1. Per evitare un
«malinteso e dilatato principio di trasparenza»:
adelante, presto, con juicio
È recentissima l’approvazione da parte del Garante per
la protezione dei dati personali della deliberazione 2
marzo 2011, n. 88 contenente le Linee guida, in materia
di trattamento di dati personali contenuti anche in atti
e documenti amministrativi, effettuato da soggetti
pubblici per finalità di pubblicazione e diffusione (GU
19.03.2011, n. 64).
Si tratta di un provvedimento particolarmente atteso,
soprattutto alla luce dell’entrata in vigore dal 1°
gennaio 2011 dell’art. 32 della legge 18 giugno 2009, n.
69 che, com’è noto, ha imposto l’obbligo di
pubblicazione all’albo on–line per gli effetti di
pubblicità legale. Ciò ha decretato la sostanziale fine
– per gli aspetti giuridico probatori – del tradizionale
albo cartaceo, che potrà “sopravvivere” solo in
determinati contesti, principalmente al fine di evitare
il digital divide.
La ratio che ha spinto il Garante a intervenire è
chiara. Se da un lato è vero che non esiste
incompatibilità tra la protezione dei dati personali e
la trasparenza dell’azione amministrativa, soprattutto
dopo l’art. 11 del D.Lgs. 150/2009, dall’altro è stato
opportuno ribadire che «la diffusione indiscriminata di
dati personali basata su un malinteso e dilatato
principio di trasparenza può determinare conseguenze
gravi e pregiudizievoli tanto della dignità delle
persone quanto della stessa convivenza sociale. Pericoli
questi che si dilatano ulteriormente quando la
diffusione dei dati e la loro messa a disposizione
avvenga on line» (§ 5). Anche perché «Il perseguimento
della finalità di trasparenza dell’attività delle
pubbliche amministrazioni può avvenire anche senza
l’utilizzo di dati personali» (§ 6.A.1.1).
La pubblicazione on–line, infatti, è irta di rischi per
la dignità delle persone soprattutto a causa della
diffusione esponenziale e incontrollata alla quale
possono essere assoggettati i dati personali, rischi che
le amministrazioni pubbliche sono chiamate, se non a
eliminare, quantomeno a ridurre.
La regola da seguire, di norma, è che i dati devono
essere esposti in forma aggregata, perché i dati
disaggregati sono potenzialmente fonte di responsabilità
penale.
Va da sé che la diffusione persistente on–line di dati
personali relativi a una persona in contesti e
situazioni differenti da quelli originari comporta un
inevitabile pregiudizio, in particolare nel caso in cui
si tratta di informazioni non aggiornate. Infatti,
trovare on–line atti e documenti amministrativi che
hanno già raggiunto gli scopi per i quali si era resa
necessaria la loro pubblicazione viola il principio di
non eccedenza e di pertinenza.
Recuperando un passo manzoniano e contemperando due
diritti tra loro – come abbiamo visto – non
conflittuali, come quelli del diritto alla trasparenza e
del diritto all’oblio, si potrebbe dire che il Garante
affermi riguardo alla trasparenza quello che affermava
il gran cancelliere Antonio Ferrer: «adelante, presto,
con juicio»[1].
2. La consultazione pubblica fino al 31 gennaio 2011
Correttamente, il Garante aveva messo in consultazione
pubblica la prima bozza del provvedimento fino al 31
gennaio 2011. Oggi il risultato che ne scaturisce è
ampiamente rivisto e perfezionato grazie ad alcuni
interventi, non ultimo quello di due associazioni
professionali che, per l’occasione, hanno riunito le
forze per uno strumento delicatissimo come le Linee
guida qui in commento. Si tratta dell’Associazione
nazionale archivistica italiana – ANAI e
dell’Associazione nazionale degli operatori della
conservazione digitale – ANORC che hanno congiuntamente
suggerito alcune modifiche e integrazioni al
provvedimento, di fatto pressoché complessivamente
accolte e disponibili nei rispettivi siti[2].
Da ultimo, giova in questa sede richiamare anche la
proposta di regole tecniche per l’albo on–line di ANORC,
frutto del lavoro del gruppo nazionale
interistituzionale per la predisposizione della bozza di
DPCM, con lo scopo di colmare un’evidente lacuna del
sistema giuridico italiano, a tutt’oggi purtroppo
perdurante e foriera di comportamenti a dir poco
incomprensibili da parte delle amministrazioni
pubbliche, obbligate alla pubblicazione on–line dei
propri atti e documenti amministrativi con valore di
pubblicità legale. Si tratta di casistica che
affronteremo in questa sede e segnatamente ai paragrafi
7, 8, 10, 13 e 14.
3. La deliberazione del Garante 17/2007 e la nuova
deliberazione 88/2011
Si tratta del secondo intervento del Garante in materia
di pubblicazione di documenti amministrativi on–line. Il
primo, com’è noto, risale alla Deliberazione 19 aprile
2007, n. 17, Linee guida in materia di trattamento di
dati personali per finalità di pubblicazione e
diffusione di atti e documenti di enti locali. Tale
deliberazione, per certi aspetti ormai superata, avrebbe
ora presentato due limiti evidenti: da un lato la
perimetrata efficacia agli enti locali e non, più
correttamente, a tutte le amministrazioni pubbliche;
dall’altro il seriore intervento del legislatore
sull’obbligatorietà della pubblicazione on–line previsto
dalla legge 69/2009.
Bene ha fatto, dunque, il Garante a deliberare in
materia, sopperendo, anche se solo in parte, alla totale
assenza di regole tecniche per l’albo on–line, che il
Ministro per la funzione pubblica tarda, diciamo così, a
emanare, proponendo ex se un quadro di riferimento
ancora privo di organicità e di sistematicità e,
pertanto, potenzialmente aperto al contenzioso inerente
all’efficacia degli oggetti digitali pubblicati.
In ogni caso, l’obbligo della pubblicità on–line ha
comunque indotto il Garante a pronunciarsi nuovamente su
alcune problematiche già prese in esame su
sollecitazione delle amministrazioni locali all’indomani
della ormai famosa (nonché discussa e, soprattutto,
discutibile) sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 15
marzo 2006 n 1370.
Proprio a seguito a tale pronuncia, infatti, molti
comuni e province avevano ritenuto obbligatoria anche la
pubblicazione all’albo on–line delle determinazioni
(rectius degli atti dirigenziali e delle determinazioni)
con un grave pericolo di vulnus alla tutela della
riservatezza, soprattutto in relazione alla copiosità
dei dati personali frequentemente presenti in tali
tipologie di atti gestionali, che non trovavano nel
D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice della privacy”)
una tutela diretta.
La nuova deliberazione, come abbiamo visto, gode di una
portata più ampia, in quanto non si rivolge più
unicamente agli enti locali, ma prende in esame gli
obblighi di pubblicazione sui siti web che gravano su
tutte le amministrazioni pubbliche. Il tenore assunto è
certamente più generale rispetto alla precedente, ma si
è forse perduta, al contempo, l’occasione per fornire
una sintesi della casistica affrontata nella
deliberazione n. 17/2007, soprattutto in riferimento
alle nuove esigenze conseguenti ai recenti interventi
normativi.
In questo senso si fa fronte al temuto pericolo di una
diffusione di dati attuata attraverso il web,
riprendendo i principi di necessità, di proporzionalità
(pertinenza e non eccedenza) e la tutela del “diritto
all’oblio”, a loro volta già presenti nel Codice della
privacy. Per questo, si definiscono alcuni principi e il
rapporto tra essi intercorrente, anche grazie
all’individuazione di casistiche e si analizzano i
relativi obblighi di pubblicazione.
Viene riaffermata, innanzitutto, la necessità, ora più
che mai, dell’adozione di un regolamento
sull’“informazione”, distinto dal regolamento
sull’accesso e dal regolamento sulla privacy, sulla
falsariga di quello da adottare per gli enti locali ai
sensi dell’art. 10 del D.lgs. 267/2000 e caldeggiato
nella delibera 17/2007, quando la pubblicazione su
internet era “rara”. Servono, dunque, regole chiare
all’interno di ogni singola amministrazione.
Ciononostante, il provvedimento del Garante fornisce
solo in parte quell’auspicato aiuto che le
amministrazioni pubbliche attendevano sia sotto il
profilo giuridico, vista l’esigenza di avere un quadro
di sintesi rispetto ai precedenti provvedimenti, sia –
soprattutto – sotto il profilo tecnico. In altre parole,
non si tratta di un vademecum con annessa puntuale
casistica, ma di una guida autorevole al trattamento dei
dati personali pubblicati on–line.
Si ritiene, infatti, che la deliberazione in commento,
pur avendo vocazione più generalista della precedente,
non presenti quegli elementi di esaustività della
delibera n. 17/2007. Quest’ultima, infatti, avrebbe
potuto rappresentare la base di partenza per un testo
che esaminasse ad ampio spettro le problematiche sottese
sia sotto il profilo giuridico sia sotto il profilo
applicativo, non dimenticando le tecniche di redazione
degli atti amministrativi che, come vedremo a breve,
rappresentano il cuore del problema per la protezione
dei dati personali.
4. Tre definizioni e tre nuove “disponibilità”
Particolare interesse rivestono le tre nuove definizioni
che il Garante fornisce di “trasparenza”, di
“pubblicità” e di “consultabilità”. Tutte e tre hanno a
capoverso la parola “disponibilità”, quasi a garantire –
anche lessicalmente – il concetto di servizio insito
nella res publica.
Infatti, per trasparenza si intende «La disponibilità
sui siti istituzionali delle amministrazioni di atti e
documenti amministrativi, contenenti dati personali, per
finalità di trasparenza è volta a garantire una
conoscenza generalizzata delle informazioni concernenti
aspetti dell'organizzazione dell'amministrazione al fine
di assicurare un ampio controllo sulle capacità delle
pubbliche amministrazioni di raggiungere gli obiettivi,
nonché sulle modalità adottate per la valutazione del
lavoro svolto dai dipendenti pubblici».
Per pubblicità, inoltre, si intende «La disponibilità on
line per finalità di pubblicità è volta a far conoscere
l'azione amministrativa in relazione al rispetto dei
principi di legittimità e correttezza, nonché a
garantire che gli atti amministrativi producano effetti
legali al fine di favorire eventuali comportamenti
conseguenti da parte degli interessati. Tale pubblicità
può configurarsi anche come uno strumento della
trasparenza poiché funzionale a rendere conoscibile
l'attività delle pubbliche amministrazioni».
Per “consultabilità”, infine, si intende «La
disponibilità sui siti istituzionali delle
amministrazioni di atti e documenti amministrativi per
finalità di consultabilità è volta a consentire la messa
a disposizione degli stessi solo a soggetti determinati
– anche per categorie – al fine di garantire in maniera
agevole la partecipazione alle attività e ai
procedimenti amministrativi.
Dalle definizioni emerge come trasparenza e pubblicità
siano forme di “disponibilità” erga omnes e quindi nei
confronti di un soggetto indeterminato e generalizzato,
mentre la consultabilità, che esamineremo infra, risulta
una forma di “disponibilità” erga partes, presumendo
quindi un rapporto tra soggetti determinati.
Da ciò discende un altro punto fondamentale messo a
fuoco dall’Autorità con rigore: è necessario valutare,
caso per caso e procedimento per procedimento, quali
siano le specifiche finalità dell’ordinamento (generale
e proprio dell’ente) che prevedono un regime di
disponibilità dei dati personali on–line, anche
differenziato nei modi e negli strumenti.
Ciò significa che essere trasparenti totalmente è
sicuramente un fatto apprezzabile, ma che deve essere
ricondotto ai mai troppo richiamati principi di
necessità e di proporzionalità, «garantendo il rispetto
dei principi di qualità ed esattezza dei dati e
delimitando la durata della loro disponibilità on line»
(§ 5).
In questo senso, una volta terminato il periodo di
pubblicazione legale e in difetto di esigenze di tipo
storico, i documenti dovranno essere rimossi o privati
degli elementi identificativi degli interessati. In
alternativa, per quelle che il Garante definisce
esigenze “storico-cronologiche”, i documenti o i dati
personali possono essere trasferiti in sezioni
consultabili esclusivamente a partire dal sito
istituzionale e vanno resi inaccessibili tramite i
comuni motori di ricerca esterni. La loro rimozione può
avvenire anche in maniera non presidiata, delegando
l’operazione a un CMS (Content management systems) in
grado di garantire il controllo sulla permanenza dei
documenti sul sito istituzionale.
5. An, quando, quantum, quomodo: il quadro normativo di
riferimento
Appare chiaro come il Garante abbia inteso fornire
indicazioni sull’“an”, sul “quando”, sul “quantum” e sul
“quomodo” dei dati personali da pubblicare.
Per quanto riguarda l’“an”, alla luce del mutato quadro
normativo di riferimento, la deliberazione 88/2011 ha
individuato tre diverse regole in base alle quali la
pubblicazione di dati non risulta lesiva del diritto
alla riservatezza:
a) necessità di una previsione normativa di
pubblicazione: per le comunicazioni e diffusione di dati
personali, anche contenuti in atti e documenti
amministrativi (in forma integrale, per estratto, ivi
compresi gli allegati) occorre verificare che una norma
di legge o regolamento preveda tale possibilità, mentre
permane il generale divieto di diffusione di dati idonei
a rilevare lo stato di salute;
b) adeguata motivazione e necessaria connessione con il
perseguimento delle finalità pubbliche. Al di fuori
dell’ipotesi precedente, è possibile, “inoltre” che
vengano pubblicati dati personali «anche tratti da atti
e documenti» a condizione che tale pubblicazione:
– abbia un’adeguata motivazione;
– costituisca un’operazione strettamente necessaria al
perseguimento delle finalità assegnate
all’amministrazione da leggi e da regolamenti;
– riguardi informazioni utili a far conoscere ai
destinatari le attività dell’amministrazione ed il suo
funzionamento o a favorire l’accesso ai servizi.
In ogni caso, risulta vietata la comunicazione o
diffusione di informazioni riferite agli utenti, a meno
che non vi sia una previsione normativa o regolamentare
che lo consenta.
Anche con riferimento a quest’ultima previsione, si pone
l’eccezione per i dati sensibili: la loro pubblicazione,
infatti, è consentita solo «se autorizzata da espressa
disposizione di legge nella quale siano specificati i
tipi di dati, le operazioni eseguibili e le finalità di
interesse pubblico, oppure quando tale operazione sia
identificata nel regolamento adottato ai sensi dell’art.
20, c. 1 e 2 del Codice privacy»;
c) definizione di limiti per la pubblicazione di
informazioni personali individuate nel Programma
triennale per la trasparenza e l’integrità: si tratta
del programma che ciascuna amministrazione deve
adottare, in conformità delle linee guida, dettate il 10
ottobre 2010 da CIVIT (www.civit.it)
In tal caso l’amministrazione può, in aggiunta ai dati
elencati da CIVIT, pubblicare ulteriori dati, anche in
assenza di previsione normativa, ma con i limiti
previsti sub b) e sempre nel rispetto dei principi di
necessità e di proporzionalità.
6. Valutazione, motivazione e selezione di dati
personali da pubblicare: l’individuazione del “quantum”
e la sindacabilità del Garante
Valutazione e selezione rappresentano ora funzioni
irrinunciabili per ciascuna amministrazione chiamata a
pubblicare documenti contenenti dati personali. Ciò che
emerge, infatti, è la necessità di un appraisal inteso
come decision-making process.
In tale direzione, la selezione dei dati da pubblicare
da parte dell’amministrazione, in assenza di uno
specifico obbligo normativo, dovrà essere frutto di una
valutazione e di una motivazione adeguate nel rispetto
dei limiti individuati dall’ordinamento, in quanto il
provvedimento del Garante non lascia spazio ad alcun
dubbio nel § 2.1: «le pubbliche amministrazioni, nel
mettere a disposizione sui propri siti istituzionali
dati personali, contenuti anche in atti e documenti
amministrativi (in forma integrale, per estratto, ivi
compresi gli allegati), devono preventivamente
verificare che una norma di legge o di regolamento
preveda tale possibilità (artt. 4, comma 1, lett. l) e
m), 19, comma 3, 20 e 21, del Codice), fermo restando
comunque il generale divieto di diffusione dei dati
idonei a rivelare lo stato di salute dei singoli
interessati (artt. 22, comma 8, 65, comma 5, 68, comma
3, del Codice)».
La necessità che tali decisioni siano contenute in un
provvedimento di carattere generale assume, in tal
senso, un ruolo rilevante. Esso dovrà risultare analogo,
o meglio coincidere, con lo stesso regolamento da
adottarsi ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. 267/2000 così
come invocato anche nella deliberazione n. 17/2007,
quale strumento necessario per gli enti locali e, in
analogia, con tutte le altre amministrazioni pubbliche,
in cui si tenga conto delle diverse esigenze di
trasparenza, di pubblicità e di consultabilità in
relazione alle attività di diffusione e comunicazione.
Nella nuova deliberazione è poi previsto espressamente
(§ 2.5) che, data l’importanza strategica di tali
scelte, il Garante si riserva il diritto di sottoporre
«tutte le decisioni assunte dalle amministrazioni», al
proprio sindacato al fine di poter verificare il
rispetto dei principi di necessità, di proporzionalità e
di pertinenza dei dati pubblicati, in armonia con quanto
previsto dal D.Lgs. 196/2003, art. 3 e art. 11, comma 1.
7. Il diritto all’oblio, l’importanza della
delimitazione dei tempi di mantenimento della diffusione
dei dati: la determinazione del “quando”
L’obbligo di pubblicazione on–line a fini dichiarativi
delle amministrazioni comporta necessariamente
l’adozione di accorgimenti che tutelino maggiormente il
diritto all’oblio, già sancito nel Codice della privacy
(art. 11, comma 1).
La diffusione dei dati tramite il web era già stata
oggetto di motivate preoccupazioni, visto che la
consultabilità indiscriminata consentita dai motori di
ricerca veniva ad accentuare la loro ubiquitarietà. In
questo modo era, di fatto, consentita la creazione di
veri e propri database “incontrollati” relativi a
singoli individui.
Le nuove esigenze di pubblicità e di trasparenza
derivanti dal mutato quadro normativo non possono, però,
comportare «conseguenze gravi e pregiudizievoli per le
persone». Ecco allora che, una volta individuato dalle
singole amministrazioni l’“an”, ossia se e quali dati
pubblicare, risulta necessario individuare il “quando”,
ossia il periodo definito “congruo” entro il quale «i
dati devono rimanere disponibili (in una forma che
consenta l’identificazione dell’interessato)».
La congruità viene ricollegata al periodo necessario
affinché vengano raggiunti gli scopi per i quali è
prevista la pubblicazione dei dati, stabilendo quindi un
collegamento con la tempistica già individuata dalle
norme che impongono la pubblicazione[3].
Viene lasciato, tuttavia, uno spazio, seppur limitato,
laddove si pubblichi in assenza di una norma che
stabilisca il periodo di pubblicazione, come accade ad
esempio per le determinazioni dirigenziali.
Si distinguono allora due distinte ipotesi di “limiti
temporali”:
1) limite temporale previsto dalle singole norme che
impongono la pubblicazione: in tal caso le
amministrazioni devono garantire l’accessibilità per il
tempo stabilito, garantendo il diritto all’oblio
trascorso il termine;
2) limite temporale stabilito dalle singole
amministrazioni in assenza di una disciplina di settore.
A questo proposito le amministrazioni devono determinare
il termine la cui congruità dipenderà dalle finalità
perseguite (trasparenza, pubblicità, consultabilità),
ossia:
a) qualora la pubblicazione sia prevista per esigenze di
trasparenza, potrebbe essere necessario individuare
periodi di tempo “ragionevoli” per garantire una
immediata accessibilità alle informazioni;
b) qualora si tratti di pubblicazione prevista per
finalità di pubblicità, l’individuazione della
tempistica dovrà avvenire tenendo anche conto dei
termini previsti per l’impugnazione dei provvedimenti
soggetti a pubblicazione.
Non appare, invero, che in relazione a tali ipotesi il
Garante abbia fornito un chiaro criterio di riferimento
e ciò sia perché il criterio delle ragionevolezza si
presta ad interpretazioni discrezionali e soggettive,
sia perché non risulta chiaramente quale sia la
relazione che dovrebbe sussistere tra termine di
pubblicazione e termine di impugnazione.
Basti pensare, a tal proposito, che il termine di
pubblicazione delle deliberazioni degli enti locali, ai
fini della presunzione della piena conoscenza legale, è
previsto in 15 giorni dall’art. 124 del D.Lgs. 267/2000,
mentre il termine generale per la proposizione
dell’azione di annullamento è stabilito dal Codice del
processo amministrativo in 60 giorni (cfr. D.Lgs. 2
luglio 2010, n. 104, art. 29).
Le amministrazioni dovranno inoltre stabilire “quomodo”
adempiere alle prescrizioni del Garante in base alle
quali, una volta scaduti i termini, sarà necessario:
a) rimuovere dal web notizie, documenti o intere sezioni
del sito;
b) togliere gli elementi identificativi degli
interessati, qualora sia necessaria l’ulteriore
permanenza;
c) prevedere un accesso riservato, qualora sia
necessario soddisfare esigenze di carattere storico o,
in ogni caso, sottratto ai comuni motori di ricerca.
8. Un esempio pratico per un problema annoso: la
pubblicazione dell’albo dei beneficiari di provvidenze
economiche
L’albo dei beneficiari di provvidenze economiche,
istituito ai sensi dell’art. 1 del DPR 7 aprile 2000, n.
118, ha fin da subito sollevato problemi di
compatibilità con le norme in materia di tutela della
riservatezza, stante l’elevato numero di dati personali
e sensibili in esso presenti.
Il Garante aveva già ritenuto lecita la diffusione dei
nominativi dei beneficiari unitamente all’indicazione
della normativa che ne autorizza l’erogazione, ai sensi
dell’art. 1, comma 2 del citato DPR 118/2000,
escludendo, invece, in quella stessa sede, ulteriori
dati personali quali, ad esempio, l’indirizzo, il codice
fiscale o l’importo dell’erogazione, ritenuti non
pertinenti ed eccedenti rispetto alle finalità
perseguite.
Aveva tuttavia precisato che, per quanto riguardava
soggetti beneficiari di assegni di cura o prestazioni
sanitarie, avrebbero dovuto essere «omessi i nominativi
o le iniziali degli interessati né essere riportate le
disposizioni di legge da cui potevano desumersi le cause
di erogazione» al fine di non incorrere nella violazione
del divieto imposto dagli artt. 22, comma 8 e 68 comma 3
del Codice privacy» .
Nella richiamata deliberazione n. 17/2007,
nell’esaminare i casi particolari che riguardavano gli
obblighi di trasparenza incombenti sulle amministrazioni
locali, era stata nuovamente affrontata la problematica
che destava preoccupazione negli enti stabilendo regole
in materia. La stessa Autorità aveva rammentato che
l’istituzione dell’albo delle provvidenze, cui doveva
essere assicurato accesso e pubblicità anche per via
telematica, era uno strumento idoneo per consentire
l’attuazione del principio di pubblicità e di
trasparenza dell’attività amministrativa.
In tal senso, era stata ritenuta così lecita la
pubblicazione dei nominativi dei beneficiari e della
relativa data di nascita, ma non gli ulteriori dati non
pertinenti. Tra quest’ultimi è compresa la ripartizione
degli assegnatari secondo le fasce ISEE – indicatore
della situazione economica equivalente.
Il divieto veniva esteso a quei dati particolarmente
delicati, c.d. “parasensibili”, ossia a quella categoria
intermedia tra i dati sulla salute e i dati comuni che
possono «creare imbarazzo, disagio o esporre
l’interessato a conseguenze indesiderate». Il Garante,
ad esempio, aveva ritenuto lesiva la pubblicazione,
fuori dei casi previsti, di analitiche situazioni
reddituali o particolari condizioni di bisogno o
peculiari situazioni abitative, specie in riferimento
alle fasce deboli della popolazione quali minori,
anziani etc.
La delibera n. 88/2011 non poteva non affrontare
nuovamente il tema della tutela della riservatezza in
relazione alla pubblicazione on–line dell’albo dei
beneficiari, rammentando la ratio che ne impone la
pubblicazione. Siamo, infatti, di fronte all’esigenza di
trasparenza finalizzata, da una parte alla
partecipazione dei cittadini al procedimento volto
all’erogazione dei benefici, dall’altra all’altrettanto
rilevante esigenza di rendere trasparente l’utilizzo di
risorse in base al principio dell’accountability.
La pubblicazione on–line risponde a tali esigenze e
consente la pubblicazione, come giustamente ricorda il
Garante, degli elenchi di beneficiari di provvidenze
economiche e di altri atti che riconoscono agevolazioni,
sussidi o altri benefici con la precisa indicazione di
riportare unicamente i soli dati relativi a:
– nominativi e data di nascita;
– esercizio finanziario relativo alla concessione del
beneficio;
– indicazione disposizione di legge sulla base della
quale hanno avuto luogo le erogazioni.
Vengono altresì individuati i dati nei confronti dei
quali, come già in precedenza, viene esclusa la
pubblicazione, ossia:
– indirizzo di abitazione
– codice fiscale;
– coordinate bancarie dove sono accreditati i contributi
– ripartizione assegnatari secondo le fasce
dell’indicatore Isee
– informazioni che descrivano le condizioni di indigenza
in cui versa l’interessato
– indicazioni, frequentemente usate, che sono idonee a
rivelare lo stato di salute e come tali ricadono nel
divieto di cui agli artt. 22, c. 8 e 68,c. 3 del Codice
quali l’indicazione di titoli dell’erogazione dei
benefici , criteri di attribuzione, destinazione dei
contributi erogati
Il Garante suggerisce, infine, di limitare
l’indicizzazione dei motori di ricerca e la creazione di
copie cache presso gli stessi motori, consentendo la
pubblicizzazione sui siti degli enti e agevolandone la
reperibilità, ma privilegiando canali e modalità di
ricerca interni.
9. Nuove modalità redazionali per la protezione dei dati
personali
Nella deliberazione n. 17/2007 il Garante si era
preoccupato di un aspetto che risulta del tutto ignorato
nella deliberazione n. 88/2011. In questo senso,
l’imprescindibilità dell’adozione di tecniche di
redazione degli atti amministrativi (e dei loro
allegati) che tutelino l’amministrazione pubblicante – e
le conseguenti responsabilità dirigenziali – è il vero
cuore del problema della pubblicazione on–line.
Era stato suggerito, infatti, l’uso di una particolare
prudenza nella fase prodromica all’adozione dell’atto,
suggerendo di «menzionare i dati solo negli atti a
disposizione degli uffici», oppure di «menzionare
situazioni di disagio personale solo sulla base di
espressioni di carattere più generale o, se del caso, di
codici numerici».
Ancorché la pubblicazione possa avvenire in allegato
riservato o con una copia corrotta in autotutela
attraverso gli omissis, la soluzione migliore è redigere
un atto amministrativo già con il pensiero rivolto alla
sua conseguente pubblicazione.
Anche in armonia con quanto stabilito di recente dal
Codice dell’amministrazione digitale, è possibile
enucleare tre responsabilità tipicamente dirigenziali (o
di loro delegati) in ordine alla pubblicazione di un
documento:
a) redazione dei documenti da pubblicare, con
riferimento alla completezza, correttezza, pertinenza,
indispensabilità dei dati personali rispetto alle
finalità della pubblicazione;
b) pubblicazione dei documenti nel rispetto delle
modalità e dei tempi previsti;
c) conservazione del repertorio dell’albo on–line e dei
documenti pubblicati, con riferimento alla loro
autenticità, integrità e intelligibilità anche dei
rispettivi metadati (di contesto, di sistema
informatico, di responsabilità, etc.).
Il riferimento normativo immediato è all’art. 44, comma
1–bis del D.Lgs. 82/2005 così come introdotto dall’art.
30 del D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, inerente al
sistema di conservazione, previsto ora come un team del
quale fanno parte un archivista, un
informatico-conservatore e un responsabile della
privacy.
In concreto, ciò significa che – in base alla
responsabilità sub a) –il documento la cui fase
integrativa dell’efficacia coincida con la pubblicazione
(che per alcune tipologie di atti coincide con la
notificazione o con la comunicazione), possibile ora
solo on–line, debba essere già predisposto per la
protezione dei dati personali e così pervenire
all’ufficio che cura la pubblicazione vera e propria[4].
Del resto, su tale aspetto si era diffusamente
soffermato lo stesso Garante, che nella delibera n.
17/2007 aveva suggerito accorgimenti proprio per le
tecniche redazionali. Ciò inoltre significa che è
necessario cambiare le modalità redazionali, ad esempio
cifrando i dati soggettivi, per evitare in sede di
pubblicazione controlli massivi e il persistente ricorso
a omissis, a espunzioni o a mascheratura di stringhe
testuali. Il compito di chi pubblica è, dunque, da
riferirsi esclusivamente alla correttezza e al rispetto
dei tempi di pubblicazione e non già a un controllo
preventivo sui documenti da pubblicare, visto che
quest’ultimo non può che ricadere sul responsabile del
procedimento amministrativo de quo e non già sul
responsabile della pubblicazione[5].
10. Collettività, utenti e interessati: tre livelli di
conoscibilità indiscriminata e discriminata
L’attenzione viene ora spostata sull’esigenza di
garantire una sorta di conoscibilità differenziata a
seconda della tipologia dell’atto e del documento
pubblicato, distinguendo tra una conoscibilità
indiscriminata erga omnes e una conoscibilità
discriminata erga partes e, quindi tra:
a) una conoscibilità garantita a tutta la collettività:
mediante la semplice reperibilità sul sito;
b) una conoscibilità riservata ai soli utenti
richiedenti un servizio (si pensi alle graduatorie per
l’inserimento in asili nido o scuole materne);
c) una conoscibilità riservata agli interessati o
controinteressati in un procedimento amministrativo.
Il Garante si limita, in questo caso, a privilegiare un
aspetto prettamente tecnologico, nuovamente collegato ai
motori di ricerca, piuttosto che a sostenere aspetti di
prevenzione relativi alla genesi dell’atto, mirando così
a una tutela affidata a seriori ad accorgimenti
informatici e a limitazioni temporali.
11. Personale e concorsi pubblici: il modello di
curriculum europeo è “eccedente”
Particolare attenzione viene invece dedicata (§ 6.B.1)
agli atti e documenti relativi al rapporto di lavoro e
al personale in generale riprendendo, in parte, quanto
già affermato nella deliberazione 24 giugno 2007, n. 23
recante le Linee guida in materia di trattamento di dati
personali di lavoratori per finalità di gestione del
rapporto di pubblico impiego.
Le norme che impongono la pubblicazione degli esiti di
graduatorie concorsuali devono trovare attuazione
attraverso la pubblicazione dei relativi dati sui siti
istituzionali, attraverso un’accessibilità non
consentita ai comuni motori di ricerca esterna.
Allo stesso tempo è invece possibile consentire
l’accesso a ulteriori dati e informazioni, nei confronti
dei soli partecipanti alle procedure concorsuali, in
base alle norme sull’esercizio del diritto di accesso e,
quindi, secondo l’esemplificazione da ritenersi
verosimilmente non esaustiva, anche nei confronti di
elaborati, verbali, valutazioni, documentazione relativa
a titoli anche di precedenza o preferenza,
pubblicazioni, curricula, etc.
In tal caso, l’accesso sarà consentito ai fini di
tutelare la riservatezza, attraverso username e
password, numero di protocollo o altri estremi
identificativi forniti dall’ente a coloro che ne abbiano
diritto. E non si tratta certo di una novità, se
pensiamo a quello che già oggi avviene nei rapporti tra
atenei e studenti che possono accedere alle informazioni
che li riguardano o agli esiti degli esami di norma
proprio tramite l’attribuzione di una password.
Procedendo con la tecnica dell’elencazione vengono
individuati quei dati ritenuti pertinenti ai fini della
pubblicazione on–line:
a) elenchi nominativi cui vengono abbinati risultati di
prove intermedie
b) gli elenchi di ammessi a prove scritte o orali
c) i punteggi riferiti a singoli argomenti di esame
d) i punteggi totali ottenuti.
Vengono invece esclusi dalla pubblicazione dati non
strettamente correlati alle esigenze di trasparenza
relative alla procedura concorsuale, quali:
1) recapiti di telefonia fissa o mobile
2) indirizzo dell’abitazione o e–mail
3) titoli di studio
4) codice fiscale
5) indicatore Isee
6) numero di figli disabili
7) risultati di test psicoattitudinali
Tali dati saranno invece conoscibili a fronte di un
istanza di accesso da parte di un soggetto portatore di
un interesse qualificato ai sensi degli articoli 22 e
seguenti della legge 241/1990 in quanto partecipante
alle procedure concorsuali, effettuando così quella
valutazione oggetto del difficile bilanciamento tra
diritto di accesso e diritto alla riservatezza.
Le medesime cautele devono essere utilizzate nell’ambito
delle attività di gestione dei rapporti di lavoro,
qualora si renda necessaria la pubblicazione on–line a
fini di trasparenza di provvedimenti e/o di documenti
(attribuzioni incarichi, graduatorie, etc.), così come
va garantita ai dirigenti la possibilità di integrare o
modificare i propri curricula, anche al fine di
garantire l’esattezza, l’aggiornamento e la completezza
dei dati pubblicati.
Su questo punto il provvedimento del Garante è fin
troppo chiaro: il modello di curriculum europeo contiene
dati eccedenti e non pertinenti rispetto alla sacrosanta
trasparenza cui si richiama. L’esemplificazione,
peraltro non esaustiva, dei dati da non pubblicare
riguarda i cedolini dello stipendio, dati di dettaglio
risultanti dalle dichiarazioni fiscali, oppure
riguardanti l’orario di entrata e di uscita di singoli
dipendenti, l’indirizzo del domicilio privato, il numero
di telefono e l’indirizzo di posta elettronica personale
(diversi da quelli ad uso professionale), ovvero
informazioni attinenti allo stato di salute di persone
identificate, quali le assenze verificatesi per ragioni
di salute (§ 6.A.1).
12. La terza disponibilità: la consultabilità dei
documenti
Un altro punto affrontato nella deliberazione in
commento riguarda la consultabilità, che risulta
finalizzata a garantire la conoscenza di dati relativi
all’attività amministrativa o all’erogazione di servizi
per la quale il Garante ricorda che il legislatore
auspica l’utilizzo dei mezzi telematici e incentiva
l’utilizzo dei servizi pubblici in rete.
La disponibilità in tale caso viene consentita a
soggetti preventivamente individuabili dalla loro
partecipazione (necessaria o eventuale) al procedimento
amministrativo o in quanto fruitori di servizi. Anche
nei loro confronti sarà necessario tuttavia consentire
una consultabilità limitata unicamente ai quei dati
pertinenti e non eccedenti, cui si potrà accedere
secondo le norme previste dalla normativa sull’accesso.
Le modalità di accesso selezionato ad una sezione del
sito dovranno tenere conto delle norme dettate sia dal
D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e, in particolare, dall’art.
64 comma 2, nonché dalle stesse Linee guida per i siti
web della P.A. del Ministro per la pubblica
amministrazione e l’innovazione 26 novembre 2009, § 4.5,
che garantiscono l’identificazione informatica dei
soggetti legittimati alla consultazione[6].
Il Garante affronta poi (§ 6.C.1) la delicata
problematica della pubblicità del collocamento
obbligatorio dei disabili, soffermandosi sulla liceità
del trattamento dei relativi dati da parte di soggetti
pubblici ai sensi dell’art. 73, comma 2, lett. i) e
dell’art.112, comma 1, lett. a) del Codice privacy, a
fronte dell’evidente finalità di interesse pubblico.
Il riferimento viene qui operato nei confronti dei
documenti la cui pubblicità è prevista dalle norme in
materia di collocamento obbligatorio, documenti che
potranno essere resi disponibili on–line, ma
consultabili unicamente attraverso un accesso
selezionato.
La particolare cautela, richiesta nei confronti di tali
documenti, riguarda il fatto che essi contengono
informazioni idonee a rivelare dati sulla salute, come
la disabilità e, pertanto, la loro conoscibilità dovrà
essere consentita solo per le finalità previste dalla
normativa di riferimento o per la tutela di situazioni
giuridicamente rilevanti. Anche in questo caso, le
metodologie utilizzate individuate sono quelle previste
per gli altri accessi selezionati.
13. Il Robot Exclusion Protocol
Il Garante riprende anche le tematiche
dell’indicizzazione e della ricerca ubiquitaria dei
motori di ricerca, individuando la scelta migliore in
quella che privilegia i motori di ricerca interni a
discapito di quelli esterni generalisti come Google,
Yahoo!, etc. Si tratta, infatti, di assicurare «accessi
maggiormente selettivi e coerenti con le finalità di
volta in volta sottese alla pubblicazione assicurando,
nel contempo, la conoscibilità sui siti istituzionali
delle informazioni che si intende mettere a
disposizione».
Il sito istituzionale, pertanto, deve prevedere dei link
strutturati da un lato in armonia con quanto previsto
dalla legge (ad esempio, dall’art. 21, comma 1, della
legge n. 69/2009, e dall’art. 11, comma 1, del D.Lgs. n.
150/2009 per la ben nota sezione Trasparenza,
valutazione e merito) e dall’altro con le tipologie di
atti, informazioni e documenti amministrativi che
l’amministrazione, in piena autonomia, intende mettere a
disposizione di una pluralità indistinta di soggetti.
Appare improbabile il comportamento di talune
amministrazioni volto a impedire la stampa o la
memorizzazione dei documenti pubblicati, dimenticando
che la visualizzazione a video rappresenta già di per sé
una forma di stampa (“output”). Per questa ragione, il
Garante, come già con la deliberazione 17/2007, richiama
non tanto accorgimenti tecnologici, ma forme di
agreement per evitare la memorizzazione e
l’indicizzazione da parte dei motori di ricerca. Si
tratta del Robot Exclusion Protocol (REP), che consente,
grazie a un accordo internazionale, di far rilevare al
motore di ricerca l’area, le pagine o i files che il
sito web dichiara non indicizzabili e non
memorizzabili[7].
Ciò avviene grazie ad alcuni metamarcatori (“metatag”)
che vengono inseriti nelle pagine web allo scopo di far
rilevare la scelta da parte dell’amministrazione di non
far indicizzare (“metatag noindex”) e di non far
memorizzare (“metatag noarchive”) i contenuti
pubblicati, anche grazie alla codifica di regole di
esclusione all’interno di un file testuale
(“robots.txt”) nelle banche dati del webserver
configurato secondo le convenzioni del REP.
Ovviamente, l’esclusione o la mancata indicizzazione
avranno effetto ex nunc, non potendo averlo ex tunc
sulla galassia delle indicizzazioni e delle
memorizzazioni effettuate in difetto di REP.
14. Autenticità e integrità grazie a firma digitale e
protocollo informatico
Uno dei maggiori problemi incontrati dalle
amministrazioni, in assenza di regole tecniche, riguarda
i formati di file da pubblicare e le modalità attraverso
le quali garantire l’affidabilità, l’integrità e
l’autenticità dei documenti pubblicati. Alcune soluzioni
informatiche, lungi dall’essere coerenti e lecite,
espongono formati proprietari, che spaziano dal più
comune file “.doc” al “.pdf”. In aggiunta, pochissimi
sono i casi in cui il file pubblicato risulti avere
associata uno dei quattro tipi di firma elettronica
previsti dal nostro ordinamento[8].
Anzi, a giudicare dalla varietà delle situazioni, sembra
che la pubblicazione on–line abbia spaziato tra i
quattro nuovi tipi di “copia” introdotti nel Codice
dell’amministrazione digitale dalla recentissima
riforma[9].
A far cessare un simile e scriteriato comportamento,
finalmente il Garante ha affermato al § 5.4 un principio
imprescindibile: per garantire l’affidabilità,
l’autenticità e l’integrità dei documenti pubblicati
risulta necessario utilizzare la firma digitale. Anche
se si tratta di un copia, non è plausibile consultare
una copia semplice o, peggio, un contenuto di un atto in
un file word. La pur “copia” deve essere in grado di
garantire chiunque consulti l’albo on–line dal «rischio
di cancellazioni, modifiche, alterazioni o
decontestualizzazioni».
In particolare, il rischio della decontestualizzazione è
evidente se i documenti pubblicati vengono considerati
come monadi isolate per giunta da trattare isolatamente
e al di fuori di un contesto che le “significa”. E non
diremo mai abbastanza quanto questa forma di monadismo
informatico sia particolarmente rischiosa per
l’amministrazione digitale applicata con rigore
metodologico.
Per questo la deliberazione 88/2011 scioglie alcuni nodi
imprescindibili della pubblicità legale on–line
correttamente applicata. Non si tratta, quindi, di una
semplice “affissione” sul web, ma di una preventiva
forma di registrazione, in grado di garantire in maniera
inequivocabile che quel documento pubblicato è “quel”
documento e non altri. Infatti, «ogni file oggetto di
pubblicazione sui siti istituzionali, potendo essere
letto in un altro ambito e in un momento successivo alla
sua diffusione, dovrebbe prevedere l’inserimento dei
“dati di contesto” (es. data di aggiornamento, periodo
di validità, amministrazione, segnatura di protocollo o
dell’albo)» (§ 5.4).
In buona sostanza, come previsto dall’ordinamento
vigente in materia di protocollo informatico, è prevista
una “segnatura” anche per l’albo on–line, il cui
riferimento temporale connesso alla registrazione in
data certa garantirà nel tempo anche l’affidabilità dei
contenuti e, soprattutto, dei documenti pubblicati.
[1] A Manzoni, I promessi
sposi, commento critico di L. Russo, Firenze, La nuova
Italia, rist., 1968, p. 256 (cap. XIII).
[2] ANAI:
http://www.anai.org/anai–cms/cms.view?munu_str=0_9_0_7&numDoc=151
–
ANORC:
http://www.anorc.it/notizia/216_ANAI_e_ANORC_insieme_per_commentare_lo_schema_di_Linee_Guida_del_Garante_Pr.htm.
[3] Non si tratta, com’è ovvio, di una questione nuova.
Ad esempio, art. 310 del RD 148/1915, art. 35 e art. 62
del RD 383/1934; art. 124 del D.Lgs. 267/2000; e, di
recente, l’art. 36 c.p. come modificato dall’art. 67
della legge 69/2009.
[4] Questo modello organizzativo si riferisce alla
cosiddetta pubblicazione accentrata. Nel caso, invece,
di una pubblicazione federata, la figura del
responsabile della pubblicazione di norma coincide con
il responsabile del procedimento. Si tratta di una
funzione delegata, specie nelle macro-organizzazioni, a
una pluralità di uffici o strutture, che però devono
avere un’adeguata professionalità tecnica e una sorta di
terzietà nell’accorgersi dei rischi che la diffusione
dei dati personali può comportare.
[5] Il problema, semmai, si pone sulle richieste di
pubblicazione da enti esterni. Tuttavia, con l’entrata a
regime dell’albo–line, la pubblicazione presso terzi
dovrebbe ridursi a ben poca cosa, se non addirittura
sparire, con l’eccezione di quei documenti per cui le
norme, prevalentemente tributarie, in materia di
notificazioni prevedono la pubblicazione all’albo
on–line (ad es., art. 60 del DPR 600/1973 e art. 26 del
DPR 602/1973).
[6] Una veloce notazione giuridica riguarda il fatto che
lo strumento delle “linee guida”, molto utilizzato di
recente, non esiste nel nostro ordinamento.
L’affidabilità e l’applicabilità risulta più che
discutibile, non ultimo per il fatto che la loro
conoscenza legale non avviene attraverso una forma di
registrazione, ma attraverso la diffusione on–line di un
semplice file di informatica individuale, tra l’altro in
formato proprietario, quest’ultimo in contrasto con il
vigente ordinamento.
[7] Tutte le informazioni su origine e uso sono
disponibili sul sito ufficiale:
http://www.robotstxt.org.
[8] Firma elettronica, firma elettronica avanzata, firma
elettronica qualificata e firma digitale, come novellate
dal D.Lgs. 30 marzo 2010, n. 235 che ha modificato
notevolmente il Codice contenuto nel D.Lgs. 82/2005.
[9] Copia informatica di documento analogico, copia per
immagine su supporto informatico di documento analogico,
copia informatica di documento informatico e duplicato
informatico, sono le nuove definizioni introdotte nel
Codice dell’amministrazione digitale dal D.Lgs. 235/2010
agli articoli i–bis, i–ter. i–quater e i–quinquies.
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