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DEI DELITTI E DELLE PENE. E DELLE PRESCRIZIONI di Antonio Nicita e Matteo Rizzolli –La voce.info

 

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La norma sulla prescrizione breve sposta la distinzione tra recidivi e chi viola la legge occasionalmente dal momento della decisione della pena a quello dell'accertamento dell'illecito, riducendo la possibilità di condanna per i criminali incensurati. Non serve a combattere il recidivismo né a introdurre un garantismo efficace. Se nel lungo periodo produrrà un numero inferiore di condannati, ciò non sarà la virtuosa conseguenza di una riduzione delle recidive, quanto il risultato di una minore probabilità di punire chi ha commesso un reato, ma non ha precedenti penali.

“È meglio prevenire i delitti che punirgli”, scriveva Cesare Beccaria. A questa finalità sembra venir meno la proposta di legge C. 3137-A, ribattezzata dai media come “prescrizione breve”perché, tra le altre cose,  riduce i tempi di prescrizione per gli incensurati, ovvero per coloro che non risultino ancora condannati con sentenza di primo grado.
Il progetto di legge e la sua tempistica sono stati ascritti dall’opposizione tra le norme ad personam ideate in questa e nelle precedenti legislature. Gli argomenti usati invece dai promotori spaziano dalle esigenze di garantismo (trattare con mano leggera gli incensurati) alla lotta dura al crimine (niente sconti per i recidivi). Si tratta di due argomentazioni quantomeno contraddittorie, in quanto la finalità della distinzione tra incensurati e recidivi viene di fatto sottratta al suo ambito precipuo - quello ex-post della definizione della sanzione -, per essere “esportata” a un ambito del tutto diverso, quello ex-ante dell’accertamento dei reati.

DAL REATO AL REO

Sotto il profilo dell’analisi economica del diritto, occorre chiedersi in primo luogo a cosa servano i termini di prescrizione. Si applicano, in sostanza, a tutte le violazioni di legge con l’esclusione dei delitti più gravi, punibili con pene detentive più lunghe. Tali termini sono previsti in tutti gli ordinamenti moderni e si spiegano, da un punto di vista economico, con la necessità di garantire la sicurezza delle transazioni, rimuovendo una fonte di incertezza all’interazione sociale (essendo queste interazioni esposte all’intervento legale ex-post). Essenzialmente lo scorrere del tempo erode sia il beneficio che l’attore o la vittima può estrarre dal veder riconosciuta la sua pretesa in tribunale, sia l’effetto deterrente che l’azione legale ha sul particolare convenuto o sui potenziali delinquenti in generale. (1) I diversi termini di prescrizione vengono generalmente associati a diversi gruppi di reati, riflettendone la gravità. Cosicché per reati o violazioni con basso danno sociale si fa prevalere l’esigenza di estinguere in fretta le possibili pretese delle parti danneggiate, mentre per reati gravi si tende a mantenere la possibilità di ristorare o sanzionare il danno anche molto in là nel tempo.
La norma proposta dal legislatore italiano, che riforma l’articolo 161 codice penale, interviene sulla possibilità di distinguere il termine di prescrizione non in base alla gravità del reato o alla rilevanza del danno sociale, cioè ai tipi di reati, ma in base ai precedenti del convenuto, cioè alla tipologia del reo. In particolare, si offrono termini più favorevoli all’incensurato, distinguendolo dal recidivo. Una distinzione che, tipicamente, avviene in sede di sanzione e non di accertamento del reato.

L'ANALISI DEGLI INCENTIVI

Uno dei punti più dibattuti del diritto penale (e della sua analisi economica) riguarda il diverso trattamento sanzionatorio da riservare ai recidivi rispetto a coloro che solo occasionalmente violino la legge. Nei diversi sistemi giuridici vengono spesso individuati strumenti volti a distinguere i due tipi di soggetti, generalmente per reati non giudicati particolarmente gravi. Ciò non viene fatto soltanto “riducendo” le pene per coloro che violino occasionalmente la legge, ma soprattutto individuando sanzioni crescenti per i recidivi e non già prevedendo che agli incensurati vengano offerti degli sconti sui termini di prescrizione. Vengono cioè chiaramente distinti due piani, quello dell’accertamento del reato (che non distingue tra incensurati e recidivi) e quello del suo sanzionamento (che invece può declinare la sanzione in funzione delle caratteristiche del reo).
Sotto il profilo dell’analisi degli incentivi la ragione è semplice. Supponiamo che, in principio, dato il numero di poliziotti e tribunali di un paese vi sia una probabilità del 30 per cento di essere condannati per la commissione di un certo reato (le probabilità sono del tutto ipotetiche). Tutti coloro che ritengono conveniente commettere quel determinato reato, data la sanzione prevista e la probabilità di essere condannati, lo commettono. Di questi, solo una frazione pari al 30 per cento viene effettivamente condannata. Il restante 70 per cento di chi ha commesso il crimine rimane incensurato. Ne consegue che ridurre il termine di prescrizione diminuisce, di fatto, la probabilità di condanna perché, almeno in alcuni casi, diminuisce il tempo a disposizione della polizia e dei magistrati per raccogliere le prove e dimostrare la colpevolezza degli imputati. Così, nell’esempio considerato, una prescrizione breve potrebbe ridurre la probabilità di condanna dal 30 al 20 per cento.
La norma proposta, tuttavia, riduce il termine di prescrizione solo per la popolazione incensurata, dimenticando che di questa fa parte anche una porzione di criminali, di coloro cioè che hanno commesso il reato, ma che risultano ancora incensurati. Questi ultimi troveranno ancora più conveniente commettere il crimine, dal momento che la sanzione attesa sarà diminuita proprio per effetto della prescrizione. Inoltre, ciò attirerà altri individui che nella fase precedente non ritenevano conveniente commettere alcun crimine (e quindi erano incensurati). Questi ultimi, infatti, proprio perché incensurati, potranno godere di termini più favorevoli.
Il risultato a catena che si genera è che il livello di crimine rimane invariato tra la popolazione di individui già condannati (per loro si applica la probabilità del 30 per cento), ma aumenta tra la popolazione incensurata (dove si applica il 20 per cento). Nel tempo si può così generare il paradosso di avere un numero di crimini superiore, in quanto la popolazione di condannati sarà inferiore, dato che la probabilità di essere condannati se incensurati è stata ridotta.
La nuova norma proposta sulla prescrizione breve quindi non serve a combattere il recidivismo né a introdurre un garantismo efficace. Se è vero che nel lungo periodo produrrà un numero inferiore di condannati, ciò non sarà la virtuosa conseguenza di una ridotta recidiva, quanto piuttosto il perverso risultato di una ridotta probabilità di condannare i criminali ancora incensurati.
Per evitare il paradosso, riteniamo invece opportuno che la distinzione tra le diverse tipologie di violatori della legge avvenga in sede di decisione della pena (incrementando le pene per i recidivi) e non in sede di accertamento dell’illecito (riducendo la possibilità di condanna per i criminali incensurati), come purtroppo avverrebbe nel caso in cui la proposta di legge venisse approvata.

(1) Per una disamina di tutte le argomentazioni che giustificano l’esistenza dei termini di prescrizione rinviamo alla letteratura legale. Si veda ad esempio Ochoa, Tyler T.; Wistrich, Andrew J. “The Puzzling Purposes of Statutes of Limitation”,28 Pac. L. J. 453 (1996-1997). Oppure Lair Listokin, Efficient Time Bars: A New Rationale for the Existence of Statutes of Limitations in Criminal Law, 31 J. LEGALSTUD. 99, 100 (2002).

 

 

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