit. alla nota 22) risulta chiaramente che le
modalità con cui taluni prodotti contrassegnati da un
marchio vengono commercializzati possono nuocere alla
loro immagine e, in definitiva, alla loro stessa
qualità, agli occhi dei consumatori. In detta causa, la
Corte ha affermato, con riferimento a prodotti di
prestigio, che la loro qualità non risulta solo dalle
loro caratteristiche materiali, ma anche dallo stile e
dall’immagine di prestigio che conferisce loro un’aura
di lusso. Poiché i prodotti di prestigio costituiscono
articoli esclusivi, l’aura di lusso che li circonda è un
elemento essenziale affinché i consumatori li
distinguano da altri prodotti simili. Pertanto, un danno
a tale aura di lusso può compromettere la qualità stessa
di tali prodotti. V., inoltre, sentenza 12 dicembre
1996, causa T-88/92, Leclerc/Commissione (Racc. pag.
II-1961, punto 109) (in prosieguo: la «sentenza
Leclerc»), nella quale il Tribunale ha ritenuto che la
nozione di caratteristiche dei cosmetici di lusso non
può essere limitata alle caratteristiche materiali dei
detti prodotti, ma ricomprende altresì la percezione
specifica che ne hanno i consumatori e, in particolare,
la loro aura di lusso.
44 – Sebbene la causa sia fondata
su prodotti di marca, ritengo che, in talune
circostanze, tale ratio possa essere estesa a prodotti
non di marca e, di fatto, a servizi dove la modalità di
presentazione dei prodotti e servizi incide sulla
percezione della loro qualità da parte dei consumatori.
È chiaro, tuttavia, che per far valere diritti di
marchio, un marchio deve essere registrato per i
prodotti e servizi. Pertanto, al punto 35 della sentenza
Copad (cit. alla nota 22), la Corte ha dichiarato che
sebbene non abbia escluso che i servizi forniti
nell’ambito del commercio al dettaglio di prodotti siano
ricompresi nella nozione di «servizi» ai sensi della
Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988,
89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L
40, pag. 1), come modificata dall’Accordo sullo Spazio
economico europeo 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3),
occorre che il marchio sia stato registrato per tali
servizi.
45 – Cit. alla nota 39.
46 – Cit. alla nota 38.
47 – A mio avviso il Tribunale ha
giustamente rilevato, nella sentenza Leclerc (cit. alla
nota 43), punto 107, che tali sistemi di distribuzione
possono essere istituiti in settori economici diversi da
quello dei beni di consumo durevoli, di alta qualità e
tecnicità, senza infrangere l’art. 81, n. 1, CE.
48 – V. punto 33.
49 – V. sentenza 10 luglio 1980,
causa 99/79, Lancôme e Cosparfrance Nederland (Racc.
pag. 2511, punto 20).
50 – Sentenza AEG, cit. alla nota
38, punto 45.
51 – Il requisito che la vendita
dei prodotti di cui trattasi sia effettuata in presenza
di un laureato in farmacia.
52 – Ad esempio il raggiungimento
di determinate cifre d’affari e l’obbligo di acquistare
un quantitativo minimo e di accumulare delle scorte.
53 – V. sentenza 11 dicembre 1980,
causa 31/80, L’Oréal (Racc. pag. 3775, punto 17).
54 – Vorrei sottolineare
l’utilizzo, da parte della Corte, del termine «in
particolare», al punto 17 della sentenza Metro I (cit.
alla nota 39).
55 – Nella sentenza L’Oréal (cit.
alla nota 53), punto 16, la Corte ha dichiarato che un
sistema di distribuzione selettiva non è necessario per
preservare la qualità e il buon uso di un prodotto
quando tali obiettivi siano già stati raggiunti tramite
una regolamentazione nazionale di accesso alla
professione del rivenditore o tramite le condizioni di
vendita del prodotto in causa.
56 – Sentenza L’Oréal (cit. alla
nota 53), punto 16. Nella sentenza 27 febbraio 1992,
causa T-19/91, Vichy/Commissione (Racc. pag. II-415), il
Tribunale ha statuito che taluni prodotti hanno
caratteristiche tali da non poter essere utilmente
offerti al pubblico senza l’intervento di distributori
specializzati (punto 65).
57 – V. per analogia, sentenza
L’Oréal, cit. alla nota 53, punto 16.
58 – Nella sentenza Leclerc (cit.
alla nota 43), il Tribunale ha osservato che risponde
all’interesse dei consumatori attratti dai cosmetici di
lusso il fatto che tali prodotti siano presentati in
buone condizioni nei punti di vendita e venga preservata
in tal modo la loro immagine di lusso. Ne consegue che
nel settore dei cosmetici di lusso, in particolare dei
profumi di lusso, criteri qualitativi di selezione dei
rivenditori che non superano quanto necessario per
garantire che tali prodotti siano posti in vendita in
buone condizioni di presentazione non sono, in via di
principio, vietati dall’art. 85, n. 1, CE, purché siano
obiettivi, stabiliti indistintamente per tutti i
rivenditori potenziali e vengano valutati in modo non
discriminatorio.
59 – L’Autorità di vigilanza EFTA
ha affermato che «nessun elemento nell’ordinanza di
rinvio sembra indicare che il divieto sia destinato al
commercio parallelo o ad altre forme di vendita
transfrontaliera. Piuttosto, essa sembrerebbe fondarsi
sulla natura dei prodotti e sulle modalità con cui la
Pierre Fabre desidera commercializzare i propri
prodotti».
60 – Una possibilità cui viene
fatto riferimento al paragrafo 51 delle linee direttrici
(cit. alla nota 14). V., inoltre, le linee direttrici
sulle restrizioni verticali recentemente adottate dalla
Commissione (GU 2010, C 130, pag. 1), in prosieguo: le
«nuove linee direttrici»). Anche se non legate ratio
temporis ai fatti in questione nella causa principale e
non vincolanti per la Corte, le nuove linee direttrici
forniscono orientamento in merito a talune condizioni in
un accordo di distribuzione, che la Commissione
considera ammissibili con riferimento alle vendite via
Internet. V., ad esempio, paragrafi 52 (c) e 54 delle
nuove linee direttrici.
61 – V., in tal senso, per quanto
concerne la vendita di medicinali via Internet, la
sentenza Deutscher Apothekerverband, cit. alla nota 25,
punto 113 e, per la vendita di lenti a contatto via
Internet, la sentenza Ker-Optika, cit. alla nota 25,
punto 73.
62 – E tra i prodotti di cui
trattasi e altre marche (concorrenza tra marche).
63 – Ai sensi dell’art. 3, n. 1,
l’esenzione di cui a tale regolamento si applica a
condizione che la quota di mercato detenuta dal
fornitore non superi il 30% del mercato di cui trattasi,
in cui esso vende i beni o i servizi oggetto del
contratto. Nella sua domanda, il giudice del rinvio ha
dichiarato che il gruppo Pierre Fabre aveva una quota di
mercato del 20%.
64 – V. nota 18 supra.
65– V. nota 18 supra. V. anche art.
4, lett. c), del regolamento (UE) della Commissione 20
aprile 1010, n. 330, relativo all’applicazione
dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul
funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi
verticali e pratiche concordate (GU L 102, pag. 1), che
non fa riferimento a vendite su Internet. Il regolamento
n. 330/2010 è entrato in vigore il 1° giugno 2010 ed ha
effettivamente sostituito il regolamento n. 2790/1999
giunto a scadenza il 31 maggio 2010. V., tuttavia,
l’art. 9 del regolamento n. 330/2010 sul periodo
transitorio. Il regolamento n. 330/2010 non è rilevante
ragione temporis ai fini della causa principale.
66 – V., in tal senso, sentenza 17
gennaio 1984, cause riunite 43/82 e 63/82, VBVB e VBBB/Commissione
(Racc. pag. 19).
67 – V. sentenza GSK, cit. alla
nota 11, punto 83.
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